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Autore: _Calliope_    26/04/2012    3 recensioni
Sono le otto e un quarto di mattina quando Molly si accorge di essere seguita.
Una Molly/Irene piuttosto lunga ed insensata perché mi piace farmi/vi del male e perché l'Irene scritta da Moffat mi sta un po' sulle scatole. (Ah, e anche per la logica "perché genderswappare John e Sherlock quando abbiamo già queste due fanciulle?)
{SPOILER abbastanza consistenti sulla seconda serie. Lettore avvisato...}
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Slash | Personaggi: Irene Adler, Molly Hooper
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Girl With One Eye

 

II.

I slipped my hand under her skirt

I said don't worry, it's not gonna hurt

My reputation's kinda clouded with dirt

That's why you sleep with one eye open

But that's the price you paid

 

I said, hey, girl with one eye

Get your filthy fingers out of my pie

I said, hey, girl with one eye

I'll cut your little heart our 'cause you made me cry

 

 

 

Riflettendoci, questa tipa è stata causa di paranoie e confusione più di chiunque altro nella mia vita, pensa Molly la mattina dopo, quando Irene se n'è andata e lei ha passato una notte a rigirarsi nel letto.

Anche più di Sherlock. (Il che è tutto dire.)

C'è tutta una serie di problemi. Quello immediato è: come comportarsi? Fare finta di niente? Ignorare del tutto il fattaccio? O – che il Cielo ce ne scampi – parlarne? Bisogna tenere in conto che la possibilità di ottenere delle risposte soddisfacenti è assai ridotta. Senza contare che andrebbe contro a tutto il discorso cercare le soluzioni da soli farsi domande ma non fare domande blablabla. Ugh.

Il punto è che questo non è previsto dal contratto, né da quello generale né da quello proprio di questo particolare rapporto. Molly è abbastanza sicura che gli amici non si mangino la faccia a vicenda in quel modo. E sicuramente non è quello che fanno lei e Irene. Io sono lo scoglio in mezzo alla tempesta, giusto? Quella che la prende in giro e le evita di mettere su la sua maschera di femme fatale? O magari ho sbagliato tutto?

Molly è anche abbastanza sicura che non le piacciano le ragazze, cioè, non in quel senso – o almeno, non ha precedenti su cui basarsi – ma ha il sospetto che la categoria sia troppo ristretta per Irene.

Perché tutte a me, pensa, mentre la testa le crolla sul tavolo in segno di sconfitta.

 

(Non pensa però a fare scenate isteriche o cacciare Irene fuori da casa sua, il che depone a suo favore. Per quello che vale.)

 

Irene si presenta si nuovo dopo due settimane, e Molly decide di utilizzare la tecnica del non-è-successo-nulla-facciamo-finta-di-niente-speriamo-bene. L'imbarazzo dura per circa dieci minuti, ma viene dimenticato quando Irene trova la sua vecchia collezione di CD e si mette a saltare per tutta la casa cantando You Shook Me All Night Long mentre Molly prepara la cena non sapendo se ridere o implorarla di non fare troppi danni pleeease.

Se avesse tempo per pensarci, Molly esaminerebbe quanto la Irene che vede lei sia diversa da quella che vedono gli altri; o meglio, alla parte di se stessa che decide di mostrare agli altri. Fa tenerezza, per dire il vero, perché è come un bambino che non ha il senso della misura e passa dall'energia più sfrenata all'apatia più completa nel giro di pochi minuti. In realtà ogni tanto Molly ci pensa, distrattamente, e le viene da credere che Irene abbia imparato i codici a memoria ma non capisca perché siano validi. E per qualche astruso motivo, fuori rispetta le regole, reagisce un po' come ci si aspetta che reagisca e un po' come le torna utile, applicando le formule per raggiungere i suoi scopi ma senza comprendere come ci sia arrivati; con Molly, invece, sembra usare i suoi codici, quelli che capisce e le vengono spontanei ma sono incomprensibili per chiunque altro.

Tutto questo per dire che Irene sta ballando scalza in mezzo al salotto con gli occhi chiusi, ascoltando Don't Cry, come se fosse la cosa più naturale del mondo, e Molly dubita che lo farebbe in un qualsiasi altro posto.

Tuuuuu”, dice, brandendo un mestolo, forse seriamente o forse no, “tuu, hai scombinato l'ordine dei miei libri e pagherai per questo”.

Irene si volta lentamente, senza smettere di mormorare le parole della canzone. Molly deglutisce perché quello sguardo non vuol dire niente di buono nonono e all'improvviso si sente tirata in avanti e stretta per un braccio e, oh, fantastico, adesso Irene la sta baciando di nuovo. Cioè, non che non sia piacevole e tutto, ma non è ancora previsto dal contratto e forse sarebbe il caso di sottolinearlo, a questo punto.

Uhm”, dice quindi, abbracciata a Irene in mezzo al proprio salotto con la testa sulla sua spalla e i Guns 'n Roses nelle orecchie, “senti, non che voglia fare la guastafeste o niente del genere...”

Mmh”.

Ehi! Ascoltami! Ti prego, un po' di concentrazione”.

Mh-h”.

Dicevo. ...aspetta. Lo senti anche tu?”

E com'è logico la cucina sceglie quell'esatto momento per andare a fuoco e la conversazione deve essere rimandata. (Non che Molly ne sia eccessivamente dispiaciuta.)

 

Il punto è che poi la conversazione non viene rimandata, viene cancellata e la Cosa inizia a diventare un'abitudine. Cioè, in fondo non è che cambi molto, solo che ogni tanto Irene le sfiora le labbra o si mette a mordicchiarle il collo o lascia indugiare un po' più a lungo la mano sul suo fianco e fa il suo sorriso furbo e Molly arrossisce ma riesce quasi sempre a riprendere il filo del discorso. Tanto, ragiona, non è neanche fastidioso. Solo un po' strano, forse. Ma al momento non c'è nessuno che possa arrabbiarsi per questo e comunque non è niente di importante e in ogni caso probabilmente sono io che ho capito male qualcosa.

Forse; fatto sta che una domenica Molly si sveglia tardi sentendosi languida e rilassata e pensa oh no, conosco questa sensazione, so cos'è, e si accorge di non ricordare molto della sera precedente – a parte il solito sorriso furbo di Irene, chiaro – e di non avere niente addosso e sì, insomma, la conversazione non può più essere rimandata. Quindi si alza a sedere con determinazione e fatica a trattenere un sussulto di sorpresa quando vede Irene seduta sulla poltrona vicino al suo letto, con una sua vecchissima e larghissima maglietta nera addosso e un libro in mano. (E neanche un capello fuori posto. Grr.)

Oh, buongiorno. Ti sei svegliata. E anche alzata”, commenta con un sorriso.

Non l'avessi mai fatto”, borbotta Molly, prendendosi la testa tra le mani. Va bene la Conversazione e tutto, ma da dove saltano fuori gli omini che stanno suonando questi tamburi particolarmente rumorosi nella sua testa?

Hai bisogno di un'aspirina”, decreta Irene allegramente. “Aspettami lì”.

E chi si muove? Ah, e noi due dobbiamo parlare!”

Perché la cosa sta decisamente andando fuori controllo. Molly tenta di ricordare qualcosa, qualsiasi cosa.

C'era un tipo. Un tipo con cui aveva un appuntamento. Tom. Carino e simpatico. Appuntamento: un disastro. Molly è abbastanza sicura di aver dato prova della sua leggendaria incontinenza verbale e di averlo spaventato a morte. Cos'altro?

