Ritorno…
-Harry- dissi,
posando la borsa nella sedia accanto alla mia. –ho bisogno di
un favore.
-Tutto quello che
vuoi.
-Devo vedere
Henri.
-Cosa?- gli occhi
spalancati, la bocca aperta che disegnava sul suo viso
l’espressione di chi non
ha capito bene.
-Hai capito,
Harry, perciò, metti via quell’espressione da
pesce lesso e dimmi dove devo
andare.
-Che bisogno c’è
di
farlo?
-E’ un problema mio, non tuo.
-Potrebbe farti del male.
-Ci sono tante cose che devo risolvere ed è quello che
voglio fare.
-Non te lo permetterò.
-Tu non sei nessuno per non permettermi di rivedere Henri.
-La
solita testa dura. D’accordo, allora lo rivedrai qui.
-Qui?
-Sì,
nella sala degli interrogatori.
-Ma è
vetrata ed io non voglio che ci vedano.- non volevo che Draco potesse
vedere o,
addirittura, sentire quello che avevo da dire a Henri.
-Abbasserai
le tende.
-E
magari metto anche un bel vaso di fiori sul quel tavolo, eh?
-Non
fare la simpatica, Herm.
-Io
non sto facendo la simpatica, Harry: sono venuta qui per chiederti un
favore e
ti stai tirando indietro. Eppure, cazzo, si tratta di me…
-Appunto.-
urlò, senza lasciarmi finire la frase. –Proprio
perché si tratta di te, voglio
che tu sia al sicuro. Vuoi rivedere quel pezzo di merda? Va bene, lo
rivedrai,
ma poi non venire più a piangere da me, perché,
credimi, sono davvero stanco.-
gli occhi ridotti a due fessure, ma carichi di rabbia, la bocca dritta,
le
narici leggermente aperte.
Non
avevo capito dove volesse andare a parare e non avevo neanche voglia di
pensarci, perciò raccolsi la borsa ed andai via, senza
neanche salutarlo.
Ero
andata da lui con le migliori intenzioni, soprattutto, mettendo prima
da parte
il nervosismo che sentivo nello stomaco da quando mi ero svegliata.
Quando entrai nell’ascensore, mi ritrovai in
compagnia di un uomo dalle spalle larghe e estremamente muscolose
– si
vedeva bene, nonostante la giacca. Doveva
essere della sicurezza.
Abbassai
lo sguardo e mi limitai a premere il pulsante del secondo piano.
Il
silenzio era imbarazzante, ma
riempirlo
di cretinate, forse, sarebbe stato anche peggio.
Tossii,
perché il profumo acre di quell’uomo mi prese alla
gola, ma cercai di
trattenere quanta più aria possibile e non tossire
più
Quando
le porte si aprirono, affrettai il passo per uscire
dall’abitacolo e respirai a
pieni polmoni l’aria di chiuso e di caffé che era
meglio di quel profumo.
Mi
sedetti nella sedia girevole che avevo dietro la scrivania e presi dal
cassetto
i documenti che avevo preparato: era stata una scelta difficile, ma, in
fondo,
avevo già deciso prima ancora che mi si presentasse
l’idea.
Credevo
che fosse per il fatto di aver capito di essere ancora innamorata di
Draco, ma,
probabilmente, quella consapevolezza era stata solo la goccia che aveva
fatto
traboccare il vaso: più di una volta, durante il mio
matrimonio, mi ero chiesta
se era quella la vita che volevo, se sarei stata felice e la risposta,
ovviamente, era sempre stata negativa.
Tendevo
a farla apparire positiva ai miei occhi e a quelli degli altri solo per
cercare
di salvare qualcosa e per non vedere scritta sulla mia fronte a
carattere
cubitali la dicitura “fallita”, perché
sarebbe stato davvero imbarazzante e
fuori luogo.
Ma,
veramente imbarazzante e fuori luogo era stata la cecità con
cui mi ero
ostinata a vivere pur di non ammettere di aver perso.
Se
non fossi tornata a Londra, probabilmente, avrei vissuto
chissà quanto altro
tempo in quello stato e, con il passare degli anni, non me lo sarei mai
perdonato.
Presi
il telefono e digitai un numero, poi portai la cornetta
all’orecchio.
-Bonjour?
-Salut,
je suis
Hermione Granger .. Je
pourrais en parler à
l'avocat Abbott?
-Oui, un
instant
que je passe
sur sa ligne.
