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Autore: delilaah    03/05/2012    23 recensioni
Prima vera e autentica storia scritta da me che pubblico su EFP. E coincide anche con la mia prima ff sugli One Direction.
Ognuno di loro sarà protagonista all'interno della storia anche se in maniera molto diversa l'uno dall'altro. Non ci saranno favoritismi per un personaggio in particolare, o almeno è quello che cercherò di evitare, e spero che possiate immedesimarvi il più possibile nella storia, nei dialoghi e soprattutto nei sentimenti descritti.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter seventeen: 
Blackout!

(part III)


Harry superò di corsa le porte scorrevoli del centro e raggiunse la camera di Alisha. Era in fuori tempo massimo, l’orario delle visite era finito da un bel pezzo, ma lui era preoccupato. Aveva corso sotto la pioggia per tutto il tragitto, non curandosi minimamente del freddo.
Raggiungendo il corridoio però, si sentì stupido vedendo che era illuminato dalle luci d’emergenza e tutto sembrava nella norma.
Entrò nella camera della ragazza senza preavviso, facendole prendere uno spavento.
«Logan! Ma che ci fai qui? Sei tutto bagnato! Ma ti sei rimbambito?» Esclamò Alisha, correndogli incontro.
«Volevo vedere se stavi bene..» Commentò Harry, con voce flebile, sentendosi ancora più stupido.
«Ma certo che sto bene! Non mi hanno lasciata uscire con questo casino, che pensavi? Dio mio, sei fradicio. Fradicio, Logan.»
Harry si guardò da capo a piedi. In effetti persino fradicio pareva un eufemismo fin troppo audace: la felpa, le Converse, i jeans, era tutto bagnato.
«Si.. Capita.» Rispose lui, facendo spallucce.
Alisha sorrise intenerita e poi prese un asciugamano dall’armadio, e glielo porse. «Senti, va in bagno e datti una ripulita. Fatti una doccia, quello che vuoi. Io vado da un mio amico in cerca di vestiti, non uscire dalla stanza! Se mi beccano, questa volta mi cacciano, sicuro!»
«Un tuo amico?» Replicò Harry, con una leggera vena di gelosia.
«Si Logan, un mio amico. Sta due camere più avanti, non fare il gelosone!» Gli disse Alisha, ridendo sfacciatamente.
«E se ti aspetto, fai la doccia con me?»
Alisha gesticolò con le braccia un enorme ‘no’ e si dileguò nel corridoio, senza aggiungere altro. Harry alzò le spalle, senza prendersela troppo. Se non altro lui una proposta l’aveva fatta.
 
