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Il sole brillava alto, nel cielo di un
azzurro intenso, illuminando la mulattiera terrosa che stavano percorrendo a
dorso di cavallo.
L’aria frizzante proveniente dai Monti
Urlanti era solo un pallido esempio di ciò per cui, quelle vette impervie e
inquietanti, erano diventate famose.
Il Bacio dei Monti Urlanti.
Sapeva per bocca dello zio di venti gelidi
che spiravano tra quei monti impervi e dalle vette seghettate, tali da
terrorizzare anche il più intrepido dei viaggiatori.
Per cause di forza maggiore, lo zio ne
aveva provato sulla pelle tutta la loro micidiale forza distruttrice.
Naell aveva sempre amato le sue storie, di
quando aveva viaggiato per settimane tra le montagne assieme a una donna e al
suo lupo così da salvare l’intero regno dalla minaccia dell’odiato Vartas.
All’epoca, era stata troppo piccola per
comprendere il sottofondo agrodolce delle sue parole.
Da quando, però, era diventata abbastanza
grande per capire certe sfumature, il ricordo delle parole di zio Aken le aveva
fatto capire quanto avesse amato quella donna-lupo in particolare.
Vedere Eikhe a palazzo, riunita a zio Aken
e finalmente felici insieme alla famiglia riunita, era stato una sorpresa più
che lieta, per lei, che aveva sempre amato moltissimo il fratello di suo padre.
L’idea di rivederlo assieme alla sua
famiglia e ai gemelli, che ancora non aveva conosciuto, la riempiva di una
gioia immensa, di certo non quantificabile.
A capo di quella spedizione di cinquanta soldati
c’erano suo fratello Staryn, un sedicenne alto e dinoccolato dall’aria da
studioso e la timidezza quasi cronica.
Al suo fianco procedeva Meyor, vecchio
allievo prediletto dello zio e suo grande amico.
Sedevano ritti sulle selle dei loro
stalloni, ricoperti da leggere tuniche di pelle dalle lunghe maniche, che
ricoprivano quasi interamente la cotta di maglie di ferro che portavano al di
sotto.
Non che temessero attacchi tra quei
territori a loro ameni, ma la prudenza non era mai troppa.
Anche lei, pur essendo donna, indossava
una cotta di maglie, sotto la tunica colorata, così come pesanti stivali di
cuoio alti al ginocchio al posto dei più eleganti e raffinati stivaletti di
pelle.
In quanto principessa, Naell avrebbe
potuto scegliere di percorrere il lungo tragitto che separava Rajana da
Hyo-den, piccolo villaggio disperso tra i monti, sui comodi cuscini di una
portantina, ma si era rifiutata categoricamente.
La sola idea di presentarsi al cospetto
della famiglia di Aken su quel lussuoso quanto inutile attrezzo, l’aveva
disgustata.
Aveva dodici anni, non novanta, e poteva
benissimo cavalcare come gli altri!
Certo, i primi giorni erano stati
tremendi.
Ricordava più che bene il dolore agli arti
e al fondo schiena, ma non aveva voluto cedere di un passo dai suoi intenti.
Soprattutto, però, non aveva voluto la
sella all’amazzone che, per quanto bella, era scomoda e prevedeva che lei
indossasse un vestito lungo.
Una gonna.
Rabbrividendo alla sola idea, Naell si
guardò in giro per scacciare l’orrenda sensazione provata al solo pensare a
quell’ammasso di stoffe, sottogonne, guardinfanti e nastri di cui era composto
un abito da principessa.
No, meglio indossare quelle comode brache
da cavallerizza in morbida pelle, e stare a cavalcioni sulla sella, piuttosto che
portare quell’ingombrante vestito dall’aria pomposa.
Non era mai stata una bambina amante dell’etichetta
di corte, pur se apprezzava gli agi di palazzo, come l’acqua calda o i morbidi
letti a baldacchino.
Quando, però, la possibilità di decidere
il regalo per il suo dodicesimo compleanno le si era presentata su un piatto d’argento,
aveva subito rammentato alla madre la promessa fatta anni prima.
La regina Renke, sua madre, non aveva
potuto che accettare la sua decisione e, dopo aver inviato un falco a Kannor, aveva
predisposto ogni cosa per il viaggio di sua figlia tra le montagne.
