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Autore: Exentia_dream    23/04/2012    1 recensioni
Ed eccomi con una nuova ff.
Una Draco/Hermione. Non vorrei dire altro. Anzi, lo dico.
Hermione, dopo il diploma, si trasferisce in Francia, dove sposa indovinate chi?... Torna a Londra per la morte di suo padre e, qui, incontra indovinate chi?
Spero di avervi incuriosito. Nel caso, buona lettura.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Ritorno…

 

 

-Harry- dissi, posando la borsa nella sedia accanto alla mia. –ho bisogno di un favore.
-Tutto quello che vuoi.
-Devo vedere Henri.
-Cosa?- gli occhi spalancati, la bocca aperta che disegnava sul suo viso l’espressione di chi non ha capito bene.
-Hai capito, Harry, perciò, metti via quell’espressione da pesce lesso e dimmi dove devo andare.
 -Che bisogno c’è di farlo?
-E’ un problema mio, non tuo.
-Potrebbe farti del male.
-Ci sono tante cose che devo risolvere ed è quello che voglio fare.
-Non te lo permetterò.
-Tu non sei nessuno per non permettermi di rivedere Henri.

-La solita testa dura. D’accordo, allora lo rivedrai qui.
-Qui?
-Sì, nella sala degli interrogatori.
-Ma è vetrata ed io non voglio che ci vedano.- non volevo che Draco potesse vedere o, addirittura, sentire quello che avevo da dire a Henri.
-Abbasserai le tende.
-E magari metto anche un bel vaso di fiori sul quel tavolo, eh?
-Non fare la simpatica, Herm.
-Io non sto facendo la simpatica, Harry: sono venuta qui per chiederti un favore e ti stai tirando indietro. Eppure, cazzo, si tratta di me…
-Appunto.- urlò, senza lasciarmi finire la frase. –Proprio perché si tratta di te, voglio che tu sia al sicuro. Vuoi rivedere quel pezzo di merda? Va bene, lo rivedrai, ma poi non venire più a piangere da me, perché, credimi, sono davvero stanco.- gli occhi ridotti a due fessure, ma carichi di rabbia, la bocca dritta, le narici leggermente aperte.
Non avevo capito dove volesse andare a parare e non avevo neanche voglia di pensarci, perciò raccolsi la borsa ed andai via, senza neanche salutarlo.
Ero andata da lui con le migliori intenzioni, soprattutto, mettendo prima da parte il nervosismo che sentivo nello stomaco da quando mi ero svegliata.
Quando entrai nell’ascensore, mi ritrovai in compagnia di un uomo dalle spalle larghe e estremamente muscolose –  si vedeva bene, nonostante la giacca. Doveva essere della sicurezza.
Abbassai lo sguardo e mi limitai a premere il pulsante del secondo piano.
Il silenzio era imbarazzante,  ma riempirlo di cretinate, forse, sarebbe stato anche peggio.
Tossii, perché il profumo acre di quell’uomo mi prese alla gola, ma cercai di trattenere quanta più aria possibile e non tossire più
Quando le porte si aprirono, affrettai il passo per uscire dall’abitacolo e respirai a pieni polmoni l’aria di chiuso e di caffé che era meglio di quel profumo.
Mi sedetti nella sedia girevole che avevo dietro la scrivania e presi dal cassetto i documenti che avevo preparato: era stata una scelta difficile, ma, in fondo, avevo già deciso prima ancora che mi si presentasse l’idea.
Credevo che fosse per il fatto di aver capito di essere ancora innamorata di Draco, ma, probabilmente, quella consapevolezza era stata solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: più di una volta, durante il mio matrimonio, mi ero chiesta se era quella la vita che volevo, se sarei stata felice e la risposta, ovviamente, era sempre stata negativa.
Tendevo a farla apparire positiva ai miei occhi e a quelli degli altri solo per cercare di salvare qualcosa e per non vedere scritta sulla mia fronte a carattere cubitali la dicitura “fallita”, perché sarebbe stato davvero imbarazzante e fuori luogo.
Ma, veramente imbarazzante e fuori luogo era stata la cecità con cui mi ero ostinata a vivere pur di non ammettere di aver perso.
Se non fossi tornata a Londra, probabilmente, avrei vissuto chissà quanto altro tempo in quello stato e, con il passare degli anni, non me lo sarei mai perdonato.
Presi il telefono e digitai un numero, poi portai la cornetta all’orecchio.
-
Bonjour?
-
Salut, je suis Hermione Granger .. Je pourrais en parler à l'avocat Abbott?
-Oui, un instant que je passe sur sa ligne.

