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Autore: Holly Rosebane    26/04/2012    6 recensioni
«C'è una "S" sotto i miei vestiti».
«Che starebbe per...? "S"figata?»
«No. "S"uper-tosta. Hai presente Uma Thurman in Kill Bill? Ecco. Quel tipo là».
-
Oppure: la pratica guida di Holly Sullivan su come risalire dal fondo detronizzando la reginetta del ballo, portare al successo la tua band e procurarti un fidanzato superstar. Il tutto in poche, semplici mosse e almeno un dito medio alzato.
[ex " 'Till The Last Song" | in revisione | old formation!One Direction | various!crossovers]
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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1.
The Wanderer

 
«I'm gonna break the cycle, 
I'm gonna shake up the system
»

Madonna Die Another Day
 
 
 

Fissavo il paesaggio scorrere dal finestrino del treno, con la musica sparata a volume assordante nelle orecchie.
Battevo il piede a terra seguendo il ritmo della batteria, ondeggiando lievemente la testa, e il vecchio settantenne che leggeva il giornale, seduto di fronte, mi lanciava un’occhiata contrariata, di tanto in tanto. Potevo quasi sentire chiaramente il suo pensiero.
Questi giovani di oggi, sempre con le cuffiette, maleducati” e chissà quanti altri begli aggettivi a seguire. Ma, onestamente, non me ne sarebbe potuto importare di meno.
Sapevo di essere marcia dentro, anche se fuori potevo sembrare solo “particolare” o alternativa, e dunque insalvabile, condannata all’eterna imperfezione. Per quanto può esserlo una diciassettenne californiana appena dimessa da un anno di riabilitazione da alcool e droghe, caricata su un treno diretto nel Cheshire.
La mia povera madre aveva avuto tutte le sue ragioni del mondo, e lasciarmi partire le era anche costato molto. Costituivo la sua sola famiglia, il suo appiglio, anche se avevo mandato tutto in malora.
Ma, sosteneva, quella sarebbe stata l’unica maniera possibile per cercare di redimermi. Per non appiccicarmi l’etichetta “rifiuto umano” sulla fronte, e mandarmi alla discarica, come un giocattolo rotto. In queste situazioni si cerca di contare sull’aiuto degli amici, oltre a quello dei famigliari.
Certo, ad averceli. Mi ero allontanata da tutte le mie amiche più care, scaricato il mio vecchio ragazzo quattro anni fa, e tutte le nuove conoscenze strette negli ultimi tempi erano assolutamente bandite. D’altronde, erano stati loro a portarmi sulla cattiva strada.
Sì, ma io avrei potuto benissimo tirarmene fuori, una testa ce l’avevo. La verità era che io ormai ci sguazzavo in quello schifo, era diventato un abitudine, la micidiale routine. E se non mi ci avrebbero tirato fuori per i capelli, probabilmente ci sarei annegata dentro con tutta me stessa. Perché in realtà della mia vita non importava nulla a nessuno, all’infuori di mia madre.
Quella di mio padre era una semplice posa, un moralismo inutile e nauseante, che mi disgustava. Il minimo che rasentava la cortesia, nonostante lui si affaticasse pateticamente a sostenere il contrario. E pensare che avrei dovuto trascorrere a casa sua tutto l’anno, con quelli, mi veniva voglia di sbattere violentemente la testa contro il vetro fino a sanguinare.
Ma era l’unico modo per riuscire a cercare una soluzione a tutto quell’enorme schifo di problema che era la mia vita, ed era mio dovere provarci almeno. Anche se mi sarebbe costato molto.
Appoggiai la fronte al finestrino, e chiusi gli occhi. Quando li riaprii, la voce registrata comunicava a tutti gli altoparlanti del treno che la fermata a cui dovevo scendere era arrivata. Raccattai le mie borse e la valigia, e pestando piedi e urtando ginocchia, uscii dallo scomparto, insieme a molte altre persone. Mi fermai un secondo sulla banchina.
Ogni volta che usavo qualche mezzo pubblico, mi affascinava la moltitudine di gente che ne usufruiva. Milioni di vite, di storie, che si incontravano per un breve attimo, che non avrebbe resistito nella memoria se non per qualche minuto.
Chiedermi quale fosse il sogno nascosto dello skater punk che grindava davanti a me con i Blink-182 nelle orecchie, o il primo pensiero mattutino della signora attempata con la permanente che parlava al telefono poco dopo le mie spalle, era routine.
In momenti come quelli, mi sentivo parte di qualcosa di enorme, infinito, ma allo stesso tempo di niente. Era una sensazione complicata, durava poco e si presentava raramente. E non ero proprio sicura che fosse sana. Ma mi faceva stare bene, dunque non aveva importanza.
Mi scossi, e tirai il cellulare fuori dalla tasca per chiamare mio padre. Ero alla stazione, ma non sapevo di certo come si arrivasse a casa. Sì, Holly, ben detto. Casa. Farai meglio ad abituartici.