La partenza era avvenuta un mese dopo il
suo compleanno, con l’affacciarsi dell’estate – il periodo migliore per
avventurarsi tra quelle lande.
Dopo quindici giorni di estenuante quanto
eccitante risalita lungo la Carovaniera del Nord, erano quasi in dirittura
d’arrivo.
Il bosco intorno a lei, composto in gran
parte da abeti secolari, larici dagli aghi di un verde pallido e pini
seghettati, dalle caratteristiche chiome disordinate e disomogenee, sembrò salutarla
con il suo quieto borbottio.
Il vento, che scivolava tra i possenti
tronchi dalle cortecce rugose e rossastre, produceva dolci melodie accompagnate
dal canto allegro di qualche allodola di bosco.
Diversi fringuelli dalla coda verde,
invece, danzando nell’aria, volando a bassa quota fin quasi a sfiorarli.
Naell ne aveva ammirato più volte il
veloce andirivieni tra il bosco e la mulattiera, sorridendo divertita quando le
loro evoluzioni li avevano spesso portati in rotta di collisione con i carri
delle vettovaglie, o con i musi di alcuni cavalli.
Imperturbabili, i mansueti destrieri
avevano proseguito lungo la strada mentre lei, in più di un’occasione, aveva riso
di fronte a tanto stoicismo.
La voce allegra e solare di Strayn la
strappò a quei pensieri gai, riportandola alla realtà.
«Ehi, sorellina! Che ne dici di venire in
testa al gruppo? Si comincia a vedere il contorno delle case di Hyo-den!»
Sobbalzando sulla sella prima di lanciare
un’occhiata alla sua personale guardia del corpo, Naell diede un colpo di tacco
ai fianchi del suo baio prima di avviarsi in tutta fretta in capo al gruppo di
soldati.
Dopo aver affiancato la cavalcatura del
fratello, allungò il collo per capire dove si trovasse il villaggio.
Vagamente delusa, scorse solo altri abeti
e altre chiome verdeggianti ma, non appena avvistò la traccia indistinta di
quello che aveva tutta l’aria di essere fumo proveniente da un camino acceso,
sorrise raggiante ed esclamò: «E’ dietro quelle coltri di alberi?»
«Stando a quel ricordo, sì» annuì Meyor,
sorridendole generosamente.
Tutta contenta, Naell scalpitò sulla sella
prima di afferrare una mano del fratello ed esclamare: «Ci pensi? Siamo
arrivati!»
Staryn rise di fronte a tanto entusiasmo
e, annuito che ebbe, convenne con lei dicendo: «E’ l’unico villaggio che si
trova da queste parti quindi, o stiamo andando a finire in mezzo a un incendio
boschivo, oppure la meta è vicina.»
«Staryn! Non pensarlo nemmeno!» esalò
sconvolta Naell prima di guardarsi attentamente intorno e replicare
saggiamente: «Nessun animale sta scappando dal bosco, e non si sente odore di
resina bruciata. E’ sicuramente Hyo-den.»
«Lo so, mia ansiosissima Naell» assentì
Staryn, strizzandole un occhio.
«Non sono ansiosa!» sbottò lei, prima di
osservare con aria colpevole le sue mani serrate sulle briglie.
No, la era eccome, invece. E come negarlo?
Erano anni che sognava di coronare quel
desiderio, anni in cui si era imposta di imparare – per quanto possibile – a
non dare per scontate le comodità di palazzo, a cercare di capire come potere
cavarsela da sola.
Aveva anche tentato di capire come fare a
orientarsi, pur se con scarsi risultati.
Ovviamente, sapeva che una bambina di
dodici anni come lei era, cresciuta negli agi di corte e mai uscita da palazzo
se non nelle occasioni ufficiali, non avrebbe mai potuto cavarsela in un mondo
così diverso dal suo.
Sperava per lo meno di non apparire una
completa idiota, al cospetto dei suoi famigliari e delle altre ragazze-lupo
della sua età.
Diventare lo zimbello del villaggio, non
era tra i suoi progetti più immediati.
Dopo aver percorso l’ultimo tratto di
strada, il folto gruppo di soldati, al cui capo Naell ancora si trovava, sbucò
infine in un’immensa radura erbosa.
A poco meno di un miglio di distanza,
scorsero finalmente l’imponente contorno di Hyo-den.
