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Autore: LauFleur    02/05/2012    6 recensioni
Cercò le mani di suo fratello, che ancora gli stringevano il collo, e ci posò le sue.
Gli sembrò di aver trattenuto il fiato per vent’anni. Soltanto adesso poteva respirare.
Chiuse gli occhi.
“Questo.” sussurrò Sam. “Solo questo è vero.”
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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Tre mesi.

 

Dean non riusciva a dormire. Il timore di scivolare nel sonno e farsi trascinare per l’ennesima volta in uno dei suoi sogni malati era più forte della stanchezza. Aprì gli occhi, trovò il buio. Guardò a destra e cercò Sam. Disteso sul letto poco distante dal suo, girato su un lato, gli dava le spalle. Spalle ormai larghe, irrobustite dagli anni e dalla fatica, nascoste da una leggera maglietta bianca. Non si era nemmeno infilato sotto le coperte, si era limitato a buttarsi sul letto. Una cattiva abitudine che, forse, aveva preso da lui.

Lo sentì respirare, riconobbe il ritmo e l’intensità, e capì subito che era sveglio.

Il primo istinto fu quello di alzarsi, sdraiarsi dietro di lui, sentirlo vicino.

Chiuse gli occhi, si passò una mano sulla faccia per scacciare quel pensiero.

Rimase lì dov’era, tornò a fissare il soffitto. Sincronizzò il respiro con quello di suo fratello.

“Brutti pensieri?” chiese ghignando, e la voce risuonò nella stanza.

Sam, sveglio quanto suo fratello, aprì gli occhi. E anche lui fu costretto ad affrontare una battaglia. Combatté con la voglia di raggiungerlo, abbracciarlo, prenderlo a pugni, supplicarlo di restare. Ma, proprio come Dean, non si mosse. Rimase immobile sopra le coperte, con gli occhi spalancati sul nulla.

Invece di rovesciargli addosso tutte le suppliche che covava da mesi, disse “Ti manca casa?”.

Dean si stupì, preso in contropiede da parole che non si aspettava. Il ghigno sparì.

“Non dico la nostra casa a Lawrence,” aggiunse Sam. “Intendo… una casa. Quattro pareti, un tavolo, due sedie, un letto. Mobili e mattoni che sono lì per noi, a ricordarci che abbiamo un posto caldo e sicuro che ci aspetta. Niente Impala né sedili scomodi, niente radio né benzina. Solo… una casa.”

“Un posto dove poter tornare? Dove poter restare? Un posto che ci faccia sentire al sicuro, nonostante la merda che vediamo tutti i giorni?” chiese Dean, che aveva già capito tutto, che quella casa l’aveva addirittura vista e vissuta, che quella casa l’aveva sognata e, senza rendersene conto, desiderata.

“Sì… ti manca?”

Voltò la testa, tornò a puntare lo sguardo sulle spalle di suo fratello. Gli occhi si erano abituati al buio e poteva scorgere le vene sulle braccia tese, i capelli sparpagliati sul cuscino, la linea delle gambe, così lunghe che i piedi uscivano dal letto. Ripensò a tutte le volte in cui erano stati feriti, colpiti, insanguinati. Pensò a tutte le armi che erano stati costretti ad impugnare, a tutti i proiettili sparati, a tutte le lacrime che avevano dovuto ingoiare. E pensò anche a quella sensazione che aveva sempre provato quando il mostro di turno era stato sconfitto, quando l’incubo del giorno era finito, e loro due – insieme – tornavano in macchina. Si sedevano uno accanto all’altro, pronti a ripartire. E in tutte quelle partenze c’era sempre un ritorno. Un ritorno da lui. Un ritorno in un posto caldo, sicuro, che apparteneva soltanto a loro. Capì ciò che aveva sempre saputo: tutte le volte che era accanto a Sam, lui era casa.

Siamo a casa, Sammy.” disse.

