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Autore: Eloise_Hawkins    07/05/2012    19 recensioni
Hermione Granger ha appena visto il bacio tra Lavanda e Ron; distrutta dal dolore e in preda alle lacrime, si rifugia nel bagno delle ragazze del terzo piano, disabitato da quando il Troll di Montagna, penetrato nella scuola durante il suo primo anno, l'aveva distrutto.
Draco Malfoy ha solo sedici anni, ma sulle sue spalle grava un peso non indifferente. Oppresso dai pensieri riguardo la missione affidatagli dal Signore Oscuro, cerca conforto nel silenzio del bagno delle ragazze del terzo piano, ignaro del fatto che qualcuno, quella sera, ha già avuto la stessa idea. Pur non conoscendo l'identità l'una dell'altro, e nonostante le iniziali reticenze, i due ragazzi accettano quell'anonima compagnia, un po' per solitudine, un po' per affinità. Parlano a lungo, e tra di loro nasce un rapporto particolare, fatto di confidenze, parole e segreti chiusi a chiave nel loro cuore.
Ma se uno dei due scoprisse l'identità dell'altro? Continuerebbe a rinnovare l'appuntamento o si tirerebbe indietro?
Tra favole dal sapore dolce-amaro e parole che sembrano non bastare mai, tra i due nascerà una relazione destinata a diventare speciale.
Si può uccidere il male seppellendolo di risate?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VI libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cenerentola e altre fiabe'
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Capitolo 3:
Giulietta e Romeo – o di scoperte, piacevoli e un po’ meno

 

 «Chi sei tu,
che nel buio della notte osi inciampare nei miei più profondi pensieri?»

 

Febbraio era passato, lasciando dietro di sé solo il vago odore gelido e pulito della neve; la distesa candida che aveva coperto il parco si era ben presto sciolta, scivolando in rigagnoli fangosi e acquitrini infidi sino alle rive del Lago Nero. Marzo, che aveva il sapore di un prato umido dopo il temporale, era giunto presto, portandosi dietro piogge torrenziali e un tepore rassicurante.
Ron era appena stato dimesso dall’Infermeria, dopo il terribile avvelenamento subito a causa del falso Idromele di Lumacorno. Dopo il lungo ignorarsi, inframmezzato da battibecchi accesi, occhiate torve e tiri mancini, tra lui e la sua dinuovo migliore amica le cose erano tornate alla normalità, se non per il piccolo particolare che la ragazza si era resa conto, con sua grande sorpresa, che per quanto sollevata del fatto che lui fosse sopravvissuto, non gli importava più delle attenzioni che lui le rivolgeva. Anzi, se possibile le riteneva persino fastidiose. Inizialmente, Hermione non riusciva a spiegarsi questo strano sentimento, rimasto bloccato da qualche parte nello stomaco: pensava fosse rabbia repressa, selvaggia soddisfazione, feroce gelosia. Con il passare del tempo, invece, la Grifondoro capì che tutto quello che provava prima per Ronald Weasley – qualsiasi cosa fosse – era semplicemente scomparso. Forse per la rassegnazione, magari per la collera e il fastidio, i sentimenti nutriti per sei anni nei confronti del suo migliore amico gli erano scivolati tra le dita prima che lei potesse riacchiapparli e rimetterli al posto giusto – nel cuore. Se l’avesse fatto si sarebbe resa conto che non ci sarebbe più stato spazio per lui. Perché, e la ragazza se ne rendeva conto drammaticamente giorno dopo giorno, ormai tutti i suoi pensieri erano rivolti a lui.
Cosa sapeva di quel ragazzo che incontrava ogni sera nel bagno delle ragazze del terzo piano? Che era Serpeverde, che frequentava il sesto anno.
Cosa sapeva davvero di quel ragazzo? Così tante cose che elencarle sarebbe stato impossibile.
Ormai lui era continuamente nella sua mente: il suo primo pensiero al mattino, appena sveglia, e l’ultimo la sera, prima di addormentarsi. Non la preoccupava più il fatto di dover infrangere decine di regole della scuola per vederlo: parlare con lui la faceva stare tanto bene che la sera era l’unico momento che aspettava con ansia. E la notte, dopo aver strisciato tra le silenziose ombre del castello addormentato per far ritorno alla Torre dei Grifondoro, si rigirava per ore tra le coperte, incapace di prendere sonno, con un sorriso sulle labbra – un sorriso dolce, leggero.
 
«Oggi sei silenziosa»commentò Draco, mentre sfogliava il libro di fiabe che lei gli aveva regalato per natale.
«Sono pensierosa»lo corresse lei, con un tono fievole, intinto di una punta di preoccupazione.
«Sembri più preoccupata, a dire il vero. Cosa ti turba?»domandò il ragazzo, che prestava alle parole della Corvonero la stessa attenzione che riservava a quelle favole che aveva davanti agli occhi.
«Ci sono già stati due attacchi a due studenti della scuola»borbottò in un sospiro stanco e serio. L’inquietudine le aveva incrinato la voce, però Draco non era riuscito a far caso al suo tono, perché le sue parole l’avevano fatto trasalire. Involontariamente, strinse nel pugno una pagina del libro che aveva sulle gambe: l’immagine su di essa, che ritraeva una fanciulla addormentata, divenne uno scarabocchio accartocciato e strappato in più punti.
«Ti riferisci a… ai due Grifondoro?»domandò Draco, la cui voce tremava, seppur in modo involontario. Un improvviso peso gli era precipitato in fondo allo stomaco, e ben lungi dal sentire quella quieta leggerezza che provava di solito quando era in compagnia della ragazza, deglutì, avvertendo una bruciante sensazione di gelo invadergli le membra, mentre il cuore, impazzito, palpitava contro il petto.
«Sì»mormorò lei in un soffio. Sembrava davvero abbattuta, mentre parlava: la sua voce era intinta di una lugubre cupezza che lui non le aveva mai sentito nel timbro – di solito soffice, leggero. E tanta era la sua preoccupazione che le parole non erano che sussurri intimoriti.
 
In realtà Hermione stava solo riflettendo, perché nella sua mente vagava, già da qualche giorno, un’idea che lei non era riuscita ad esprimere ad alta voce con nessuno. Era il peggiore dei suoi pensieri, una paura così intima ed improbabile, ma talmente spaventosa, da non poter essere espressa ad alta voce. Un po’ per non angustiare gli altri con riflessioni che potevano risultare del tutto sbagliate, un po’ perché ultimamente si sentiva fuori posto con chiunque non fosse lui. Forse per questo motivo, dopo un’intensa meditazione, seguendo il filo dei silenziosi ragionamenti che si svolgevano nel suo brillante cervello, si permise di esprimere ad alta voce la sua preoccupazione più grande.
«Pensi che qualcuno stia cercando di uccidere Silente?».
Hermione Granger non era solo la studentessa migliore del suo anno – e, in effetti, forse la migliore di tutta Hogwarts, dopo Tom Riddle stesso – ma anche, e soprattutto, la strega più brillante della sua età. Il suo cervello era in grado di scovare indizi nascosti, collegamenti che ad altri sfuggivano ma che lei era capace di intuire.
La collana di Katie, per ammissione stessa della ragazza, era destinata all’anziano preside, così come quell’idromele, regalato al professor Lumacorno con l’intenzione di donarlo a Silente; per casi fortuiti ma in fondo prevedibili, nessuna delle due cose era arrivata a lui, e il più grande mago del suo tempo l’aveva scampata. Ma quanto poteva durare?
Il silenzio del ragazzo gli sembrò quasi un incitamento a continuare, perciò lei riprese: «Sembra quasi che qualcuno ci stia provando… ma nemmeno con troppa convinzione»considerò con tono quasi trasognato. «Deve essere qualcuno di inesperto, o non avrebbe fallito già due volte. Certo, di sicuro è senza scrupoli perché non gli importa quante vittime colpisce prima di arrivare a lui… Ci sei ancora?» Il silenzio si era prolungato più del previsto. Non era mai successo che lei parlasse così tanto senza un solo intervento o un cenno del ragazzo, anche solo per ricordarle che lui era lì, che la stava ascoltando.
 