Composto da diverse centinaia di
abitazioni, più o meno grandi per altezza o dimensioni, il villaggio era
disposto a mezzaluna nella radura circondata da un interminabile abetaia.
Magnifico nella sua imponenza, un
gigantesco monte dalla vetta aguzza incombeva su di loro come un’oscura quando
affascinante presenza.
Poco oltre la fine della vegetazione
rupestre, a estrema difesa del villaggio, una miriade di frangi-valanga
percorreva il fronte della montagna, un immenso braccio disteso a protezione
delle persone che si trovavano ai suoi piedi.
Osservando senza parole tutto ciò che la
circondava, dalle belle case in tronchi di legno, alla bellissima collocazione
del villaggio, Naell esalò ammaliata: «E’ un sogno…non può essere vero.»
Meyor e Staryn la osservarono comprensivi,
preferendo non aprire bocca, poiché ben poco avrebbero potuto dire, di fronte a
un simile spettacolo.
Sì, era difficile credere che un simile
luogo esistesse in terra, eppure vi erano di fronte, e le parole fecero difetto
anche a loro.
Il profumo dei fiori riempiva l’aria come
la più esotica delle spezie, inebriandoli.
Per alcuni momenti, dimenticarono quanto,
quella natura così generosa e splendente potesse tramutarsi, in pochi attimi,
in una forza distruttrice e vendicativa.
Nel percorrere la distanza ultima che li
separava dalla loro tanto agognata meta, Naell intravide oltre il limitare
delle case ciò che era rimasto – a suo dire – di un’antica valanga.
Pur trovando quei tronchi divelti e
spezzati come fossero stuzzicadenti, ciò non fece scemare minimamente il
piacere di quell’arrivo.
Non era sciocca, e sapeva che la montagna
era pericolosa, oltre che bella, ma questo non poteva far passare in secondo
piano il gaudio che stava provando.
Quando poi lesse il suo nome su uno
striscione appeso nel mezzo della via principale del villaggio, e sorretto da
corde appese alle due case che aprivano Hyo-den, i suoi occhi si riempirono di
lacrime.
Disposte sui due lati della strada
lastricata di pietre levigate, tavole su tavole imbandite non attendevano che
loro per essere svuotate con gusto.
Le donne e gli uomini del villaggio li
accolsero con cori di benvenuto dalle verande delle abitazioni.
Non appena l’ultimo uomo fu entrato nel
villaggio, Naell e suo fratello scesero da cavallo assieme a Meyor, mentre una
donna alta e robusta, dai capelli striati di grigio, si avvicinò a loro al
fianco di Eikhe e Aken.
«Il nostro più caloroso benvenuto,
principessa Naell e principe Staryn. La vostra venuta ci riempie di letizia»
esordì la donna, allargando le braccia come ad abbracciare l’intero villaggio.
Dopo aver lanciato un breve sorriso agli
zii, Naell si esibì in una specie di riverenza, prima di replicare
educatamente: «Siamo onorati di ricevere una così meravigliosa accoglienza. Non
avreste dovuto disturbarvi a questo modo.»
«La venuta di ben due principi del regno
merita questo e altro» ribatté bonariamente Istrea, sorridendole generosamente.
«Ben ritrovati, nipoti.»
Intervenendo, Aken si fece avanti di
un passo e Naell, che aveva resistito all’impulso fin a quel momento, lasciò da
parte le consuetudini e si gettò tra le sue braccia.
«Sono così felice di vederti, zio!»
Strettala in un abbraccio soffocante, Aken
le baciò il capo bruno prima di sussurrare: «Sei mancata anche a me, gattina.»
Scoppiando in una risatina nervosa
nell’udire ancora una volta il suo vecchio nomignolo, Naell fu sul punto di
mettersi a piangere.
Solo l’intervento di Eikhe le impedì di crollare.
Con un sorriso carico di comprensione e
affetto, la donna la avvolse in un abbraccio e disse allegra: «Ormai è una
tigre, la nostra Naell! Guarda come si è fatta grande!»
«Puoi ben dirlo!» ammiccò il compagno,
sorridendole generosamente prima di volgere lo sguardo in direzione del nipote
e aggiungere: «E tu! Lasciati abbracciare, ragazzo!»
Staryn fu un pochino meno irruente di
Naell, ma trasmise agli zii la stessa aspettativa, lo stesso affetto
incondizionato, lo stesso sollievo per essere infine giunti da loro.
