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Autore: crissi    06/05/2012    12 recensioni
Se Nanny si fosse rifiutata di accondiscendere il generale, andandosene a servizio altrove? Se avesse lasciato Oscar tutta sola a vedersela con l’educazione maschile imposta dal generale, senza che né lei né di conseguenza André, il suo punto fermo, potessero prendersene cura? Se André da piccolo fosse stato adottato da un nobile ed avesse mantenuto il suo carattere posato, ma spiritoso come da ragazzo? Se Victor non avesse dovuto sfidare Oscar diventando il suo innamorato, fedele, solitario vice? Se la bionda avesse scelto di non arruolarsi nella Guardia Reale, ma di ritirarsi ad Arras, arrivando a conoscere prima del tempo le condizioni di vita dei suoi contadini? Se questi due giovani uomini avessero saldato una amicizia ed Oscar ci fosse finita in mezzo? Ovviamente, più monelli, se non un poco libertini, in quanto ancora non conoscono la donna della loro vita, OOC per via delle diverse esperienze in gioventù e dello stato sociale.
“Re del mondo”, come Jack sulla prua del Titanic, quando la gioventù rende invincibili, quasi arroganti nella certezza di potere tutto, esponendosi di conseguenza. Tanti “se”, una sola grande svolta.” Con FAN ART
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: * Victor Clemente Girodelle, Alain de Soisson, Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I re del mondo - cap. 14 Illusioni perdute


Cap. 14: “Illusioni perdute”


Parigi, 6 settembre 1784


Oscar corse per Parigi, rallentando di tanto in tanto quando le fitte per i danni derivanti dalla caduta diventavano insopportabili; corse fino a quel vecchio palazzo, residenza del duca d’Orléans; corse attraverso quel vicolo che fiancheggiava i portici, fino alla scaletta dove era certa che avrebbe potuto trovare riparo.
Dovunque veniva strillata la notizia dell’assassinio del marchese di Fréville e le strade già pullulavano di soldati in cerca del colpevole. Non c’era un solo parigino che non lo sapesse.
Picchiò all’uscio della cantina.
Non ottenne risposta subito e presa dalla furia picchiò ancora.
- Bernard, sono io! Apri, maledizione! So che sei lì!
Dall’altro lato della porta chiusa, una mano fermò quella del cavaliere in nero, pronta a far scattare il chiavistello.
Lo sguardo del giornalista si incrociò con quello dell’avvocato.
- Ma … Robespierre! E’ Oscar! – esclamò piano.
- Lei capirà. – bisbigliò l’altro. – Ormai è compromessa e può solo mettersi da parte, cavarsela da sola e tacere per il bene comune. Un soldato deve essere in grado di sacrificarsi per un bene superiore. Questo bene è la Francia che merita di liberarsi della sua schiavitù. Oscar ne è consapevole. Capirà.

Oscar restò in ascolto del silenzio. Di quella serratura che non scattava. E ... capì.
Posò la fronte contro il legno, serrando gli occhi.
Ne avevano parlato tanto durante le loro cene del giovedì ad Arras, quando discorrevano di tutto, quando ipotizzavano una Francia diversa ed i modi per poterci arrivare, arrivando ad immaginare scenari di resistenza alla monarchia assoluta.
Era stata proprio Oscar ad insegnarglielo, così come suo padre lo aveva insegnato a lei: nessuno è più importante del fine ultimo.
Eppure…
Eppure era cambiata così tanto la sua vita durante quell’estate e quel concetto da freddo militare lo sentiva sempre più lontano da sé, sempre più ingiusto. Si lasciò scivolare lungo lo stipite della porticina, accosciandosi sui gradini in pietra del vicolo.
Prese la testa fra le mani.
Improvvisamente sapeva che tutto quel che l’attendeva erano la fuga, la miseria, la solitudine.
O, nel caso peggiore, la prigionia, anche la morte.
Era stata ad un passo dalla felicità completa e questo la faceva impazzire. Pensava che nulla valesse più la pena, che nulla valeva ciò che aveva perduto. E non si trattava di coloro al di là di quella porta.
Non stava rinnegando i suoi ideali, questo no; stava solo dando una misura al modo in cui aveva affrontato il mondo: stava guardando tutto da un passo di distanza.
“La vita è troppo breve per sprecarla in giochi di potere più grandi di noi …”, si disse.
Doveva allontanarsi da lì. L’istinto a sopravvivere faceva parte di lei, non si sarebbe arresa senza lottare.

