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Autore: Lilmon    06/05/2012    1 recensioni
-La conosci quella strana sensazione, quando guardi in alto, al cielo? Vertigini...-
Genere: Avventura, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo III
Wanted

“Quando tutto ciò che t’interessa svanisce, è l’ora di scomparire anche per te”

La città di Calais con il suo immenso porto era già visibile all’orizzonte. Un grande insieme di punti luminosi di vari colori schiariva il cielo scuro di quella fresca notte primaverile, impedendo a poco a poco la vista delle stelle, la quale luce era ostacolata da quell’inquinamento luminoso. La stella polare però, nel centro del cielo, brillava come non mai, e il grande carro sembrava salutare Gerard che, ricoperto da un impermeabile grigiastro, stava ritto a poppa del traghetto con cui qualche ora prima era salpato da Denver. Il vento cercava tenace di strappare dalla sua testa, quasi calva ormai per l’età, il cappello nero stile fedora che aveva in testa. Così, mentre la mano sinistra era intenta a imprigionare il copricapo, la mano destra, sollevata rigidamente, tratteneva un piccolo vaso violaceo. Il vecchio stava piangendo, ma non sembrava triste, quanto più felice, alleggerito, finalmente libero. Una grande nube grigio-nera segnava il tragitto dell’imbarcazione, levandosi in aria quasi come la scia di un aeroplano.

Un trillo acuto risuonò in tutta la casa. Come ogni giorno anche quella mattina la sveglia squillò alle otto in punto. Il vecchio Gerard Palmer si destò con un fremito di panico poi, realizzato di trovarsi in casa sua, si portò le mani al volto e tirò un lungo sospiro. Allungò subito la gamba destra verso la parte destra del letto, ma la ritrasse subito poiché incontrò il gelido nulla. Contrasse tutti i suoi muscoli e poi scattò (per quanto può scattare un sessantenne) seduto. Ancora non convinto della sua solitudine in casa, si voltò indietro, ma trovò solo un letto vuoto e sfatto; un altro sospiro e fu pronto a spegnere la vecchia sveglia nera che continuava a suonare la propria infernale melodia. Ritraendo la mano dal comodino s’accorse di un portafoto d’argento caduto, fece per tirarlo su, ma quando le sue dita sfiorarono il freddo metallo le trasse subito indietro, chiudendo gli occhi. Infine, datosi una spinta e messosi le ciabatte, s’alzò e avanzò zoppicando verso il piccolo bagno azzurro, poiché i suoi muscoli erano freddi. Un microscopico lavandino, un gabinetto e una stretta doccia: queste le comodità presenti in casa Palmer. Lavatosi dunque i denti, decise che quello era il giorno giusto per farsi la barba. Aprì il mobiletto posto al di sopra del lavabo, dentro v’erano, oltre all’attrezzatura per radersi, anche svariate medicine e trucchi. Di tutto ciò solo un piccolo rossetto rosso colpì l’attenzione dell’uomo che non esitò ad afferrarlo con tre dita. Guardava quell’oggetto usato fino a poche settimane prima dalla moglie, e i suoi occhi sembravano voler riversare in esso tutto il suo odio, tutto il suo rancore, tutto il dolore che in quei giorni aveva provato. Preso dall’ira lanciò quel rossetto chissà dove, verso la camera da letto, infine, liberatosene, portò entrambe le mani al volto e scoppiò a piangere. –Che diavolo sto facendo?- sussurrava.

Stava per uscire di casa, era disceso prima dalle scale e poi aveva percorso tutta la cucina sino a giungere all’ingresso dell’abitazione, quando s’accorse che pioveva. Estrasse un ombrello dal portaombrelli ed aprì la porta. Scese i tre gradini che davano sul giardino, attraversò il sentiero lastricato di pietre grigiastre e salì in macchina. Una vecchia Bentley nera importata dagli Stati Uniti negli anni ’80. Il sedile di pelle ormai consumata sembrava sussurrare ogni volta che si sedeva al posto di guida, e a Gerard ormai quella vecchia scatola di metallo sembrava l’unica arcana confidente rimastagli in vita. Mentre l’accendeva spesso la salutava con dolci parole; così fece anche quel giorno. Mentre la guidava era solito raccontarle storie di vita passata, di giovinezza, esperienze di vita felice, alle quali forse essa non badava poi molto; comunque così fece anche quel giorno. Giunto nel centro di Liverpool, infine, si diresse alla stazione di polizia principale e, una volta parcheggiata Louise (questo il soprannome dell’autovettura), scese e s’avviò verso la gradinata di quell’edificio.