Non poteva sapere che Draco si era irrigidito, e ora la ascoltava con occhi sbarrati.
Scoperto.
Lei parlava, perché pensava di poter esprimere quei pensieri ad alta voce: lui l’aveva sempre ascoltata, aiutata; perché ora sarebbe dovuto cambiare qualcosa? Perché, considerò il Serpeverde tra sé, se quella ragazza stava giocando a fare il detective, era pericolosa. Troppo. E lui si era già scoperto in modo così nocivo, in modo così semplice. Un’improvvisa fame d’aria colpì Draco, come un pugno doloroso all’altezza dello stomaco. Annaspando alla ricerca d’aria, il giovane scattò in piedi, e il libro che aveva sul grembo precipitò a terra con un tonfo secco e un fruscio di pagine.
Non ci sta provando con tanta convinzione.
Draco si sentì ferito, umiliato, offeso. Eppure, non poté fare a meno di pensare che lei non aveva tutti i torti. Ci stava davvero mettendo tutto se stesso, in quella missione? O forse il suo era solo un modo di temporeggiare, di prendere tempo in attesa che qualcosa – qualcuno – giungesse a salvarlo.
Quella ragazza gli aveva insegnato che nelle favole, dopo tante difficoltà e prove di fiducia e di coraggio, alla fine giunge sempre il valoroso principe, a salvare la fanciulla dal pericolo, a risolvere i problemi e vissero per sempre felici e contenti. Ma, e Draco ne era dolorosamente consapevole ogni giorno di più, la realtà era ben diversa dalle fiabe che la Corvonero le narrava con la sua voce soffice: non c’era niente di leggero, nella vita, lui non era una principessa in difficoltà, non aveva bisogno di aiuto, e, soprattutto, nessuno sarebbe giunto a salvarlo.
Non poté fare a meno di pensare, però, che forse l’aiuto, inaspettato e giunto in modo del tutto imprevedibile – come una voce soffice, dolce, leggera – magari era più vicino di quanto immaginasse. Lei poteva forse aiutarlo?
La risposta che il suo cuore stava per suggerirgli venne totalmente sovrastata dal rombo frastornante del sangue che gli pulsava dolorosamente nelle tempie. Il cervello gli suggerì un’unica soluzione, in quel momento – un momento in cui lui si era reso conto che era stato scoperto, smascherato, e che era necessario chiudere subito quella stupida follia, perché lui da solo stava meglio, era sempre stato meglio, perché aveva ragione suo padre, i sentimenti sono stupidi, inutili, pericolosi, e gli amici sono fardelli, e lui aveva una missione da compiere e non doveva farsi distrarre, ne andava della sua salvezza, della salvezza della sua famiglia.
«Sì. Ma devo andare» borbottò con tono aspro. Inaspettatamente, la voce uscì dalle sue labbra come un raglio, secco e inaridito.
«Cosa? Aspetta!»boccheggiò la ragazza da dietro la porta. Il cuore di Draco ebbe un tuffo. «Perché? Non andare, ti prego» La voce della ragazza era un bisbiglio implorante, dolcissimo, da spremere il cuore fino all’ultima goccia di sangue. E lui le sentiva, quelle gocce di sangue, scivolargli giù per le guance.
Mamma.
Papà.
Per voi, per la nostra famiglia, per la gloria antica riportata agli splendori di un tempo. Per il sangue purissimo nelle nostre vene, per tutto quello che avete fatto finora per me. Andrò avanti a testa alta, compirò il mio destino.
Draco fece un passo verso la porta, ma fu costretto a bloccarsi quando udì, dietro di lui, uno sferragliare legnoso, un sussurro, un incantesimo a mezza voce. Poi la serratura che scattava, con uno schiocco metallico. E subito, la paura. Il terrore, l’ansia, la rabbia.
«NON APRIRE LA PORTA»Urlò con voce atterrita e tinta dei colori più foschi e oscuri della sua anima, quei colori che lei finora mai aveva visto o udito, perché era riuscita a sfumare di arcobaleno la sua anima. Ma poi il nero era tornato a galla. C’è sempre del nero, da qualche parte. Lui ce l’aveva lì, a galla, predominante su tutto, tranne che quand’era con lei. Ma quell’avvertimento non poté fare a meno di urlarlo.
 
Quel grido perforò la mente di Hermione, prima di giungere al cuore. Per un attimo, un infinitesimo momento che lei non riuscì a cogliere tanto fu frammentario e breve, qualcosa si accese nel suo cervello: un ricordo, l’avvicendarsi di immagini confuse, aggrovigliate. Una lumaca, un ghigno strafottente, un manico di scopa. Una scritta dorata, Nimbus 2001. Nessuna ha chiesto la tua opinione, piccola sporca Mudblood.
Poi tutto sparì, venne risucchiato da un battito del cuore più rumoroso di altri, e anche quelle parole, lontane, distanti, dimenticate, dolorose ma ignorate, sparirono tra gli anfratti di una mente ancora troppo insicura per dimenticare.
Perché proprio quel ricordo, perché proprio in quel momento, Hermione nemmeno se lo chiese.
«Io… scusa. Non volevo aprirla»si affrettò a giustificarsi, quasi senza fiato. «Non la aprirò. Non aprirò la porta, rimarrò chiusa qui, come sempre. Davvero. Ma rimani, per favore»lo implorò, con voce tanto supplichevole che quasi si vergognò di se stessa. Era solo uno sconosciuto, perché gli dava tanta importanza? Perché, Hermione lo sapeva, lui non era solo uno sconosciuto. «Non so se riuscirò a resistere alla tentazione di inseguirti»concluse in un soffio intimidito, abbassando il capo, come in segno di resa.
Dall’altro lato, solo silenzio. Per lunghi, infiniti e angoscianti minuti di attesa, la Grifondoro fu certa di aver perso il suo confidente, di essersi lasciata sfuggire quei saporiti e profumati attimi di pace e intimità, come la più stupida delle impazienti. Poi, udì un passo, al di là della porta.
«D’accordo. Rimango»annunciò asciutto il ragazzo. Hermione tirò un sospiro di sollievo, e il sorriso che le arcuò le labbra era intuibile dal timbro delicato della sua voce, ora nuovamente dolce.
«Grazie»disse, sinceramente riconoscente. Con il cuore che ancora batteva all’impazzata contro il petto, la Grifondoro scivolò lungo la parete e si strinse le gambe contro il petto. Seppellì il viso tra le braccia, e quando parlò la sua voce risultò soffocata, ma innaturalmente amplificata dall’eco del luogo. «Sei importante per me». Quella verità sfuggì dalle sue labbra senza che lei la potesse fermare. Aveva pensato tutt’altra frase, ma per qualche strana ragione le parole che gli erano affiorate alla mente erano state soffocate da quelle che invece aveva pronunciato, come se lei avesse improvvisamente perso il controllo del suo cervello. Inammissibile.
Hermione trasalì, e arrossì violentemente: avvertì il calore colorarle il viso, e ringraziò silenziosamente quella benedetta porta che nascondeva ogni singola debolezza.
«Nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere»constatò con tono piatto il ragazzo. Il suo tono conteneva ancora una nota di freddo distacco, ma lei sapeva che quella era solo la superficie della sua anima nera, e che avrebbe dovuto scavare un po’ più a fondo, con pazienza e costanza, come una tenace talpa alla ricerca di un rifugio sicuro.
«Non hai una ragazza?»domandò Hermione, e per qualche strano motivo il suo cuore ebbe un sussulto, e si sentì ansiosa.
«No»replicò secco lui. E per qualche strano motivo, un sorriso arcuò le labbra della Grifondoro. Lei, però, lo mascherò subito con un sospiro.
«Nemmeno io ho un ragazzo»comunicò, per qualche strano motivo. Aveva davvero perso il controllo sul suo cervello. Inammissibile.
«Lo so. È per questo che sei qui dentro, no? Perché quel ragazzo ti ha rifiutato»le ricordò il Serpeverde, con un tono rude e aspro. Hermione fu ferita da quella constatazione, non tanto per le parole e il loro significato, quanto piuttosto per il modo in cui le avevano colpito il cuore, come un sasso lanciato con una fionda, con potenza, con crudeltà, con l’unica intenzione di infierire. Nonostante i contrasti che avevano avuto in quei mesi, in gran parte dovuti a pareri su sangue e case, bene e male, giusto e sbagliato, lui non era mai stato tanto scontroso, tanto distante: era lì, a pochi passi dalla porta, ma sembrava molto più lontano, a centinaia di chilometri di distanza.
«Sì»disse lentamente Hermione, in tono neutro. Poi, piccata, aggiunse: «Anche se in realtà abbiamo fatto pace». La sua doveva essere una specie di vendetta, un modo di rivendicare il suo orgoglio ferito e di riaffermare la sua dignità, oltre che di sciogliere il ghiaccio che aveva avvolto il cuore del ragazzo in quei minuti.
 