Girovagando a vuoto, evitando posti di blocco, priva di una meta precisa, arrivò nel quartiere dove viveva André.
Una improvvisa, violenta pioggia si stava riversando su Parigi, abbassando la temperatura che lasciava presagire a breve l’arrivo dell’autunno.
Sì. L’estate era finita. Quei mesi durante i quali aveva giocato con le persone come un re che gioca a sentirsi dio.
Zuppa e grondante, strizzando lo sguardo infastidita dalle gocce che restavano intrappolate fra le sue ciglia, guardò in fondo alla via, la casa dove aveva passato momenti felici.
Tanto intensi, ma troppo brevi.
Irripetibili.
Aveva rovinato tutto.
Udì la porta del negozio del fruttivendolo all’angolo aprirsi con uno scampanellio ed una ragazza dalla voce cristallina uscì rimproverando quello che riconobbe come l’amico di André.
“… come si chiama? … ah, sì: Alain.”
- Adesso capisco perché hai voluto che ti accompagnassi a far compere: sono il tuo mulo da soma, sorellina! – esclamò il soldato che accanto alla ragazza minuta, pareva un gigante.
“Sorellina?”
- Smettila di lamentarti, fratellone! Il nostro amico André ha bisogno di rimettersi in forze e niente di meglio della buona cucina! Una bella torta di mele tanto per cominciare!
“Sorellina?? “
Ma … allora era la sorella di Alain quella che aveva visto alla finestra? André le aveva parlato di lei, di loro: erano diventati la sua famiglia.
Vide la coppia riparasi sotto la cerata militare di lui ed incamminarsi verso la loro casa, poco più in là di quella dei Plessis Bellière.
Non l’avevano vista, lì nell’ombra di un ingresso a ripararsi appena dalla pioggia scrosciante.
Sì sentì una stupida.
Dentro di sé sapeva che André non era tipo da ripicche, vendette, eppure aveva pensato che l’avesse sostituita con la facilità con la quale si cambia una candela consumata.
Lui non era così. Era lei quel tipo di persona.
- Sono una persona orribile … - sussurrò.
Vincendo la vergogna di sé, posò il piede nella via, diretta alla casa di André.





Il barone di Plessis Bellière entrò dal passo carraio, cavalcando veloce sotto la pioggia.
Aveva fatto tutto quel che aveva deciso di fare durante la notte appena trascorsa: la notte dei fantasmi passati, presenti e futuri.
Non era stato difficile: d’altronde, una volta prese certe decisioni, il grosso è fatto, resta solo una strada in discesa da percorrere.
Il notaio era rimasto sorpreso dalla sua richiesta, ma lo aveva accontentato, scrollando il capo come si fa quando si ha a che fare coi muli testardi o coi matti.
André soppesò la cartella di cuoio consegnatagli dall’ometto in nero che aveva curato la sua adozione. Era tutto lì. Esattamente come aveva richiesto.

Levò la sella al cavallo, lo splendore nero regalatogli da Oscar.
Sorrise fra sé. Era un miracolo che il quadrupede fosse tornato a casa da solo, illeso, la notte appena trascorsa, quando lui si era sbronzato in quella topaia vicino al Cimitero degli Innocenti e lo aveva perso.
Diede una pacca sul collo all’intelligente bestia, mostratasi più sensata del padrone, e si coprì con la mantella per attraversare la corte correndo.
Si sarebbe cambiato, avrebbe raccolto le poche cose necessarie poi sarebbe andato a spiegare tutto ad Alain, il quale avrebbe fatto resistenza, brontolato, imprecato, ma alla fine avrebbe ceduto, da quel sentimentalone che era.
E poi …
Alzò lo sguardo.
Il “poi” lo attendeva sotto il portico sul retro, accucciata, stretta per scaldarsi.
Alzò gli occhi su di lui, che saliva i gradini lentamente, incurante della pioggia, sorpreso di trovarla lì.
Gli occhi di lei erano lucidi, di un azzurro vivissimo, supplichevoli, disperati.
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L’uomo prese un fazzoletto dalla tasca e glielo porse con un sospiro.
- Grazie, André, ti ringrazio tanto … - mormorò Oscar, sfiorando appena le sue dita nel prendere la pezzuola.