Attesi, giocherellando con una matita e quando il mio superiore rispose, sentii la malinconia assalirmi. –Pronto?
-Signora Abbott, salve…
-Oh cielo, Hermione, come stai?
-Sto… bene… me la cavo qui…
-Il tuo ufficio è ancora intatto, nessuno ancora ci ha messo piede.
Sorrisi. –Grazie, davvero, ma…
-Hai già trovato lavoro?
-Sì.
-Su, raccontami: è successo qualcosa di bello?
Erano successe così tante cose belle che non sapevo da dove avrei dovuto cominciare. Inoltre, proprio con lei non potevo trattenermi, perché era stata l’unica compagnia, l’unica con cui avevo potuto confidarmi; una specie di guida da seguire sempre. –Non so…- risposi, dopo un po’.
-Suvvia.. Henri?
-Noi no- non stiamo più insieme.
-Oh, e come mai? Insomma, sapevo che tante cose non andavano e che… dì la verità: hai conosciuto l’uomo della tua vita?- la voce carica di allegria.
-In realtà, lo conoscevo già. Ma non è solo questo: sono successe tante cose che mi hanno portato a capire che Henri non era l’uomo giusto per me e per mio figlio.
-Tuo figlio? Hai un figlio?
-Sì, no… cioè… non ancora.
-Dio Santo, Hermione, e cosa aspettavi a dirmelo? Complimenti, davvero. Finalmente…
-Già.
-E, dimmi, sarà figlio di questo fantastico uomo?
-Sì.
Passammo quasi due ore al telefono, parlando di cose futili, importanti, piacevoli, spiacevoli e, alla fine, promettemmo che non avremmo perso i contatti.
Nell’esatto momento in cui posai la cornetta del telefono, Cho mi avvisò che Harry voleva parlarmi.
Restai di nuovo sola, mentre sistemavo tutto il necessario nella borsa.
Mi levai dalla sedia, tenendomi salda alla scrivania, perché il capogiro che mi aveva colpito non accennava a calmarsi.
-Ti senti bene?
-Si… mi gira solo la testa.
-E’ normale durante la gravidanza.- sorrise. –Ti accompagno.
-Grazie

 

 

 

§

 

 

 

 Erano passati altri tre giorni, cullati nel silenzio più assoluto.
Era un bene per me, me ne rendevo conto e mi rendevo conto di quanto Draco mi rispettasse davvero, nonostante i suoi sentimenti.
Sorrisi tra me e me, sentendomi anche un po’ in colpa per essermi imposta una pausa di cui io stessa avevo paura.
Per giorni e notti intere avevo ascoltato la canzone sul suo mp3 ed avevo trovato le risposte a tutte le mie domande.
Riflettendo da sola non sarei arrivata a nessuna conclusione e, soprattutto, semmai avessi tratto qualche ipotesi, non avrei potuto confrontarla con la realtà…
Era il nostro tempo adesso e non volevo più sprecarne neanche un attimo.
Il nostro tempo era stato rimandato per troppo tempo e non era giusto.
Sapevo che mi stava aspettando, sapevo che in fondo, anche lui aveva sempre desiderato che arrivasse questo momento.
Prima, però, prima di poter cominciare la mia vita con lui come volevo, dovevo finire qualcosa che in realtà non era mai cominciato.
Guardai i fogli sulla scrivania ancora un po’, poi mandai un messaggio a Harry per avvisarlo che accettavo di incontrare Henri in commissariato… era una questione davvero importante e dopo aver saputo che era ancora in prigione, mi sentii più tranquilla.
Il telefono squillò dopo dieci minuti e Harry mi avvisò che avrei dovuto aspettare almeno un’ora per incontrare il mio ex marito. Ci rimasi abbastanza male perché avevo una certa fretta a risolvere quella questione.
Per ingannare il tempo, rimisi le cuffie dell’mp3 e riascoltai per l’ennesima volta la sua canzone.
Anche io avevo colpe riguardo alla fine della nostra storia: ero andata via senza lottare,  limitandomi ad un semplice: “RESTA” che per me a quell’epoca valeva più di ogni altro gesto.
E alla fine, ero stata io quella che era andata via. Via da Londra, via dal dolore, via da lui…