«Quando?»Draco si fece improvvisamente più attento. Si raddrizzò, e corrugò la fronte, appiattendo l’orecchio contro la superficie di legno della porta per cogliere ogni parola che ne derivava.
Il suo cuore batteva ancora all’impazzata, e la paura non era scemata, ma l’intimo e opprimente senso di solitudine che aveva provato al solo pensiero di rimanere per altri, interminabili mesi senza un confidente, senza un amico, senza parole, sorrisi, sguardi di nascosto, mistero… persino l’assenza del gocciolio del bagno l’avrebbe reso matto. Perciò era rimasto. Per questo, e perché il pigolio implorante nella voce della Corvonero l’aveva non impietosito, ma addolcito.
«Dopo… bè, dopo l’attacco a… a quel ragazzo»boccheggiò la giovane, come imbarazzata e per qualche motivo esitante. «Lui ha capito che sono importante ed è tornato da me»aggiunse con più sicurezza.
Draco si irrigidì, e quel pizzico di gentile attenzione che le aveva rivolto un attimo prima, quando la curiosità e il timore di vedersi privato della sua unica confidente a causa del ritorno del tanto agognato ragazzo del mistero lo avevano accaldato, sparì.
«Sarai al settimo cielo, allora. Che ci fai ancora qui?»sbottò brusco, allungando un braccio per riprendere il libro di fiabe che aveva precedentemente lasciato cadere. Si sorprese nell’atto di ripulirlo con un lembo del maglione dalla muffa che ne aveva macchiato la copertina in pelle, per poi asciugarne il dorso e riporlo con cura accanto a sé.
«Non sono al settimo cielo»confessò la ragazza. Draco, perplesso e meravigliato da quella risposta, alzò il mento e, corrugando le sopracciglia si fece più attento. «Credo che fosse solo una stupida cotta. Non…»la voce le si bloccò in gola, e lei non proseguì.
«Non ci si rinchiude in un bagno a piangere per una stupida cotta»considerò il ragazzo con tono quieto.
Ecco, stava succedendo di nuovo. Si stava lasciando scivolare tutto tra le dita, o forse era quel libro di fiabe che teneva tra le mani a risucchiare tutti i suoi problemi, i turbamenti, il nero della sua anima, per poi soffiargli addosso un po’ di colore – un po’ di dolcezza, un po’ di leggerezza.
«E tu cosa ne sai?»domandò la ragazza con tono sospettoso, eppure in fondo alla sua voce c’era una nota di divertita ironia. Sembrava avesse intuito che lui era tornato da lei – qualsiasi cosa questo significasse.
«Lo immagino»replicò Draco con pacatezza, schioccando le labbra con fare superbo. La Corvonero emise un lungo sospiro.
«Adesso però non penso più a lui»commentò quietamente, con una serenità dolcissima nella voce. «Non penso più a lui da quella notte in cui ci siamo incontrati»gli comunicò. Era affascinante il modo in cui riusciva a denudarsi così, con un candore e un’ingenuità talmente puri da lasciare Draco basito, e quasi invidioso della capacità che aveva di mostrarsi senza farsi vedere, di indebolirsi trovando la forza di ritemprarsi e uscirne vincitrice ogni volta.
«Non è che ci siamo proprio incontrati»commentò il Serpeverde, senza tentare di nascondere il divertimento nella sua voce, o il sorriso che gli inarcò le labbra. A quelle parole, lei scoppiò a ridere, di quella sua risata soffice, dolce, leggera. E allora anche lui rise, dolcemente, con leggerezza, mentre le sue dita inconsapevoli sfioravano le pagine del libro di fiabe, come a volerne trarne forza, come un appiglio da cui non voleva più staccarsi.
«Comunque non mi interessa più. È merito tuo, in fondo. Non ho nemmeno sentito il dolore. Sei stato la mia medicina»sussurrò lei piano, lentamente, con dolcezza, come se quella confessione si dovesse fare un punta di piedi. E lei così glielo comunicò in punta di piedi, allo stesso modo di come era entrata nella sua vita, bussando piano, aprendo la porta a poco a poco, uno spiraglio, poi una fessura, infine un’apertura, poi l’aveva spalancata, ma aveva chiesto il permesso, educata, dolce, spontanea, ingenua, candida, leggera.
«Bene, allora mi devi un favore»C’era il sorriso anche nelle parole di Draco, che tuttavia, calcolatore e meschino, non era ancora capace di spogliarsi quanto faceva lei. Perché in fondo lui aveva sulle spalle un peso non indifferente, e per quanto questo si affievolisse durante quegli incontri, l’ombra scura che gli gravava sul capo rimaneva ad aleggiargli attorno, come una spada di Damocle pronta a scattare.
«Qualsiasi cosa. Farò tutto quello che vorrai»scherzò la giovane, eppure il suo tono era sincero, e lui era sicuro che lei avrebbe fatto davvero di tutto.
«Tutto?»Se ne volle sincerare, con un tono un po’ incerto, un po’ speranzoso, di sicuro divertito.
«Tutto»confermò lei con soddisfazione.
«Potrei chiederti cose terribili»le fece notare il Serpeverde, la cui mente fu attraversata da un pensiero stranamente orribile.
«Quanto terribili?»domandò lei, una sfumatura di confusione nella voce.
magari sono io quello che vuole uccidere Silente, e ora ti chiederò di farlo al posto mio. Era quello che aveva pensato, era quello che avrebbe voluto buttare lì, con un tono che sperava risultasse leggero quanto quello usato solitamente dalla ragazza. Ma all’ultimo, lui si sentì la gola irritata, un peso in fondo allo stomaco, tremore dappertutto, e sudore. Così, con voce supplichevole ma sicura di sé, ordinò: «Raccontami una favola».
 
***
 
I giorni proseguivano quieti, pigri ed ordinari; le notti trascorrevano piacevoli e sempre diverse, pur essendo in qualche modo simili l’una all’altra. La costante di quegli incontri era diventata una presenza indispensabile, che seguiva Hermione in ogni altro momento della sua giornata, e specialmente durante i suoi sogni, tempestati di nomi e volti.
 