«Ai signori nell’ascensore, vi prego di ascoltare attentamente. So che siete li da qualche ora ormai, non vi abbiamo mai persi di vista. I nostri tecnici stanno per ripristinare l’impianto della struttura e a breve saranno in grado di farvi uscire. E’ tutto finito.»
Julie, che se ne stava sdraiata per terra con la testa sullo stomaco di Louis, si alzò di scatto leggermente allarmata. Stava pregando il signore che la stanchezza le stesse tirando un brutto scherzo.
«Ci tirano fuori!» Esclamò Louis euforico, stampandole un bacio sulle labbra.
«Louis, fermati.» Lo interruppe lei prendendolo per le spalle, «Ho sentito bene?»
«Sentito cosa, Juls?»
«Quello che hanno detto. ‘Vi abbiamo tenuti d’occhio’ o quello che era. Che significa?»
Louis alzò le spalle, per niente preoccupato o turbato. «Boh, magari era un modo di dire, non lo so. Se ci fossero state delle telecamere avremmo almeno potuto dargli qualcosa da guardare, che peccato!» Esclamò poi, ridendo da solo.
«Quanto sei stupido! Ci manca solo che giriamo i filmini porno in ascensore. Ti prego!»
Louis continuò a ridere senza badare alla sua risposta convinto che, con o senza telecamere, il sesso in ascensore era una di quelle cose da fare una volta nella vita. O forse due, dipende tutto dal resoconto della prima volta.
Julie nel frattempo si guardò intorno, cercando di capire se qualcosa le era sfuggito. Cercò in ogni angolo dell’ascensore, in ogni singolo buco o ricamo della tappezzeria, ma non riuscì a trovare nulla. Per un secondo tirò un sospiro di sollievo.
Una volta in piedi, raccolse la borsa da terra e si mise a frugare dentro. Alzando lo sguardo poi, capì che qualcosa le era veramente sfuggito.
«Merda!»
«Cosa?» Esclamò Louis, tornando in se dopo la risata.
«C’è una telecamera.»
Louis si alzò in piedi e si avvicinò a lei, cercando di capire dov’era. «Non ci credo! Ci hanno guardati tutti questo tempo, senza dire niente.»
Julie si lasciò scivolare a terra per l’ennesima volta. Quante cose erano successe in quelle ore? Troppe. Lei e Louis. Lei, Louis e l’altra. Lei, Louis e la telecamera. Lei, Louis e tutti i tecnici che li avevano spiati dalla telecamera. Avrebbe potuto morire per la vergogna, decisamente.
«Signore, la preghiamo di smettere di salutare davanti alla telecamera. Possiamo vederla
Julie si voltò sconcertata verso di Louis e lui in risposta fece spallucce, sorridendo.
«Ti prego Louis, ti prego. E’ già imbarazzante così.» Borbottò Julie, sospirando per l’ennesima volta. Louis le diede una spintarella e poi le posò il braccio sulle spalle, stringendola di nuovo.
In quel momento calò il silenzio. Il ragazzo pensava a cosa avrebbero fatto una volta usciti di li, come sarebbe continuata questa ‘cosa’ che si era creata, come avrebbe fatto lui a gestire tutto il resto.
Erano domande, domande su domande e lui odiava porsi delle domande. Voleva soltanto prendere tutto così come veniva, senza pensarci troppo sopra. Julie, dal canto suo, rifletteva sulle stesse identiche cose, sapendo in cuor suo che forse un giorno avrebbe sofferto. Si voltò di nuovo e gli sorrise, quasi per evitare che capisse che nella sua testa c’erano un milioni di dubbi e di pensieri. Aveva paura di cosa avrebbe potuto risponderle se gliel’avesse detto, aveva paura di perderlo prima ancora di aver iniziato a stare insieme veramente.
«A che pensi?» Le chiese Louis, appoggiando la testa alla sua spalla per incoraggiarla nella risposta.
«A tutto e a niente.» Rispose Julie, mentre lo fissava negli occhi. Quante cose avevano da dire quegli occhi.
Quando la luce all’interno dell’ascensore ritornò chiara e forte come avrebbe dovuto essere, i due ragazzi capirono che la loro pseudo-prigionia era agli sgoccioli. L’ascensore ripartì qualche secondo più tardi e arrivò spedito al piano terra, come se non si fosse mai inchiodato a mezz’aria nei piani superiori.
Le porte si aprirono, e davanti a Louis e Julie comparvero una decina di tecnici tutta indaffarati e allo stesso sollevati. I due ragazzi si guardarono e si allontanarono in fretta e furia, sistemandosi i vestiti e raccogliendo le loro cose. Uscirono dalla cabina in un coro di applausi, con il sospetto che non tutti gli applausi fossero dovuti al lavoro dei tecnici finalmente portato a termine.
Louis fermò Julie qualche passo prima dell’uscita, prendendola per un braccio e dirigendosi con lei verso gli uffici ormai deserti.
«Louis, che fai?» Gli chiese Julie, mentre il suo povero braccio veniva strattonato.
Il ragazzo ridacchiò in maniera spavalda e, dopo essersi guardato attorno, si fermò e fece aderire la schiena di Julie al muro mentre lui si piazzava di fronte a lei.
«Dai, che stai facendo?» Continuò di nuovo la ragazza, un po’ allarmata.
«Ssh, zitta. Adesso che sei mia finalmente non vorrai salutarmi senza darmi un bacio come si deve.»
Julie sorrise e non rispose, lasciando che lui prendesse il sopravvento su di lei. Perché in fondo Louis era così: irresistibile, disarmante, travolgente. Con lui vicino sapeva di essere in balia degli eventi senza avere un minimo di controllo su di essi. Ma mentre lo sentiva baciarle il collo e risalire lentamente verso le labbra, si arrese al pensiero che quella era la cosa più bella che le fosse mai capitata.
E ora lei era sua e di nessun’altro.
 