***

Palazzo Fréville era un brulicare di uniformi.
Soldati mandati da Versailles entravano ed uscivano; in tanti davano ordini.
L’omicidio del ministro aveva gettato lo stato maggiore nel caos.
Il corpo era stato spostato in un’altra stanza al pian terreno dove l’impresa di pompe funebri si era già messa all’opera per rendere presentabile il cadavere ed allestire la camera ardente.
Camelia sedeva sulla poltrona ove si era accasciata immediatamente dopo che Fréville aveva esalato l’ultimo respiro. Ai suoi piedi, una chiazza rossa inzuppava un pregiato tappeto delle manifatture De La Savonnerie, rovinato irrimediabilmente.
L’abito rosa pallido era macchiato vistosamente di sangue, stretto a sé teneva ancora il cuscino che aveva utilizzato su Fréville ed il suo volto era spaventosamente terreo. In un angolo della stanza, Victor si teneva in disparte, silenzioso, severo, imperscrutabile. Furente.
Dall’ingresso si udì la voce tonante di Bouillè che domandava della marchesa.
Victor si avvicinò a Camelia ed afferrò il cuscino che lei non era ancora riuscita a deporre. Un cuscino dove un occhio attento poteva intravedere le fattezze di un volto dipinto dal sangue.
- Lascialo! – le intimò in un bisbiglio. – Lascialo! – ripeté strappandoglielo dalle mani e nascondendolo dietro a tanti altri cuscini simili sul divanetto, giusto un istante prima che Bouillè facesse irruzione.
Il generale tossicchiò per schiarirsi la voce.

- Marchesa, innanzitutto presento le mie sentite condoglianze per la vostra perdita e … - lo sguardo cadde su Victor. – Colonnello Girodelle, che ci fate voi qui?
L’ufficiale in azzurro, meno perfetto del solito e con la barba non rasata, scattò sull’attenti.
- Mi trovavo casualmente nei pressi e sono stato tra i primi ad accorrere, signore.
Il generale grugnì un appena percettibile assenso, sebbene poco convinto da quel “casualmente”.
- Avete visto l’omicida, Girodelle?
- Purtroppo no, signore. Il bandito si è calato dalla terrazza ed ha fatto perdere le tracce velocemente. Alcuni dei soldati lo hanno visto di sfuggita, ma forniscono descrizioni discordi.
Bouillè grugnì ancora.
- Madame, - disse rivolgendosi a Camelia – siete in grado di presentarmi una descrizione dei fatti?
Camelia alzò appena lo sguardo, come persa.
Victor intervenne ancora, incurante di irritare con ciò il superiore.
- Temo che madame la marchesa sia troppo sconvolta per poter fornire una versione precisa ed obiettiva dei fatti, signore. Abbiamo mandato a chiamare un medico. – Aggiunse in un bisbiglio a voler sottolineare lo stato emotivo della donna.
Il superiore grugnì di nuovo.
- Vedo che avete tutto sotto controllo, Girodelle. – ribatté ironico. – Fossi in voi, però, mi preoccuperei di quanto vi ha ordinato Sua Maestà: il tempo corre veloce.
Fece cenno al soldato al suo fianco.
- Trovatemi le guardie che erano presenti al fatto. Subito!
Uscì senza più rivolgersi a Camelia.
Victor le si accosciò accanto.
- Guardami! – disse perentorio. Quando ebbe la sua attenzione, addolcì il tono e proseguì. – Non dire nulla. Se serve, fingi un malore. Ricorda che sei una vedova, nessuno si aspetta di più da te! – ordinò - Lei dov’è? – chiese cambiando registro.
Camelia lo scrutò.
- Sei in pena per lei? – mormorò con le lacrime agli occhi.
- Sono in pena per noi, per tutti noi. – sottolineò – Sai dove è andata?
Ella distolse lo sguardo.
Victor prese il suo volto tra le mani e la costrinse a guardarlo ancora, gentile ma fermo.
- Se sai dove è andata, dimmelo. Non sto scherzando, Camì.



***

La giornata si faceva sempre più buia.
Nuvoloni temporaleschi continuavano ad addensarsi nelle brevi pause tra uno scroscio e l’altro e la sera arrivava veloce.

André aveva acceso le candele ed il caminetto nella sua stanza. Le aveva offerto una camicia asciutta e qualcosa da mangiare.
Seduta sul tappeto di fronte al fuoco, le lunghe gambe nude rannicchiate sotto di sé, Oscar si scaldava, finendo fino all’ultima briciola che aveva nel piatto.