Casa sua. Alcol, che cosa patetica. Irene. Irene ovunque...

E adeeeesso?”, mugugna, sconsolata.

E adesso cosa?”, chiede l'interessata, con una pillola in una mano e un bicchiere nell'altra.

Tu”, la accusa Molly. “Tu. Che diavolo hai... voglio dire... e cosa...” e poi si perde a emettere parole a casaccio tipo “strada della perdizione” e affini. Irene alza le spalle.

Eri triste”.

Triste?”. Non si ricorda la tristezza.

No, forse non è la parola giusta. Amareggiata? Delusa? Parlavi di essere inadeguata e socialmente impacciata e senza speranze”.

Ecco, questo è più probabile.

Insomma, fatto sta che mi sembravi molto giù e volevo farti stare meglio. Non mi piace vederti così. Quindi, sai, ho cercato di prendermi cura di te”. Risata leggera. “Non che conosca molti modi di prendermi cura delle persone. Solo uno, in effetti”.

Okay. Okay, va bene. Cioè, non so se vada bene, però credo di aver capito.

Uhm. Grazie per il... pensiero, immagino. Però devi sapere che...”

Sospiro. Ma esiste un modo delicato di parlare di questa cosa? Possibilmente senza suonare come se fossi uscita da un romanzo di Jane Austen?

... insomma, tendenzialmente non lascio che qualcuno si... prenda cura di me in questo modo. A meno di non avere un... tipo di rapporto molto specifico”. Odio i miei puntini di sospensione.

Noi due non abbiamo un rapporto specifico?”, chiede Irene, a metà tra il divertito e il curioso. Molly sospira, di nuovo.

Non lo so. Forse? Cosa abbiamo in realtà? È che odio, veramente, odio mettere etichette sulle cose, e ancora più sulle persone, e ancora di più sui rapporti tra persone, ma in questo caso... in questo caso si tratta di una cosa importante, per me. Che non prendo alla leggera. Non lo so. Vorrei capirci qualcosa”.

E quando alza la testa Irene è più vicina di quanto ricordasse, e sorride e chiude gli occhi e dice: “Va bene, allora cercherò di essere seria anch'io”, e questo è più o meno il momento in cui Molly smette di fare domande.

 

Ma non, ovviamente, di farsi domande. Perché io? è la prima, seguita immediatamente da sto facendo la cosa giusta? e da è pericoloso? Dove mi/ci porterà?

Il fatto è che di solito Molly non lascia entrare rifugiati politici o vattelapesca in casa sua e non intrattiene relazioni pseudosentimentali con loro. È tutto molto strano. Molly spesso si sente strana, sa di essere strana, ma nulla nel suo aspetto o nelle sue azioni lo farebbe sospettare. Qui si tratta di una cosa grossa, invece.

È anche vero che Molly è stata innamorata di Sherlock per anni, quindi una buona dose di intrinseca attitudine alle stranezze deve pur averla.

 

In realtà tutto si svolge in modo estremamente naturale e molto, molto lento. Questo tipo di cambiamenti è il più subdolo, perché una volta che guardi indietro e ti accorgi di quanto effettivamente tutto sia diverso è ormai troppo tardi.

Quindi Irene continua a irrompere in casa sua senza preavviso e Molly, inavvertitamente, comincia a conoscerla meglio; entrambe imparano ad abbassare la guardia, a camminare con cautela in alcuni punti e a non preoccuparsi in altri. A volte ridono a crepapelle per delle stupidaggini e stanno sedute a parlare per ore degli argomenti più disparati; a volte Irene si avvicina con un sorriso sornione e non parlano più per il resto della serata. Molly impara a prendere l'iniziativa; paritàparitàparità, si ripete mentalmente, la prima volta che prende il viso di Irene tra le mani e le stampa un bacio sulle labbra, ricevendo in risposta un sorriso sincero e un braccio dietro la schiena. Irene impara a prendersi cura di lei in altri modi, capendo di che umore sia e regolandosi di conseguenza, ricordandole dove ha messo il libro che sta cercando, notando quando si taglia i capelli. È tutto molto lento e molto naturale fino al giorno in cui Molly non esce con un tipo di nome Will che la annoia a morte e si ritrova a pensare se Irene fosse qui potrei parlarle di quanto quella ragazza somigli a Jennifer Lawrence invece di stare ad ascoltare questo imbecille che tra l'altro non è neanche divertente, e si accorge di essere abbastanza fregata.

 

Naturalmente, più o meno in quel periodo viene rapita.

In realtà avrebbe dovuto pensarci prima: frequentare persone pericolose è, beh, pericoloso, indipendentemente dalle loro intenzioni nei tuoi confronti. Le persone pericolose hanno nemici pericolosi che a volte sono sorprendentemente stupidi e a volte sanno fare due più due e si rendono conto che per far cadere qualcuno bisogna quasi sempre mirare ai suoi punti deboli. Molly avrebbe dovuto pensarci prima: Dio solo sa quanto è abituata alle persone pericolose e comunque a John è successo quante volte? Due? La seconda è pure quasi esploso. Avrebbe decisamente dovuto pensarci prima.¹

Però col senno di poi magari non sarebbe servito a niente; si sarebbe solo fatta qualche paranoia in più e l'avrebbero trovata lo stesso. Magari avrebbe dato fuori di matto sentendo che qualcuno si era introdotto a casa sua, invece di dare per scontato che fosse Irene, e magari sarebbe corsa a nascondersi o avrebbe tirato fuori la mazza da baseball o qualcosa del genere. Magari. Però l'avrebbero trovata lo stesso.

L'esperienza si rivela meno traumatica di quanto immagini, per fortuna (il che è probabilmente dovuto al fatto che rimane incosciente/drogata per tutta la sua durata), e in ogni caso Irene arriva dopo un paio d'ore con una pistola in mano e un'espressione che le fa quasi provare pietà per il tizio che l'ha sorvegliata per tutto questo tempo, visto che con ogni probabilità sarà torturato e/o morto nel giro di un paio di giorni. (Molly non è una persona insensibile: si opporrebbe a questa soluzione, in condizioni normali, è contro la pena di morte e le torture e tutte le cesarebeccariate del genere, ma al momento si sente la testa di piombo e non riesce ad emettere suoni coerenti quindi ciccia.)

Insomma, Irene arriva, spacca culi, affida Molly alle cure di una persona di cui in seguito lei non ricorderà né il volto né il nome, parla velocemente e con un sorriso sadico sulle labbra al tizio di cui sopra, e chiede alla Persona Senza Volto di essere lasciata sola con lui.

Serve una mano?”, cerca di dire Molly, perché sul serio, vuole fare qualcosa.

No, grazie, Damigella In Pericolo, vai a riposarti e cerca di espellere quelle schifezze dal tuo organismo, mmh? Anche se tu avessi delle straordinarie competenze nel campo della diplomazia o delle lingue slave, temo che non saresti comunque in grado di esibirle, nelle tue attuali condizioni”.

So come si dice “fungo” in russo”, borbotta Molly, perché è vero.

Ne terrò conto. Fuori”, dice Irene, in un tono tra l'esasperato e l'affettuoso, e Molly viene trascinata via.

Oh, accidenti”, dice dopo, tra un conato e l'altro, alla Persona Ancora Senza Volto (E, Apparentemente, Senza Voce) che le sta reggendo la fronte. “Sono proprio una Damigella In Pericolo, vero? Con tanto di Principe Azzurro che corre a salvarla, o di Principessa Azzurra, quel che è. Che schifo”.

L'unica cosa che si ricorda dello Sconosciuto, in seguito, è un annuire comprensivo.

