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Autore: Il_Bardo    17/04/2012    1 recensioni
Già Napoleone sapeva di lui.
Un ragazzo, Maximilien, ancora estremamente giovane, vacillante in sè.
I suoi ideali di un mondo perfetto, sono l'unica cosa ferma nella sua anima, che abbraccia due ali d'angelo, forgiate dal firmamento per distendere il velo della sua Utopia su tutto il mondo. la Mano degli Angeli; dissipi ogni Discordia!
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I Giorni passavano, trascinando con essi i mesi.
Il sole, la luna, danzavano sulle nostre teste, notte e giorno.
Io, sotto di loro, osservavo con stupore questo ciclo infinito che si ripeteva, giorno dopo giorno.
E nonostante i giorni sembrassero a volte interminabili, altre lunghi pochi attimi, il tempo inesorabile scorreva con essi.

nonostante il cammino mi pareva lungo e ostico, ogni giorno era un passo, un lungo passo, che mi portava al mio obbiettivo.

Giungevano continuamente ai miei occhi immagini di animali di ogni specie esistesse al mondo, seviziati, torturati crudelmente.
Non potevo che starmene in silenzio davanti queste immagini, questi racconti sui giornali, un silenzio che colpiva come un pugnale, dritto al petto, e tu, con le mani legate. potevi solo schivarle, ignorandole vigliaccamente. io no di certo avevo quest'ultima intenzione, preferivo un pugnale al petto che mille all'anima.
Un silenzio che significava resa, resa ancor prima di aver combattuto.
Impotenza nel poter fare qualcosa, incapacità di agire,
il non possedere niente per fare qualcosa. Chiudevo i pugni, digrignavo i denti, era quanto più potevo fare.

A volte, stupidamente sognavo.
Magari, da un momento all'altro, la rabbia avesse scatenato qualcosa in me, capacità nascoste, un miracolo vero e proprio per fare qualcosa,
per avere il potere di agire.
Ero assetato di questo, la prima goccia tardò ad arrivare, ma prima o poi stillò dalla fonte.
Uscii di casa una mattina di marzo inoltrato, ancora l'aria era gelida come quell'inverno che quell'anno ritardava la sua dipartita.
Le gemme intimidite dal freddo, non si schiudevano nemmeno con il fiacco tepore del mezzogiorno.

Senza accorgermene, ero già nella mia aula, ma ero arrivato troppo in anticipo, non c'era ancora nessuno.
Decisi di fare un giro per la scuola, per passare il tempo.
Essendo una vecchia villa, i suoi lunghi corridoi, le sue innumerevoli grandi e piccole sale, dipinte ogniuna con la stessa estrema maestria da abili pittori,
avevo l'impressione di trovarmi in qualche antico santuario.
Il silenzio era di pietra, i miei passi risuanavano solitari per i corridoi, né percorsi uno, poi un altro, attraversai la sala a cui portavano, prendendo il corridoio che svoltava a destra, dei due disponibili.
Iniziai a velocizzare il passo, sentivo un sibilo sinistro alle mie spalle, voltandomi più volte non notavo nulla.
Era ancora la mattina più giovane, i primi raggi filtravano dalle finestre di legno scrostate dal tempo.
Decisi di correre, i miei passi erano veloci e producevano un battito inquietante.
Corsi, corsi perdendo fiato, svoltai sale, attraversai corridoi interminabili che mi avevano inevitabilmente perso in quell'arcaico mondo.
I sibili misti ad uno strano ghigno di follia rimbombavano continuamente, li sentivo dietro alle mie orecchie, ma non volevo più voltarmi, continuavo a correre come uno stupido, sperando di poter fuggire da qualcosa o qualcuno che mi inseguisse.
Sapevo che la scuola era collegata ad antiche cripte, utilizzate nella seconda guerra mondiale come rifugi dai soldati per difendersi dalle bombe.
queste cripte tetre terminavano nella pineta poco distante sopra la scuola, la pineta in cima alla collina dove vi era collocata poco sotto anche la scuola come fosse la spalla della collina stessa.
Non volevo certo capitare lì e nemmeno nelle aule degli animali inbalsamati, dove scheletri di cavalli e ogni genere di volatile atrocemente impagliato esprimevano lo sguardo della morte stessa, giunti per mano dell'uomo.
I polmoni stavano cedendo, dovevo voltarmi...


A Tentoni, mentre il fiato si faceva debole, il ragazzo venne accolto da un'ampia stanza.
Le ricamature e i dipinti coronavano le pareti e la cupola sulla cima.
Non si rendeva conto di dove fosse, aveva intuito però  di trovarsi in una biblioteca dentro la scuola, dai grandi scaffali impolverati colmi di libri, grandi e sottili dalle mille fine rilegature. Ma non era la biblioteca dove si recava solitamente per prendere in prestito decine se non centinaia di libri.
Ogni sibilo, ogni risata aberrante che udiva tacquero d'un tratto solo, intimorite dalla "sacralità" del luogo.