Quando Alisha tornò nella stanza, posò la pila di abiti che aveva racimolato sopra al letto e si sedette, dondolando leggermente le gambe in attesa di Harry. Era un tantino troppo preoccupata: lei non era mai stata una di quelle persone che prendono le cose di petto. Preferiva valutare la situazione e agire di conseguenza, con calma.
«Ali, che cosa mi hai preso?» Domandò Harry dal bagno, urlando un po’ troppo.
«Una felpa e dei pantaloni.. Ti avverto, sono scoordinati, non lamentarti! E poi un paio di boxer, che mi hanno detto puoi tenere perché gli fa schifo se glieli restituisci, e una maglietta. Per le scarpe ci penseremo.»
«Come ci penseremo?» Esordì lui facendo sbucare la sua testa di ricci bagnati dalla porta, «Io ho bisogno delle scarpe! Devo camminare per tornare a casa!»
«Oh quante storie! Semmai ti presto le mie ciabatte, così stai sereno.»
Harry aggrottò le sopracciglia e si finse arrabbiato, mentre Alisha lo fissava e rideva di gusto. Era così bello sentirla ridere, aveva una delle risate più contagiose al mondo.
«Ok, ho quasi finito. Adesso esco.»
Alisha si alzò in piedi e gli allungò tutti gli indumenti attraverso la fessura della porta. Dentro al bagno c’era una quantità sovrumana di vapore che aveva inumidito i muri e aveva appannato la specchiera. Alisha intravide Harry alle prese col phon ma, da quello che poteva capire, il funzionamento di quell’aggeggio non era di certo il suo forte. Come se non si fosse mai asciugato i capelli prima d’ora.
Se ne stava li, a petto nudo, con questo asciugamano che scivolava dai suoi fianchi una volta si e una volta pure e in contemporanea cercava di asciugarsi i capelli, non riuscendoci.
«Forse è il caso che tu ti vesta prima..» Gli disse Alisha, arrossendo un poco e scostando lo sguardo per non sembrare indiscreta.
«Si infatti.. Prima o poi ci sarei arrivato.» Commentò lui, arrendendosi e appoggiando il phon sul mobiletto. Si voltò per un istante e vide che la ragazza continuava a fissare un punto morto nell’angolo della stanza, mentre il rossore delle sue guance non azzardava a sparire. Harry sorrise, intenerito.
«Cos’è, da quando in qua sei così pudica
La ragazza appoggiò i vestiti sulla copertura del water e poi incrociò le braccia, tenendo lo sguardo fisso nei suoi occhi e sforzandosi di non fissare quegli addominali estremamente invitanti.
«Ma senti, qualcuno in mia assenza ha sfogliato un dizionario. Come sei trasgressivo, Logan.»
Harry la spinse fuori dal bagno con fare dispettoso e poi le chiuse la porta in faccia, quasi a volerla privare di tutto quel ben di Dio. La ragazza scosse la testa divertita e accese la tivù, per ingannare il tempo. Prima ancora che potesse capire cosa stavano passando sul primo canale, si trovò Harry davanti già bello e vestito e con sguardo complice.
«Spigami una cosa..» Cominciò lui, «Com’è che qua avete la corrente?»
«Ti prego. Dimmi che non l’hai realizzato solo ora. Ti prego!» Gli rispose la ragazza, sfociando in una fragorosa risata. Harry si sentì stupido: in effetti solo in quel preciso istante aveva collegato il tutto, senza contare che aveva acceso la luce in bagno, aveva tentato di usare quel phon che funzionava per conto suo, aveva usato lo scaldabagno e entrando aveva notato i corridoi illuminati.
«No, è solo che mi sono ricordato di chiedertelo solo ora.» Si giustificò poi, tenendo sempre quell’aria da bambino imbronciato.