 

Molly si sveglia sul sedile posteriore di una macchina, e fuori è buio. Okay.

Come ti senti?”, chiede una voce, dal sedile anteriore.

Mal di testa atroce, mal di schiena, indolenzita, bocca foderata di cartapesta. Come dopo ogni serata che passo con te, praticamente”.

Irene ride piano e continua a guardare la strada. Molly scuote la testa, scavalca i sedili e le si siede accanto. Sta per dire qualcosa (tipo grazie o come hai fatto a trovarmi?), quando si ricorda di un particolare e chiude la bocca, offesissima. Questa donna ha un sacco di cose da spiegare, sissignore.

Dopo un po' Irene sembra accorgersi del silenzio e chiede: “Che c'è? Non mi parli più?”

No. Sono molto offesa”, risponde lei suo malgrado, guardando ostinatamente fuori dal finestrino.

Oh, santo cielo. E perché?”

Perché”, sbotta Molly, rossa in viso, “non mi hai mai detto come ti chiami e l'ho scoperto solo ieri, e per di più non da te!”

E a questo punto Irene non può fare a meno di ridere, con gli occhi chiusi e la testa abbandonata all'indietro, e Molly vorrebbe urlare guarda la strada! ma ovviamente non può (è ancora offesa) quindi sta zitta e aspetta che passi.

Ti prego, spiegami la tua ultima affermazione, non capisco veramente cosa vuoi dire”, riprende, quando si è calmata.

Okay, va bene, visto che evidentemente non ci arrivi. Com'è che il resto del mondo ti chiama Irene mentre io sono l'unica cretina che ti chiama Irene?”

Ora, dovete capire che si tratta di una questione importante, linguistica e culturale. È risaputo che gli anglofoni sono tragicamente incapaci di pronunciare i nomi di derivazione greca o latina o generalmente non anglosassone, quindi il novanta per cento delle persone la cui lingua madre sia l'inglese, messa davanti al nome Irene (cfr. il greco eirene, pace) lo pronuncerebbe facendo un gran casino con le “i”, ottenendo come risultato qualcosa come Aireen. E adesso Molly si sente veramente stupida, perché sono mesi che la chiama Irene e non le è mai passato per la testa che non tutte le persone sono dei secchioni che hanno passato gli anni della loro adolescenza ad imparare l'alfabeto greco ed il vocabolario di base per poter risalire all'etimologia dei nomi presenti nel lessico della medicina ed è tutto molto imbarazzante e Molly è molto offesa (l'ho già detto?).

(Ancora più offesa perché adesso Irene si è rimessa a ridere, che stronza, tzè.)

Insomma, evidentemente i mafiosi russi si erano accorti che interrogare qualcuno in una lingua che non capisce è abbastanza inutile, quindi a quanto pare avevano assunto una specie di interprete che traduceva in inglese le loro domande. La cosa imbarazzante è che Molly (pur quasi incosciente e generalmente incapace di intendere e di volere) ci aveva messo qualche minuto a capire chi fosse questa “Aireen Adler” di cui andavano blaterando e che adesso non la smette di ridere oh ma non è possibile!

No, va bene, basta, scusa, hai ragione, non rido più. È solo che, giuro, avevo due ottimi motivi per non correggerti. Sul serio”.

Molly le lancia uno sguardo di sfuggita. Oh, al diavolo, maledetto sorriso furbo e irresistibile.

E quali sarebbero?”
(Tre volte maledetto sorriso gigantesco e sincero.)

Beh, come prima cosa, tecnicamente non stai sbagliando. In greco e latino e italiano e spagnolo la tua pronuncia è corretta, quindi non vedo perché dovresti cambiarla. E poi” pausa “sei l'unica che mi chiama così. Non è... spiacevole”.

Silenzio. Irene guarda con nonchalance fuori dal finestrino e Molly la osserva di nascosto e non ha idea di cosa stia succedendo ma neanche lei lo trova spiacevole.

(E poi in qualche modo le loro mani si stringono sopra il cambio e Molly non è più così offesa.)

 

Irene la lascia davanti alla porta di casa sua con un sorriso strano e un bacio sulla fronte e Molly non ha né il tempo né l'energia di interrogarsi sul suo comportamento perché le uniche cose che vuole in questo momento sono una doccia e dodici ore di sonno abbondanti. Per fortuna che domani è domenica.

Invece inizia ad interrogarsi più o meno una settimana dopo, quando si accorge – di nuovo – di essere seguita.

Solo che questa volta non è Irene. Sono dei tizi vestiti tutti allo stesso modo – impermeabile, cappello nero, occhiali scuri – che Molly fatica a trovare inquietanti perché non si sforzano troppo di non farsi scoprire e ogni tanto si portano una mano al cappello per salutarla. Un giorno ne invita uno a prendere un panino per pranzo con lei, così, giusto perché ama il rischio, ma non riesce a cavargli fuori un'informazione una che non riguardi le previsioni del tempo delle settimane successive.

Okay, non sono i tizi ad inquietarla; è il fatto che Irene non si è vista per circa dieci giorni. Scomparsa. Molly non sa cosa fare, e si rende conto con uno spasmo di leggero panico di non essersi mai preoccupata di rintracciarla, contando sempre sul fatto che sarebbe ricomparsa da sé, prima o poi. Ma se le fosse successo qualcosa? Qualcuno si preoccuperebbe di avvertirla? Argh.

Alla fine le manda un messaggio. È una speranza stupida, in realtà, perché Irene la chiama dallo stesso numero al massimo per tre volte di seguito, ma tentar non nuoce. Dopo potrà iniziare a preoccuparsi sul serio.

Ma gli uomini-impermeabile sono tuoi? Mi fanno un po' pena, dev'essere noioso seguirmi tutto il giorno. Dove sei? Hai bisogno che ti venga a salvare?

 

Non ottiene risposta per via telematica; invece, il giorno dopo, tornando dal lavoro, trova Irene seduta sul suo divano, intenta a mangiarsi le unghie, e rimane sorpresa dall'ondata di sollievo che la travolge inaspettatamente.

Ehi”, dice, sedendosi. Irene le fa un sorriso a metà e torna a mangiarsi le unghie.

Ecco, questo è un perfetto esempio di Momenti In Cui È Necessario Evitare Le Domande. Quindi Molly si alza, va a preparare il tè, torna in salotto, e aspetta.

Mi dispiace di averti messo in pericolo”, è la prima cosa che dice Irene.

Qual è la risposta giusta a questo? “Ti odio, fuori da casa mia”? Certo che no. Molly non vuole Irene fuori da casa sua. D'altra parte, però, non può neanche rispondere “Non preoccuparti, non c'è problema”, perché Molly sa cosa fa Irene. Lei usa le persone. Il non condannarla per questo e l'essere convinti che non lo faccia per cattiveria non significa che Molly abbia intenzione di lasciarsi usare. È una questione di linguaggio, e non vuole rischiare di dire la cosa sbagliata, consentire cose che in realtà non vuole.

È di nuovo Irene a rompere il silenzio.

Sai, hai ragione”, dice, quasi a se stessa. “Non voglio andare in posti dove non mi vogliono. Non voglio... continuare ad assillarti, se tu non lo vuoi. Quindi, se... se hai paura, o sei arrabbiata, e non vuoi più vedermi, non farti problemi a dirmelo. Va tutto bene, davvero”.

Eccolo, lo spunto, il modo migliore per parlare alle persone. Usare le loro parole, i loro significati.

