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Autore: elecam28    13/11/2006    7 recensioni
"Dove sono Bartemius, Regulus, Aberforth, Nicholas e Tom,
il rigido, il secondogenito, l’originale, il dotto e l’arrogante?
Tutti, tutti, dormono sulla collina."
Fanfic liberamente ispirata al capolavoro di Edgar Lee Masters “Antologia di Spoon River”, una rivisitazione personale in chiave HarryPotteriana. Da collocarsi anni dopo la sconfitta di Voldemort. E Harry? Vedrete alla fine.
Genere: Generale, Malinconico, Poesia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Dedalus Lux

 

 

Dedalus Lux

 

 

So cosa pensate, leggendo il mio nome su questa pietra,

perché è lo stesso pensiero che ha attraversato ogni mente il cui proprietario mi ha rivolto parola:

chi sono?

Io mio nome compare solo qui con un poco di eleganza,

- dovuta più che altro alla raffinatezza dell'incisione, come potete notare -

ovunque altro si sia letto o si sia parlato di me, sono sempre stato posto accanto alla parola scherzo,

o, persino con più frequenza, e con più riso, all’aggettivo che ben poco bene mi descrive, eccentrico.

Ebbene sì, confesso,

dedicai la vita al divertimento;

deve sembrare strano anche a voi,

che un canuto vecchio passi il tempo in scherzi e burle da bambini.

Ma la vita non è forse una sola?

A che scopo sprecarla fingendoci privi di debolezze e inadeguati alla gioia, mi chiesi ogni giorno e mi chiedo ora.

E non che io sia stato l’unico,

ma pare che agli occhi di chi visse insieme a me quei tristi anni fossi l’esponente più conosciuto di quella strana specie.

Invero, non avevano tutti i torti a chieder ai loro capi il motivo che mi spingeva a rider,

quando il dolore era l’aria quotidiana.

Nemmeno io so dire cosa spingesse il mio cuore a far ridere le mie labbra,

proprio io che a causa di quei conflitti senza fine persi la famiglia, la vita, la pace.

Ora so dirlo, so dirlo davvero,

e vi prego di credere che non mento, né rido.

Fu la speranza.

E la Speranza con lei.

Vedete che non ho perso il senso del buffo?

La Speranza mi ha concesso di serbarlo,

salvando la mia vita insieme a molte altre

a discapito del suo intero mondo.

Non quello in cui vissi anch’io, no;

quello lo salvò, lo salvò anche se non lo meritava, anche se non aveva fatto altro che chiedergli, senza dargli.

No, io parlo della sua vita fatta di amici, parole, risa, suoni, abbracci.

Perse tutto, tutto questo.

Ma non pianse.

E io fui orgoglioso come non mai,

e non per aver suscitato lo stupore di tutti indossando un mantello color porpora con macchie gialle

- un altro mio talento era quello di stupire per i miei gusti, non l’avreste indovinato, vero? -.

Fui orgoglioso di avergli stretto la mano quando era ancora troppo piccolo per le sue responsabilità,

come lo è sempre stato, ma ha tenuto alta la testa e sconfitto demoni oscuri per tutti noi,

fui orgoglioso di aver incrociato le sue giade non una volta sola,

le stesse che avevo scorto tempo prima in un viso angelico, spento poi dall’odio più atroce,

fui orgoglioso di aver incendiato il cielo di fuochi splendenti per la sua vittoria,

quando fu parziale in quel lontano fine ottobre e quando fu reale, vero, sancito dalla terra intrisa di sangue.

Sono stato fiero di lui come lo sarebbe stato suo padre,

come lo sono stati tutti,

come lo sono adesso,

che lo vedo dall’ombra del mio stretto ed eterno giaciglio di polvere ed erba,

camminare lento tra di noi,

miracoli del suo miracolo,

ormai spenti da tempo.

E’ vecchio,

segnato come lo fui io,

ma lo stesso splendido fuoco brilla nel suo sguardo,

lo stesso per cui ridevo e facevo ridere,

e per cui ora rido nel silenzio.  

  
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