Allegra e soddisfatta, Istrea batté le
mani ed esclamò: «Si dia dunque inizio alla festa!»
***
Seduti su un gradino della scala che conduceva
alla casa di Eikhe e Aken, Naell osservava lo svolgersi della festa di
benvenuto con un sorriso stordito sul volto.
Canti e balli si erano susseguiti
incessanti, assieme all’idromele e ai buonissimi e ghiotti piatti di carne e
frutta, che le donne-lupo avevano preparato per loro.
I soldati, svestiti più che volentieri i
panni dei baldi guerrieri, si erano mescolati ai presenti per festeggiare a
loro volta.
Pur se avevano in parte temuto
quell’evento, i principi si erano dovuti ricredere alla svelta.
Non c’era stato nessun imbarazzante
incidente, nessuna battuta lasciva, nessun tipo di mancanza di rispetto degli
uomini nei confronti delle loro ospiti.
Questo a conferma che, il processo di
cambiamento portato avanti da Aken, aveva dato i suoi frutti.
Aken stesso appariva particolarmente
compiaciuto della cosa e, sogghignando all’indirizzo di Meyor – che se ne stava
in piedi con le spalle poggiate contro il muro di casa – , commentò divertito:
«Non sono stato poi un completo fallimento, come insegnante.»
Con una calda risata di gola, Meyor scosse
il capo e replicò: «Affatto, Aken. Noi tutti ti ricordiamo con affetto e, alle
nuove reclute, viene impartito lo stesso addestramento cui ci hai sottoposto
tu.»
Ingollò un po’ di idromele, prima di
accennare un ghigno e aggiungere: «Certo, alcuni vecchi ufficiali storcono un
po’ il naso, a sentir dire che le donne-lupo non sono inferiori a nessuno dei
nostri soldati e che, nel caso delle figlie sacre, il divario va invece a
nostro discapito, ma i ragazzi sono propensi a credere a noi. Specialmente da
quando la Signora del Villaggio di Emeranta ha accettato di inviare alcune sue
ragazze a palazzo, per delle esercitazioni pratiche con i nostri allievi.»
Vagamente sorpreso, Aken fissò Eikhe in
cerca di spiegazioni prima di notare il suo completo sconcerto.
Con un sorrisino, il giovane soldato venne
loro incontro, spiegando ogni cosa.
«L’idea mi è venuta una volta che sono
uscito in perlustrazione assieme a un po’ di compagni. C’era bisogno di noi per
sedare una disputa tra il villaggio delle donne-lupo e quello di Korianos.»
Intervenendo, Aken spiegò alla sua
famiglia.
«Quando ero ancora a Rajana, volli che i
ragazzi uscissero dalla città per incontrare il popolo, perché non fossero
visti solo come guerrieri inavvicinabili, ma anche come persone a cui chiedere
aiuto o servizi. Visto che, dopotutto, sono obbligati a studiare
Diritto Civile e Penale, perché non far loro mettere in pratica le loro
nozioni?»
«Mi sembra giusto» annuì fiera Eikhe,
dandogli di gomito.
Con un risolino, Aken proseguì.
«Morale della favola, dopo essermi
accordato con alcuni ufficiali, li ho mandati fuori a gruppi di tre, seguiti da
un membro anziano dell’Accademia che facesse loro da guida e, dopo un po’ di
false partenze, siamo infine riusciti a far attecchire questo genere di moda.»
Meyor assentì, soggiungendo: «Di fatto,
abbiamo alleggerito l’annoso problema dei Giudici di Pace della città che,
troppo oberati di lavoro, non erano in grado di dirimere i casi di minore
importanza e, nel contempo, abbiamo permesso al popolo di avere più rapporti
con la corona, di cui l’esercito è il lungo braccio.»
Sollevando un sopracciglio con evidente
curiosità, Eikhe domandò: «E tuo padre fu d’accordo?»
«Glielo facemmo notare solo quando
l’ingranaggio era più che rodato, e i risultati ben evidenti» ammise con un
sogghigno Aken.
«Oh» esalò Eikhe, ridacchiando.
Naell ammiccò alla zia, celiando: «Zio
Aken non ti ha detto che le urla della loro lite furibonda si sentirono per
tutto il palazzo. Durò più o meno due ore, e papà era già pronto a intervenire
con i soldati. Ero piccola, ma me lo ricordo bene.»