Attesi, giocherellando con una matita e
quando il mio superiore rispose, sentii la malinconia assalirmi.
–Pronto?
-Signora Abbott, salve…
-Oh cielo, Hermione, come stai?
-Sto… bene… me la cavo qui…
-Il tuo ufficio è ancora intatto,
nessuno ancora ci ha messo piede.
Sorrisi. –Grazie, davvero, ma…
-Hai già trovato lavoro?
-Sì.
-Su, raccontami: è successo qualcosa di
bello?
Erano successe così tante cose belle
che non sapevo da dove avrei dovuto cominciare. Inoltre, proprio con
lei non
potevo trattenermi, perché era stata l’unica
compagnia, l’unica con cui avevo
potuto confidarmi; una specie di guida da seguire sempre.
–Non so…- risposi,
dopo un po’.
-Suvvia.. Henri?
-Noi no- non stiamo più insieme.
-Oh, e come mai? Insomma, sapevo che
tante cose non andavano e che… dì la
verità: hai conosciuto l’uomo della tua
vita?- la voce carica di allegria.
-In realtà, lo conoscevo già. Ma non è
solo questo: sono successe tante cose che mi hanno portato a capire che
Henri
non era l’uomo giusto per me e per mio figlio.
-Tuo figlio? Hai un figlio?
-Sì, no… cioè… non ancora.
-Dio Santo, Hermione, e cosa aspettavi
a dirmelo? Complimenti, davvero. Finalmente…
-Già.
-E, dimmi, sarà figlio di questo
fantastico uomo?
-Sì.
Passammo quasi due ore al telefono,
parlando di cose futili, importanti, piacevoli, spiacevoli e, alla
fine,
promettemmo che non avremmo perso i contatti.
Nell’esatto momento in cui posai la
cornetta del telefono, Cho mi avvisò che Harry voleva
parlarmi.
Restai di nuovo sola, mentre sistemavo
tutto il necessario nella borsa.
Mi levai dalla sedia, tenendomi salda
alla scrivania, perché il capogiro che mi aveva colpito non
accennava a
calmarsi.
-Ti senti bene?
-Si… mi gira solo la testa.
-E’ normale durante la gravidanza.-
sorrise. –Ti accompagno.
-Grazie
§
Era un bene per
me, me ne rendevo conto e mi rendevo conto di quanto Draco mi
rispettasse
davvero, nonostante i suoi sentimenti.
Sorrisi tra me e
me, sentendomi anche un po’ in colpa per essermi imposta una
pausa di cui io
stessa avevo paura.
Per giorni e
notti intere avevo ascoltato la canzone sul suo mp3 ed avevo trovato le
risposte a tutte le mie domande.
Riflettendo da
sola non sarei arrivata a nessuna conclusione e, soprattutto, semmai
avessi
tratto qualche ipotesi, non avrei potuto confrontarla con la
realtà…
Era il nostro
tempo adesso e non volevo più sprecarne neanche un attimo.
Il nostro tempo
era stato rimandato per troppo tempo e non era giusto.
Sapevo che mi
stava aspettando, sapevo che in fondo, anche lui aveva sempre
desiderato che
arrivasse questo momento.
Prima, però,
prima di poter cominciare la mia vita con lui come volevo, dovevo
finire
qualcosa che in realtà non era mai cominciato.
Guardai i fogli
sulla scrivania ancora un po’, poi mandai un messaggio a
Harry per avvisarlo che
accettavo di incontrare Henri in commissariato… era una
questione davvero importante
e dopo aver saputo che era ancora in prigione, mi sentii più
tranquilla.
Il telefono
squillò dopo dieci minuti e Harry mi avvisò che
avrei dovuto aspettare almeno
un’ora per incontrare il mio ex marito. Ci rimasi abbastanza
male perché avevo
una certa fretta a risolvere quella questione.
Per ingannare il
tempo, rimisi le cuffie dell’mp3 e riascoltai per
l’ennesima volta la sua
canzone.
Anche io avevo
colpe riguardo alla fine della nostra storia: ero andata via senza
lottare, limitandomi
ad un semplice:
“RESTA” che per me a quell’epoca valeva
più di ogni altro gesto.
E alla fine, ero
stata io quella che era andata via. Via da Londra, via dal dolore, via
da lui…
Far
away, troppo lontana. In
Francia, in un’altra
nazione dell’Europa, in un altro mondo.