Hermione aveva la schiena poggiata alla parete del cubicolo in cui ormai ogni notte, da diversi mesi, si rifugiava. Sembrava una sera come le altre, messa lì in fila, insieme ad altre, esattamente uguale alle altre – sorrisi, parole, leggerezza, niente sguardi – se non fosse stato per quel minuscolo, meraviglioso particolare che l’aveva resa diversa – migliore.
La Grifondoro era giunta al solito orario, ma, stranamente, aveva dovuto aspettare più del solito il Serpeverde. I minuti erano passati, si erano trasformati in ore, e quando la mezzanotte era ormai passata, la ragazza, con il cuore stretto da una morsa dolorosa e gli occhi fastidiosamente umidi, si era alzata, aveva tirato un lungo sospiro, e aveva poggiato la mano, tremante, sulla maniglia della porta. Con un cigolio, l’uscio si aprì, lentamente, ma prima che Hermione riuscisse a fare un passo, il bagno crollò in un’oscurità fitta e impenetrabile, e la porta si richiuse con uno scatto secco.
«Sono qui»annunciò il ragazzo, giunto, non udito e fortunatamente non visto, proprio nell’istante in cui lei aveva deciso di andare via. La sua voce era tremante e acquosa, impregnata di lacrime e di qualcosa di molto simile alla paura.
Hermione strizzò gli occhi, cercando di scorgere qualcosa nel buio inviolabile che aveva avvolto il bagno. Avvertiva, al di là della porta, il respiro pesante e spezzato del giovane, che ansimava pesantemente, come se avesse appena corso.
«Sono contenta che tu sia venuto»disse Hermione, che aveva mille domande che le frullavano per la testa, ma aveva anche intuito che lui per il momento aveva solo bisogno di affogare il motivo di quelle lacrime in parole dolci e leggere. Nel loro rapporto dolce e leggero.
«Ho avuto un contrattempo»borbottò. Un passo risuonò tra le pareti del bagno, ticchettio secco e accompagnato da un lievissimo schizzo d’acqua; probabilmente aveva calpestato inavvertitamente una delle tante pozzanghere.
Hermione sbatté le palpebre un paio di volte, ma non un solo raggio di luce giunse ad alleviare la fittissima oscurità calata all’interno del suo cubicolo: le uniche finestre del bagno erano talmente incrostate di sporcizia e polvere che i raggi della luna non riuscivano a filtrare attraverso i vetri sporchi. I sensi della Grifondoro sembravano amplificati da quella nuova cecità: immobile di fronte alla porta chiusa del cubicolo, sussultava ad ogni scricchiolio o ad ogni sinistro squittio, ad ogni goccia d’acqua che scivolava giù dall’imboccatura del lavandino consumato o ad ogni lievissimo sospiro del ragazzo.
«Pensi di poter riaccendere la luce?»domandò con un filo di voce la ragazza, il cui cuore cominciava ad accelerare.
«Hai paura del buio?»rispose lui, strisciando sino alla porta e lasciandosi cadere ai piedi di essa.
«Ho paura di tutto ciò che non posso controllare»replicò Hermione tutto d’un fiato, cercando a tentoni la porta e piegandosi sino a sedersi sul pavimento sudicio, a contatto con la superficie di legno, come se quell’unico tocco sulla schiena potesse lenire l’ansia e farla sentire un po’ più vicina al ragazzo.
In effetti, non c’era mai stata lontananza tra di loro: il flebile contatto delle loro voci, che volavano su ali impalpabili di confidenza reciproca, li rendevano più vicini che se si fossero toccati davvero. Eppure, in quel momento, Hermione sentiva, per la prima volta, il bisogno di qualcosa di più. Forse fu il silenzio che seguì la sua affermazione, o magari il buio che le bendava gli occhi, impedendole di distinguere qualsiasi non fosse il battito del suo cuore. Fatto sta che si alzò, e, lentamente, come se volesse lasciare a lui il tempo di fermarla, e a lei quello di abituarsi a ciò che stava per fare, spinse verso il basso la maniglia e aprì piano la porta: vi fu un cigolio, e poi un tonfo sordo. L’uscio aveva sbattuto contro qualcosa di morbido che lei non tardò a capire cosa – chi – fosse.
«Che stai facendo?!»ululò il ragazzo, spaventato, scattando in piedi con un balzo. Si affrettò a ricacciare indietro Hermione, e a richiudere la porta con tanto zelo e ferocia, che non si preoccupò delle dita della Grifondoro, rimaste incastrate tra lo stipite e la porta stessa.
«AHI!»urlò la giovane, emettendo un lungo gemito di dolore che sembrò placare il Serpevede. Il trambusto cieco che aveva riempito l’aria sino a quel momento si placò, lasciando spazio solamente al silenzio liquido e oppressivo del bagno.
Hermione si teneva la mano sinistra con la destra, mugolando debolmente, e cercando di soffocare il dolore tra i denti. Il suo respiro si era fatto accelerato, e i suoi occhi osservavano l’invisibile livido violaceo che le pulsava fastidiosamente tra le dita gonfie.
«Ti sei fatta male?»sussurrò piano il ragazzo, spezzando il silenzio teso che si era creato. La sua voce sembrava venata da una sfumatura di preoccupazione.
«Mi hai chiuso le dita nella porta!»mugolò Hermione, massaggiandosi la mano dolorante.
«Mi dispiace. Ma è colpa tua, hai provato ad aprirla»si giustificò lui. La sua voce era più vicina di quanto non fosse mai stata, e il suo sospiro tiepido penetrò inaspettatamente attraverso lo spiraglio rimasto aperto.
«È tutto buio, non si vede niente»spiegò la Grifondoro, piccata. Era certa di avere il broncio, ma di sicuro non era quello il motivo dell’improvvisa risata del Serpeverde, perché lui non poteva vederla. Ma, per qualche ragione che a lei sfuggiva, lui cominciò a ridere: era una risata strana, amara e fredda, soddisfatta ma priva di gioia.
«D’accordo»sussurrò lui, piano, in un tono arrendevole e un po’ esitante. Un cigolio lento e incostante annunciò ad Hermione che lui aveva appena aperto la porta. Poi, un improvviso e morbidissimo calore all’altezza del polso, la fece arrossire violentemente. E, al tempo stesso, sorridere.
 
«Hai un buon profumo»mormorò piano la ragazza.
Lei e Draco erano seduti l’uno accanto all’altra, la schiena poggiata al muro e gli occhi ciechi, nel buio totale di quella notte. Il giovane riusciva a sentire il respiro tiepido della Corvonero, la sua voce intimidita e il lieve tremore del suo timbro vocale, emozionato dall’inaspettata vicinanza. Non c’era contatto fisico, tra di loro, ma il legame delle loro anime era una presenza costante, quasi palpabile attraverso quell’oscurità impenetrabile.
«Non si può dire lo stesso di te»ribatté lui con tono fortemente sarcastico. Istintivamente, si voltò verso la sua destra: sapeva che lei era lì, da qualche parte. Non riuscire a vederla era al tempo stesso confortante e frustrante.
«Sono rimasta chiusa dentro questo bagno per ore!»si giustificò lei. Nella sua voce era nascosta una risata, soffocata dal leggero fastidio di quell’accusa infondata.
«Già. Sei una ragazza – zerbino»commentò Draco, sogghignando.
«Una cosa?»domandò la ragazza, confusa.
«Una ragazza – zerbino»ripeté lui con sicurezza. «Non dovresti aspettare gli uomini chiusa in un bagno puzzolente»spiegò con tono neutro. Non era un’accusa, la sua, solo una constatazione, e lui stesso se ne sorprese. Ma gli riusciva difficile deriderla; prenderla in giro era più dolce, più semplice. Lo faceva sentire più leggero.
«Vorrà dire che la prossima volta che farai tardi me ne andrò prima che tu possa rompermi le dita» rispose con tono serio e profondo la Corvonero. Eppure c’era una risata, nascosta da qualche parte tra le sue parole.
«Non sono rotte»disse subito Draco, con tono colpevole e appena spaventato. La ragazza tacque per qualche minuto. Si godettero il silenzio arrendevole e prezioso che seguì, senza parole a corrompere la quiete o sviscerare la loro anima.
«Come hai fatto?»domandò dopo un po’ la giovane. Un soffio alla sua destra annunciò a Draco che lei si era avvicinata quel tanto che bastava a sentirne il suo respiro sulla pelle. Istintivamente, il Serpeverde strisciò di lato per allontanarsi.
«Ho chiuso la porta di scatto»borbottò, leggermente infastidito da quell’obbligata vicinanza che lei gli aveva imposto. A quelle parole, lei rise, e dentro quel suono c’era qualcosa di dolce, un sapore che lui non riuscì a riconoscere. Era il suono della spensieratezza, dell’ingenuità fatta donna e poi candore, trasformata in dolcezza e plasmata nell’affetto. Era una risata bella, e allora Draco si rilassò, e allungò una mano verso di lei, senza sapere perché, senza sapere cosa cercare, senza sapere cosa avrebbe incontrato.
«No, intendo… questo buio. Dev’essere un incantesimo, non può essere naturale. È troppo fitto»spiegò lei, il divertimento ad armonizzarle la voce, a renderla musicale e tintinnante. Sorrideva, Draco ne era sicuro.
«Polvere Buiopesto Peruviana»replicò lui con tranquillità.
«Oh. Un frequentatore dei tiri vispi Weasley»considerò la ragazza, con una punta di disapprovazione nella voce. Ma il Serpeverde non stava ascoltando: i suoi polpastrelli stavano tastando il buio alla sua destra, alla ricerca di un pezzetto di lei. Lo trovò nella morbidezza caldissima della sua pelle, nel leggero sussulto della sua carne tenera quando le dita di lui incontrarono per la prima volta il corpo di lei.
«Cos’era?»chiese Draco, spalancando gli occhi, come se potesse in questo modo vedere meglio nel buio. La ragazza per un po’ non rispose, così lui cercò di concentrarsi sui suoi sensi per acuirli al massimo.
Forse per questo un’intensa scarica elettrica gli attraversò la schiena quando, con un brivido di sorpresa ed eccitazione al tempo stesso, la sua mano fu sfiorata e poi conquistata da quelle dita piccole e bianche che lui ricordava di aver visto la prima volta che si erano conosciuti.
«Il mio ginocchio. Questa, invece, è la mia mano»spiegò lei lentamente, con una punta di indecisione nella voce. Ma con pazienza, e sembrava quasi che gli stesse raccontando una favola. La ragazza mosse irrequieta le dita tra quelle di Draco, e lui fece altrettanto: percepiva la pelle pungere, e sentiva il bisogno di abituarsi a quel tocco.
Ci vollero tre giorni di intenso addestramento perché lui accettasse quel contatto, perché il pensiero del suo sangue accendeva ancora in lui quel disprezzo antico che gli avevano insegnato. Al quarto, però, la Polvere Buiopesto Peruviana finì, e lui si rese conto che gli mancava il tocco della sua pelle. Per la prima volta in tutta la sua vita, Draco apprezzò i Weasley.
 