Quattro parole che fecero subito sorridere il fratello minore, perché le aveva capite, perché erano state dette con una tale sincerità che era impossibile non crederci, ma con un’intensità che svelava che quella casa a breve sarebbe stata distrutta per sempre.

Dean chiuse gli occhi, sentì il respiro di suo fratello cambiare e seppe che stava piangendo.

 

Sam si svegliò prima dell’alba. La testa era pesante, gli occhi bruciavano, e realizzò due cose: aveva pianto tanto e aveva dormito poco. Nella penombra della stanza, distinse il profilo di suo fratello che dormiva sulla pancia, un braccio intorno al cuscino. Sembrava rilassato, tranquillo, gli sembrò addirittura di scorgere sulle labbra un sorriso. Un sorriso che contagiò subito anche lui. Non se la ricordava più, l’ultima volta che aveva sentito Dean ridere. Quella risata piena e contagiosa che lui aveva sempre amato.

Si trascinò fino al bagno, fece una doccia veloce e, facendo di tutto per non svegliare suo fratello e strapparlo dai sogni che sembravano dargli pace, si vestì. Recuperò le chiavi dell’Impala e lasciò la stanza.

Qualche minuto più tardi raggiunse un vecchio magazzino, sperduto e isolato in una zona industriale. Sapeva che era sicuro e abbandonato, perfetto per lui. Aveva già fatto un sopralluogo nel pomeriggio, mentre Dean era andato a comprare la cena e a informarsi su possibili nuovi casi. Fece scorrere la pesante porta di metallo, scese una rampa di scale e si ritrovò in una stanza umida, buia e spaziosa. In un angolo aveva già disposto tutto il materiale di cui aveva bisogno. Per prima cosa accese le candele, poi si chinò sul pavimento e iniziò a disegnare il cerchio, le linee, i simboli. Mischiò gli ingredienti in una ciotola e gli dette fuoco, un istante dopo parole latine ormai familiari riempirono la stanza.

Seguì ogni passaggio con la massima calma e concentrazione, accompagnato da un silenzio carico di aspettativa e dai suoi respiri profondi e regolari.

Si sedette sul pavimento, con le gambe incrociate. Si portò le mani congiunte sotto il mento.

Il demone non tardò ad arrivare. Apparve al centro del cerchio, un’espressione scocciata sulla faccia. Si ritrovò davanti Sam e lo guardò incredula. Il cacciatore ricambiò lo stupore: non si aspettava una ragazza minuta, con un viso grazioso e una cascata di capelli biondi che le ricadevano sulle spalle. Provò subito a fare qualche passo, ad avvicinarsi a Sam, ma rimase bloccata contro un muro invisibile. Si guardò i piedi e, sbuffando, notò il disegno.

“Spero che tu abbia davvero un buon motivo per tirarmi fuori da là sotto, Winchester.” La voce della ragazza tagliò l’aria come una lama affilata.

“Ho bisogno di alcune informazioni.” disse Sam con calma, scandendo ogni parola. Si alzò dal pavimento e si piazzò proprio davanti alla sua faccia, sulla quale danzavano le luci soffuse delle candele. “Se farai la brava bambina, potrai tornare subito in quel buco di merda dal quale ti ho tirato fuori.”

Il demone scosse la testa, un mezzo sorriso arrogante sulle labbra.

“Voglio il nome del demone che detiene il contratto di mio fratello.”

La risata della ragazza risuonò nella stanza vuota e nelle orecchie di Sam.

“Sai di cosa sto parlando, vero?” insistette. “Mi conosci, sai come mi chiamo. E conosci anche lui. Sai del suo patto.”

“Oh… certo che vi conosco, cacciatore. Tutti vi conoscono.” disse aprendo le braccia. “E tutti sanno del patto che ha piegato e messo in ginocchio uno dei famosi fratelli Winchester.”