In quel momento, sentii dei passi di corsa, e chissà come mi ritrovai a terra, aggrappata alla valigia con un braccio, e la spalla dolorante.
– Cosa diavolo…?! – Esclamai, massaggiandomi il collo. Alzai lo sguardo, e vidi un ragazzo nella mia stessa condizione, a terra, che si passava una mano fra i capelli biondo ossigenato, corti, con frangetta e crestina. Doveva aveva la mia età, forse uno o due anni in più. Si scosse, e strabuzzò gli occhi. Grandi, azzurri, dolci.
– Scusami! È stata tutta colpa mia, ero di corsa, e non ti ho proprio vista…! – Esclamò, scattando in piedi. I suoi lineamenti erano gentili, angelici. Fisico asciutto, abbastanza alto, e vestito sicuramente bene.
Polo blu carico e bermuda bianchi, Converse bianche. Sembrava uscito da una pubblicità di un qualche capo firmato. Non ai livelli di Hollister, ma l’impressione era quella. Inoltre, aveva uno spiccato accento irlandese. Mi tese la mano.
– Dai, ti aiuto ad alzarti. Mi chiamo Niall. – Disse, mentre mi tiravo su. Sorrise. Mi mise voglia di ridere insieme a lui, anche se in realtà avessi voluto fare tutt’altro. In situazioni normali, l’avrei mandato gentilmente a farsi benedire, con frasi molto poco educate.
E invece no. Non era rimasto impressionato dal mio aspetto, né dai miei modi iniziali. O era un ottimista fino al midollo, oppure non gliene fregava proprio niente.
– Io sono Holly. – Risposi, semplicemente. Gli sorrisi, non potevo fare altrimenti. Mi sarei sentita in colpa a trattarlo male. Sembrò vagamente colpito dal mio nome, poi il suo sguardo cadde sul lercio pavimento della stazione. E trasalì.
– Dio. – Disse, passandosi una mano sulla faccia. Guardai a terra anch’io, e per poco non urlai. C’erano due cellulari identici a terra, in pezzi, con cover, batteria e scheda sim al vento. Fantastico modo di iniziare l’anno.
Ci chinammo, cercando di ricomporli come meglio potevamo. Intanto, Niall non faceva altro che scusarsi, con le guance vermiglie dall’imbarazzo. Mi fece tenerezza, si stava seriamente preoccupando per un problema che era suo solo in parte. Molti si sarebbero limitati a sistemare il proprio telefono, e tanti saluti.
Mi trovai quasi a sperare che fossero tutti come lui, lì ad Holmes Chapel. Poi me ne pentii.
Non meritavo la gentilezza di nessuno, tantomeno di quella degli sconosciuti.
– Stai tranquillo, non è successo niente! Per così poco… – cercai di dirgli, ma lui sembrava seriamente dispiaciuto. Sistemati i cellulari, lui diede un’occhiata al suo orologio da polso.
– Già così tardi? Mi dispiace per quel che è successo prima… facciamo così: scambiamoci i numeri, così se dovessero esserci problemi, basterà una telefonata. Ok?
Lo fissai. Per quale motivo avrei dovuto lasciare il mio numero ad un perfetto sconosciuto che neanche due minuti prima aveva ridotto in pezzi il mio cellulare?
Perché quel paesino era pressoché morto, e gli unici giovani che potevano esserci, non dovevano abbondare. E magari sarebbe anche potuto tornarmi utile. Glielo dettai, e memorizzai il suo.
– Ora devo proprio scappare. Ci vediamo… Holly. – Disse, sorridendo, e corse via. Alzai una mano, sventolandola lentamente a destra e a sinistra, ma lui era già di spalle, e non avrebbe potuto vedermi. Lo fissai, mentre guadagnava velocità, e si confondeva con la massa di pendolari.
Quando non fu più visibile, abbassai il braccio. Scossi la testa, e digitai il numero di mio padre. Dopo due squilli, mi rispose.
– Pronto?
– Ehi. Sono alla stazione.
– Holly, tesoro! Vengo subito a prenderti. O vuoi che mandi…
– No, ti aspetto. Ciao. – E attaccai. Ci mancava solo che mi facesse venire a prendere da uno dei due figli della sua nuova mogliettina adorata, così avrei potuto concludere alla grande la mia entrata in scena ad Holmes Chapel.
Posai il cellulare nella tasca, e sospirai, trascinandomi fuori. Le voci dei pendolari mi assordavano, e la valigia pesava da morire. Trovai una scalinata, all’esterno della stazione e mi accampai lì a terra. Stranamente, quella era una delle rare giornate di sole inglesi.
Sapevo che lì pioveva sempre, così me l’ero figurato come un posto grigio ed oppressivo. Invece, almeno lì, pullulava di vita, e il cielo terso metteva buon umore. Si stava bene, benché fosse l’inizio di settembre, il clima aveva ancora accezioni estive.
Rovistai nella borsa, e presi il pacchetto di sigarette. Avevano potuto togliermi l’erba e la vodka, ma non il tabacco. Quella era l’unica dipendenza che veniva accettata. Che poi, danneggiava tanto quanto le altre. Ma ognuno decideva a modo suo come privarsi della vita.
L’accesi, e tirai una lunga boccata, appoggiandomi agli scalini con i gomiti, e stendendo i piedi.
 Forse, tutto sommato, sarebbe stato interessante vivere lì.
 
