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Autore: a cello song    26/04/2012    4 recensioni
No, questo suono che senti non è Burt Bacharach. È la sirena dell’ambulanza. Il rumore delle ruote sulla ghiaia non assomiglia vagamente a un cuore che va in frantumi?
Cinque, sei, sette secondi. Non ne passano di più; o almeno, alla ragazza non sembrano di più. Non vede il nonno salire, dare l’addio alla casa che ha costruito con fatica, sudore e soldi del figlio che intanto doveva mantenere moglie disoccupata e figlia in fasce, soldi mai restituiti.
Il nonno soleva non restituire mai niente. Nemmeno le promesse.

Ciao no'. Ci, mi, manchi.
(Ha partecipato al contest: "Spiriti affini" di Carla Volturi e Mathius92 indetto sul forum di EFP classificandosi seconda.)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E noi ascoltavamo Burt Bacharach E noi ascoltavamo Burt Bacharach





    Era estate, e c’era l’estate. Perché sì, può anche essere estate ma l’estate non esserci. Come quando la pioggia investe tutto ciò che trova – è estate, ma non lo diresti, vedendo il cielo così coperto. Non è un paragone difficile: hai presente, no, quando sei giù di morale? E non dirmi che non sei mai stato giù di morale, perché non ti crede nessuno. Insomma, sei giù di morale, però hai ancora il sorriso. Ti basterebbe contrarre e rilassare gli specifici muscoli mimici. Eppure, vedendoti allo specchio, col volto bagnato di lacrime, non lo diresti possibile.
Quella volta era estate, e l’estate c’era.
    Ora, immagina.
    Un campo di grano; di quelli dorati, in cui le spighe crescono grandi e rigogliose, alte quanto la metà d’un uomo – impossibile, eh?
    Ma tu immagina. Crea, plasma la realtà. Ad immaginare non si perde niente.
    Immagina un campo in collina.
    Un campo in collina, un campo dorato di spighe di grano.
    Immagina un campo dorato al tramonto. Anzi no, un po’ prima. Immagina un campo dorato col sole che tende all’orizzonte, linea impalpabile e irraggiungibile.  
    Immagina... un uomo anziano, diciamo di sessant’anni, e una bambina di tre o quattro.
    Immagina l’uomo anziano vestito come un contadino, con tanto di cappello di paglia in testa; immagina la bambina con pantaloni scarlatti, una canotta bianca bordata d’arancione, con su disegnati degli alberi e una fattoria. Falle indossare un berrettino blu a pois bianchi.
    Figurati l’anziano con la bambina sulle spalle, che corre su e giù creando svariati tunnel attraverso il grano; senti la risata della bambina, osserva il sorriso dell’uomo, la gioia che illumina all’unisono i loro visi. Non senti anche una voce grave che intona Burt Bacharach? Those raindrops are falling on my head, they keep falling.
    E ora, la pioggia. Immagina la pioggia estiva di cui parlavamo poc’anzi; senti il ticchettio delle gocce cadere sulle loro teste, i sospiri dell’anziano che corre a gran velocità sulla collina fino a ripararsi in casa, lui e la nipote bagnati fradici. Non vedi che ora lui è appoggiato al muro che cerca di riprendere fiato, mentre la ragazzina è ai suoi piedi che non riesce a smettere di ridere?
    Immagina i due che si guardano negli occhi, gli stessi occhi, entrambi pieni d’affetto l’uno verso l’altro, un legame indefinibile.
    No, non è una storia vera, se è questo che ti stai chiedendo.
    Ma ehi, io non ho ancora finito.
    Mi spiace, ti toccherà immaginare ancora. E ancora. Ancora un po’.