“Bene, perfetto.” continuò. “So chi ha stretto il patto, so che tutto è nato con il demone dell’incrocio. Ma non è lui che lo può sciogliere, giusto? Non funziona così.”

“Vedo che qualcuno ha fatto i compiti! Bravo il mio ragaz-“

“Dimmi chi ha quel contratto. Dimmi come si chiama e dove posso trovarlo.”

Il demone continuò a sghignazzare, guardandolo con un misto di curiosità e compassione. “Credi davvero che te lo dica, Sam?”

“Dimmi-dov’è-quel-fottuto-contratto!” urlò, perdendo la calma, arrivandole a pochi centimetri dalla faccia.

“Nervoso, Winchester? Che c’è, il ticchettio dell’orologio ti sta facendo impazzire?” sorrise. “I tre mesi che vi restano iniziano a diventare pesanti?”

L’espressione di Sam cambiò. Aggrottò le sopracciglia, gli occhi si riempirono di sorpresa e confusione. Ripensò a quando era tornato in vita, fece un calcolo veloce. Si sentì gelare il sangue, le orecchie iniziarono a fischiare. Gli sembrò che il cuore si fosse fermato, senza la forza di continuare a battere.

La ragazza se ne accorse subito, non si lasciò sfuggire nemmeno una sfumatura di quel cambiamento. Alzò un sopracciglio, spalancò la bocca, e ricominciò a ridere.

 

 

Il rumore delle chiavi nella serratura lo scuotono dal torpore. È disteso sul divano, davanti alla televisione, con il telecomando in una mano e una bottiglia di birra che si sta per rovesciare nell’altra. Spalanca gli occhi, si passa una mano sulla faccia, posa la birra sul pavimento e aspetta di vederlo.

E lui arriva, dopo essersi chiuso la porta alle spalle ed essersi tolto il cappotto.  Entra in soggiorno, lo vede e gli sorride. Un sorriso spontaneo, luminoso, improvvisamente spogliato della stanchezza.

Indossa un abito blu scuro, una camicia bianca, la cravatta a righe.

È vestito da federale, pensa Dean, chissà se ha scoperto qualcosa sul caso. E subito dopo un altro pensiero, più nascosto: non gli ho mai detto quanto gli sta bene, quel vestito scuro.

Ma poi vede la ventiquattrore lasciata cadere sulla poltrona, nota la faccia stanca ma pulita di suo fratello, un’espressione soddisfatta lontana secoli e chilometri da uno dei loro soliti casini.

E capisce.

“Tutto bene in ufficio?” si sente domandare a Sam.

Passandosi una mano sul collo e muovendo la testa per farlo scrocchiare, si avvicina al divano su cui è sdraiato Dean. “Sì,” risponde. “ma il lavoro è tanto. Bello, appassionante, ma tanto.”

Dean, vedendolo arrivare, si mette seduto e fa cenno a Sam di sedersi sul pavimento, tra le sue gambe. L’altro obbedisce con un sorriso.

“Non ti avevano avvertito alla Stanford che avresti dovuto sudartelo il tuo bello stipendio?” gli chiede scherzando, iniziando a slacciargli la cravatta da dietro.

“No, mi hanno soltanto insegnato come morire su una pila di libri più alta di me.” Raggiunge le mani di Dean e finisce di slacciarsi la cravatta. Si toglie anche la giacca. “Tu invece? Tutto bene in officina?”

“L’Impala continua a darmi problemi. Ma vincerò io… quella bellezza non mi può abbandonare.”

Sam ridacchia, ma smette quando sente le mani di Dean intrufolarsi nel colletto della camicia, fare pressione sul collo, allentare con un massaggio la tensione che aveva accumulato durante la giornata. Chiude gli occhi e si gode quell’indescrivibile sensazione.

“Dio, Dean…” sussurra, la testa che lentamente si lascia cadere all’indietro. “…le tue mani.”

“Shh” lo zittisce. E continua a premere le dita sulla sua pelle.