Sì, sono arrabbiata”, dice Molly, lentamente, “ma non con te. Sono arrabbiata con quegli inserire-aggettivo-spregiativo-qui che mi hanno rapita. Ma non voglio lasciare che sia la rabbia a guidarmi. Non l'ho mai fatto e non voglio cominciare adesso”.

Irene guarda fisso davanti a sé e le stringe la mano.

E sì, ho paura, ma vale lo stesso discorso. La paura non è sempre una buona consigliera, quindi credo che non ti sbatterò fuori perché temo di essere rapita e/o drogata un'altra volta e/o possibilmente torturata. Anche se sarebbe fantastico se non succedesse più”.

Non succederà più”, afferma Irene, decisa, e Molly le crede e alza un po' la voce, sorridendo.

Forza”, dice, “mi devi favori sessuali illimitati dopo quello che mi hai fatto passare”, e Irene si mette a ridere a crepapelle e dice “Ho creato un mostro”, il che non è esattamente falso.

(Non ne sembra troppo dispiaciuta.)

 

Qualche ora dopo Molly chiede “Lo sai cosa mi fa paura?” a bassa voce, senza sapere neanche per certo se Irene sia sveglia o no.

Non sapere se ti è successo qualcosa. Cioè, se capitasse, potrei contattarti? Aiutarti? A qualcuno verrebbe in mente di avvisarmi?”

Movimenti. Irene si gira su un fianco. “L'ultimo numero da cui ti ho chiamato. Lo conservo sempre fino al cambio successivo. Puoi trovarmi lì”.

Oh. Okay. Grazie. Buono a sapersi”. Molly ridacchia e non sa neanche perché. “Phew, ma lo sai che sono veramente sollevata? Sul serio, grazie”.

E poi”, aggiunge Irene, con una voce strana, “ci sono gli uomini con l'impermeabile. Sono miei, ovviamente. Se succedesse qualcosa, ti avviserebbero”.

Uh. Bene. Sì, immaginavo”. Poi, ricordando un particolare, Molly chiede: “Ehi, ma perché non si nascondono meglio? Cioè, non voglio far perdere il lavoro a nessuno, ma credevo...”

Non volevo che”, la interrompe Irene, e poi si ferma. Mio Dio,sembra una tigre in gabbia, si ritrova a pensare Molly, una tigre bianca, fiera e irrequieta e spaventata. Ma da cosa?

Da questo, probabilmente.

Non volevo che”, prosegue, “che ti sentissi sola”, ed eccolo di nuovo, lo sguardo da tigre in gabbia.

Sì, è spaventoso, vero? Preoccuparsi per qualcuno, tenere a qualcuno. Spaventoso e fantastico. Ancora di più quando è reciproco. È l'inizio di qualcosa, ogni volta.

Molly si addormenta stringendo la mano di Irene, forte.

 

Quindi è una cosa, quella che hanno; è stato stabilito. Molly cerca disperatamente una definizione e alla fine il suo cervello matematico le fornisce una risposta: una costante. È una costante.

Cioè, una cosa che si ripete all'interno di un'equazione, ha sempre lo stesso comportamento, si ottiene ogni volta. Irene va e viene e a volte dorme nel suo letto per tre notti di fila e a volte non si fa vedere per giorni, ma se si guarda il quadro generale si notano degli schemi, delle abitudini, delle azioni ripetute. Delle costanti.

Irene non sembra badarci più di tanto; lo fa con naturalezza, come se fosse nata per arrivare all'improvviso e sconvolgere l'ordine nella vita di Molly e nutrirsi di questo stesso ordine e ripartire e ripetere lo schema all'infinito, sopravvivendo l'una del caos dell'altra.

È per questo che Molly non riesce a smettere di preoccuparsi; si è rassegnata al fatto che il novanta per cento della popolazione mondiale risulti insopportabilmente noiosa, dopo aver conosciuto Irene, e anche al fatto che, va bene, le ragazze non le piacciono in quel senso ma esiste sempre un'eccezione che conferma la regola eccetera eccetera, ma... ma.

Ma resta il fatto che questo sia il suo lavoro; far sentire speciali le persone per ottenere qualcosa da loro. Si sente in colpa solo a pensarci, ma è davvero tutto troppo assurdo perché ci possa credere senza riserve.

Ma cosa potrebbe mai volere da me?, cerca di ragionare. E non credo che il modo in cui si mostra.. vulnerabile, a volte, possa essere finto.

Certo, sono tutte supposizioni.

 

È difficile non crederle, però, perché sul serio, certe cose sarebbero assurdamente difficili da fingere.

Per esempio, un giorno stanno parlando di tutt'altro e Irene se ne esce con “Non sorridi tanto spesso”.

Molly si blocca per un attimo. Ho sbagliato qualcosa? Sono noiosa? Una compagnia deprimente? Oh cavoli.

Cioè, non qui”, prosegue Irene, “non con me. Sorridi fuori, agli sconosciuti, perché è parte integrante del tuo modo di essere gentile. Sorridere. Ma in realtà, quando non ci pensi, non lo fai tanto spesso”.

È un po' una pugnalata nello stomaco, e Molly ha appena iniziato a scusarsi parlando troppo veloce quando Irene sembra accorgersi di qualcosa e si gira verso di lei sorridendo come se si fosse ricordata di un'assurdità.

Aspetta”, le dice, “credi che ti stia criticando? Che vorrei che sorridessi di più?”

Molly è un po' sorpresa. “Beh...”

No, no, Dio, no, cosa vai a pensare? Mi piace quando sei seria”.

Bene, la cosa è ufficialmente diventata incomprensibile.

Nel senso”, continua Irene, “tanti usano i sorrisi come delle armi. È un modo per confondere l'avversario, sai, fargli credere che si hanno delle buone intenzioni, sviarlo con commenti sarcastici e un'espressione amabile. Dio sa quante persone così ho conosciuto, nella mia vita. Anche persone convinte del fatto che un sorriso basti per mettere a posto tutto, o che lo usano come passe-partout quando non sanno cosa fare. Però non è facile far sorridere te, almeno, non quando non stai cercando di piacere a nessuno. Ci vuole impegno e senso dell'umorismo ed è per questo che...” e qui si interrompe per un attimo, bloccata dall'enormità di quello che sta per dire ma non disposta ad ammetterlo, e poi prosegue cercando di mantenere lo stesso tono leggero, “è per questo che è così bello quando sorridi davvero”.

Molly ci mette più di qualche secondo a processare quello che ha appena sentito. Era un... complimento? No, una constatazione. Una constatazione sincera che per questo suonava come un complimento.

Uhm, grazie”, dice, “non me l'aveva mai detto nessuno”, perché probabilmente nessuno mi ha mai osservata così attentamente e per così tanto tempo e così tanto interesse, ed è un pensiero un po' spaventoso, davvero.

Tu invece”, afferma Molly, dopo qualche minuto di silenzio, “tu invece sorridi molto meglio di quanto immaginassi”.

E infatti. Irene le risponde con un sorriso diverso dalla sua solita espressione furba, con il sorriso che lei preferisce, e Molly le risponde sullo stesso tono, e nessun altro a parte loro due potrebbe immaginare quanto un'espressione del genere stia bene sulle rispettive labbra, e con ogni probabilità nessun altro lo saprà mai. Bene, pensa Molly, in uno slancio di egoistica soddisfazione.

 

A un certo punto Molly si ammala, perché non è che i suoi anticorpi siano onnipotenti, eh.

Cioè, è un'influenza cretinissima, un male di stagione, ma raffreddore e tosse e febbre e senso di generale stordimento e ugh.