«Perché qui al centro non curano solo i disadattati come me che soffrono di amnesie. Qui ci sono anche ragazzini che vivono attaccati a delle macchine, e se le macchine non funzionano loro rischiano la vita. Quindi hanno un generatore indipendente che riesce a resistere per un bel po’ di ore, finché non torna la corrente e non si sistema il guasto.»
Harry si avvicinò e si sedette accanto a lei sul letto, prendendole la mano. Quando aveva quell’aria da saputella la trovava estremamente attraente. Come se tutta quella innocenza che ostentava non fosse già di per sé una tentazione troppo forte.
«Quanto sei colta, Alisha.» La schernì poi, cercando di non pensare alla voglia intensa di strapparle i vestiti di dosso, ora e subito.
«Quanto sei idiota, Logan.» Rispose lei, tirandogli un buffetto.
Harry distrattamente tirò su col naso e poi appoggiò la testa alla testiera del letto, senza mai lasciarle la mano. Aveva un sacco di cose che gli frullavano per la testa e che moriva dalla voglia di sapere, ma non voleva sembrare sfacciato ed invadente.
«Come va con la terapia?» Chiese in maniera timida e pacata.
«Male, non mi serve a granché. Mi fanno pensare a cose che nemmeno so di aver fatto e non è che possa migliorare, devo solo aspettare e forse sperare in un miracolo.»
«O forse ricostruire i tuoi ricordi.»
Alisha si voltò, stranita dall’affermazione che l’aveva presa in contro piede. «Che intendi?»
«Prendi tutte le cose che non ricordi. Se non le ricordi per te è come non averle mai vissute, no? Quindi chiedi di uscire da questo posto e vivi la tua vita da capo, come se fosse di nuovo la prima volta
Alisha si rese conto di quanto quelle parole descrivessero la realtà e di quanto lei fosse veramente terrorizzata da quella realtà. Perché infondo avere ricordi significava aver vissuto e, nel bene e nel male, aver fatto esperienza. Per lei l’esperienza era come se non fosse mai esistita. Per certi punti di vista era una neonata nel corpo di un’adolescente.
Si voltò un’altra volta e fissò Harry intensamente, notando quanto il suo profilo fosse in realtà poco perfetto ma estremamente bello allo stesso tempo. In realtà, tutto di lui era bello. Il sorriso, la risata, quelle buffe facce che faceva quando era confuso e quella scia di profumo che lasciava dietro di se quando usciva dalla stanza. Si chiese per quale motivo stesse esitando ancora, era una cosa stupida. Ormai era già innamorata.
«Sai cosa non ricordo per niente?» Ricominciò di nuovo la ragazza, maliziosamente.
«No, cosa?»
«La mia prima volta. Giusto per restare in tema.»
Harry irrigidì: era un colpo basso, la sua guardia era abbassata. Al contrario dei suoi pantaloni che erano ancora belli saldi ai suoi fianchi.
«Ma.. Si, insomma.. Sei sicura di averlo già fatto?»
Non poteva dire quanto in quel momento la sua voce si fosse d’improvviso fatta flebile per pronunciare quelle poche parole. Domanda lecita, ma imbarazzante per lui.
Alisha sorrise, divertita. Di poche cose poteva essere sicura veramente: del suo nome, della sua età, di quanto sua madre fosse apprensiva nei suoi confronti e di non essere vergine. Questo era poco ma sicuro.
«Logan..» Incominciò lei, posizionandosi audacemente a cavalcioni su di lui, «Non mi ricordo quando e come è successo, vero. Ma ciò non significa che io non sappia fare l’amore, anzi.»