La chiacchierata
con Blaise mi aveva aperto gli occhi e aveva ridato aria ai miei
polmoni e
battiti al mio cuore. Non aveva di certo cancellato dai miei ricordi il
sorriso
che Draco aveva rivolto a Cloe né il ritardo con cui aveva
risposto alla mia
domanda, ma aveva aperto nuove prospettive, mi aveva dato una nuova
voglia di
credere in lui.
Lo dovevo a me,
lo dovevo a lui e quel noi che per troppo tempo ci aveva visti divisi,
ma
soprattutto lo dovevo a nostro figlio.
Too
long. Troppo tempo. Troppo
tempo tolto ad una
storia che è sempre esistita , nonostante la distanza,
nonostante ci fossero
altre persone di mezzo, nonostante
tutto.
Nel frattempo la
sensazione di fare la cosa giusta si stava facendo strada in me sempre
di più,
man mano che le note suonavano e riempivano le cuffie e tutto quello
che mi
circondava.
Come avevo potuto
credere che allontanarsi fosse la cosa giusta? Come avevo potuto
credere che
fosse necessario rallentare?
Too
late. Troppo tardi: era
semplicemente troppo
tardi per pensare di poter tornare indietro, a quando non lo amavo
ancora; era
troppo tardi per credere di poterne fare a meno; troppo tardi per
privarmene e
credere di poter star bene.
Ancora una volta
ascoltai quella canzone e ancora una volta ripetevo quelle parole come
un mantra,
ma non dovevo più convincermi di niente, perché
avevo preso la mia decisione e
questa volta non avrei cambiato idea. Che senso avrebbe avuto farlo?
Nessuno,
appunto.
Allora perché
avrei dovuto farlo? C’erano solo motivi che mi spingevano da
lui ed io avrei
seguito quei motivi come Hansel e Gretel avrebbero seguito le molliche
di pane
che avevano lasciato lungo il loro cammino. Draco era la mia casa di
pan di
zenzero e non c’era nessuna strega da temere.
Anzi, era tutto
lì per essere vissuto come aveva sempre meritato. Ero stanca
di togliere tempo
al mio stare bene ed ero stanca di essere paranoica: dovevo e volevo
credere alle
sue spiegazioni, ai suoi occhi.
Just one chance. Solo una
possibilità, anche se questo
amore ha sempre meritato molto più di un’unica
possibilità, ha meritato molto
di più di una fine senza senso e di un addio in cui nessuno
dei due ha mai
creduto.
Era tempo di
darci quella chance, era tempo di viverci.
Sentii il
cellulare vibrare e lo presi dalla tasca guardandolo quasi meravigliata.
Avevo dimenticato
quanto fosse piccolo e sorrisi per il pensiero stupido che mi
passò per la
mente.
Harry mi aveva
mandato un messaggio in cui mi avvisava che Henri era nella sala degli
interrogatori.
Guardai ancora la
documentazione che avevo sulla scrivania e sentii una fitta allo
stomaco: ero
decisa, ma chiudere una storia in cui mi ero impegnata tanto mi faceva
sentire
una fallita.
Meglio così,
perché se da un lato c’era il fallimento,
dall’altro c’era la gloria di un
amore perso, mai dimenticato e ritrovato che ben presto sarebbe stato
davvero
completo, grazie a questo figlio che era in arrivo.
Presi tutti i
fogli e mi avviai verso l’ascensore.
Non so quanto
tempo aspettai, non so quale profumo ci fosse nell’abitacolo,
non so quanti
passi feci per arrivare alla sala degli interrogatori…
sapevo solo che quel
tempo era mio, sapevo che il profumo che sentivo era quello della
libertà dopo
anni di prigionia, sapevo che qualsiasi fosse il numero dei passi fatti
non era
niente rispetto a quelli che avrei voluto fare per raggiungere Draco.
Mi soffermai
sulla porta e presi un lungo respiro. Ci voleva coraggio, ce ne voleva
tanto…
Poggiai la mano
sulla maniglia e la girai.
Quando entrai la
luce soffusa per un po’ mi oscurò la vista,
perciò feci fatica a capire quale
espressione ci fosse sul viso di Henri.
Usavo poche volta
l’appellativo di ex marito, perché non
l’avevo mai sentito tale, né ex né
marito. Era semplicemente un estraneo.
Eravamo due
estranei.
Mi guardai
intorno e come aveva detto Harry le tendine erano calate. Sorrisi,
pensando al
vaso con i fiori a cui aveva sarcasticamente accennato la mattina.
