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Autore: Subutai Khan    18/04/2012    1 recensioni
Frederick, guardando con estrema noia il signor Cahill avanzare goffamente verso lo scranno, ebbe l'inusuale voglia di fargli del male. Gli sarebbe piaciuto alzarsi dal suo posto, avvicinarsi con aria di sfida alla cattedra, afferrare il collo di quel vecchio sovrappeso e spezzarglielo con una sola mano.
Poi, per sua fortuna, tornò in sé.
Si era dimenticato di essere perfettamente in grado di farlo.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Dove cazzo siamo finiti?”.
“Katrina, hai per caso firmato un contratto che ti obbliga a dire una parolaccia per frase? Guarda che puoi evitare”.
“Morte, non scassare i coglioni. Non vedi dove siamo finiti? Siamo in un fottuto nulla dipinto di bianco”.
“Ma no. Sul serio? E io che pensavo fossimo in una sfera per il blitzball”.
“Gente, calmatevi un attimo. Pensavo avessimo superato la fase in cui litigavamo fra di noi”.
“Non credo la supererò mai finché respiro, Hans”.
“Cosa che potrebbe capitarci molto presto, Frederick”.
“Evviva l’ottimismo, cacchio”.
“Fate silenzio, Cavalieri dell’Apocalisse. Siete stati qui convocati per ricevere il vostro premio”.
“Vostra altezza... quale sarebbe questo premio?”.
“La risposta che cercate è semplice, Pestilenza. Avete assolto il compito assegnatovi, com’era giusto che fosse. Pertanto vi siete guadagnati la nostra personale versione del Paradiso. Ora i vostri corpi fisici smetteranno di funzionare, ma in compenso riceverete qualcosa di prezioso. Le vostre essenze verranno spedite nel vostro sogno più proibito, dove potrete sfogarvi come più preferite per il resto dell'eternità. Non siete contenti?”.
“Come no. Contentissimi. Vero, compari?”.
“Assolutamente sì, sì... contentissimi...”.
“Niente da ridire, signore”.
“Sono una pasqua, non si vede?”.
“Eviterò di rispondere al vostro malcelato sarcasmo, riferendomi ai due bimbi cattivi che l’hanno usato. Ma basta chiacchiere inutili. È il momento”.


E il momento fu.
Guerra e Pestilenza, per non si sa quale motivo specifico, si ritrovarono assieme. Erano in una radura con l’erba bassa e diradata, senza il minimo segno di costruzione o vita che non fosse la loro.
Lei reggeva una scimitarra turca da esecuzione, qualcosa che assomigliava a una grossa mannaia con almeno dieci centimetri di lama in larghezza e una quarantina in lunghezza. Le si illuminarono gli occhi mentre la alzò per osservarla meglio.
Lui si ritrovò dei tirapugni su entrambe le mani chiuse. Quei bei modelli con gli spuntoni. Che se ti fosse arrivato uno sganassone sulla faccia, al meglio ti sarebbe rimasta la cicatrice. Si leccò il labbro, voglioso di una bella scazzottata.
Entrambi ebbero la possibilità di provare i loro nuovi gingilli quando videro, prima in lontananza e man mano sempre più vicino, un grande gruppo di circa una trentina di persone che si stavano avvicinando con aria palesemente minacciosa. Sentirono qualche urlo non proprio rassicurante rivolto nei loro confronti, tipo “Ammazziamo questa feccia!”, pronunciato in inglese. E, sebbene nessuno dei due fosse un mostro nel campo, avevano abbastanza conoscenza basilare della lingua da comprendere.
Al cinese si accese uno scompartimento mentale quando quelle parole gli arrivarono alle orecchie e si ricordò, con un deciso piacere sadico, di quando aveva spaccato il muso di Choi e dei suoi scagnozzi. Stranamente, però, non ebbe risposta di alcun tipo da Katrina, la quale lo osservava come a dirgli “Allora, li sventriamo ‘sti idioti o no?”. Chissà cosa poteva voler significare.
L'urlo inumano che emise assordò per qualche secondo la sua compagna, che dovette anche portarsi le mani alle orecchie per impedire alle vibrazioni residue di frantumarle le tre ossa interne. Gettandosi in avanti verso l'orda impazzita provò un acuto godimento.
Gli mancava cambiare i connotati a qualcuno, sì. Da morire.
Quando il primo diretto squarciò mezza guancia del malcapitato, sporcandogli la mano di sangue, si sentì vivo come non gli succedeva da parecchio. Venne ben presto imitato dalla russa, pure lei desiderosa di dimostrare che il suo nome d'arte non la rendeva meno pericolosa di lui. Anzi. Perdere da Pestilenza? Inaudito e inaccettabile.
Per un attimo, solo per un attimo, si chiese se fosse giusto tutto questo. Cos'era successo, dov'erano, perché. Poi si abbandonò alla pulsione violenta, cercando solo di far saltare più teste e arti possibili con un unico colpo.
Presto i loro volti e i loro vestiti si ridipinsero di rosso. E neanche una goccia era loro.