La stanza aveva un'enorme finestra, le prime luci dell'alba entravano dai vetri illuminando la polvere, mostrandola come fosse polvere di diamante.
Da quei raggi vividi apparve evanescente un dito leggermente piegato, seguito poi da una mano, infine da un braccio.
Sembrava un'allucinazione, la luce si plasmava in un'arto, a prima vista femminile, la mano composta indicava qualcosa fra gli scaffali della libreria.
Fece poco caso a cosa indicasse di preciso, era più affascinato da quell'apparizione.
Intravide un viso sfumato, poi un battito d'ali dal nulla, finito nel nulla.


Pensai fossero state le ante della finestra ad aprirsi per una forte folata di vento, ma erano sempre rimaste ferme.
Successivamente, quella luce ritornò al sole, in un solo colpo d'ali, immateriali, rapido e raffinato, forgiate dalla luce che filtrava all'interno.
Concentrai poi la mia attenzione sul punto indicato tra scaffali pieni di libri di ogni dimensione.
Un libro?..
con le punte dei polpastrelli lo estrassi fuori, avendo l'accortezza di non far rumore facendo cadere quelli ai fianchi, non sarei dovuto essere lì.
Spolverai la copertina dalla polvere.
Il titolo a grandi caratteri relegato in oro citava -La Mano degli Angeli-
poco sotto, una scritta leggermente più piccola "dalla gloriosa mente di Napoleone Bonaparte".
Aprii la prima pagina, un forte odore di vecchio arrivò al naso.
La prima era bianca, ma appena l'accarezzai per voltarla e leggere il seguito, dove toccai il foglio un'alone nero  apparve, scorrendo sulla carta, verso il centro del foglio come una sinuosa coda di volpe.
Il mio nome si andava formando.. Max..imi..lien ...  Maximilien.
Ma prima del mio nome, tre segni, X... X...I...
mentre sotto, una minuscola scritta in francese che mi sembrava familiare, ma indecifrabile al momento.
La scia d'inchiostro si asciugò in pochi attimi.
Richiusi il libro, attonito, voltandomi per osservare aldilà della finestra e riflettere sul da farsi.
Uno spettacolo che forse nessuno ebbe la fortuna di contemplare, mi parve d'innanzi
I Raggi di un'alba intensa, l'aurora li sfumava in una colorazione aranciata e rosea, segmentavano il cielo, tingevano il blu di una miriade di linee, solchi di luce, schiere di raggi,
Particolarmente intensi, filtravano le nuvole, dissipando quelle poche presenti nel cielo.
Il grande paesaggio ai piedi del firmamento, i monti congiungevano la terra al cielo come mura lontane dove l'occhio non poteva guardare oltre, era di numerose tonalità verdi, prati di tenera erba, gli alberi con i primi germogli, i campi ingialliti dall'inverno, i primi e pochi alberi che fiorivano prematuramente, punteggiavano quella distesa di colori e tonalità primaverili, infastidita solo da quell'ammasso di punti grigi, quali erano palazzi e case.
Nella volta, quattro angeli schieravano le loro ali bianche e surreali sulla città sotto di loro.
Leggeri, impalpabili con una grazia innaturale;
quattro donne con tuniche ricamate d'argento, fluenti ed enormemente lunghe componevano una sorta di coda fluttuando; possedevano  enormi ali bianche che risuonavano nella distesa celeste quale era il cielo, mentre delle piume si staccavano dolcemente e rilucenti coronavano quelle comete.
Fendettero la volta cerulea, dirigendosi verso i raggi dell'alba che erano il loro cammino e la loro meta, nascondendosi poi anche allo sguardo di quei pochi che li mirarono per quei pochi istanti in cui lenti ed aggraziati attraversarono il firmamento.
Notai la brina congelatasi agli angoli dei vetri della finestra, sparire torpidamente, scongelate dal tepore che quella mattina, l'Aurora emanava.
Presi il libro e lo nascosi sotto la giacca, proprio sul petto, e guardingo uscii da una porta che pochi attimi prima non avevo notato, che mi condusse immediatamente fuori dall'edificio.
Perchè mai un eroe storico, Napoleone Bonaparte avrebbe dovuto scrivere un libro ad una persona precisa secoli dopo?!

Avrei avuto la mia occasione di rivalsa, avrei potuto fare qualcosa.
Avrei letto come, quello stesso pomeriggio, sotto i raggi più aranciati del tramonto.
Mi dissi infine, intrepido in cuor mio, forse troppo..

...Per ogni Ramo spezzato, per ogni animale seviziato... un Osso Rotto...
  
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