Dopo qualche minuto di silenzio, Sam domanda all’improvviso, “Te lo chiedi mai?”.

“Cosa?”

Sam si volta, mettendosi in ginocchio tra le gambe di suo fratello. Gli punta gli occhi addosso.

Dean non molla la presa sulle sue spalle, continua ad accarezzarlo.

“Come sarebbe stata la nostra vita, se avessimo davvero trovato papà.”

“Ogni giorno.” risponde, la voce ad un tratto più cupa.

“E…?”

“E non lo so.”

“Saremmo sempre dei cacciatori? Sarebbe ancora quella la nostra vita?”

“Non lo so, Sammy. Ma di sicuro non saremmo qui. A casa nostra, io e te.” Adesso le parole sono un sussurro. “So soltanto questo.”

Dean sente le spalle di suo fratello tornare ad un tratto tese, rigide. E ha abbandonato la testa, appesantita dai pensieri, su una delle sue ginocchia.

Gli da una pacca sul braccio. “Forza, vieni qui.”

Sam si alza, Dean si distende. Gli fa posto accanto a sé sul divano, con un braccio disteso pronto ad accogliere la sua testa. Suo fratello lo raggiunge, abbracciandolo, circondandogli la vita. Dean allunga la mano libera e gli accarezza la guancia, il collo, i capelli.

“Grazie, Dean.” sussurra.

Continua a coccolarlo per qualche minuto, poi sente il respiro appesantirsi e sa che si è addormentato. Sorride.

“Ti amo, Sammy.”

 

Nello stesso istante in cui nel sogno si lasciava cadere insieme a Sam nell’incoscienza del sonno, nella realtà si svegliò. Si mise seduto, consapevole che non sarebbe riuscito mai e poi mai ad abituarsi a tutto ciò che vedeva e sentiva quando chiudeva gli occhi. Ma, nonostante quella consapevolezza, la cosa più dolorosa fu ritrovarsi in una stanza spoglia, anonima, estranea. Fece fatica a lasciar andare l’altra vita, a lasciar andare quella nuova e improbabile versione di se stesso. In un modo per lui incomprensibile, si era quasi affezionato a quell’invenzione. Ebbe una punta di fastidio alla bocca dello stomaco e riconobbe la nostalgia. Nostalgia per qualcosa che non aveva mai avuto, e che non avrebbe mai potuto avere.

In quel torpore confuso tra sogno e realtà, si ritrovò a chiedersi dove fosse, quel Sam Winchester in giacca e cravatta, che torna a casa dal lavoro dei suoi sogni, stanco e soddisfatto, e cerca lui.

Poi alzò lo sguardo e lo vide.

Seduto sulla sedia davanti al letto, le dita premute sulle tempie e due occhi di fuoco che lo puntavano. Gli bastò un secondo dentro quegli occhi per capire tutto quello che il fratello stava provando: rabbia, dolore, delusione, disperazione. Ma non sapeva il perché.

Non aprì bocca, non chiese nulla. Non ce n’era bisogno, Sam sarebbe scoppiato a momenti.

E così fu.

“Un anno,” sibilò. “un fottutissimo anno.”

Ah, quello. Aveva scoperto la verità.

“Sam,” iniziò, con tutta la calma che riusciva a mettere insieme.

“Un-fottutissimo-anno!” esplose, alzandosi in piedi. “Che cazzo ti passava per la testa, Dean? Come hai fatto ad accettare? Come hai potuto tenermelo nascosto?”

“Come l’hai scoperto?” gli chiese, ancora seduto tra le lenzuola.

“Ha importanza?” urlò. “A chi cazzo importa come ho fatto a scoprire che mio fratello morirà tra tre maledettissimi mesi?”

Dean si passò una mano sulla faccia, chiuse gli occhi. Provò a fingere che quelle parole non lo stessero squarciando, provò a convincersi che quel dolore che sentiva nella voce di suo fratello non li avrebbe distrutti entrambi.