Tornai seria
quando un sospiro spazientito di Henri riempì
l’ambiente. Quindi posai i fogli
sul tavolo posto al centro della sala e li diressi verso
l’uomo che avevo di
fronte.
Non volevo
sedermi, non volevo avere nessuna specie di intimità con lui.
-E’ una pratica
di divorzio.- annunciai, visto lo sguardo strano che Henri rivolgeva a
quei
fogli.
-E cosa dovrei
farmene?
-Tu niente, devi
solo firmarli.
-Devo? Sono
obbligato a farlo?
-In un certo
senso. Puoi anche non farlo.
-Allora non lo
faccio.
-Ovviamente,
andrai incontro a delle sanzioni penali e dovrai pagare un buon
avvocato che ti
tiri fuori dal guaio in cui sei.- Sapevo quanto Henri fosse legato ai
soldi e
quanto non ci capisse nulla di questioni legali. Stavo giocando sporco,
ma era
proprio ciò che si meritava.
-E’ perché ti sei
fatta mettere incinta?
-E’ per tante
cose.- preferii non rispondere alla sua provocazione.
-La madre troia e
il bambino bastardo.
-Non potrà mai
esserlo più quanto lo sia tu, perciò non me ne
preoccupo.
Scoppiò in una
risata fragorosa e cattiva ed io abbassai lo sguardo. Non sapevo
perché, ma
ebbi paura di una sua reazione.
Che ci fu, ma non
fu quello che credevo. Si alzò dalla sedia e mi si
avvicinò. Mi guardò per un
po’ negli occhi e mi sputò sulla camicetta,
all’altezza del ventre.
Mi sentii ferita
e offesa, soprattutto perché mi sentii incapace di difendere
il mio bambino.
Decisi che non
era quello il momento di mostrarmi fragile, quindi alzai il capo in
segno di
sfida.
-Visto com’è
facile colpire il bastardo?- mi chiese con un sorriso malvagio stampato
in
faccia.
-Per te non sarà
affatto facile, perché tra un po’ tornerai in
prigione e nel caso uscissi non
potrai stare a meno di cinquecento metri da me. Suo padre, invece,
sì che potrà
toccarlo.
-Toccherà anche
te, eh, puttanella?
-L’ha già fatto e
continuerà a farlo. Amo come lo fa, molto molto diversamente
da come facevi tu.
Vidi il suo
braccio tendersi verso l’alto e chiusi gli occhi per la
paura, ma in quel
momento, ringraziando Dio, qualcuno aprì la porta e
annunciò che il mio
incontro era finito.
Avevo quasi
dimenticato quanta paura avessi di quell’individuo che non
meritava neanche di
essere chiamato con quell’appellativo.
L’istante dopo,
però, mi tornarono nella mente le urla, le minacce
soprattutto il dolore
fisico. Mi sentii come se fossi tornata indietro nel tempo, a pochi
mesi prima
che nella mia vita il sole brillasse di nuovo. C’era ancora
qualche nuvola, ma
anche i raggi più nascosti mi facevano sentire il proprio
calore.
Non avrei potuto
chiedere di meglio.
Mi ricordai delle
carte che Henri avrebbe dovuto firmare e prima che l’uomo che
aveva aperto la
porta lo portasse via, gli porsi la penna.
Firmò in silenzio
e mi dedicò uno sguardo sprezzante e carico di odio.
Ora il mondo
girava davvero nel verso giusto. Mi sentivo invincibile, non
c’era più niente
che potesse andare male.
Avevo la certezza
nel cuore che nessuno avrebbe più potuto farmi male e sapevo
che Draco sarebbe
stato al mio fianco.
Rimasi qualche
altro minuto nella sala degli interrogatori, mi sedetti e guardai i
granelli di
polvere che alla luce del sole volteggiavano e si posavano lentamente
sul
tavolo.
Ne spostai
qualcuno con il dito, disegnando sulla superficie legnosa un piccolo
cuore: mi
sembrò di essere tornata a scuola, a quando sui fogli di
quaderno non facevo
altro che scrivere il suo nome con tanti cuori accanto. Uno con la
penna rossa,
l’altro con la penna blu.
Giochi di
ragazzina che però descrivevano tutto l’amore e la
dipendenza che avevo nei
suoi confronti. Una dipendenza bellissima, che per tanti anni mi ha
fatto male;
un amore che sembrava uccidermi quando ero in Francia e ripensavo a
lui, ma che
ora mi dava la forza di affrontare ogni cosa.