«Mi immagino la scena» ammise Eikhe.
Tornando a osservare il suo vecchio
allievo, Aken lo invitò a proseguire.
«Per farla breve, non solo scoprimmo che
le pelli erano di ottima qualità, ma che il mercante aveva usato dei pesi
contraffatti per la bilancia, finendo con il pagare molto meno del dovuto alle
donne-lupo. Abbiamo perciò messo in prigione per un paio di mesi il
commerciante avaro, e dato il giusto compenso al villaggio di Emeranta. Nel
consegnare i soldi alla Signora del Villaggio, mi è venuta in mente quest’idea
di una sorta di gemellaggio tra loro e noi e così, parlandone con lei e con il
mio superiore…»
«Davvero un’ottima idea» si complimentò
Aken, allargando il proprio sorriso.
«Grazie» sorrise grato Meyor. «Sulle
prime, i ragazzi non mi sono parsi molto convinti ma, dopo essere stati battuti
nelle gare di equitazione, hanno preteso la loro presenza. Così, è
diventata una consuetudine e, da allora, alcune donne-lupo vengono inviate per
alcuni mesi a partecipare ad alcuni corsi in Accademia, mentre le veterane
vengono a palazzo per insegnare alcuni trucchi a noi. Mi sembra equo, no?»
Fu Eikhe a rispondere per tutti.
Sorridendo all’alto soldato, asserì
orgogliosa: «Quando seppi del progetto di Aken, non potei che essere lieta di
come avesse impiegato il tempo che ci aveva visti separati. Ora posso dire che
ha raccolto degli ottimi frutti.»
«E detto dall’Eroina del Regno, non può
che essere un più che gradito complimento» replicò elegantemente Meyor con un
leggero cenno del capo.
Eikhe rise imbarazza di fronte a quel
commento – a distanza di anni, quel titolo ancora la faceva arrossire – prima
di sorridere divertita quando vide tornare i gemelli con alcuni piatti carichi
di fette di torta.
Naell aveva amato al primo sguardo i suoi
cuginetti e Staryn, letteralmente, pendeva dalle labbra di Enyl che, proprio in
quel momento, porse un piatto al cugino con fare suadente.
«E’ per te, cugino Staryn.»
«Sei stata gentilissima, Enyl, ma dovrai
aiutarmi a finire tutta questa roba» ridacchiò il giovane, prendendola in
braccio e offrendole una fetta di torta ai lamponi.
La bambina la accettò di buon grado mentre
Rannyl, sedendosi al fianco di Naell, le sussurrò complice: «Fossi in te, direi
a tuo fratello di stare attento. Credo che Enyl voglia fargli uno scherzo.»
Sghignazzando, Naell esalò di rimando:
«Credo che mi divertirò a vedere quel che succederà.»
«Contenta tu…» sentenziò Rannyl prima di
offrirle galantemente il piatto di fette di torta che aveva portato con sé.
«Sono per te, Naell.»
«Grazie, Rannyl» mormorò la ragazza.
L’iniziale timore dei due gemelli nel
vedere così tante persone sconosciute, e due cugini di cui avevano solo sentito
parlare, era scemata con il passare dei minuti.
Non appena Enyl e Rannyl avevano preso la
necessaria confidenza con loro, era stato impossibile dividerli.
Antalion e Liana erano rimasti in disparte
per tutto il tempo, preferendo che i gemellini conoscessero meglio i cugini
senza sentirsi addosso le occhiate del fratello maggiore e dell'amica.
Proprio in quel momento, però, si fecero
vivi con diversi piatti di carne fumante e una brocca di limonata.
Accettando i piatti offerti loro, Aken ed
Eikhe ringraziarono sentitamente prima di dare sfogo alla loro fame addentando
le morbide costine di cervo inzuppate in calda salsa di verdure.
Imitatili, Antalion si andò a sistemare
accanto a Meyor, mentre Liana si sedeva vicino a Eikhe.
Osservando il vecchio amico del padre con
solerte interesse, gli chiese: «E’ andato tutto bene, fino a qui?»
«Sì, nessun problema, Antalion.»
Meyor ingollò un pezzo di trota salmonata
ed esalò: «Uhm, buona! La salsa, poi, è deliziosa!»
Ridacchiando, Antalion gli disse: «Si
ottiene con delle erbe di bosco che crescono nei dintorni. Se vuoi, prima di
tornare, mi faccio dare la ricetta da mamma, e te ne raccolgo un po’.»