***

 
La fitta oscurità che ormai da diverse notti aveva avvolto con le sue dita invisibili e sinistre ogni angolo del bagno del terzo piano aveva anche acuito i sensi dei ragazzi, ormai ciechi ma perfettamente capaci di udire anche il minimo cambiamento nell’intonazione dell’altro. Per di più, il contatto fisico che erano riusciti a instaurare grazie all’espediente della Polvere Buiopesto, seppur modesto era un chiaro indicatore dei sentimenti altrui.
«Come ti chiami? Non credo di avertelo mai chiesto»La voce del ragazzo era venata di dispiacere e sorpresa, come se lui si fosse reso conto solo in quel momento di quella grave mancanza.
Hermione, invece, non ne era più di tanto meravigliata. Sembrava strano, in effetti, se guardato dall’esterno, che due persone così intime non conoscessero l’uno il nome dell’altra. Ma alla luce del loro rapporto e delle regole instaurate tacitamente tra di loro, era più che ovvio, talmente semplice da risultare elementare. L’anonimato era tanto prezioso quanto inevitabile.
Così, Hermione disse il primo nome che le venne in mente, senza sapere che quel nome era quanto di più vicino alla loro realtà di quanto pensasse.
«Giulietta»disse con un sorriso sulle labbra, e c’era un che di sibillino in quel nome.
«Giulietta Edgecombe?»Il Serpeverde si mosse, inquieto, e strinse un po’ di più la presa sulla sua mano, tanto che la giovane emise un lievissimo lamento, perché la stretta alle dita, seppur incerta e lieve, risultava dolorosa. Il gonfiore si era quasi del tutto dissipato, ma i lividi spiccavano ancora sulla sua pelle, violacei e ordinati, segno inequivocabile dell’urto contro la porta di qualche giorno prima.
Hermione fu sorpresa e ammirata della capacità del giovane di collegare nomi e giungere alla soluzione – sbagliata solo perché lei gli aveva mentito riguardo la sua casa.
«Quella è Marietta»rispose, ridendo. La Grifondoro aveva quel nome ben impresso nella mente – ed era certa che anche lei la ricordasse, data la maledizione scagliata l’anno prima.
«Ah, sì, giusto»borbottò il ragazzo, tornando a poggiare la schiena sulla parete, e allentando la presa sulla mano di Hermione, che si rilassò di rimando. «Non credo di aver mai sentito di nessuna Giulietta, qui ad Hogwarts»disse lui pensieroso.
«E a Verona?»suggerì la Grifondoro, cercando nell’oscurità di scorgere l’ombra di un lineamento, o il baluginio del suo sguardo. Ma la Polvere Buiopesto sapeva assolvere fin troppo bene al suo compito, perciò lei, sconfitta, sospirò, e sentì il bisogno di rinnovare il tocco tiepido delle loro mani. Era ancora strano sentirlo così vicino, ma era bello, e rassicurante, sapere che in tutto quel buio c’era uno spiraglio di luce – sapere di non essere sola, di non essere del tutto indifesa.
«Sei di Verona?»chiese lui, tradendo una certa nota di curiosità. Hermione scosse il capo, sorridendo, e quando si ricordò di non poter essere vista, si voltò verso di lui.
«Non hai mai sentito parlare di Romeo e Giulietta, vero?»domandò, benché sapesse che fosse una domanda piuttosto sciocca. Lui era un Purosangue, non conosceva nulla della letteratura inglese babbana. E d’altronde, perché avrebbe dovuto?
«Cosa sono, due Mangiamorte famosi?» tentò il ragazzo, tentennando appena perché non era certo di aver detto la cosa giusta. Hermione aggrottò appena le sopracciglia, ma non si scompose più di tanto a quel bislacco tentativo di indovinare.
«No, solo due innamorati»spiegò quieta, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Due innamorati?»ripeté lui, con tono quasi disgustato. La Grifondoro ridacchiò.
«Sì. Romeo conosce Giulietta a una festa in maschera organizzata dal padre, ma non la riconosce perché lei ha una maschera. Senza sapere l’uno l’identità dell’altra si innamorano, si baciano, e passano la notte insieme…»Hermione cominciò a raccontare quella storia d’amore, tanto famosa quanto drammatica, con la sua voce dolce e leggera, il tono sognante e perso in un tempo antico, appartenente a tanti anni prima, in un luogo tanto lontano quanto diverso da quello in cui si trovavano in quel momento.
«Come fanno ad innamorarsi se non sino nemmeno mai visti in faccia?»la interruppe il ragazzo, con tono scettico.
«Si piacciono per come sono dentro»chiarì la Grifondoro con naturalezza e semplicità. E mentre pronunciava quelle parole, non poté fare a meno di notare una certa somiglianza tra la storia di Giulietta e la sua. Si augurò soltanto che la sua finisse meglio.
«Oh, certo, per come sono dentro. Come ho fatto a non pensarci prima?!»disse con tono fortemente sarcastico il Serpeverde, strappando una risata ad Hermione.
 
Draco rimase in silenzio, il sorriso sulle labbra, a godersi il suono gradevole di quella risata, che non era elegante, non era cristallina, non era armoniosa o soave, era solo vera. Tanto sguaiata quanto leggera, tanto ragliante quanto dolce. Solo quando quell’allegria si estinse, risucchiata dal buio del bagno, lui si permise di chiedere: «Poi che succede?».
«La balia di Giulietta le rivela l’identità di Romeo. Vedi, il fatto è che loro erano i figli di due potenti famiglie rivali: i Montecchi e i Capuleti. Si odiavano talmente tanto che non facevano altro che litigare, e combattere»raccontò la ragazza, il tono impregnato da un’amarezza che, Draco immaginò, poteva solo derivare da un finale che lei già conosceva e che lui aveva fretta di scoprire.
«La parte del combattimento mi piace»commentò con enfasi.
«Quando Giulietta scopre che Romeo è il figlio dei Montecchi, è disperata, perché sa che suo padre non accetterà mai quell’amore. Suo padre, né nessun’altro della sua famiglia»continuò lentamente la ragazza, con quella voce che era come un’ipnosi: non potevi smettere di ascoltarla, ti catapultava dritto dentro la storia. Draco pensò che nemmeno suo padre avrebbe mai accettato quella ragazza, in quanto Mudblood. Quel pensiero se ne andò così com’era venuto, insieme a un sospiro e una carezza alle dita della Corvonero.
«E allora lo uccidono con un Avada Kedavra?» chiese in un sussurro stanco ma curioso.
«No, ma nonostante tutto Romeo e Giulietta decidono di sposarsi, perché si amano troppo»disse con tono divertito e quieto la ragazza.
«Disgustoso. Non dirmi che si sposano»commentò Draco.
«Non ci riescono. Tebaldo, il cugino di Giulietta, uccide in combattimento Mercuzio, il migliore amico di Romeo. Così Romeo uccide Tebaldo per vendetta, e viene esiliato» raccontò tutto d’un fiato la Corvonero. Riusciva a mantenere il suo tono neutro, in un modo ammirevole e curioso, così che Draco poteva trarre le sue conclusioni e sensazioni da sé, senza influenze da parte sua.
«Comincia a piacermi questo Romeo» considerò il Serpeverde con tono d’approvazione. La ragazza fece una significativa pausa, poi riprese.
«Giulietta, disperata, beve una pozione che la conduce a morte apparente. Quando Romeo viene a sapere della dipartita della sua amata, corre da lei, e non sapendo che si sarebbe svegliata presto, si uccide con del veleno. Quando Giulietta si sveglia e lo trova accanto a sé, morto, si pugnala al cuore»concluse quella storia in un soffio soffice e delicato, lasciando vagare le ultime note del racconto nel buio del bagno, prima di prosciugare qualsiasi emozione presente nel suo tono.
«Tragico. E tu trovi romantica questa schifezza?»commentò Draco con ton piatto. Trovava fin troppo smielata quella storia – eccezion fatta per la parte delle morti.
«In un certo senso. Ha un bel significato: l’amore che vince ogni cosa, persino la morte»spiegò in modo sbrigativo la ragazza.
«E’ piuttosto macabro»la contraddisse il Serpeverde. La mano della Corvonero si contrasse brevemente, per poi rilassarsi di nuovo tra le sue dita.
«E’ da vigliacchi. Per amare serve coraggio. Serve tantissimo coraggio. Uccidersi è fin troppo facile»disse, inaspettatamente, spiazzando completamente Draco, che pensava che in quella storia lei trovasse un qualcosa di estremamente romantico. C’era, in effetti, qualcosa di dolce nel masochismo di quei due pazzi che si uccidevano per amore; c’era una lezione da imparare, che però il giovane non aveva colto, o forse, semplicemente, non voleva farlo. Ma quei pensieri vennero soppressi da un altro, nuovo e più importante.
 