Far away, troppo lontana. In Francia, in un’altra nazione dell’Europa, in un altro mondo.
La chiacchierata con Blaise mi aveva aperto gli occhi e aveva ridato aria ai miei polmoni e battiti al mio cuore. Non aveva di certo cancellato dai miei ricordi il sorriso che Draco aveva rivolto a Cloe né il ritardo con cui aveva risposto alla mia domanda, ma aveva aperto nuove prospettive, mi aveva dato una nuova voglia di credere in lui.
Lo dovevo a me, lo dovevo a lui e quel noi che per troppo tempo ci aveva visti divisi, ma soprattutto lo dovevo a nostro figlio.

Too long. Troppo tempo. Troppo tempo tolto ad una storia che è sempre esistita , nonostante la distanza, nonostante ci fossero altre persone di mezzo, nonostante  tutto.
Nel frattempo la sensazione di fare la cosa giusta si stava facendo strada in me sempre di più, man mano che le note suonavano e riempivano le cuffie e tutto quello che mi circondava.
Come avevo potuto credere che allontanarsi fosse la cosa giusta? Come avevo potuto credere che fosse necessario rallentare?

Too late. Troppo tardi: era semplicemente troppo tardi per pensare di poter tornare indietro, a quando non lo amavo ancora; era troppo tardi per credere di poterne fare a meno; troppo tardi per privarmene e credere di poter star bene.
Ancora una volta ascoltai quella canzone e ancora una volta ripetevo quelle parole come un mantra, ma non dovevo più convincermi di niente, perché avevo preso la mia decisione e questa volta non avrei cambiato idea. Che senso avrebbe avuto farlo? Nessuno, appunto.
Allora perché avrei dovuto farlo? C’erano solo motivi che mi spingevano da lui ed io avrei seguito quei motivi come Hansel e Gretel avrebbero seguito le molliche di pane che avevano lasciato lungo il loro cammino. Draco era la mia casa di pan di zenzero e non c’era nessuna strega da temere.
Anzi, era tutto lì per essere vissuto come aveva sempre meritato. Ero stanca di togliere tempo al mio stare bene ed ero stanca di essere paranoica: dovevo e volevo credere alle sue spiegazioni, ai suoi occhi.