Tornai nel mio
ufficio, con il cuore più leggero e con lo stomaco un
po’ più pieno: mi ero
fermata a bere un caffé e avevo rubato a Harry un pacchetto
di cracker.
Mi sedetti sul
divano e liberai i piedi dalle scarpe. Mi sentii immediatamente
più sollevata,
ma sapevo che non erano stati i tacchi a darmi il tormento per tutta la
mattinata: il pensiero di dover dire a Henri come stavano le cose, la
paura
della sua reazione, il sollievo vedendo che si era soffermato solo a
brutte
parole. Non mi feriva con le sue frasi, non più.
Con il tempo,
durante gli anni del matrimonio, avevo imparato ad ignorarlo, anche se
a volte
ancora ci rimanevo male… ma non avevo nessuno da amare come
amavo mio figlio e
Draco.
Ora loro c’erano,
erano presenti nella mia vita e speravo che questo sogno durasse in
eterno. Mi
sarei impegnata per far sì che ciò accadesse.
Chiusi gli occhi
e mi rilassai totalmente
-In questo modo finisce.
-Non è detto.
-Ci abbiamo messo così tanto a ritrovarci,
perché proprio ora?
Io stessa non
capivo come avevo potuto pretendere di avere del tempo per pensare. A
cosa, poi?
Non lo sapevo…
forse, dovevo solo avere la certezza che io amassi realmente Draco,
forse
dovevo liberarmi dai fantasmi ancora vivi nel mio presente e chiudere
con il
mio passato francese.
Sì, avevo solo
bisogno di questo ed ora che ero riuscita in tutte queste piccole cose
potevo
tornare in quel bulbo sicuro, il mio posto nel mondo.
A giorni di
distanza, quindi, avevo trovato
una risposta ad una domanda che poteva sembrare stupida, ma che in
realtà era l’unica
a cui non seppi rispondere quella sera.
Perché ora? Perché
era giusto farlo, tenerlo fuori dai problemi che mi ero creata con le
mie mani.
Dovevo risolverli da solo, senza gravare sulle sue spalle.
Ero una donna,
ero cresciuta e dovevo prendermi le mie responsabilità,
andare loro incontro ed
affrontarne le conseguenze.
Ce l’avevo fatta
e ci ero riuscita da sola: mi ero messa alla prova e quindi sapevo di
poter
affrontare qualsiasi altra cosa, sapevo che sarei stata una buona madre
o che,
almeno, mi sarei impegnata ad esserlo.
§
Mi facevano male
le gambe e la testa. Nessun conato di vomito, nessuno sbalzo di
pressione…
almeno questo!
Tornai a casa reggendomi in piedi a fatica e guardai
l’orologio: erano le otto
di sera e fuori il cielo era abbastanza nuvoloso.
Probabilmente, la
pioggia era lì pronta a scendere giù!
Mamma non c’era e
mi aveva lasciato un biglietto con su scritto che sarebbe rientrata
tardi,
perciò mi avviai in cucina, scalza, e mi versai un bicchiere
di latte freddo e
senza zucchero.
Non avevo nessuna
voglia in particolare, ma mi piaceva fare un po’ la
capricciosa.
Sorrisi tra me e
me, pensando a quanto mi avesse resa infantile questa gravidanza e
pensai anche
che questo, in parte, mi avrebbe avvicinato al mio bambino.
Pensai a Draco.
Presi il telefono
dalla borsa e avviai la telefonata.
Uno squillo.
Non l’avevo visto
neanche una volta durante la giornata e, a dirla tutta, non avevo
guardato
nemmeno la porta del suo ufficio. Temevo che mi vedesse e che
fraintendesse
quello che era successo con Henri.
Due squilli.
Certo, non c’era granché
da fraintendere: eravamo un uomo e una donna che uscivano da una sala
interrogatori, accompagnati da un uomo in divisa.
Tre squilli.
L’ansia cresceva
ad ogni squillo a cui non rispondeva e pian piano il panico si
arrampicava
dalle caviglie.
Quando attaccò la
segreteria, mi sembrò che un peso enorme mi fosse crollato
sulle spalle.
Lasciai il
telefono sul tavolo in cucina e mi avviai su, in camera mia, nel bagno,
nel box
doccia, per mandare via quei pensieri tremendamente brutti dalla mia
mente.