La cosa migliore da fare in questi casi (se non l'unica) è chiudersi in casa, mettersi a letto, magiare poco, bere un sacco, sudare ancora di più e aspettare la fine di quest'agonia. Molly, siccome è una persona saggia e non per niente ha una laurea in medicina, ha intenzione di fare proprio questo. Finché, ovviamente, non arriva Irene.

In realtà ci mette un po' a registrare la sua presenza; quando si è malati si fa molta fatica a distinguere la realtà da quello che si sta sognando e quello che è irrilevante da quello che è importante. Ergo, Molly sente qualcuno che armeggia con una serratura, dà per scontato che sia un vicino del piano di sotto che cerca di entrare in casa propria, e si gira dall'altra parte.

Le sue supposizioni si rivelano tragicamente errate quando un'asse scricchiola e Molly si rende conto che c'è qualcuno nella stanza, al che sprofonda ulteriormente nelle coperte e si prepara ad ogni eventualità.

Se sei malintenzionato/a”, emette con una voce che suona non usata da giorni (cosa che in effetti è), “la cassaforte è dietro al quadro in salotto, se pensi che riesca a ricordarmi la combinazione in questo stato sei un illuso/a, e se vuoi scassinarla cerca di fare piano, per favore. Se invece vuoi rapirmi, sappi che faresti molti più soldi con la tipa al piano di sotto, che sospetto abbia dei parenti milionari e in più ha un cane davvero maleducato”. Qui fa una pausa per leccarsi le labbra, quand'è che nella mia bocca si è stabilito il deserto del Sahara? Ugh. “Se invece, miracolo dei miracoli, sei benintenzionato/a, ti seccherebbe portarmi un bicchiere d'acqua? Sto soffrendo, qua sotto”.

Sente uno sbuffo che potrebbe benissimo essere una risata, dei piedi che si avviano verso la cucina, un rubinetto che scorre e infine qualcuno che parla vicino alla sua testa e che per qualche concessione divina mantiene un tono di voce molto basso.

Sei una persona divertente, Molly Hooper”, dice Irene, e questo la spinge a uscire dalla sua tana.

Lieta di essere una buona compagnia”, borbotta, allungando la mano verso il bicchiere posato sul suo comodino e aggrottando le sopracciglia. “Ugh. Luce”.

Ma se fa buio pesto!”, protesta Irene, faticando a nascondere un sorriso.

Sbagliato. Quel raggio di luce filtra attraverso la tapparella e mi arriva proprio sulla faccia, quindi se non ti dispiace tornerò a cercare protezione nell'oscurità”.

Il silenzio si protrae per qualche minuto. Molly cerca di riaddormentarsi – o almeno, di scivolare in quello stato di semi-incoscienza tipico della malattia – ma c'è qualcosa che le sfugge. Siccome è malata e un (bel) po' frastornata, ci mette un po' a capire cosa sia; quando finalmente ci arriva, procede ad emergere per la seconda volta.

Irene ha avvicinato la poltrona al letto, e si sta mordicchiando il labbro inferiore. Un po' sta sorridendo, ma nella sua espressione c'è anche qualcos'altro. Al momento, tuttavia, Molly non ha intenzione di scervellarsi su cosa sia. Per ovvi motivi.

Senti”, inizia invece, “scusami, ma credo di essere abbastanza inutile al momento. Mi dispiace se hai fatto un viaggio a vuoto, e ti giuro che non mi offendo se te ne vai. Non che voglia cacciarti”, aggiunge precipitosamente, perché Irene sta facendo una faccia strana, “ma stare vicino ai malati è una vera rottura di scatole. Specialmente se hanno l'influenza. Specialmente se io ho l'influenza”, e neanche a farlo apposta inizia a starnutire come se non ci fosse domani. Che schifo.

Irene ha l'espressione che indossa quando non ha capito qualcosa. “Vuoi che me ne vada?”, chiede alla fine, lentamente.

Cosa? No, no, non è questo, cioè, in realtà è indifferente. Voglio dire, credo che passerò i prossimi giorni a smaltire questa schifezza dormendo, quindi che ci sia una persona in più o in meno non cambia tanto”.

Sono stata malata, a volte”, la interrompe Irene, come ricordandosi qualcosa, “da piccola, soprattutto. Mi ricordo com'è. Non è... male, avere qualcuno che si prenda cura di te”.

Molly è un po' sbalordita. Qualcuno che si prenda cura di te? Ma è questo che...?

No, beh, certo”, dice, “solo che per il qualcuno non è tanto divertente. Non voglio... annoiarti, o costringerti a stare chiusa qui dentro senza fare nulla. È una scocciatura. Io sarò una scocciatura”.

Irene sembra riflettere attentamente sulla questione. Non le è venuto in mente. Davvero non le è venuto in mente. Capisce benissimo le persone ma per lei sono come alieni. Assurdo, pensa Molly con un certo affetto.

Ma tu saresti da sola”, dice l'altra alla fine, e c'è della preoccupazione nella sua voce, è preoccupata, ecco cos'era, oddio. “Non voglio che tu stia male da sola. E penso che nessun altro possa stare con te come posso io. Non ho impegni, al momento, e questo vuol dire che sarò qui, se avrai bisogno di me. No, non credo che me ne andrò”.

Molly non può impedirsi di sorridere e di allungare la mano per stringere quella di Irene. Non sa bene cosa stia provando, solo che questa stretta al cuore è familiare, dolorosa e piacevole al tempo stesso, Dio, che stupido cliché, sono proprio andata.

A conferma di questa teoria arriva l'ennesimo starnuto. “Che schifo”, dice, tirando su col naso, “credi a me, tra qualche ora inizierai a chiederti chi te l'ha fatto fare di stare al capezzale di una tipa che si lamenta in continuazione, starnutisce e somiglia a una ricotta andata a male”.

Irene sorride. “Beh, innanzitutto sei divertente, ma questo mi sembra di avertelo già detto. E poi”, e qui abbassa la voce, e Molly chiude gli occhi, perché è staaaanca, “e poi, nonostante i tuoi improbabili paragoni, non somigli affatto a una ricotta andata a male. Hai gli occhi lucidi e ancora più brillanti del solido e la pelle bianca come il latte e le guance rosse e i capelli arruffati e sai che a volte le cose più vulnerabili sono le più belle, no?”

Molly non ha abbastanza forza da aprire gli occhi, e poi perché dovrebbe? Qualcuno le sta lasciando baci leggeri sul collo e le sta sussurrando cose quasi incomprensibili all'orecchio ed è tutto molto rilassante, quindi per nessun motivo al mondo si sentirebbe in dovere di sollevare le palpebre.

Bellissima”, sussurra il qualcuno, a voce ancora più bassa, disegnando con le dita sentieri invisibili sui suoi fianchi, “bellissima e malata, la mia Venus febriculosa”.

Non citare Nabokov a sproposito”, borbotta Molly, ma un angolo della sua bocca si solleva e si sposta per farle spazio. Sente le labbra di Irene curvarsi in un sorriso, sulla sua tempia, e la sua mano muoversi in cerchi regolari tra i suoi capelli.

Invece credo che date le circostanze la citazione sia molto appropriata”, dice, e poi non parlano più.

L'unico modo che conosce di prendersi cura delle persone, pensa Molly, sorridendo e mordicchiandosi il labbro inferiore. Non è un cattivo modo, però.

 

Due giorni dopo, Molly è come nuova, completamente guarita. Irene, invece, ha la febbre e starnutisce. Molly si prende altri due giorni di vacanza e non può fare a meno di ridacchiare sull'ironia della situazione, mentre si prodiga a curarla a colpi di tachipirina e spremute. In effetti è tutto abbastanza divertente.