Carestia si grattò la testa. Non capiva cosa gli fosse capitato. Era seduto su una poltrona che, al tatto, sembrava fatta di pelle. Si sporse in avanti e il suo ginocchio incocciò contro qualcosa di spigoloso. Una scrivania? Boh, vai a saperlo. Gli inconvenienti di essere ciechi.
“C'è qualcuno?” chiese ad alta voce in lingua madre. Era stufo di non potersi esprimere in maniera vocale, tranne che in pochi casi con Frederick.
Sentì una porta cigolare e un interruttore scattare.
La luce lo investì come l'acqua investe un surfista che si ribalta dopo aver preso male l'onda.
...
Lui... ci vedeva.
Si strofinò più volte le palpebre e credette di avere le allucinazioni. Questo suo comportamento decisamente bizzarro causò una reazione preoccupata da parte dell'uomo che era appena entrato. Sulla quarantina, più alto della media, con delle piazze vuote fra i capelli appena ingrigiti e un pizzetto nero molto ben curato.
Quanti anni erano che non vedeva una persona in faccia?
Poi gli sovvennero le parole del loro... capo? Aveva detto, quasi testualmente, che avrebbero vissuto le loro fantasie più proibite. Pensava di aver accettato il fatto di essere privo di vista, ma a quanto pareva quella sua accettazione non era poi così completa o sincera.
Oh beh, 'sticavoli. Non poteva proprio dire che lo sviluppo gli desse fastidio, tutt'altro.
“Boss, tutto bene? Perché teneva le luci spente?”.
Si voltò verso colui che l'aveva distratto dalle sue elucubrazioni riguardo il proprio stato di salute.
L'aveva chiamato boss. Perché avrebbe dovuto? Boss di cosa?
“Sì Karl-Heinz, tutto bene. Sono solo un po' affaticato”.
Lo sguardo dell'altro sembrò quietarsi di fronte alla rassicurazione. Ma perché diavolo sapeva il suo nome?
Quanta roba non tornava. Qualcuno gli avrebbe dovuto presto spiegare un bel po' di cosette.
L'uomo che Hans configurò come suo attendente, o aiutante, o vice si scusò per l'intrusione e lo lasciò nuovamente solo, non prima di avergli ricordato della riunione del CdA ormai prossima.
Consiglio d'Amministrazione, eh? Si... guardò... attorno. Si trovava in un ufficio, a giudicare dall'arredamento raffinato, dall'enorme finestra al lato sinistro della stanza, dal pc ultima generazione sul tavolo e dalle piante negli angoli.
Era un amministratore delegato di qualcosa, forse? Dove l'avevano spedito?
Alla realizzazione di tutto questo gli nacque un sorriso enorme. Aveva sempre voluto trovarsi in una posizione di potere, essere nella condizione di decidere di vita e morte, foss'anche solo finanziariamente, nei confronti del rozzo volgo di provincia. Fai partire l'OPA ostile verso quell'azienda rivale, pretendi quei crediti, manda un paio di sgherri a convincere quei concorrenti a farsi da parte. Tutte attività che l'avevano sempre stimolato, eccitato, dato un brivido alla sua nobile spina dorsale.
Carestia si sfregò le mani. Vedeva davanti a sé un sacco di divertimento.

“Mmmmmmh...”.
“Bentornata fra i vivi, tesoro”.
“Nggggh... sai che ho la carburazione lenta appena sveglia...”.
“Fai con comodo, oggi non abbiamo neanche lezione. E ho imposto a Jack e Martin di non disturbarmi. Questo mercoledì è dedicato a lei, signorina Neill”.
“Che dolce. E che bella è stata questa maratona di coccole spinte e posizioni strane...”.
“In vena di sperimentazione. E anche tu, vedendo un paio di proposte che hai avanzato”.
“Ero curiosa di provare questo benedetto sessantanove. Sento le mie amiche parlarne come di una frontiera della goduria ultima ma non ci avevo mai messo mano. Anzi, bocca”.
“Come siamo scostumati oggi, Amanda”.
“Colpa tua, McWillis. Raramente mi è piaciuto così tanto”.
“Spero che la sorpresa sul tuo lato del comodino ti piaccia altrettanto. Anche se mi rendo conto che una performance infuocata come quella finita da poco sia difficile da eguagliare”.
“Di cosa stai... oh, la colazione. Tenero. L'hai preparata da molto?”.
“No no. Saranno cinque, massimo dieci minuti. Forse il caffellatte è ancora caldo. Fossi in te mi sbrigherei”.
“Sai che ho la fame di un branco di lupi dopo aver passato l'intera notte a cavalcarti come un pony, soverchiata dalla sacra estasi della passione carnale”.
“Ahahahahahahahah. Piantala di atteggiarti a Saffo dei poveri, sei negata e dell'orientamento sessuale sbagliato. Come compagna di letto, invece, sei fenomenale”.
“Posso dire lo stesso di te, Frederick”.
“Grazie del complimento”.
“E ora, pancia mia fatti capanna”.
“Mentre tu divori il tuo pasto vorrei raccontarti una cosa. Posso?”.
“Certo *gnam*. Dimmi tutto quello che ti *glomp* passa per la testa”.
“Ho sognato di essere un Cavaliere dell'Apocalisse, Morte per la precisione. Conoscevo i miei tre compagni e, dopo averti uccisa al campus per una strana forma di pietà nei tuoi confronti, scatenavamo la fine del mondo. Bella roba, eh?”.
“Maddai. Sicuro di non aver assunto droghe strane negli ultimi giorni? Non è tanto salutare immaginarsi cose così lugubri”.
“Oh, alla fine chissenefrega. Non è mica successo davvero, no?”.
“Certo che no”.
   
 
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