 

***

 
 
 
Vidi una colossale Range Rover Sport avvicinarsi, con mio padre alla guida, e spensi la cicca sotto la suola della scarpa. Non sapevo che si fosse comprato una macchina nuova così costosa, ultimamente. Mi alzai, spazzolandomi la polvere dai pantaloncini.
Papà parcheggiò, e scese ad aiutarmi. Sembrava quasi ringiovanito. Aveva una bella cera, e un fisico ottimale, i capelli castano scuro in una piega alla Hugh Grant, camicia a mezze maniche azzurra, jeans e scarpe da ginnastica. Gli occhi azzurri ridenti, con le solite rughe attorno, e vicino agli angoli della bocca carnosa, piegata in un sorriso genuino.
Mi corse incontro, abbracciandomi. Rimasi immobile per alcuni istanti, sorpresa da tanto affetto. Ricambiai la stretta, stanca di arrabbiarmi. Tanto ormai mi ero rassegnata. Per un anno, lui sarebbe stato la mia famiglia. Meglio collaborare fin da subito.
E poi, erano due anni che non lo vedevo dal vero. Ci sentivamo solo in chat su Skype, o al telefono. Sciolse l’abbraccio, lasciandomi le mani sulle spalle, e guardandomi bene.
– Come sei cresciuta, Holly. Tutta tua madre. Anche se lei ha un po’ meno tatuaggi…– disse, ridendo. Seguii il suo esempio, ma la mia risata era piuttosto amara.
Perché non aveva visto ancora il mio piercing sulla lingua. E quelli alle orecchie. I lunghi capelli nero corvino li nascondevano bene. Sospirò, e si volse verso i miei bagagli.
– Sali in macchina, mi occuperò io delle valigie. Anne e i suoi due figli non vedono l’ora di conoscerti, sai? Anche se, momentaneamente, a casa c’è solo il ragazzo.
– Ah, non immagini quanta voglia abbia io di vederli… – risposi, non riuscendo a reprimermi. Papà mi lanciò un’occhiata apprensiva. Mi strinsi nelle spalle.
– Cosa? Non ho mai detto che mi sarebbe piaciuto stare con loro. Dammi tempo, ok? – Dissi, alzando le mani e camminando verso l’auto.
Non potevo vederlo, ma ero sicura che aveva messo su la sua espressione contrita-e-mezzo-dispiaciuta, che tirava fuori ogniqualvolta mostravo indifferenza o disprezzo verso la sua nuova famiglia. Non li avevo mai visti prima, e neanche m’interessava.
A nessuno piace vedere faccia a faccia la causa del proprio dolore. Le persone intelligenti ci si tengono lontane miglia e miglia. Mica come me, che ci vanno ad abitare insieme.
Mi sedetti davanti, e incrociai i piedi sul cruscotto, cercando il pulsante per accendere la radio. Lo trovai, e la sintonizzai su una stazione dove davano sempre le grandi band del passato, come i Queen o i Beatles. In quel momento passavano gli Oasis, con la loro fantastica “Acquiesce”. Sparai il volume al massimo, stravaccandomi sul sedile.
Diamine, le macchine di lusso costavano da morire, ma valevano ognuno di quei centesimi. Erano maledettamente comode. Mi sgolai insieme ai Gallagher, mentre papà chiudeva il portabagagli, e saliva in auto. Diceva anche qualcosa, ma non riuscivo a sentirlo.
– …mia! – Esclamò. Lo fissai, stralunata.
– Coosaaa?! Non ti sentooo! – Urlai, sopra le chitarre e gli acuti del ritornello. Lo vidi sporgersi verso la manopola del volume, e abbassare quel tanto che bastasse per consentire una conversazione più o meno civile.
– Dicevo… – ripeté, allacciandosi la cintura, – che la macchina non è mia, quindi fa’ attenzione.
Non era sua? E di chi? Come cavolo aveva fatto a prendere in prestito un’auto da 15.000 sterline?!
– E di chi è, allora? Questo catorcio costa più di te e me messi insieme! – Risposi, alzando un pochino il volume. Rise di gusto.
– Che c’è di tanto divertente?
– Il fatto che è del figlio minore di Anne.
La saliva mi andò di traverso. Iniziai a tossire violentemente. Come cazzo faceva un diciottenne a permettersi una macchina del genere?! 
Era un discendente di Re Mida, ogni cosa che toccava diventava oro, e poi se la rivedeva al mercato nero? Oh, per favore.