-Guarda John, c’è di nuovo il vecchio!-, disse un poliziotto non appena vide entrare Gerard nella stazione; -Non si da proprio per vinto...- rispose il poliziotto John al suo compare. –Zitti. Portate un po’ di rispetto sciagurati! Sarà pure in pensione ma è pur sempre un ex-ufficiale!-. Una figura aveva parlato da dietro le scrivanie dei due simpatici uomini. Era un personaggio enorme: taglia XL, baffi neri unti, occhi piccoli, faccione enorme e sopracciglia incolte. Stava fumando una sigaretta, i piedi appoggiati alla sua scrivania, la mano destra infilata per metà nei pantaloni, sotto la cintura. –Lucas-, disse Gerard facendo un cenno di saluto, poi riprese –Vedo che stai bene…-. Il comandante con un sospiro rassegnato s’alzò in piedi, s’avvicinò al vecchio e stringendogli forte la mano disse –Gerard…-. Il vecchio non appena lasciata la presa si pulì sul suo impermeabile: la mano di Lucas era tutta unta. –Seguimi-. I due entrarono in un piccolo gabinetto isolato, doveva essere lo studio dell’ufficiale, e si sedettero rispettivamente Gerard su una delle due sedie rosse davanti alla scrivania, Lucas sulla poltrona nera dietro. –Perché continui a tornare qua ogni lunedì Gerard? Te l’ho già spiegato parecchie volte…-; il discorso del poliziotto fu interrotto dalle parole del vecchio che chiese dirompente come un botto -L’avete trovato? -. Lucas incrociò tra loro le dita delle mani, appoggiò le gambe sulla scrivania in noce e distese la schiena –No, ma…-. Il vecchio s’alzò in piedi e sbatté violentemente un pugno sul tavolo, poi, con tono duro e severo, interruppe nuovamente l’ufficiale, dicendo –Almeno lo state cercando?-. Lucas iniziò a ridacchiare, poi ruotò la poltrona verso sinistra e con essa lui stesso. Rispose –Gerard… Sei stato anche tu un poliziotto, lo sai più di tutti come vanno queste cose… Noi non…-. Gerard s’era alzato in piedi, s’era avvicinato a Lucas e prendendolo per il colletto lo aveva alzato e sbattuto contro il muro. I loro volti erano vicinissimi, ma mentre quello di Gerard sembrava quello di un demonio, quello tremante di Lucas pareva più essere quello d’un agnellino. –Brutto pezzente di merda, tu devi muovere il tuo flaccido culo da questa cazzo di poltrona ed andare a cercare lo stronzo che ha ucciso mia moglie chiaro?-. Dalla sala contigua intanto i due poliziotti dovevano aver sentito tutto il forte rumore che era provenuto dal gabinetto, s’erano alzati e s’erano precipitati nella stanzetta. –Stai fermo stupido vecchio o sparo!-, diceva uno; -Immobile, immobile ho detto! Non far cazzate!- diceva l’altro. Lucas alzò le mani, Gerard lo aveva liberato, e stizzito disse –John, Arthur, giù le armi cazzo! Non vorrete sporcarmi la divisa di sangue per un piccolo litigio tra amici?-. Poi giratosi irato verso l’ex-ufficiale gli disse, trattenendo ogni singola goccia di furia, -Gerard, sei fortunato che siamo amici e tu sei il mio vecchio superiore; ma cazzo, smettila di venire ad intralciare il nostro lavoro! Non hai più l’età ormai! Sei in pensione, hai tanti di quei diavolo di soldi, fatti una vacanza, davvero ascoltami Gerard, fatti una vacanza…-, la mano unta dell’ufficiale s’era posta sulla spalla di Gerard, il quale scrollò tutto il corpo, e se ne andò, rispondendo ai suggerimenti di Lucas, –Fottiti stronzo-.