 Just one chance. Solo una possibilità, anche se questo amore ha sempre meritato molto più di un’unica possibilità, ha meritato molto di più di una fine senza senso e di un addio in cui nessuno dei due ha mai creduto.
Era tempo di darci quella chance, era tempo di viverci.
Sentii il cellulare vibrare e lo presi dalla tasca guardandolo quasi meravigliata.
Avevo dimenticato quanto fosse piccolo e sorrisi per il pensiero stupido che mi passò per la mente.
Harry mi aveva mandato un messaggio in cui mi avvisava che Henri era nella sala degli interrogatori.
Guardai ancora la documentazione che avevo sulla scrivania e sentii una fitta allo stomaco: ero decisa, ma chiudere una storia in cui mi ero impegnata tanto mi faceva sentire una fallita.
Meglio così, perché se da un lato c’era il fallimento, dall’altro c’era la gloria di un amore perso, mai dimenticato e ritrovato che ben presto sarebbe stato davvero completo, grazie a questo figlio che era in arrivo.
Presi tutti i fogli e mi avviai verso l’ascensore.
Non so quanto tempo aspettai, non so quale profumo ci fosse nell’abitacolo, non so quanti passi feci per arrivare alla sala degli interrogatori… sapevo solo che quel tempo era mio, sapevo che il profumo che sentivo era quello della libertà dopo anni di prigionia, sapevo che qualsiasi fosse il numero dei passi fatti non era niente rispetto a quelli che avrei voluto fare per raggiungere Draco.
Mi soffermai sulla porta e presi un lungo respiro. Ci voleva coraggio, ce ne voleva tanto…
Poggiai la mano sulla maniglia e la girai.
Quando entrai la luce soffusa per un po’ mi oscurò la vista, perciò feci fatica a capire quale espressione ci fosse sul viso di Henri.
Usavo poche volta l’appellativo di ex marito, perché non l’avevo mai sentito tale, né ex né marito. Era semplicemente un estraneo.
Eravamo due estranei.
Mi guardai intorno e come aveva detto Harry le tendine erano calate. Sorrisi, pensando al vaso con i fiori a cui aveva sarcasticamente accennato la mattina.
Tornai seria quando un sospiro spazientito di Henri riempì l’ambiente. Quindi posai i fogli sul tavolo posto al centro della sala e li diressi verso l’uomo che avevo di fronte.
Non volevo sedermi, non volevo avere nessuna specie di intimità con lui.
-E’ una pratica di divorzio.- annunciai, visto lo sguardo strano che Henri rivolgeva a quei fogli.
-E cosa dovrei farmene?
-Tu niente, devi solo firmarli.
-Devo? Sono obbligato a farlo?
-In un certo senso. Puoi anche non farlo.
-Allora non lo faccio.
-Ovviamente, andrai incontro a delle sanzioni penali e dovrai pagare un buon avvocato che ti tiri fuori dal guaio in cui sei.- Sapevo quanto Henri fosse legato ai soldi e quanto non ci capisse nulla di questioni legali. Stavo giocando sporco, ma era proprio ciò che si meritava.
-E’ perché ti sei fatta mettere incinta?
-E’ per tante cose.- preferii non rispondere alla sua provocazione.
-La madre troia e il bambino bastardo.
-Non potrà mai esserlo più quanto lo sia tu, perciò non me ne preoccupo.
Scoppiò in una risata fragorosa e cattiva ed io abbassai lo sguardo. Non sapevo perché, ma ebbi paura di una sua reazione.
Che ci fu, ma non fu quello che credevo. Si alzò dalla sedia e mi si avvicinò. Mi guardò per un po’ negli occhi e mi sputò sulla camicetta, all’altezza del ventre.
Mi sentii ferita e offesa, soprattutto perché mi sentii incapace di difendere il mio bambino.
Decisi che non era quello il momento di mostrarmi fragile, quindi alzai il capo in segno di sfida.
-Visto com’è facile colpire il bastardo?- mi chiese con un sorriso malvagio stampato in faccia.
-Per te non sarà affatto facile, perché tra un po’ tornerai in prigione e nel caso uscissi non potrai stare a meno di cinquecento metri da me. Suo padre, invece, sì che potrà toccarlo.
-Toccherà anche te, eh, puttanella?
-L’ha già fatto e continuerà a farlo. Amo come lo fa, molto molto diversamente da come facevi tu.
Vidi il suo braccio tendersi verso l’alto e chiusi gli occhi per la paura, ma in quel momento, ringraziando Dio, qualcuno aprì la porta e annunciò che il mio incontro era finito.
Avevo quasi dimenticato quanta paura avessi di quell’individuo che non meritava neanche di essere chiamato con quell’appellativo.
L’istante dopo, però, mi tornarono nella mente le urla, le minacce soprattutto il dolore fisico. Mi sentii come se fossi tornata indietro nel tempo, a pochi mesi prima che nella mia vita il sole brillasse di nuovo. C’era ancora qualche nuvola, ma anche i raggi più nascosti mi facevano sentire il proprio calore.
Non avrei potuto chiedere di meglio.
Mi ricordai delle carte che Henri avrebbe dovuto firmare e prima che l’uomo che aveva aperto la porta lo portasse via, gli porsi la penna.
Firmò in silenzio e mi dedicò uno sguardo sprezzante e carico di odio.
Ora il mondo girava davvero nel verso giusto. Mi sentivo invincibile, non c’era più niente che potesse andare male.
Avevo la certezza nel cuore che nessuno avrebbe più potuto farmi male e sapevo che Draco sarebbe stato al mio fianco.
Rimasi qualche altro minuto nella sala degli interrogatori, mi sedetti e guardai i granelli di polvere che alla luce del sole volteggiavano e si posavano lentamente sul tavolo.
Ne spostai qualcuno con il dito, disegnando sulla superficie legnosa un piccolo cuore: mi sembrò di essere tornata a scuola, a quando sui fogli di quaderno non facevo altro che scrivere il suo nome con tanti cuori accanto. Uno con la penna rossa, l’altro con la penna blu.
Giochi di ragazzina che però descrivevano tutto l’amore e la dipendenza che avevo nei suoi confronti. Una dipendenza bellissima, che per tanti anni mi ha fatto male; un amore che sembrava uccidermi quando ero in Francia e ripensavo a lui, ma che ora mi dava la forza di affrontare ogni cosa.
Tornai nel mio ufficio, con il cuore più leggero e con lo stomaco un po’ più pieno: mi ero fermata a bere un caffé e avevo rubato a Harry un pacchetto di cracker.
Mi sedetti sul divano e liberai i piedi dalle scarpe. Mi sentii immediatamente più sollevata, ma sapevo che non erano stati i tacchi a darmi il tormento per tutta la mattinata: il pensiero di dover dire a Henri come stavano le cose, la paura della sua reazione, il sollievo vedendo che si era soffermato solo a brutte parole. Non mi feriva con le sue frasi, non più.
Con il tempo, durante gli anni del matrimonio, avevo imparato ad ignorarlo, anche se a volte ancora ci rimanevo male… ma non avevo nessuno da amare come amavo mio figlio e Draco.
Ora loro c’erano, erano presenti nella mia vita e speravo che questo sogno durasse in eterno. Mi sarei impegnata per far sì che ciò accadesse.
Chiusi gli occhi e mi rilassai totalmente