Era ricco di famiglia? Non mi pareva che lo fosse.
Avevano vinto alla lotteria. Avevano partecipato a uno squallido reality con un ricco montepremi. Non c’erano altre spiegazioni.
– Non ti credo. – Dissi, riprendendomi, e abbassando completamente il finestrino, lasciando la mano penzolare di fuori, avvertendo il vento fra le dita e i capelli, mentre gli Oasis facevano spazio ad “I Want it All” dei Queen. Papà sorrise, lo vidi con la coda dell’occhio.
– E invece dovresti. Ma è una lunga storia, e te la dirà lui. A proposito, comincio col dirti che sono dei tipi un po’ particolari…
– Chi?
– Lui e i suoi amici. In ogni caso, ripeto, non spetta a me dirtelo. Caratterialmente, vi somigliate parecchio. Scommetto che vi troverete bene, insieme.
Lo guardai.
– Papà, sii realista. Quante sterline ti senti in vena di perdere, oggi? Cinquanta? Dai. Cinquanta sterline che lo picchio entro trenta minuti dal mio ingresso in casa.
Rise. Io ero stata molto seria! Con cinquanta sterline avrei potuto comprarmi un pacchetto di sigarette, fare colazione da Starbucks, prendermi Cosmopolitan UK e un nuovo lucidalabbra. Mica male!
– Attenta Holly, ‘sta volta potresti perdere. – Rispose, facendo manovra.
– Non penso proprio, invece. – Decretai, fissando fuori dal finestrino. Tutto quello che si vedeva erano casette carine stile cottage o condomini, costeggiammo una bellissima chiesa, di stampo antico – la chiesa di St. Luke, come aveva specificato mio padre –, e parecchi pub. Non pensavo che ce ne fossero, la mia idea del paesino che ci circondava era più pia, spartana e clarissa.
In quella stradina, dove gli edifici si addossavano gli uni gli altri, i passanti passeggiavano placidamente, entrando in quella biblioteca, o in quel supermercato, con calma disarmante, come se niente potesse turbarli. Così, per moto di ribellione, alzai di colpo il volume della radio, nel bel mezzo dell’assolo di chitarra. Molti si girarono, lanciandoci occhiatacce contrariate.
Papà si sperticò ad abbassare immediatamente, mentre scoppiavo a ridere.
– Holly! Ma che ti è saltato in mente? – Mi rimproverò, immettendosi in una viuzza secondaria, in zona residenziale.
– Li hai visti? Dio, era solo un po’ di musica! Siete tutti così dannatamente bigotti, da queste parti? – Chiesi, spegnendo la radio. Papà sospirò, parcheggiando presso un vialetto d’accesso. Quello che ci voleva era una bella scossa. E io avrei contribuito con piacere a tale causa.
– Siamo arrivati. Togli i piedi da lì, prima che ti vedano… – si raccomandò, togliendo le chiavi da quadro. Sbuffai.
– Ti chiedo solo un po’ di pazienza, Holly. So che per te non è facile, ma non credere che per loro sia una passeggiata. Sforzatevi di andare d’accordo, va bene?
– Veramente…
– Va bene? – Ripeté, col tono di chi non ammetteva repliche. Ritrassi i piedi e annuii con la testa.
– Perfetto. Dai, scendi, non vedono l’ora di vederti! – Esclamò, scompigliandomi i capelli con la mano. Quando scese, sospirai, sistemandomi le ciocche in disordine. Andiamo, Holly. La tua pena sta per essere scontata.






Holls' Corner:

Ooooh, adesso si comincia!! Abbiamo l'ingresso di Niall, che entra nella storia in maniera un po' brutale, hahahah! Ora comincerete a capire di che pasta è fatta Holly, e la sua situazione famigliare. Stavolta non parlerò molto, ma lascerò che la storia si spieghi da sola. Perché? Mah, semplicemente perché credo che questa volta sia meglio così!
Non mi resta che ringraziare chi ha recensito il prologo, e chi ha già messo la storia nei preferiti e nelle seguite, grazie davvero!! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e come al solito, fatemi sapere se dovessero esserci delle cose da correggere, oppure se avete un'impressione da comunicarmi, insomma!! Grazie in anticipo! Un bacione a tutti :D!!


 



 

   
 
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