«Allora devi essere molto coraggiosa. Forse dovevi finire in Grifondoro»disse all’improvviso lui. Il suo tono era quieto, tranquillo. La sua era una semplice, ovvia constatazione, ma Hermione non potè fare a meno di irrigidirsi, a quelle parole. Una fitta di colpevolezza le compresse il petto, e lei sentì l’impellente e inevitabile bisogno di dirgli la verità.
«Che vuoi dire?»domandò nervosamente, avvertendo le sua mano, umida di sudore, scivolare dalle dita del Serpeverde.
«Bè, tu non lo ami quel ragazzo?»Non c’era la minima traccia di rabbia o sospetto nella sua voce, e questo acuì il senso di colpa di Hermione. Lui non immaginava minimamente che lei gli stava mentendo; le parlava con naturalezza, senza scudi o armature, aprendole completamente il suo cuore, mentre lei aveva ancora una finestra chiusa nel suo cuore, che non riusciva ad aprire. Non sapeva perché, ma c’era un intimo senso di paura dentro di lei a quell’idea.
«Credevo di sì»rispose Hermione lentamente. Quella risposta le era uscita spontanea dalle labbra, mentre era impegnata in altri pensieri. Quando, però, si rese conto di aver pronunciato quelle parole, realizzò anche che quella frase detta senza pensarci troppo, era anche disperatamente sincera.
«E ora credi di no?»chiese il ragazzo con tono sorpreso.
«Non ne sono più tanto sicura» disse piano la Grifondoro, come se la sola idea la spaventasse e atterrisse al tempo stesso.
 
Draco ebbe come l’impressione che lei fosse a disagio, per un motivo che tuttavia gli sfuggiva. Era strano, perché la sentiva allontanarsi sempre di più, eppure lei rimaneva lì, accanto a lui, nell’oscurità fitta del bagno. Era strano, perché sentiva che gli stava scivolando lentamente dalle dita, eppure la sua mano era ancora saldamente intrecciata a quella del Serpeverde.
«Perché?»domandò a bassa voce lui, quasi timoroso di vedersela sfuggire davvero.
La ragazza tacque. Non rispose niente, come se quella domanda l’avesse messa in profonda difficoltà: a Draco sembrava di sentire lo sforzo immane con cui il suo cervello cercava la risposta, senza sapere che il responso poteva darlo solo il cuore. Lui non disse niente, aspettando che fosse lei a continuare. Tuttavia, questo non successe. Invece di parlare, come se lei avesse capito che non c’erano parole adatte a spiegare il perché di ciò che aveva detto, la ragazza scivolò verso di lui, e, dopo aver preso un profondo respiro, poggiò la testa sulla spalla del giovane.
Il Serpeverde trattenne il fiato, mentre avvertiva una massa di ricci crespi solleticargli il collo. Non riuscì a respirare, sino a quando non percepì il sospiro caldo della ragazza che gli sfiorava il petto e gli solleticava le mani. Quel contatto era eccessivo persino per lui, eppure non riusciva a muoversi, né a ritrarsi: lo inchiodava al suo posto quell’aroma dimenticato di agrumi e mimosa. Sapeva di casa, di leggerezza e di infanzia. Gli piaceva.
«Hai un buon profumo»sussurrò piano, in modo sincero e naturale.
«L’altra volta hai detto che puzzavo, pensavo di dover fare qualcosa»rispose lei, e aveva il sorriso nella voce.
Senza sapere cosa stava facendo, Draco alzò il braccio e lo avvolse attorno alle sue spalle, stringendola a sé. Mentre lei sospirava, accucciandosi sul suo corpo come una bambina che si rifugia sul petto grande e protettivo del suo papà, il ragazzo sorrise, e si sentì a casa.
 

***

 
Il giorno dopo, Draco era seduto al tavolo della colazione quando una fragranza antica gli punse le narici. Sapeva di agrumi e mimose. Con gli occhi sgranati, il ragazzo scattò in piedi, seguendo il nutrito gruppo di Corvonero che gli era appena passato davanti.
«Spostati, Granger»disse con tono burbero, scansando con poca grazia e gentilezza la Grifondoro che gli stava ostruendo il cammino. Se avesse prestato maggiore attenzione, probabilmente si sarebbe reso conto che lei si era appena staccata da quello stesso gruppo di ragazzine del terzo e quarto anno che lui aveva tutta l’intenzione di seguire, come un cane da fiuto che ha finalmente trovato la sua preda; ma era così concentrato sul suo profumo, e l’idea che potesse essere proprio lei quella ragazza era così lontana, che si limitò a superarla mentre lei sbuffava, scuotendo il capo, infastidita.
 

***

 
«Se non posso chiamarti con il tuo vero nome, posso dartene uno io?»domandò il ragazzo piano, con una punta di esitazione nella voce. Aveva il mento poggiato sul capo ricciuto di Hermione, e il braccio avvolto attorno alle sue spalle. Lei aveva la testa sulla sua spalla, e aspirava il suo odore di sudore e terra umida, con un mezzo sorriso sulle labbra, le gambe ripiegate sotto di sé e una serenità a invaderle l’anima, nonostante il buio e l’eco gocciolante dei tubi rotti.
«Se vuoi»concesse lei, incuriosita.
«Ti chiamerò Mudblood» decretò lui con tranquillità. Sembrava persino soddisfatto di quel pessimo nomignolo che le aveva appena affibbiato.
«Carino»ribatté quindi Hermione con evidente sarcasmo.
«Però è detto in modo affettuoso, davvero»si affrettò a spiegare il giovane. «Tu sei l’unica Mudblood con cui io abbia mai intrattenuto un rapporto, quindi è come se tu fossi una specie di… eletta, capisci?»chiarì con sicurezza e determinazione.
Hermione si irrigidì, e si mosse nervosamente tra le sue braccia.
«Da quando provi affetto per me?»sussurrò piano, come se lei stessa non credesse a quelle parole. Il ragazzo si contrasse, esattamente come aveva fatto lei, e la sua voce si indurì appena.
«Ho detto che il soprannome è affettuoso, non che c’è qualcosa tra di noi»precisò, quasi con severità.
«Non ho detto che c’è qualcosa tra di noi, solo che provi affetto per me»ribatté lei di rimando. Prese un respiro profondo, poi, velocemente, disse: «Anche io lo provo per te» Pronunciò quelle parole con una rapidità eccessiva, un po’ perché temeva di pentirsi di essersi aperta così tanto, svelando un sentimento così strano e ingombrante, un po’ perché sperava che lui non cogliesse quella confessione. Per un po’, pensò che lui davvero non avesse capito il senso di quelle parole. Respirava piano sui suoi capelli, senza dire una parola, i muscoli rigidi e la mano immobile in quella di Hermione.
«Dici davvero?»domandò dopo un lunghissimo silenzio, il tono curioso e sorpreso. La Grifondoro respirò profondamente, prendendo coraggio.
«Sì»confermò, questa volta piano, per dargli il tempo di apprendere e incamerare la notizia. «Mi sono affezionata a te. È strano, e non riesco a spiegarlo. Ma è così»disse con sicurezza, cercando di modulare il respiro per fermare i battiti del suo cuore.
Il ragazzo lasciò passare dell’altro tempo vuoto, inquieto per Hermione, che temeva di aver detto troppo e troppo presto.
 