Harry deglutì rumorosamente. Da una parte sentiva l’eccitazione scorrergli nelle vene, dall’altra parte sentiva quanto in realtà fosse sconvolto dalla sua repentina trasformazione in pantera. Così decise di riprendere il controllo di se e, oltre a quello, decise di prendere anche il controllo della situazione.
«Ma davvero?» Replicò Harry, spodestando Alisha e posizionandosi a sua volta a cavalcioni sopra di lei.
«Sta per succedere?» Chiese Alisha, mordendosi il labbro palesemente eccitata.
«Solo se tu lo vuoi.»
La ragazza gli sfiorò con un dito la guancia e poi passò una mano nei suoi ricci, arrivando all’altezza dell’orecchio per poi giocherellare con un boccolo più lungo degli altri.
«Lo voglio.» Gli rispose ancora, prendendolo per il collo della felpa e tirandolo pericolosamente a se.
Harry le baciò il collo, poi l’orecchio, poi scese di nuovo verso la scapola, la spalla, alzando di volta in volta i lembi della maglietta. Si ridestò e gli sollevò la maglia che le copriva l’addome, arrotolandola delicatamente fino a poco prima del seno. Incominciò a baciarle le pancia, centimetro per centimetro, risalendo man mano seguendo il segno del costato. Quando il reggiseno della ragazza diventò un ostacolo, le fece alzare e le sfilò la maglietta, poco prima di slacciare il reggiseno.
La ragazza, a sua volta, sfilò prima la felpa e poi la maglietta, scoprendo di nuovo gli addominali che prima aveva tanto bramato. Li toccava, li percepiva, li voleva. Alisha spostò la piccola catenina che Harry portava al collo e incominciò a baciargli la spalla, il petto, l’addome, i fianchi.
Erano una cosa sola. Due anime che si stavano finalmente fondendo e due corpi che si stavano finalmente toccando. L’eccitazione, la voglia, l’attesa, il desiderio impregnavano l’aria e la rendevano satura.
Era l’amore. Quello semplice e puro, quello forte e nitido. Quello che ti fa desiderare con tutta l’anima di assaporare anche per un secondo l’essenza dell’altro e che poi ti rende completamente dipendente da essa, quasi come fosse una droga.
Quando i due corpi nudi finalmente si toccarono, tutto il resto sembrò svanire nel nulla.
Stavano respirando amore. Lo toccavano, lo percepivano, lo volevano.
 
In quelle poche ore, oltre alla corrente, il blackout aveva portato via con se molte cose. Aveva fatto sparire le insicurezze, aveva cancellato le paure e aveva acceso le passioni. Perché in fondo quando si è circondati dalle tenebre, l’unico modo per salvarsi è trovare rifugio nell’abbraccio della persona amata. 



“You trick your lovers that you're wicked and divine,
You may be a sinner but your innocence is mine.

Please me, show me how it's done.
Tease me, you are the one.
I want to reconcile the violence in your heart
I want to recognize your beauty is not just a mask
I want to exorcise the demons from your past
I want to satisfy the undisclosed desires in your heart”

Undisclosed Desires - Muse


 


..... Sono stata via un po', me ne rendo conto.
- Dunque, ultimo episodio del capitolo 17. Le fatidiche tre parti sono finalmente concluse e prometto che non tirerò più colpi bassi come questo. Ribadisco: Harry non è il mio "preferito" quindi spero di essere stata anche questa volta all'altezza della situazione. Se non altro spero vi siate emozionate! Con questo considerate chiuso il capitolo blackout con eventi annessi e connessi, si guarda al futuro!
Bacioni,
Giuls.  
  
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