 -Credo che sia meglio prendersi del tempo, per pensare.
-In questo modo finisce.
-Non è detto.
-Ci abbiamo messo così tanto a ritrovarci, perché proprio ora?

 Parte del discorso di quella sera mi tornava in mente e mi faceva male.
Io stessa non capivo come avevo potuto pretendere di avere del tempo per pensare. A cosa, poi?
Non lo sapevo… forse, dovevo solo avere la certezza che io amassi realmente Draco, forse dovevo liberarmi dai fantasmi ancora vivi nel mio presente e chiudere con il mio passato francese.
Sì, avevo solo bisogno di questo ed ora che ero riuscita in tutte queste piccole cose potevo tornare in quel bulbo sicuro, il mio posto nel mondo.

 -…perché proprio ora?
A giorni di distanza, quindi, avevo trovato una risposta ad una domanda che poteva sembrare stupida, ma che in realtà era l’unica a cui non seppi rispondere quella sera.
Perché ora? Perché era giusto farlo, tenerlo fuori dai problemi che mi ero creata con le mie mani. Dovevo risolverli da solo, senza gravare sulle sue spalle.
Ero una donna, ero cresciuta e dovevo prendermi le mie responsabilità, andare loro incontro ed affrontarne le conseguenze.
Ce l’avevo fatta e ci ero riuscita da sola: mi ero messa alla prova e quindi sapevo di poter affrontare qualsiasi altra cosa, sapevo che sarei stata una buona madre o che, almeno, mi sarei impegnata ad esserlo.

 

 

 

 

§

 

 