«Come puoi esserti affezionata a me senza nemmeno avermi visto in faccia? Non sai nemmeno come sono fatto»Draco stava cercando di razionalizzare, di trovare una motivazione plausibile dietro la tempesta che gli era appena nata dentro nel cuore. Pronunciò quelle parole lentamente, con esasperante esitazione, come se dalle sue stesse affermazioni potesse trarre le risposte che cercava.
«So come sei fatto. Lo so, perchè so come sei fatto dentro» lo contraddisse la ragazza, con candore e dolcezza. Lo disse piano, in un sussurro caldo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Ma per Draco era troppo. Sentiva il bisogno di stemperare quei sentimenti nella pungente ironia con cui da sempre si difendeva.
«A parte il sangue purissimo, intendi?»domandò con sarcasmo, sperando che la serietà con cui aveva tentato di pronunciare quelle parole risultasse evidente nonostante l’improvviso calore che il suo corpo stava sprigionando.
«A parte quello, sì»confermò lei. Una risata leggera, appena accennata, le sfuggì dalle labbra.
Draco corrugò la fronte.
«Io non mi sono affezionato a te»precisò con tono rude e burbero.
«Va bene»rispose lei, sospirando. Ma sembrava che non ci fosse risentimento o dispiacere, in quelle parole.
«Davvero»Il Serpeverde rincarò la dose, tanto per cercare di fargli capire che la sua non era solo una difesa o un moto di orgoglio insopprimibile; era proprio la verità. Non sentiva niente nei suoi confronti: come avrebbe potuto?
E nello stesso momento in cui se lo domandò, intuì la risposta.
«Ci credo»disse lei con pacatezza, sistemandosi un po’ meglio addosso a lui, come un vestito particolarmente profumato, morbido e caldo. E piacevole. E di compagnia. Un bel vestito, ecco.
«Però penso che tu sia bella»lo disse in un sussurro, senza sapere perché o cosa l’avesse spinto a farlo. Quel pensiero gli aveva attraversato la mente per un attimo, come un Boccino D’oro che si mostra per un attimo durante una partita di Quidditch appena cominciata; poi era scomparso, ma anziché riposarsi in qualche angolo nascosto della sua mente era scivolato fino alla bocca ed era sgusciato fuori dalle sue labbra, e prima di rendersene conto l’aveva detto. Draco digrignò i denti, borbottando tra sé parole sconnesse e seccate.
«Come?»La ragazza, sorpresa, alzò il capo. Ora lui sentiva il suo respiro sulla guancia. Si allontanò un poco, e il braccio che prima le cingeva le spalle sciolse quell’intimo abbraccio, e raggiunse il suo gemello, sul suo petto.
«Hai sentito, non farmelo ripetere»borbottò il Serpeverde, infastidito. La Corvonero tacque un attimo, respirando piano.
«Cosa te lo fa dire?»domandò dopo un po’ in un sussurro incuriosito e lusingato.
Draco sospirò. Voleva proprio saperlo, cosa gliel’aveva fatto dire.
«Non lo so. Forse perché so come sei fatta dentro»rispose a bassa voce, vergognandosi di quella debolezza.
«A parte il sangue sporco, intendi?»suggerì lei, solleticandogli il viso con il suo respiro caldo. Nella sua voce c’era l’ombra di un sorriso che contagiò anche Draco.
«A parte quello, sì»concesse, cercando di nuovo la sua mano nel buio del bagno.
«Sai…»cominciò la ragazza, poggiando di nuovo il capo ricciuto sulla spalla del giovane «credo che mi piaccia il nome Mudblood, adesso».
 

***

 
Destino volle che, un giorno, Hermione Granger incontrasse Draco Malfoy lungo un corridoio qualsiasi. Hermione tornava in quel momento dalla lezione di Antiche Rune, per cui non era accompagnata da Harry e Ron. Allo stesso modo, Draco, era stranamente da solo, senza Tiger e Goyle alle sue calcagna. La Grifondoro procedeva in una direzione, la testa china su una traduzione a cui non riusciva a dare un senso; il Serpeverde borbottava tra sé parole incomprensibili, e avanzava in quella opposta, e tanta era la sua disattenzione che andò a sbattere dritto contro la ragazza. L’impatto fu tanto forte e inaspettato, che entrambi sobbalzarono. I libri di Hermione precipitarono a terra, tra tonfi e fruscii, e la ragazza, più preoccupata dello stato di salute dei suoi preziosissimi tomi di Antiche Rune che non di quello del giovane in cui era incappata, si chinò, raccogliendo pagine, libri e traduzioni. Quando, riordinato il suo materiale di studio, rialzò lo sguardo per vedere contro chi si era scontrata, si sorprese di notare la sagoma, ormai distante di molti passi, di Draco Malfoy.
«Malfoy!»lo richiamò lei, avanzando a grandi passi verso di lui. Il Serpeverde, invece di fermarsi, proseguì ancora più rapidamente. Hermione accelerò, allungando le falcate, e dopo pochi minuti riuscì a raggiungerlo. Gli afferrò un braccio e lo voltò verso di sé, già pronta a riversargli addosso almeno un centinaio di ramanzine. Ma quando incrociò il suo sguardo le parole le morirono sulle labbra; o forse rimasero incastrate da qualche parte nella gola, o magari ancora più giù, in fondo allo stomaco. Fatto sta che non riuscì a dire una sola parola.
Lo sguardo di Draco Malfoy era pura sofferenza. Hermione, troppo presa dai suoi impegni – lo studio, la rabbia verso Ron, gli incontri clandestini nel bagno del terzo piano – non aveva avuto tempo né voglia di guardarsi intorno, per cui non aveva mai notato il grande cambiamento del Serpeverde. La pelle del ragazzo, già di consueto incredibilmente chiara, era talmente bianca da confondersi quasi con il tessuto della camicia che indossava; il volto, emaciato e pallido, era solcato da un’espressione nervosa e inquieta, ben diversa dal ghigno beffardo e superbo di cui lui soleva vestirsi. Le sue mani sembravano non riuscire a trovare requie: tremavano, frenetiche. Il suo corpo era più slanciato e magro del solito, e grossi cerchi scuri gli contornavano gli occhi grigi, segno indelebile di innumerevoli notti passate insonni – magari in un bagno che nessuno usava, se non lei? Quel pensiero le fece balzare il cuore in gola, e perdere ogni traccia di determinazione.
«Cosa vuoi, Granger?»ringhiò lui, infastidito, corrugando le sopracciglia e fissandola dritto negli occhi, senza però la tipica arroganza che l’aveva sempre contraddistinto.
Hermione deglutì, e lo guardò a lungo, incapace di trovare parole e con un unico pensiero a frullarle per la mente. Malfoy la fissava, confuso e adirato al tempo stesso. Convinto ormai di non ricevere risposta, le voltò le spalle. Solo allora, la Grifondoro trovò il coraggio di parlare.
«Dov’è finito Draco Malfoy?»domandò tutto d’un fiato, osservando le spalle incredibilmente ossute del giovane che aveva di fronte, che tremavano appena.
«Come?»chiese lui in tutta risposta, voltando parzialmente il busto e offrendo alla ragazza la vista del suo profilo dritto e severo.
«Vai in giro come un fantasma, non curi più il tuo abbigliamento. Niente arroganza, niente sicurezza di sé, e soprattutto nessun insulto sul mio sangue. Chi sei tu, e che ne hai fatto di Draco Malfoy?»sciorinò Hermione rapidamente, come se stesse rammentando a se stessa l’elenco della spesa.
«Ti sei messa ad osservarmi, Granger? Tu e i tuoi amichetti state cominciando a spiare il figlio del Mangiamorte per scoprire se anche lui è un seguace del Signore Oscuro?»sibilò con astio, perforandole il cranio con il suo sguardo glaciale. La Grifondoro, però, non potè fare a meno di notare una punta di quella che sembrava paura, in fondo al suo sguardo. Non trovò nulla da rispondere – le continue accuse di Harry nei suoi confronti le rimbombavano ancora nelle orecchie, attutite da qualcosa di dolce e soffice che lei non riuscì a riconoscere e che trovò del tutto fuori luogo – così si limitò a stringere le labbra, il mento alto e gli occhi fieramente puntati su di lui.
«Dovresti essere a lezione»gli fece notare la ragazza dopo qualche minuto di intenso fissare.
«Non sono affari che ti riguardano»ribatté prontamente lui, senza mai abbandonare il suo sguardo. Forse non c’era più superbia nel suo atteggiamento; magari quel ragazzo lì, non era il tronfio e arrogante Serpeverde, Purosangue e Malfoy, che vagava con alterigia per i corridoi della scuola solamente fino all’anno prima – quando ancora il suo mondo non era crollato. Ma di sicuro c’era ancora l’indomita fierezza di un uomo che non si lascia piegare facilmente da chi ritiene inferiore.
«Sono un Prefetto, si dà il caso che mi riguardi»replicò Hermione con tono sicuro e pomposo, lanciandogli uno sguardo che sperava apparisse determinato.
«Si dà il caso che lo sia anche io»le ricordò il ragazzo con tono basso, quasi la sua fosse una velata ma intuibile minaccia.
«Allora dovresti rispettare tu per primo le regole»ribatté con sguardo deciso. Malfoy la guardò, il volto corrugato dall’ira, il respiro affannoso e il corpo scosso da un tremito che non era chiaro se fosse di rabbia o paura.
«Non mi scocciare, Granger» la liquidò il Serpeverde, digrignando i denti come un animale feroce. Mentre si allontanava, Hermione, in un sussulto orripilato, si rese conto di una realtà che fino a quel momento non aveva nemmeno preso in considerazione, un po’ per egoismo, un po’ perché quel giovane che ora le stava di fronte era così distante da lei, che la ragazza non l’aveva mai preso in considerazione nei suoi pensieri. Ma ora che l’aveva lì, di fronte a lei, pallido, smagrito, apparentemente spaventato, la Grifondoro si rese conto di quanto quell’anno dovesse essere stato duro per lui. Perché Draco Malfoy adesso non aveva più niente: non la fama e l’onore che un tempo ricopriva la sua famiglia, non le ricchezze di cui si era sempre vantato; non aveva nemmeno più un padre, rinchiuso ad Azkaban a causa sua e dei suoi amici – per una giusta causa, ovviamente, e di questo Hermione non aveva alcun rimorso. Ma non poté fare a meno di provare pena per quel ragazzino spaventato e solo. Solo. Forse lo era sempre stato. In fondo, cos’era la sua arroganza se non la maschera di un ragazzino viziato e senza compagnia?
Per la prima volta nella sua vita, Hermione si domandò cosa si nascondesse sotto la patina di superbia e ghigni di feroce disprezzo che lui le aveva sempre riservato. Era così concentrata che non si rese conto dell’aroma di sudore ed erba bagnata che lui si portava dietro. Se vi avesse fatto caso, avrebbe avuto la risposta alla sua domanda.
 