Quella notte come tutte le altre sere da qualche settimana a quella parte, Gerard si recò nel quartiere malfamato di Liverpool, aveva preso con sé la pistola che gli era stato concesso di tenere dopo la sua brillante carriera nella polizia inglese: ufficiale del distretto di Liverpool. Un titolo invidiato da molti poliziotti novellini. Faceva più e più volte il giro di quel quartiere, tra quelle strade buie, sporche e sudicie, dove oltre ai germi, pullulano anche i criminali, gli spacciatori, i drogati. Cercava indizi, tracce di quel lurido criminale che la sera del 3 Aprile 2007, in un vicolo tra la London e la Wilde all’uscita dal teatro Empire aveva tentato di rapinare lui e sua moglie. Gerard portava sempre con sé quell’arma, quella Colt Gold Cup Trophy di cui andava molto fiero. Gliel’aveva regalata il suo ex-ufficiale per la promozione, e la trattava come un gioiellino, sempre lì a pulirla e lucidarla per prevenire qualsiasi tipo di danno, anche il più insignificante. Nella sua testa scorreva quella sera: il rapinatore che tentava di strappare borsetta e collana a sua moglie, lui che tentava di difendere la moglie estraendo la pistola, il rapinatore che poi impauritosi e una volta sparati due proiettili dritti in ventre alla moglie, scappava per la paura, Stephanie che crollava ansimante tra le sue braccia, lui che cercava di fermare quel sangue rosso, caldo, infernale che continuava ad uscire a fiotti dall’enorme ferita, i suoi rantoli, i suoi occhi tremanti. Nulla avrebbe potuto fargli scordare quella tragedia, nulla, nemmeno la vendetta. Però Gerard, egli pensava che almeno quell’ultima sebbene non avesse potuto cancellare il suo dolore, avrebbe almeno potuto alleviarlo. Così da settimane si recava ogni lunedì mattina in stazione per sapere se vi fossero stati sviluppi nell’indagine, ed ogni singola sera, in cerca di qualche indizio, nel quartiere malfamato. Ma quella sera qualcosa catturò la sua attenzione di vendicatore errante, di aiutante della giustizia segreto, quasi di supereroe. Mentre guardava sul marciapiede della strada notò addosso ad un ragazzo (che doveva essere quasi sicuramente un drogato) la collana di sua moglie. Senza pensarci due volte, incredulo per ciò che aveva notato si catapultò fuori dall’auto, estrasse l’arma e la puntò alla testa del malcapitato il quale levò le mani e, non facendo nemmeno in tempo a dire –Ma che cosa?-, si sentì gridare nell’orecchio –Dove cazzo l’hai trovata questa collana? Rispondimi se non vuoi che il tuo fottutissimo cervello si spalmi su questo marciapiede! Dove l’hai presa questa collana?-. Il ragazzo impaurito sino alla morte rispose farfugliando –L’ho presa da un drogato morto, amico! Era morto stecchito per terra tra la spazzatura, amico! Se sapevo che la volevi te l’avrei data subito, amico, tieni cazzo ma lasciami in pace poi! Ti prego non ho fatto nulla; io ho solo fame capisci?-. Gerard prese la collana e, mentre il ragazzo crollava a terra in preda agli spasmi terrorizzato, salì di nuovo in auto. Portò quel pezzo di metallo alla guancia, quasi fosse la mano della sua amata, poi, resosene conto iniziò a piangere convulsamente.

Tornò a casa prima del solito quella notte, erano solo le tre. Pensava e ripensava al cadavere putrefatto dell’uomo che aveva rovinato la sua vita, la faccia mangiata dai vermi, il ventre rigonfio di putridume, tra la spazzatura e magari anche le feci degli animali. Quest’immagine regnava nella sua mente, e quello che provava non era sollievo, neppure il più minimo alleviamento delle sue sofferenze; quello che provava Gerard quella notte era angoscia. Dalla morte di sua moglie il suo scopo nella vita era divenuto trovare quell’uomo, ed ora che lo sapeva morto, cosa gli rimaneva? Il nulla, proprio lo stesso nulla che lo accompagnava a letto la notte, il nulla che trovava al suo risveglio ed il nulla che avrebbe aleggiato nella sua vita da quel momento fino alla morte. Girava per la casa senza meta, le mani premevano sulle tempie che sembravano voler esplodere da un momento all’altro. Ma ad un certo punto sbatté contro un mobiletto di vetro al centro del soggiorno. -Cazzo!- risuonò in tutta la casa. Quando però Gerard abbassò lo sguardo verso l’odiato mobile vi trovò sopra una rivista dell’agenzia di viaggi. La prese subito, l’aveva riconosciuta, era la rivista su cui Stephanie aveva trovato quell’inserto. E appunto il suo sguardo si fermò tra due pagine, dove era posto un segnalibro giallo, il titolo dell’articolo recitava “Parigi, mon amour”. –Mi piacerebbe tanto visitare Parigi tesoro, attraversare questo braccio di mare blu che ci separa dal resto dell’Europa, uscire per una volta nella vita almeno da questa triste isola-. Si ricordò delle parole di sua moglie e in quello stesso istante prese una decisione –Io ho perso tutto amore mio, ho perso tutto. Nulla mi tiene legato più a questo diavolo di posto. Ti prometto amore mio che ti porterò via da qua-. Parlava così davanti a quella pagina di giornale. Poi, preso da un’energia insormontabile, corse al piano di sopra, buttò in un borsone dei vestiti, prese documenti e soldi e si lanciò fuori di casa, la chiuse per bene e poi prima di voltarsi ed entrare in Louise disse –Che cosa sto facendo? Devo essere proprio pazzo… Alla mia età-. Una risata illuminò quella scura via.

Accadde che si recò innanzitutto al cimitero; là con delle tenaglie, che aveva prese dal garage, riuscì a rompere le catene che serravano il cancello. S’avviò dunque silenziosamente  verso il loculo dove riposavano le ceneri della moglie e le trafugò. Poi con una chiamata destò un suo vecchio amico della guardia costiera, pregandolo di fargli un enorme favore; egli avrebbe infatti dovuto preparare la sua vecchia imbarcazione “Juliet”. Così verso le otto del mattino finalmente salpò dal porto di Denver sul motoscafo del suo amico Tom e verso le dieci fu in vista di Calais.

-Hai visto Stephanie? Ti ho portato al mare, ora vai dove ti porta il vento amore mio. Vola!-. Capitò per caso, messa la mano nella tasca destra dell’impermeabile sentì qualcosa di piccolo e cilindrico. Lo estrasse: quel rossetto.
  
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