 

Certo, non che tutto sia sempre rose e fiori. Anzi, non lo è mai, per dire il vero; è più che altro lo strano modo che ha Irene di farla sentire diversa. Molly ha passato la maggior parte della sua vita a pensare di essere ordinaria, come minimo, e sentirsi diversi a questo modo è un po' fuorviante. Le sembra di vedere il mondo un po' più da lontano, seduta con Irene in un posto dove se ne ha una visione in un certo senso più indistinta ma si capisce meglio il quadro generale. È diverso, ma non male, in fondo.

Logicamente, a volte Irene è insopportabile. Parla con disprezzo francamente gratuito di chiunque le venga in mente, si rifiuta di mettersi nei panni altrui, si vanta fino a diventare quasi noiosa e sembra esibire delle rischiose manie di onnipotenza. E Molly non può neanche stare zitta e fingere di non sentirla; in un certo senso, ridimensionarla è diventato il suo compito, e poi francamente si preoccupa di cosa potrebbe succederle quando si comporta così. Ha capito che è una sorta di meccanismo di autodifesa, un modo per non dover affrontare il fatto che certi aspetti delle persone le risultano assolutamente incomprensibili. È pericoloso. Però ormai ha capito come gestirla, e all'occorrenza mette una sorta di pilota automatico e le cose filano sempre più lisce.

Tuttavia è inevitabile: arriva il giorno in cui Molly si arrabbia sul serio.

Come ci si sarebbe potuti aspettare, si tratta di un motivo stupido, o magari di un insieme di motivi stupidi esplosi all'improvviso in un lite, cosa che i motivi tendono a fare, a volte.

È che Molly è stanca, capite. Ha avuto una giornata francamente orrenda e il fatto che Irene stia ostentando verbalmente da ore il suo disprezzo nei confronti dell'umanità non contribuisce certo a migliorare il suo umore. In questi casi, la cosa migliore da fare è ignorarla e ritirarsi in un angolino felice e tranquillo della propria mente, ma dopo una tirata particolarmente offensiva sulla mediocrità delle persone in generale Molly non può impedire a se stessa di esclamare, in tono seccato:
“Dai sempre la colpa agli altri! Non ti è mai capitato di pensare che magari ogni tanto anche tu sbagli da qualche parte?”

Irene si blocca. È un processo affascinante da osservare: la sua energia febbrile, diretta fino ad ora contro la popolazione mondiale in generale, sembra arginarsi temporaneamente, decidere che direzione prendere, e riversarsi tutta sulla persona che ha appena osato interromperla.

Quindi la colpa sarebbe mia? Stai dicendo che sono io quella sbagliata? Oh, che teoria originale, davvero, complimenti. Come se non me l'abbiano mai detto. Sì, ci ho pensato, sai, ho passato un periodo consistente della mia vita a pensarci, e sono giunta a questa conclusione: no, non sono io, siete tutti voi. Siete voi che non capite e vi sentite inferiori e cercate giustificazioni ovunque, tentando di proteggervi dalla vostra stessa inettitudine”. La sua energia si autoalimenta, i suoi occhi brillano, parla sempre più veloce. “Pensavo che almeno tu non ci saresti cascata, eppure”, le lancia uno sguardo di puro disprezzo che non dovrebbe farla sussultare e invece, “che delusione. La verità è che non riuscite ad accettare che qualcuno possa essere abbastanza intelligente da manipolarvi a piacere, non potete crederci, piccoli, sciocchi esseri umani”.

Quindi si tratta solo di questo”, dice Molly, sentendo un tono familiare nelle proprie parole, non credevo che mi fosse avanzata dall'adolescenza qualche traccia di sarcasmo, “e sicuramente non del fatto che prendi come un insulto personale il fatto di non riuscire ad immedesimarti nelle persone, anche se sei abbastanza intelligente da manipolarle. Senza contare che, per una che ci disprezza così tanto, sembra che ti importi un po' troppo di quello che facciamo e pensiamo di te. Certo, sciocco da parte mia pensare una cosa del genere, sono sicura che siamo noi ad essere piccoli e sciocchi e indegni della tua attenzione”.

Molly si sente piuttosto soddisfatta; ha il respiro un po' corto dopo la tirata, ma ne è valsa la pena. Irene la guarda incredula, come se non riuscisse a capacitarsi del fatto che qualcuno abbia osato contestarla.

Non hai capito niente”, sibila, e se ne va sbattendo la porta. Molly stringe le labbra e serra i pugni così forte da conficcarsi le unghie nel palmo della mano.

(Ne è valsa la pena?)

 

Due settimane dopo quella notte, Molly vede Irene perdere il controllo per la prima volta.

Sa che è in casa sua prima di aprire la porta: c'è luce che penetra sotto la porta, e poi la percepisce, è come se riuscisse a prevedere la sua presenza. Si dà un contegno ed infila le chiavi nella serratura.

Non riesce a capire da quanto tempo Irene stia camminando in cerchio nel suo ingresso, torcendosi le mani; troppo tempo, comunque: appena la vede le salta al collo, aggrappandosi a lei e spingendola contro la porta. Molly le accarezza i capelli, mormorando alternativamente sst e va tutto bene.

No, non va tutto bene”, dice lei, con forza, ritraendosi ma continuando a stringerle una spalla con la mano destra, come a non voler interrompere il contatto, “tu non capisci. Come fai a non capire? Io non faccio così. Io scappo. Quando qualcosa è scomodo, e fa male, e non posso impedirlo, scappo. Perché dovrei sopportarlo, quando ci sono milioni di altre cose che potrei fare? Cose che potrei fare meglio, e che mi darebbero più soddisfazione? Eppure”, e qui abbassa la voce, appoggia la testa sulla spalla di Molly, “eppure. Sono qui. Col cavolo che va tutto bene”.

Molly non capisce se il suo cuore si stia allargando o stringendo a dismisura; è una sensazione strana. In ogni caso, abbraccia Irene finché non si è calmata e poi le prende il viso tra le mani cercando di essere solida, lo scoglio in mezzo alla tempesta, e le sue labbra sono morbide e certo, certo che va tutto bene.

 

(“Hai ragione”, dice Irene un po' dopo, a bassa voce, tanto che Molly fa quasi fatica a sentirla. “Non vi capisco. Perché non vi preoccupiate di problemi importanti, perché vi esaltiate per delle inezie. Non capisco. E non mi piace non capire le cose”.

Molly ci pensa per un po'. Poi, lentamente, sussurra:
“Anche tu hai ragione. Cerchiamo in ogni modo di proteggerci dalle nostre debolezze, dandone la colpa a qualcun altro, o semplicemente ignorandole. E sì, è una cosa stupida da fare”.

Quindi hanno ragione tutte e due. Chi l'avrebbe mai detto.)

 

(Mettiamo le cose in chiaro: Molly non è stupida. Di nuovo, sa benissimo che lavoro fa Irene, e sa ancora meglio che è assolutamente inutile essere gelosa. Però non può fare a meno di sentirsi intimamente soddisfatta quando pensa, nessuno di loro la vedrà mai così, però, spettinata e senza trucco e con le borse sotto agli occhi e con una maglia dei Pink Floyd troppo larga di tre taglie che ha scovato da qualche parte nel mio armadio. Nessuno assisterà mai alla sua gloria, o almeno, non a questa).

 

Perché non sei rimasta con lui?”, chiede Molly un giorno, a bassa voce, sentendo il calore del suo stesso respiro solleticarle le labbra contro la spalla di Irene.