    
    Se senti ancora Burt Bacharach, allora è ora di ricominciare ad immaginare.
    Non è più estate. È inverno, ma l’inverno non c’è. Sono forse cinque gradi, ma il sole splende alto e sorridente.
    Il vecchio non ha più sessant’anni. La bambina non ne ha più quattro.
    Li vedi, come sono invecchiati? Lui ha sessantaquattro anni, lei otto. Lui non ha più il suo cappello di paglia, lei ha perduto il suo berrettino a pois. Chissà dov’è ora, il povero berretto; magari sta ancora aspettando la ragazza che torna a recuperarlo. Magari è bagnato, consunto e sporco, ma spera ancora. Dopotutto, non serve essere perfetti e virtuosi per sperare, no?
Immagina una cucina piccola, ma piena; lungo tutto il perimetro ci sono mobili, e un camino sull’angolo sinistro. Tutto ciò che vi entra è un tavolo di media grandezza e otto sedie; il resto sono mobili. Le tende alle finestre sono bianche, come bianca è la tovaglia sul tavolo e la camicia del nonno. La televisione manda in onda le notizie dal mondo, che la bambina non ascolta. Cosa se ne fa lei del mondo, quando il suo microcosmo è la dentro, con suo nonno?
    Il vecchio si sistema il cappello nero in testa, in netto contrasto coi numerosi capelli bianchi, e osserva distrattamente le notizie che scorrono frenetiche. La bambina, il libro di matematica accantonato in un angolo, veste e sveste la sua Barbie bionda, tessendo storie che solo in tenera età possono saltare in mente.
    « Nonno! » Esclama ad un certo punto. « Me la fai una promessa? »
    « Di’, bella, di’ a nonno tuo! »
    « Ci vieni al matrimonio quando mi sposo? »
    Il nonno ride, facendo sorridere anche la bambina. « Ma che domande fai! Certo che nonno ci viene. E ti fa pure tanti regali! »
    Be’, il nonno avrebbe dovuto sapere che le promesse fatte vanno mantenute. Che a quell’età una bambina si ricorda tutto. Ma non so se il nonno lo sapesse. So solo che avrebbe dovuto.
    Ti stai chiedendo se è una storia vera? Forse.
    Io lo so. Almeno questo, lo so.
    Mi spiace, ma ti toccherà immaginare ancora. E ancora. Ancora un po’.
    Sta diventando il mio motto: ad immaginare non si perde niente. A parte il senso della realtà.

    Oh, ci siamo di nuovo. Vuoi proprio immaginare ancora?
    E spegniamo anche Burt Bacharach.
    Immagina. Non so se ti farà piacere, ma immagina.
    La bambina non è più tanto bambina, e del berretto a pois non ricorda nemmeno l’esistenza. Ora è un’adolescente, liceale di sedici anni che... ops, ho parlato troppo presto.
    Il vecchio ha settantacinque anni. Lo so, dovrebbe averne di meno: e invece ne ha proprio settantacinque. Compiuti ad aprile. Tu immagina così.
    Non la farò tanto lunga, ora. Meglio di no. Sappi solo che devi immaginare una camera: il nonno sul letto con l’ossigeno al naso, la nonna al suo capezzale, la mamma della bambina che gli misura la pressione e suo figlio che lo osserva da lontano.
    No, questo suono che senti non è Burt Bacharach. È la sirena dell’ambulanza. Il rumore delle ruote sulla ghiaia non assomiglia vagamente a un cuore che va in frantumi?
    Cinque, sei, sette secondi. Non ne passano di più; o almeno, alla ragazza non sembrano di più. Non vede il nonno salire, dare l’addio alla casa che ha costruito con fatica, sudore e soldi del figlio che intanto doveva mantenere moglie disoccupata e figlia in fasce, soldi mai restituiti.
    Il nonno soleva non restituire mai niente. Nemmeno le promesse.

    Non immaginare niente. Guarda semplicemente la scena che ricordo io. Vedi la nonna, gli occhi che faticano a non inumidirsi? Vedi il nonno, all’apparenza cosciente, sdraiato sul letto di ospedale? Vedi il figlio, vedi la nipote? Ricordali.
    E ricorda anche questo: la nonna che lo bacia in fronte, perché un bacio esprime più di quando bocca e occhi potevano in quel momento. « Ciao, Ri’. »
    E ciao davvero. Addio.

    No, non c’è più da immaginare.
    Il nonno se n’è andato, e proprio tre giorni prima del compleanno della nipote. Il nonno se n’è andato, e con lui tutta la stabilità di una famiglia e una piccola promessa.
    Il nonno se n’è andato, e i figli cominciano a litigare per l’eredità iniquamente spartita.
    Il nonno se n’è andato da forse un giorno, e il figlio minore (non il padre della bambina, mai!) già vuol vendere il campo di grano dorato alto metà di un uomo.

    Ciao, no’. Son sei mesi oggi.
    Non hai mai indossato un cappello di paglia. Non mi hai mai presa sulle spalle e portata a correre su un campo di grano dorato.     E forse non t’ho mai veramente chiesto di venire al mio matrimonio. Forse l’ho solo sognato. Immaginato. Ed è proprio questo il problema: i sogni sono sogni, non la realtà.
    Cercavo qualcosa. L’affetto sincero, gratuito; era qualcosa che mancava, qualcosa che ti mancava. Probabilmente cercavo il nonno perfetto. La perfezione.  
    Ho perso qualcosa. Ho perso un (altro) nonno. Ora li ho persi entrambi; non ci siete, non ci siete più.
    Ho perso e trovato.
    Solo il cuore che ha perduto sente cosa gli manca: non era l’affetto, non era il nonno perfetto, non era la perfezione, che cercavo.
     Perché la perfezione limita l’immaginazione.
    No, era qualcosa di tremendamente più semplice.
    Cercavo un nonno.




26 / 10 / 11 - 26 / 04 / 12

Ci, mi, manchi.
   
 
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