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Autore: Alexandes    24/04/2012    0 recensioni
Gin è una brava mogliettina che ama suo marito. Ma la mente, a volte, gioca brutti scherzi. Una breve storia folle su una donna qualunque.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vide al rallentatore il proiettile che fendeva l'aria, ed arrivava giusto giusto in mezzo agli occhi del marito, che si era girato con un sorriso di scusa dei suoi. Vide come penetrava all'interno della carne e come attraversava il cervello per esplodere dall'altra parte in mille piccoli pezzettini, piccoli per dire, di materia grigia, melmaccia bianca e sangue, tanto, tanto di quel sangue, che la bella pendola aveva le tre del pomeriggi carminee e i filamenti scarlatti. Tanto di quel sangue che il bel ritratto di loro due da giovani fu ricoperto da una piaggio vermiglia, ed il suo bel vestito candido fu sporcato per casualità. Tanto si quel sangue che oramai avrebbe dovuto buttare la tovaglia di raso, perché al contrario del vino bianco, il sangue si vede un po' di più. Osservò con calma e gentilezza i pezzi di cervello che volavano per la stanza, accompagnati da un po' d'osso maciullato, e la lenta caduta del marito sul tavolo, causata dal rimbalzo contro lo schienale della sedia. Le dita ormai morte e calde solo per poco lasciarono cadere il bicchiere, che cadde rovinosamente sul parchè così ben lucidato, andando a mescolarsi con l'altro rosso, e facendo volare per aria schegge di vetro. Il sigaro però era ancora acceso, miracolosamente con soli pochi schizzi, ed ancora fermamente in mano di quell'amabile caro di Christofer. Gin sparò ancora altre due, tre, quattro volte, colpendo la testa, il cuore le braccia, e mani. Le piaceva guardare come il sangue scorreva sul pavimento, fin quasi ad arrivare ai suoi piedi, guardare come il corpo del marito ancora sobbalzava sotto i colpi, come sembrava ballare il valzer che le aveva insegnato tanto tempo fa. Non aveva avuto il tempo di fare nulla, il caro e gentile Christofer. Quando fu soddisfatta, Gin abbassò la pistola, che aveva sempre avuto ferma dinanzi a sé. Fece qualche passo, sporcandosi inavvertitamente le scarpe di sangue, e poggiò la pistola sul tavolo. Si allungò leggermente, sporcandosi anche la camicetta, ed afferrò il sigaro dalle mani viscide del marito. Prese due tiri tutti d'un fiato: “Hai ancora da ridire, amore? Non è mica la fine del mondo, se fumo un po'!” esclamò ridacchiando. Dopodiché spense il sigaro sulla mano sinistra del marito, proprio sopra l'anulare, dove c'era l'anello che avrebbe dovuto suggellare la loro fedeltà, il loro amore. Sentì il rumore sinistro della carne che brucia, e si sentì felice. Salì le scale per andare nella sua camera, sporcando ovunque di sangue e cervello, e aprì l'armadio: scelse un attillato vestitino rosso, scollato sul petto, che le aveva regalato sua madre prima di morire, e che una volta era appartenuto a lei. Si sciacquò il viso, che aveva ancora un po' di schizzi, lo indossò, mise le scarpe nuove, quelle che usava per andare in chiesa la domenica, e, indossato il suo cappellino preferito, uscì di casa, senza neanche prendere la borse per la fretta. Non chiuse nemmeno la porta di casa. Camminando di buon passo arrivò alle 10 all'ospedale. Aver camminato per 20 chilometri non le pesava affatto, non sapeva perché. Essendo certa che oramai l'orario delle visite era passato da un pezzo, si arrampicò velocemente su un'auto parcheggiata, ed entrò attraverso una finestra lasciata aperta. Se qualcuno l'avesse vista o richiamata non se ne rese minimamente conto. Ricordandosi fugacemente di una conversazione al telefono del marito, si diresse verso la stanza 24 b, ed entrò senza neanche bussare: Paul era lì. Non dormiva ancora, ma aveva una spalla fasciata e leggeva con una mano sola. Appena la vide si sorprese a tal punto che il libro gli cadde di mano: “Ginevra! Cosa ci fai qui? Non è finito l'orario delle visite?” le chiese appena riscosso, con un sorriso così bello che Gin si riconvinse della sua scelta: “Oh, Paul, volevo avvisarti che proprio oggi ho ucciso mio marito, e che per questo motiv andrò a costituirmi” gli sorrise come se fosse la cosa più naturale del mondo, mentre Paul la guardava come se non avesse capito: “Cosa hai detto cara?” le chiese, socchiudendo gli occhi. Gli avevano forse dato una dose eccessiva di morfina? Ginevra gli si avvicinò, lisciandosi l'abito, si chinò per prendergli il libro, I fiori del male, e si sedette sul suo letto, accanto a lui: “Volevo anche diti che ho sempre saputo che fosti tu a suggerire a mio marito di recitarmi quella splendida poesia di Baudelaire, prima del fidanzamento. Fu proprio per quello che mi innamorai di lui. Però un giorno tornò a casa ubriaco e se lo lasciò sfuggire chissà come. Per questo io ti amo Paul, mi capisci?” gli disse, accarezzandogli il volto. Paul annuì, guardandola negli occhi. Quei grandi e bei occhi innocenti. “Addio.” gli sussurrò Gin, alzandosi. “Vienimi a trovare in carcere, quando ti sarai rimesso!” aggiunse poi mentre chiudeva la porta, mandandogli un bacio. Si diresse quindi velocemente verso il commissariato, dove confesso, con il suo solito atteggiamento dolce e gentile, che aveva sparato 5 volte a suo marito con una vecchia Colt, che il cadavere era ancora in casa, e che voleva essere internata immediatamente. I poliziotti da principio non le credettero, ma poi inviarono una pattuglia per accertarsi degli eventi, ed effettivamente trovarono i corpo di Christofer martoriato e in un lago di sangue, con un sigaro spento sulla mano. Gin fu processata e rinchiusa non in un carcere, ma in un istituto di sanità mentale, dove tutti vestivano camici bianchi. Paul, con la sua bellissima chioma rossa la veniva a trovare molto spesso, portandole rose blu, gli unici fiori che potesse sopportare: i fiori del male. E le leggeva delle splendide poesie, tutti i pomeriggi, alle 4, mentre Gin fissava assente la televisione. Che, immancabilmente, era sempre spenta.

      

  
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