Lei tace; non c'è bisogno di chiedere a chi si stia riferendo. Sospira e si mette più comoda.

E tu perché me lo chiedi? Come mai hai bisogno di saperlo?”

Molly potrebbe rispondere, perché così non farò i suoi stessi errori e se proprio non potessi evitarlo almeno sarò preparata e non passerò mesi ad ascoltare canzoni tristi e non avrò il cuore troppo spezzato.

Molly potrebbe rispondere, ha una risposta, ma è inutile perché la conoscono entrambe, quindi si limita a girarsi su un fianco e a guardare Irene e ad aspettare, senza metterle fretta.

Perché mi ha salvata”, risponde dopo un poco, lentamente. “Cioè, non fraintendermi, ero in una situazione decisamente scomoda e avevo davvero bisogno di una mano e tutto, ma sapevo come sarebbe andata a finire se fossi rimasta. Mi avrebbe salvata ancora una volta, due, dieci, cento, mille, perché è questo che fanno, stupidi uomini, protettivi e gelosi, accidenti a loro. Io mi ci sarei abituata – perché è facile abituarsi ad essere salvati – e allora addio. Sarebbe stata la mia fine”. Rabbrividisce – allora questo pensiero la spaventa veramente. I do not fear death, but a cage²...

Non ho nessun bisogno di essere salvata”, conclude, scrollando le spalle e rifiutandosi di guardare Molly in faccia, Molly che la ascolta attentamente, Molly che capisce, Molly che si stringe al suo fianco e appoggia il viso alla sua spalla e chiude gli occhi.

Hai un enorme bisogno di essere salvata”, mormora, “ma non lo lasceresti fare a nessuno e onestamente se così non fosse non saresti più Irene Adler e non saresti magnifica neanche la metà di quanto sei ora”.

Silenzio.

E allora come faccio?”. È poco più di un bisbiglio, mischiato a una specie di risata. “Perché, sai, hai ragione. Ho un enorme bisogno di essere salvata”.

Molly non smette di sorridere ma apre gli occhi e la guarda in faccia.

Beh, tesoro, mi sembra ovvio. Ti salvi da sola”.

E Irene ride e ride e ride e paradossalmente non si è mai sentita più salvata.

 

Certo che è una cosa da non dormirci la notte; cosa che Molly fa, a volte, perché è una persona sensiBBile e ha i bioritmi tendenzialmente sballati. Quindi se ne sta sveglia per ore a fissare gli occhi chiusi di Irene e ad ascoltare il suo respiro tranquillo, sperando di poterla imitare presto. A volte scrive la domanda nel palmo della sua mano, una dieci cento mille volte, sperando che entri nel suo subconscio e la spinga a darle una risposta. Perché io? Perché io? Perché io perché io perché io perchéioperchéioperchéper....

Tu non lo sai”, sussurra Irene una notte, mentre Molly sta per addormentarsi a metà di una parola. “Tu non lo sai, ma io ti conosco da molto più tempo di quanto tu creda. Ti seguivo da mesi. Non sei stata tu ad accorgerti di me, sono stata io a lasciartelo fare. Se non avessi voluto farmi scoprire, tu non avresti mai avuto neanche un sospetto. Ma io ti seguivo da mesi”.

Silenzio. Molly non dice niente, cerca di respirare regolarmente, forse finge di dormire. Non parla.

Ti vedevo fare un sacco di cose. Ti vedevo faticare ad alzarti la mattina e arrabbiarti per aver fatto raffreddare il caffè e ridere con le tue amiche al telefono e aiutare le vecchiette ad attraversare la strada e ingoiare le lacrime quando Sherlock faceva qualcosa che ti faceva stare male e ingoiare le urla quando un'ingiustizia ti faceva arrabbiare e tanto, tanto altro. Il sorriso che hai quando leggi un libro, il modo in cui cerchi di non mangiarti le unghie quando sei nervosa. Come ti addormentavi senza spegnere la luce quando eri troppo stanca. E non penso...”, e qui si ferma per un attimo, inghiotte saliva, riprende a voce ancora più bassa, “non penso che si possa conoscere una persona a questo modo, tutte le sue piccole manie, le sue insicurezze, le sue gioie, senza...”

Senza?”

Irene apre gli occhi. Ha un'espressione quasi dolente, spaesata. Si agita, a disagio.

Lo sai”.

Lo so?

Allora Molly, non osando dire quello a cui sta pensando, scrive una parola sul palmo della sua mano; una parola corta, semplice, usata spesso con troppa leggerezza. Difficilissima.

Non ottiene risposta, solo due occhi chiari che la scrutano per un lungo momento e poi si chiudono.

La parola più difficile del mondo.

Lo so?

 

(Forse – forse – forse sì.)

 

La questione viene definitivamente risolta una sera in cui Irene passa due ore a parlare di quanto siano noiosi e prevedibili i ragazzini di buona famiglia e, alternativamente, a canticchiare Needing/Getting degli OK Go, pezzo che Molly non riuscirà mai più ad ascoltare in vita sua perché ne ha ufficialmente fatto indigestione.

Ad un certo punto, però, si accorge che Irene ha smesso di parlare e che la sta guardando con un'espressione a metà tra il pensieroso e l'ironico.

Chi te lo fa fare?”, le chiede, quando si accorge di aver attirato la sua attenzione. “Di sopportarmi, intendo. Non dev'essere facile”.

No, non lo è. Irene è incostante e fuorviante e spesso di cattivo umore e a volte se ne sta in silenzio per lunghi periodi di tempo mentre altre volte parla così in fretta che è difficile starle dietro e ci sono giorni in cui sembra ignorare completamente le regole più semplici dell'educazione e della convivenza civile. Però.

Sai cosa vuol dire il tuo nome?”, chiede Molly, guardandola negli occhi. Irene annuisce.

È greco, significa “pace”. Abbastanza paradossale, non credi?”, e ridacchia.

No, non credo”, dice Molly, lentamente. “Sai, gli antichi romani dicevano una cosa che trovo intelligente. Si vis pacem para bellum. Se vuoi la pace, preparati a combattere. E si dà il caso...”, e qui si ferma per deglutire, forza, dillo, non è così difficile, “si dà il caso che io voglia la pace”. Irene.

E non hai paura di combattere”.

Ovviamente”.

Okay, è tutto molto imbarazzante quindi Molly pensa che adesso abbasserà lo sguardo e si guarderà le mani con aria estremamente interessata. Sì. Sembra un ottimo piano.

Salvo che qualche secondo dopo le sue mani diventano effettivamente molto interessanti perché Irene si è messa a giocherellarci e Molly è proprio costretta a guardarla in faccia e sta sorridendo – il suo sorriso vero – e non è più tutto così imbarazzante. Di nuovo.

Molly sbuffa. “Chi lo fa fare a te”, dice, ed ecco, senza accorgersene ha fatto La Domanda ad alta voce e da qui non si torna indietro. Glip.

Irene fa il suo sorriso furbo e sembra pensarci un po'. Poi comincia a raccontare una storia.

C'era una volta una ragazza che viveva con un vecchio ammiraglio in un'isola deserta. La ragazza era bellissima, ma credeva che il suo viso fosse stato deturpato da un bombardamento ed era molto grata al vecchio perché la faceva vivere con tutte le comodità in una casa completamente priva di specchi e superfici riflettenti. Solo che un giorno la ragazza si ammalò”.

Molly non capisce molto dove stia andando a parare, quindi si morde l'interno delle guance e ascolta.