“Lo sai quanti sono tre mesi, Dean?” aggiunse, con le lacrime agli occhi. “Niente, non sono niente! Non abbiamo niente!”

“Sam, calmati.”

“No, porca puttana, non mi calmo!” Un altro boato, e poi si aggrappò allo schienale della sedia, piegato in due, scosso dalle lacrime. Continuò a singhiozzare a testa bassa. “Non capisci.”

Dean si staccò dalla testiera del letto, afferrò le coperte e le scaraventò lontano. Si mise seduto ad un lato del letto, in boxer e maglietta, i piedi congelati a contatto con il pavimento freddo.

“Invece sono l’unico che può capirti, lo sai.”

Sam alzò la testa e lo guardò. Quando Dean si specchiò nei suoi occhi capì che non si sarebbe mai perdonato. Non c’è perdono se riduci la persona che ami di più al mondo in un cumulo di macerie. Allo stesso tempo, sapeva di aver fatto la cosa giusta, ne era convinto, e, tornando indietro, avrebbe ripercorso esattamente gli stessi passi.

“E allora perché?” Aveva smesso di urlare, di sbraitare. Adesso era solo disperazione fatta persona, che parlava e si muoveva. “Perché mi fai questo? Perché mi lasci?”

“Sam, vieni qui.” disse, dopo un respiro lungo una vita.

Suo fratello si trascinò fino al letto, lo raggiunse e s’inginocchiò davanti a lui, tra le sue gambe aperte. Per Dean fu una coltellata al cuore rivederlo lì, così vicino, ma – adesso – così maledettamente lontano. Non sapeva perché, e in quel momento non si sforzò nemmeno di capirlo, ma aveva voglia di poggiargli le mani sulle spalle, accarezzarlo, fargli sapere che era ancora lì, con lui. Era lì per massaggiarlo quando tornava a casa, per rispondere alle sue domande sul passato, per abbracciarlo e sentirsi dire grazie. Ed ebbe voglia di chiederglielo davvero: che sarebbe successo, Sammy? Che sarebbe successo a noi due, lontani da questo schifo?

E invece disse semplicemente, “Scusami.”

Sam crollò, lasciò cadere la testa sulla spalla dell’altro.

“Scusami, Sam.” ripeté. “Perdonami.”

Gli prese la testa tra le mani, chiuse gli occhi e disse quello che non aveva mai voluto ammettere nemmeno con se stesso.

“Non voglio morire, Sammy. Non voglio andare all’inferno. Non ti voglio lasciare.”

Appoggiò la guancia sui capelli di suo fratello. Non riusciva a pensare a niente, sentiva la testa svuotata. C’erano soltanto loro due. Loro e quelle parole, finalmente libere, che ripeté ancora una volta, “Non ti voglio lasciare”.

Sam permise alle lacrime di rigargli le guance, le lasciò scivolare senza fermarle. Ad occhi  chiusi, si godeva la vicinanza di suo fratello. La sensazione della sua pelle sulla sua, delle sue mani nei suoi capelli. E, insieme alle lacrime, sentì scivolare via tutto il resto. La paura, la vergogna, tutto quello che lo aveva sempre fermato, legato, incatenato. All’improvviso, seppe che era la cosa giusta. Giusta, semplice, facile. Non c’erano ostacoli, non più.

Spostò leggermente il viso, sentì le mani prendere vita. Afferrò la testa di Dean e, con il cuore impazzito che gli scalpitava nel petto, lo baciò.

 

 

Durò poco, qualche secondo. Pochi attimi durante i quali Sam si sentì finalmente vivo, e Dean capì che tutto stava crollando. Quella vita sbagliata che lo perseguitava nei sogni, adesso lo inghiottiva anche nella realtà. Era in un vortice di sorpresa e stupore. Gli sembrava di soffocare e, allo stesso tempo, di respirare per la prima volta in vita sua. E in quella spirale di confusione, riuscì a capire che l’unica cosa che doveva fare era staccarsi.