«Faresti la felicità di mia madre. Lei
adora questo genere di cose» asserì Meyor aggiungendo subito dopo: «Hai dei
fratelli davvero bellissimi. Com’è stato crescerli con tuo padre presente?»
«Dire bello sarebbe riduttivo, ma non mi
viene in mente nient’altro, al momento» ridacchiò lui, osservando per un
momento con aria divertita ciò che stava succedendo sulle scale di casa.
Come predetto da Rannyl, Enyl aveva
propinato a Staryn una fetta di torta “contaminata”
da un pizzico di radice di jicana, particolarmente piccante e dal sapore
piuttosto acre.
Non appena il cugino l’aveva messa in
bocca, era diventato subito paonazzo e ora, aiutato da Eikhe – che stentava a reprimere
una risatina – Staryn stava cercando di recuperare la capacità di respirare.
Tutta contenta, Enyl era seduta di fianco
a Naell che, in preda a un attacco di risa irrefrenabile, era rossa in viso e
con le lacrime agli occhi per il troppo ridere.
Liana, invece, stava dando delle pacche
confortanti sulla schiena di Staryn mentre Aken, a metà tra il serio e il
faceto, tentava di spiegare a Enyl perché non si dovesse usare la jicana
nelle torte.
Meyor rise al pari di Antalion, prima di
dire: «Penso che presterò attenzione a quel che Enyl mi offrirà, non si sa
mai.»
«Oh, non usa mai lo stesso trucchetto due
volte di seguito. Sa stupire per il suo ingegno nel concepire disastri» ghignò
Antalion, lanciando un sorriso alla sorellina, che si alzò con un balzo per
raggiungerlo e abbracciarlo forte.
«Ho esagerato, fratellone?» gli chiese
candidamente lei, sbarrando due occhioni dorati per fissarlo supplichevole e
contrita.
Scoppiando nuovamente a ridere, Antalion
le scompigliò la massa ondulata di capelli dorati, replicando: «Vai a fare le
tue scuse a Staryn, e non fargli
più neanche uno scherzo.»
«Neppure una rana?» mugugnò lei, mettendo
un broncio adorabile.
Meyor sorrise ammirato, di fronte alla sua
magistrale interpretazione, ed esalò: «E’ un’ammaliatrice nata!»
Poi, piegatosi su un ginocchio, guardò la
bambina negli occhi e disse: «Hai qui con te la tua ranocchietta?»
Annuendo, la bimba infilò una mano nella
tasca della sua tunica di pelle e ne estrasse un piccolo ranocchio verde a
macchie nere che, subito, saltò via dal suo palmo, finendo sulla spalla di
Meyor.
Il giovane soldato sghignazzò nel
recuperarlo e, facendo l’occhiolino alla bimba, le sussurrò complice: «Facciamo
uno scherzo a papà.»
Illuminandosi in viso, Enyl si tappò la
bocca per non strillare felice e Antalion, osservando divertito il soldato, lo
vide sgattaiolare accanto alla scala d’entrata per poi infilare la mano munita
di rana tra le barre di legno del corrimano.
L’attimo seguente, la rana balzò sul
colletto della tunica di Aken.
Ciò che avvenne dopo, scatenò l’ilarità
generale.
Non appena la rana si ritrovò al buio,
schiacciata dal tessuto contro la carne dell’uomo, cominciò a scalpitare per
trovare una via di fuga e Aken, colto di sorpresa, balzò in piedi di colpo.
L’attimo seguente, finì gambe all’aria, inciampando in uno dei gradini
e crollando di schiena sul pavimento della veranda.
Lo scoppio di risa generalizzato fu
automatico e, mentre Aken si liberava dello scomodo inquilino, i suoi occhi
volarono rapidi a Enyl che, angelica, sollevò le mani come per dire: “chi, io?”.
Fu a quel punto che Aken si accorse della
risatina a stento trattenuta di Meyor e, mentre Eikhe lo aiutava a rialzarsi da
terra, l’uomo esalò sconvolto: «Meyor! Ti prego! Non anche tu!»
Non potendo più resistere, anche Meyor
scoppiò a ridere di gusto e Rannyl, con la sua logica ferrea, dichiarò
imperturbabile: «Almeno, stavolta io non c’entro nulla.»