Per curarla, il vecchio chiamò una giovane infermiera dalla terraferma, proibendole di parlare in alcun modo con la ragazza del suo aspetto. Ma l'infermiera pensava che fosse una vera ingiustizia, perché oltre ad essere bellissima la ragazza era molto intelligente e tenerla segregata in quella casa pareva un vero crimine. Quindi tentò in ogni modo di farle capire la verità, usando ogni genere di sotterfugi, visto che il vecchio la controllava costantemente. Lui però se ne accorse, e intrappolò anche lei sull'isola, senza che la ragazza lo sapesse; l'infermiera andava a trovarla ogni mattina, come al solito, e poi veniva rinchiusa in una stanza³”.

Pausa. Molly aspetta il seguito della storia, perché ehi, sta diventando appassionante.

pausa lunga. Irene sta fissando il vuoto con sguardo assente.

E quindi?”, la sollecita dopo un po'. Viene ricambiata con uno sguardo pensoso.

E quindi cosa?”

Come va a finire?”

Dopo un'ulteriore pausa, Irene si decide a rispondere.

Ci sono due finali possibili. Il primo: l'infermiera riesce con un espediente a rivelare la verità alla ragazza, insieme si vendicano del vecchio ammiraglio e passano il resto della loro vita a viaggiare per il mondo e insomma ad essere felici. E il secondo...”

Qui indugia per un altro po', alza la mano per giocherellare con una ciocca dei capelli di Molly, gliela mette dietro all'orecchio.

... il secondo. L'infermiera convince il vecchio ammiraglio di essere riuscita a rivelare la verità alla ragazza, e lui, disperato perché crede che lei non potrà mai perdonarlo, si getta da una scogliera. A questo punto l'infermiera lo sostituisce, va a vivere sull'isola e per il resto dei suoi giorni è l'unica a conoscere ed ammirare l'immensa bellezza della ragazza”.

oh. “Oh”, dice Molly, “capisco”.

Gli occhi di Irene la scrutano attentamente. “Davvero?”

E la cosa strana è che sì, Molly pensa di capire sul serio. Le è capitato, nel suo periodo da secchiona, di leggere delle opere di Platone, ed è rimasta colpita da come i miti disseminati un po' dappertutto nei suoi dialoghi riescano sempre a trasmetterti ed insegnarti qualcosa. Non si capisce cosa, non si capisce come sia possibile, ma, come la storia che ha appena raccontato Irene, lo fanno. Conducono ad un'illuminazione.

Per cui, “Sì”, dice Molly, “credo proprio di aver capito”.

Interessante”, sussurra l'altra, vicinissima al suo orecchio, il respiro che disegna brividi sulla sua schiena, e Molly si dimentica un po' come inspirare ed espirare.

 

La Questione non viene più sollevata, la Domanda mai più ripetuta; Molly sa, istintivamente, di aver ottenuto una risposta. Per quanto scomoda e confusa.

 

Qualche settimana dopo, Sherlock muore (circa), e Molly scappa.

Irene ci mette pochi minuti, sospetta, a trovarla, e circa un'ora a raggiungerla, seduta su una panchina di fronte alla Serpentine in Hyde Park.

Ciao”, le dice, accomodandosi vicino a lei. Molly emette un sospiro che non si era accorta di aver trattenuto.

Ciao”.

Rimangono in silenzio per un bel po', e il sole ha già iniziato a tramontare quando Molly si decide ad aprire bocca.

Avevi ragione, sai. Fuggire è liberatorio. Perché sprecare il proprio tempo a preoccuparsi di cose su cui non abbiamo nessun controllo, se possiamo evitarle e dedicarci ad altro? Non posso credere di non averci mai pensato”.

Ancora silenzio. Irene schiaccia col tacco i sassolini sotto le sue scarpe, producendo un rumore stranamente soddisfacente. Alla fine dice, piano:
“Potresti continuare a farlo, lo sai, vero? A scappare. Evitare tutti i casini in mezzo a cui ti mettiamo. Nessuno ti biasimerebbe per questo”.

Molly ride. “Certo, potrei”. Poi appoggia la schiena, piega il collo, guarda verso il cielo. “Chi l'avrebbe mai detto che la mia vita sarebbe stata così. Circondata da geni, criminali e geni criminali, disastri mediatici e sociopatici. Sono sempre stata convinta che avrei vissuto una vita tranquilla e modesta”.

Un angolo della bocca di Irene si solleva in un mezzo sorriso. “Che errore grossolano, da parte tua”. Poi, improvvisamente, la sua voce è vicina e urgente in modo quasi allarmante.

Dico sul serio, pensa ai rischi che stai correndo. È pericoloso. Qualcuno cercherà di farti del male, prima o poi”.

Molly si volta a guardarla, e la sua preoccupazione le fa stringere un po' il cuore.

Beh, allora”, dice, tranquilla, “dovrò cercare di dormire con un occhio aperto”.

Irene si morde l'interno delle guance, e Molly le appoggia la testa su una spalla, e rimangono così per un bel po'.

Chi l'avrebbe mai detto che la mia vita sarebbe stata così; ma non è una brutta vita.

Pace.

Il sole tramonta su Londra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Io ho questa (non tanto) segreta convinzione che ogni tanto Molly e John si ritrovino in segreto a bere un caffè e sparlare di Sherlock e di quanto a volte sia insopportabile (e di come incidentalmente ogni tanto rischi di far uccidere i suoi preziosi collaboratori) e che la cosa faccia sentire entrambi un po' meglio.

2. LotR rulla. Punto. (E i suoi fanboys/girls sono disseminati/e un po' ovunque :D)

3. Tristemente, questa storia non l'ho inventata io, ma la genialissima Amélie Nothomb, che l'ha esposta in Mercurio. Non consiglierò mai abbastanza di leggere la sua opera omnia. GENIO. (E inoltre, secondo me lei è in assoluto la scrittrice preferita di Irene, mentre Molly è una grande fan di Joanne Harris. INFORMAZIONI INUTILI PER DI QUA)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DPP:

I CAN'T WRITE FEMSLASH FOR CRAP. OTL

Bon adesso che l'abbiamo capito rassegnamoci vabbè ci abbiamo provato e ciao amici come prima. AAAAGHHH. Seriamente, I don't know how I feel about this. Ho bisogno di feedback perché sono confuuuusa (noo, non è un poco subdolo invito a recensire, macché, macché); cioè, rileggendo sta roba mi sembra un confuso misciotto di melensaggini e a volte cose vagamente intelligenti. AGH. Che stress.

(Che poi Irene è un po' l'Edward Cullen della situazione, se ci pensate, il che è spaventoso. MA spero che non gliene vogliate eccessivamente visto che a) è un po' autistica (nella mia testa) b) HA ALMENO IL CORAGGIO DI AMMETTERLO. Chiusa parentesi.)

Ah sì! Anche se a questo punto starete guardando lo schermo così: o.O posso dire almeno di avervi ripagati delle vostre sofferenze con tanta buona musica, come la canzone che dà il titolo alla storia o Dog Days Are Over o Her Morning Elegance o ancora Needing/Getting. YAY FOR THAT.

Bene. Penso di aver finito. Grazie infinite alla mia compagna di banco (anche se – si spera – non leggerà mai questa cosa), perché lei sa come si dice “fungo” in russo (io no) e perché mi ha detto che i lividi non si curano e ha avuto la delicatezza di non chiedermi PERCHÉ CASPITA LO VUOI SAPERE? E nel bel mezzo della lezione di storia, per giunta o.O

Se siete arrivati fin qui, GRAZIE, AILOVIUOLL, LEMME KNOW WHAT YOU THINK, etc. Shalom!

~ Callie

  
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