André la osservava in silenzio, poggiato alla mensola del camino.
- C’entri qualcosa con quello che è accaduto al marchese de Fréville? – chiese all’improvviso.
- Qualcosa … sì. – disse masticando, tenendo lo sguardo basso.
- Che ne diresti di raccontarmi tutto dall’inizio?
- Non voglio coinvolgerti.
- Sono già coinvolto. – constatò pacato.
Oscar allora gli riassunse tutto: l’amicizia con Robespierre, la collaborazione con Bernard, il suo progetto di entrare nella cerchia di Maria Antonietta tramite un matrimonio con il comandante delle Guardie Reali. E poi l’occasione di rubare la mongolfiera per chiedere un riscatto, la sorpresa che gli inglesi portavano avanti un progetto simile; le carte di D’Eon; il ruolo insospettato di Camelia; le trame di Fréville … Omise un solo particolare: la notte con Victor.
André restò in silenzio, ostentando una tranquillità che non provava, fingendo di non sentirsi un pupazzo senza ruolo in quell’assurdo spettacolo di marionette.
- Credi di poter tornare a palazzo Jarjayes, a casa? – chiese.
Non la voleva lì!
Ella depose il piatto in grembo, mentre una lacrima scendeva e cadeva nella porcellana.
- Sei tu la sola casa che ho … - mormorò.
Si guardarono negli occhi.
Capì che non era stato lui il primo porto ove lei aveva tentato l’approdo e che il soccorso le era stato rifiutato.
- Devi lasciare Parigi, non hai altre possibilità. – disse André. – Ci hai pensato?
- Sì, Camelia potrebbe aiutarmi …
- La marchesa deve pensare a sé stessa e lo farà, come lo ha fatto Robespierre. Sei sacrificabile.
- No, lei ha obiettivi diversi... - mormorò ricordando come aveva difeso il primo marito.
- Non farti troppe illusioni. Comunque, domani cercherò un modo per farti allontanare. Ora possiamo solo riposare.
Si diresse verso il letto e si infilò sotto le coperte.
Oscar lo seguì e fece altrettanto.
- Spegni la candela quando ti sei sistemata. – disse freddamente, voltandole le spalle.
Non poteva aspettarsi altro, si disse Oscar soffiando sullo stoppino e coricandosi. Era già tanto che le rivolgesse ancora la parola.
E poi … Lui sapeva. La sua piccola omissione. Non c’erano dubbi.
Forse taceva perché aspettava da lei una richiesta di perdono.
Forse taceva perché la stava già perdonando.
Ma Oscar non poteva permettere che si addormentasse senza domandarglielo.

- André, io … mi sono fidanzata con Victor per i motivi sbagliati e sono stata con Victor, sempre per motivi sbagliati. Ed ho fatto tutto questo anche se sapevo chiaramente che mi volevi molto bene, che mi amavi. E’ mai possibile che tu possa amarmi ancora?
Per qualche istante si udì solo lo scroscio della pioggia, poi un tuono sordo. Infine arrivò il suo sospiro, rassegnato.
- Sempre. Io ti amo da sempre.
Si voltarono in contemporanea e lei si rifugiò nel suo abbraccio.
- Anch’io ti amo, André! Ti amo davvero … - pianse.
- Vedrai, ora nulla potrà più dividerci. – disse lui scompigliandole i capelli, stringendola forte; tutto quanto già dimenticato, il debito azzerato, perché sarebbe stato inutile combattere un sentimento che lì era e lì restava. – Domani troveremo un modo per andarcene da qui. Ed io verrò con te.





Dal centro della strada deserta, un uomo era rimasto a guardare la luce spegnersi.
Strinse la mano sull’elsa della spada, come sempre faceva quando si sentiva nervoso e combattuto. I bei capelli biondi resi piatti e scuri dalla pioggia; gli occhi sottili per la rabbia, per il dolore.
La donna che aveva scelto di sposare …
Il suo migliore amico …
Insieme.
Inequivocabile.
Eppure non riusciva a credere all’evidenza.

Chinò il capo.
Aveva bisogno di riflettere.
Del tempo concessogli dal sovrano restava ancora più di un giorno e lui ormai aveva tutto quanto gli sarebbe servito per soddisfare la richiesta.
Sapeva tutto o quasi.
Poteva dedurre ciò che non conosceva.
Poteva però fidarsi delle deduzioni di un’anima che si sentiva tradita su ogni fronte?
Di certo sapeva di esser stato raggirato da tutti coloro che aveva amato.
Poco, tanto … Non gli interessava in quel momento.

Pensare. Doveva pensare.
Perché in quel momento il frastuono del sangue che ribolliva, del cuore che martellava, metteva sotto silenzio la ragione.

Si avviò ed incrociò un uomo che si allontanava a passo svelto dall’angolo della villa.
Anche lui stava guardando la finestra la cui luce era appena stata spenta?
Per un istante pensò fosse André, vista la somiglianza.
Per un istante, si illuse che non fosse André quello che dormiva con la sua promessa sposa nel letto.
Ma per Victor De Girodelle era finito il tempo delle illusioni.
Sarebbe tornato a Versailles.
Avrebbe avuto tutta la notte per decidere cosa fare.
O cosa non fare.

- continua



   
 
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