 La giornata, nel complesso, era stata piatta, ma mi sentivo stanca.
Mi facevano male le gambe e la testa. Nessun conato di vomito, nessuno sbalzo di pressione… almeno questo!
Tornai a casa reggendomi in piedi a fatica e guardai l’orologio: erano le otto di sera e fuori il cielo era abbastanza nuvoloso.
Probabilmente, la pioggia era lì pronta a scendere giù!
Mamma non c’era e mi aveva lasciato un biglietto con su scritto che sarebbe rientrata tardi, perciò mi avviai in cucina, scalza, e mi versai un bicchiere di latte freddo e senza zucchero.
Non avevo nessuna voglia in particolare, ma mi piaceva fare un po’ la capricciosa.
Sorrisi tra me e me, pensando a quanto mi avesse resa infantile questa gravidanza e pensai anche che questo, in parte, mi avrebbe avvicinato al mio bambino.
Pensai a Draco.
Presi il telefono dalla borsa e avviai la telefonata.
Uno squillo.
Non l’avevo visto neanche una volta durante la giornata e, a dirla tutta, non avevo guardato nemmeno la porta del suo ufficio. Temevo che mi vedesse e che fraintendesse quello che era successo con Henri.
Due squilli.
Certo, non c’era granché da fraintendere: eravamo un uomo e una donna che uscivano da una sala interrogatori, accompagnati da un uomo in divisa.
Tre squilli.
L’ansia cresceva ad ogni squillo a cui non rispondeva e pian piano il panico si arrampicava dalle caviglie.
Quando attaccò la segreteria, mi sembrò che un peso enorme mi fosse crollato sulle spalle.
Lasciai il telefono sul tavolo in cucina e mi avviai su, in camera mia, nel bagno, nel box doccia, per mandare via quei pensieri tremendamente brutti dalla mia mente.
Improvvisamente, l’immagine di Draco che sorrideva a Cloe tenendole una mano sulla spalla mi riempì la visuale e mi sentii mancare. Mi si riempirono gli occhi di lacrime e tirai su col naso.
L’acqua  mi accarezzava la pelle e contemporaneamente quell’immagine mi pungeva: bruciava davvero tanto.
Sfregai con forza ogni parte del corpo, come a volermi pulire da quel dolore, da quei dubbi, da tutto quello che mi aveva annebbiato le certezze che avevo costruito in quel maledetto tempo in cui mi ero allontanata da lui.
Ora, però, quei colori sembravano sbiaditi… ma io credevo davvero alle mie convinzioni e pensai a come facesse lui ad essere indifferente ai pensieri di me e Henri insieme.
La risposta era semplice: io ce la facevo ad andare avanti grazie all’amore che provavo per lui ed ero sicura che per lui fosse lo stesso.
Avevamo un passato alle spalle, un tempo in cui non ci eravamo appartenuti, ma non aveva importanza, perché ora eravamo di noi e sarebbe stato inutile continuare a pensarci.
Avremmo potuto vivere la nostra storia, avremmo avuto i nostri ricordi belli e brutti.
Ce l’avrei fatta.
Quando mi convinsi totalmente di quel pensiero, uscii dalla doccia e mi avvolsi nell’accappatoio: anche la mia pelle sembrava avere un’altra consistenza, impressione dovuta al fatto che mi sentivo meglio, che avevo mandato via tutte le mie paure.
Indossai la tuta che avevo indossato l’ultima volta insieme a Draco e tornai in cucina.
Guardai l’orologio e notai che la mia doccia veloce era durata molto più del solito. Erano le nove e mezza passate e la pioggia batteva contro i vetri.
Il telefono squillava e risposi senza guardare chi fosse.
-Pronto?
-Cristo Santo, ‘Miò… va tutto bene?
-Sì.
-E’ la dodicesima telefonata che faccio, è successo qualcosa?
-No.
-Come mai non hai risposto?
-Stavo facendo una doccia. Dovrei parlarti.- aggiunsi tutto d’un fiato, con tono serio.
Dall’altra parte della cornetta il silenzio assoluto, poi un sospiro rassegnato. –D’accordo.
-Appena ti è possibile, fai con calma…
-Prima ne parliamo e meglio sarà. Passo tra un po’ a casa tua.
-Va bene.
Staccai la telefonata con la sensazione che Draco avesse equivocato le cose, ma non mi feci prendere dall’ansia.
Anzi, aprii il frigorifero e tirai fuori il necessario per fare dei toast e due minuti dopo suonarono alla porta.
Asciugai le mani e corsi ad aprire con il cuore in gola: non vedevo l’ora di poter parlare con lui.
Ogni amore sbagliato ha il suo costo e non l’avevamo pagato abbastanza caro, ma almeno lui era bravo a nascondere i graffi, perciò meritava tutta la felicità di questo mondo ed io gliel’avrei data in ogni modo.
Meritava di sapere la verità, anche se fosse stata negativa. La mia non lo era, la nostra non lo era.
Mi sentii invadere dalla felicità, ma quando aprii la porta il mio cuore sprofondò con un tonfo sordo e tutto l’ottimismo crollò come un castello di sabbia.

 

 

 

 

 

Spoiler capitolo 42:

-Credi che siamo tutti a tua disposizione? Che siamo dei pupazzi con cui giocare?
-I-io non capisco cosa c’entra questo.
-C’entra eccome.
-No, ti ho detto che ho capito come stanno le cose, che voglio stare con te… che quel tempo è stato inutile.
-Ora quel tempo serve a me. Mi dispiace.

 

 

Angolo autrice:

Beh, questo capitolino ci ha messo un bel po’ ad essere scritto e purtroppo sarà così anche per i prossimi…
Il lavoro mi sta distruggendo e con questa crisi ne sono davvero felice.
E spero che sarete felici anche voi.
Questo capitolo è particolarmente importante per me ed anche per Hermione…
Detto questo, vi ricordo del “sondaggio” sul bimbo dei nostri due protagonisti:
Femmina o maschio?
Spero di poter leggere i vostri commenti, positivi o negativi.
Un bacio e a presto.

 

La vostra Exentia_dream

 




 

   
 
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