Si allontanò da Sam come se avesse preso la scossa. Lo spostò, si alzò dal letto e, come una furia, raggiunse la parte opposta della stanza. Si mise le mani tra i capelli, si coprì gli occhi, si sforzò di respirare.

“Sam…” rantolò, proprio come aveva fatto nel suo primo sogno. Il sogno. Ripensò alla doccia, al divano, a loro due insieme. Sentì il disgusto per se stesso riempirgli la bocca di saliva amara. “Che cazzo è successo?”

“Quello che doveva succedere.” rispose l’altro, pronto e tranquillo, come se si aspettasse quella domanda da una vita. Seduto sul bordo del letto, si passò una mano sulle guance per cancellare le ultime tracce delle lacrime. “Quello che ho sempre voluto che succedesse.”

“Sam!”

“Sempre, Dean.”

“Cristo santo!” La voce fu un boato, carico di rabbia e incredulità. Ignorò le sensazioni che aveva scoperto ultimamente, tutte quelle nuove emozioni portate dai sogni come alta marea, e urlò le parole che aveva sempre voluto urlare. Nella doccia o sul divano, nel sogno o nella realtà. “Sei mio fratello, mio fratello!”

“Cazzo, quanto odio quella parola!”

“Quale? ‘Fratello’? Perché è quello che sono, Sam. È quello che siamo.”

“Lo sai che non è vero! Almeno non solo… Dio, lo sai!”

“Ma che cazzo dici?” Camminava avanti e indietro, le mani sulla faccia, le dita premute sugli occhi. “E’ sbagliato, porca troia… sbagliato! E ti sembro gay?!” tornò a sbraitare, non riuscendo a darsi pace, non capendo se stesse parlando a Sam o a se stesso. “In tutti questi anni ti ho mai dato l’impressione di essere attratto dagli uomini?”

“No,” ridacchiò. “Certo che no!”

“Che cazzo ridi, Sam? Porca puttana, sei impazzito?”

“Vuoi sapere quello che siamo? Vuoi sapere ciò che è vero?” Si alzò e a grandi falcate si avvicinò a Dean, che lentamente – ormai nel panico – iniziò a indietreggiare.

“Che cazzo fai?” riuscì a bisbigliare.

L’aveva raggiunto, e Dean si sentiva tremare, respirava a fatica. Lui che decapitava vampiri senza battere ciglio, lui che affrontava fantasmi e lupi mannari senza scomporsi, lui che bruciava cadaveri e rispediva demoni all’Inferno, lui che non aveva esitato nemmeno davanti ad Azazel in persona, ora tremava per suo fratello. Moriva di paura davanti a lui.

Lo spinse, ma Sam non si mosse di un centimetro. Anzi, era ancora più fermo. E con quella fermezza gli afferrò il collo e lo avvicinò a sé. Fronte contro fronte, respiro contro respiro, libertà contro vergogna. Verità contro bugia.

Dean digrignò i denti. Gli girava la testa, sentiva le gambe deboli. Non sapeva dove guardare, non sapeva cosa pensare. Lì, in piedi con il suo Sammy così vicino, non sapeva nemmeno più chi era. Poi, per un attimo, cedette. Per un attimo minuscolo come un respiro, che lo tradì come nessuno aveva mai fatto finora, decise di non pensare. Decise di provare, di sbirciare come sarebbe stato: cancellare tutto tranne loro, fingere che fosse la cosa giusta.

Cercò le mani di suo fratello, che ancora gli stringevano il collo, e ci posò le sue.

Gli sembrò di aver trattenuto il fiato per vent’anni. Soltanto adesso poteva respirare.

Chiuse gli occhi.

“Questo.” sussurrò Sam. “Solo questo è vero.”

 

  
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