Improvvisamente,
l’immagine di Draco che sorrideva a Cloe tenendole una mano
sulla spalla mi
riempì la visuale e mi sentii mancare. Mi si riempirono gli
occhi di lacrime e
tirai su col naso.
L’acqua mi
accarezzava la pelle e contemporaneamente
quell’immagine mi pungeva: bruciava davvero tanto.
Sfregai con forza
ogni parte del corpo, come a volermi pulire da quel dolore, da quei
dubbi, da
tutto quello che mi aveva annebbiato le certezze che avevo costruito in
quel
maledetto tempo in cui mi ero allontanata da lui.
Ora, però, quei
colori sembravano sbiaditi… ma io credevo davvero alle mie
convinzioni e pensai
a come facesse lui ad essere indifferente ai pensieri di me e Henri
insieme.
La risposta era
semplice: io ce la facevo ad andare avanti grazie all’amore
che provavo per lui
ed ero sicura che per lui fosse lo stesso.
Avevamo un
passato alle spalle, un tempo in cui non ci eravamo appartenuti, ma non
aveva
importanza, perché ora eravamo di noi e sarebbe stato
inutile continuare a
pensarci.
Avremmo potuto
vivere la nostra storia, avremmo avuto i nostri ricordi belli e brutti.
Ce l’avrei fatta.
Quando mi
convinsi totalmente di quel pensiero, uscii dalla doccia e mi avvolsi
nell’accappatoio:
anche la mia pelle sembrava avere un’altra consistenza,
impressione dovuta al
fatto che mi sentivo meglio, che avevo mandato via tutte le mie paure.
Indossai la tuta
che avevo indossato l’ultima volta insieme a Draco e tornai
in cucina.
Guardai l’orologio
e notai che la mia doccia veloce era durata molto più del
solito. Erano le nove
e mezza passate e la pioggia batteva contro i vetri.
Il telefono
squillava e risposi senza guardare chi fosse.
-Pronto?
-Cristo Santo, ‘Miò…
va tutto bene?
-Sì.
-E’ la dodicesima
telefonata che faccio, è successo qualcosa?
-No.
-Come mai non hai
risposto?
-Stavo facendo una doccia. Dovrei parlarti.- aggiunsi tutto
d’un fiato, con
tono serio.
Dall’altra parte
della cornetta il silenzio assoluto, poi un sospiro rassegnato.
–D’accordo.
-Appena ti è
possibile, fai con calma…
-Prima ne
parliamo e meglio sarà. Passo tra un po’ a casa
tua.
-Va bene.
Staccai la
telefonata con la sensazione che Draco avesse equivocato le cose, ma
non mi
feci prendere dall’ansia.
Anzi, aprii il
frigorifero e tirai fuori il necessario per fare dei toast e due minuti
dopo
suonarono alla porta.
Asciugai le mani e
corsi ad aprire con il cuore in gola: non vedevo l’ora di
poter parlare con lui.
Ogni amore
sbagliato ha il suo costo e non l’avevamo pagato abbastanza
caro, ma almeno lui
era bravo a nascondere i graffi, perciò meritava tutta la
felicità di questo
mondo ed io gliel’avrei data in ogni modo.
Meritava di
sapere la verità, anche se fosse stata negativa. La mia non
lo era, la nostra
non lo era.
Mi sentii
invadere dalla felicità, ma quando aprii la porta il mio
cuore sprofondò con un
tonfo sordo e tutto l’ottimismo crollò come un
castello di sabbia.
Spoiler
capitolo 42:
-Credi che siamo
tutti a tua disposizione? Che siamo dei pupazzi con cui giocare?
-I-io non capisco
cosa c’entra questo.
-C’entra eccome.
-No, ti ho detto
che ho capito come stanno le cose, che voglio stare con te…
che quel tempo è
stato inutile.
-Ora quel tempo
serve a me. Mi dispiace.
Angolo
autrice:
Beh, questo
capitolino ci ha messo un bel po’ ad essere scritto e
purtroppo sarà così anche
per i prossimi…
Il lavoro mi sta
distruggendo e con questa crisi ne sono davvero felice.
E spero che
sarete felici anche voi.
Questo capitolo è
particolarmente importante per me ed anche per Hermione…
Detto questo, vi
ricordo del “sondaggio” sul bimbo dei nostri due
protagonisti:
Femmina
o
maschio?
Spero di poter
leggere i vostri commenti, positivi o negativi.
Un bacio e a presto.
La vostra
Exentia_dream