***

 
«Vorrei tanto fuggire. Andarmene via da qui, lontano da tutto e da tutti. Scappare e tornare quando tutto sarà finito»
«Ti riferisci alla guerra imminente?»
«Sì»
«Scappare non serve a niente. Gli ostacoli non si possono evitare, rischiamo di trovarceli davanti più alti e difficile da superare di prima»
«Immagino che sia così»
«Posso chiederti perché tutta questa voglia di scappare?»
«E’ tutto così difficile»
«Cosa? Cos’è difficile?»
«La vita è difficile»
«E l’hai scoperto solo ora?»
«Te l’ho detto, per me è sempre stato tutto facile. Non ho mai dovuto faticare, nemmeno chiedere. Avevo tutto, qualsiasi cosa»
«E adesso?»
«Adesso non più»
«Perché? Tuo padre ha capito che ti stai ribellando?»
«Io non mi sto ribellando. Non posso farlo. Mio padre non c’entra più, ora mi sto fronteggiando con una realtà molto più grande. Quando ero più piccolo… no, fino a qualche mese fa, pensavo che mio padre fosse l’uomo più potente del mondo. Sono stato abituato a pensare che lui potesse avere tutto, e quindi anche io. Perché è sempre stato così: minacciando, mentendo e ingannando ha sempre ottenuto ciò che voleva. Ma adesso c’è lui…»
«Lui?»
«Ora devo davvero andare»
«Non ti piace più stare con me? Vuoi scappare di continuo»
«Sta diventando pericoloso»
«Perché?»
«Sai troppo. Dovrei ucciderti»
«Non ne saresti capace»Lei rise, ma furono più quelle parole a colpire Draco. Probabilmente aveva ragione, ma quel pensiero non faceva che acuire il suo senso di nausea.
«Non mettermi alla prova»
«Non so nemmeno chi sei. Come può essere pericoloso?»
«E se capissi chi sono?»
«Ci sono migliaia di studenti a Hogwarts»
«Molti di meno al sesto anno, ancora meno Serpeverde»le fece notare Draco con pragmaticità.
«Non cercherò di capire chi sei. Non è quello che mi interessa»replicò la ragazza con tranquillità.
«E cosa ti interessa?» domandò incuriosito il Serpeverde, cercando inconsapevolmente il suo viso nella fitta oscurità del bagno. Aveva lasciato la sua mano in qualche momento durante quel discorso, ma ora sentiva freddo alle dita.
«Questo»disse lei con semplicità, ma non aggiunse altro. Draco tacque, in attesa che lei continuasse; e allora la ragazza rispose al suo silenzio.
«Parlare con te. Confidarmi, dimenticare il mondo fuori, chiuderlo al di là di questo bagno e cancellare tutto lo schifo per un po’ di tempo. Solo per qualche ora. Poi tutto torna: i problemi, le tragedie, la guerra. Ma almeno…»
«… almeno per un po’ l’abbiamo fregato»completò lui, quasi sovrappensiero, trovando questo pensiero simile a uno formulato da lui stesso tempo prima.
«Sì. Tu mi piaci molto»disse lei con serietà, riprendendo le fila di un discorso già formulato qualche sera prima.
«Non mi conosci» Le parole di Draco suonarono come un ammonimento, ma lui non se ne curò, né cercò di rimangiarsele o attenuare quella sensazione. Tanto, comunque, lei non si lasciava intimorire da quei suoi atteggiamenti. Forse era questo, ciò che più gli piaceva: lei gli sapeva tenere testa. Non gli concedeva tutto, com’era sempre stato. Cercava di aprirgli gli occhi senza imporgli il suo modo di vedere, con una dolcezza morbidissima e leggera. Avvicinandosi a lei come la risacca abbraccia la spiaggia.
«Ti conosco più di quanto pensi. Più che se ti avessi visto in faccia»replicò lei con tranquillità.
«E io posso dire di conoscerti?»chiese Draco, quasi esitando.
«Puoi farmi tutte le domande che vuoi. Io ti risponderò»disse lei, un po’ sorpresa e un po’ lusingata da quell’improvvisa attenzione.
Il Serpeverde rimase in silenzio per un attimo, pensando a cosa chiederle. Poi le domandò: «Come sai tutte queste favole?».
«Alcune me le leggeva mia madre prima di andare a dormire»rispose subito lei, senza la minima esitazione nella voce. Sembrava felice di poter condividere quei ricordi con lui.
«Tua madre ti leggeva le favole?»ripeté il giovane, sinceramente sorpreso.
«Tua madre non lo faceva?»domandò lei, e la sua voce suonava anche più meravigliata di quella di Draco.
«No»replicò lui, secco. Improvvisamente, si sentì privato di un’importante parte della sua infanzia. Poi, però, pensò che in fondo c’era già chi gli raccontava le favole, quindi andava bene così.
«Devi aver avuto un’infanzia difficile»considerò con tono dispiaciuto la ragazza.
«Tutt’altro»la contraddisse lui con sicurezza. «È stata meravigliosa. Avevo tutti i giocattoli che volevo. A cinque anni ho avuto la mia prima scopa, è stato bellissimo»Senza che se ne rendesse conto, il suo tono si addolcì.
«Quindi voli bene»commentò la ragazza in tono neutro. Sembrava che non fosse più di tanto esaltata alla notizia, ed era strano, perché di solito le donne vanno pazze per chi vola bene, pensò Draco.
«Altroché»confermò quindi, con tono arrogante. Gli piaceva ancora darsi delle arie, soprattutto davanti a lei, per sentirsi più forte, superiore a lei, che sembrava migliore in tutto, spesso.
«A me fa paura volare»rivelò la ragazza.
All’improvviso, Draco si sgonfiò. Capì il motivo di quel tono indifferente, e si sentì sciocco ad aver pensato alla sua dignità.
«Magari»cominciò, esitante «Magari, se vuoi, un giorno ti insegno»propose lentamente, come se volesse darle il tempo di capire e impadronirsi di quell’idea. E subito le prese la mano. Senza nemmeno capirne il motivo. Draco si giustificò dicendo a se stesso che voleva solo darle sostengo e farle capire la sua vicinanza, ma si rese conto che invece era lui ad aver bisogno di un appiglio, perché si era sbilanciato troppo e aveva paura di cadere.
«Sì, mi piacerebbe»disse la ragazza dopo molti minuti di silenzio, accarezzandogli piano le dita.
«Davvero? Credevo ti facesse paura»commentò il Serpeverde, sorpreso da quella risposta. La ragazza si avvicinò a lui, si appoggiò al suo petto e sospirò.
«Non con te» disse lei, e la sua voce suonava incredibilmente serena.
 

***

 
Hermione si trovava nel bel mezzo di una lezione di Storia della Magia particolarmente noiosa. I primi raggi di un timido sole si affacciavano alla finestra dell’aula, investendola di un tepore piacevole che le fece desiderare di andare fuori a studiare Trasfigurazione, sotto quella luce che sembrava meravigliosa e invitante. Quel pensiero l’aveva fatta estraniare dalla lezione, e ora la voce del professor Rüf era solo un ronzio di sottofondo; le sue parole si confusero nella sua mente, e la sua mano, di solito vigile persino in quei momento, smise di prendere appunti.
«Un po’ come Giulietta e Romeo, insomma» commentò una voce dal fondo dell’aula. Hermione fu strappata alla dolcezza di quel momento da un brusco ritorno alla realtà; si irrigidì, spalancò gli occhi e si lasciò sfuggire un sussulto leggero, che riuscì a mascherare seppellendo la testa tra i libri e trascrivendo un appunto senza senso e inopportuno sulla pergamena che aveva dinnanzi a sé. Poi, raggelata, lanciò un’occhiata dietro di sé.
Aveva riconosciuto quella voce. Non tanto il contenuto delle parole, quanto la sfumatura familiare del timbro, che aveva risvegliato in lei ricordi sopiti, seppelliti sotto strati di confidenze e dietro una porta di legno che aveva nascosto, celato, ingannato. Quel pensiero che ora prendeva forma nella testa di Hermione, non l’aveva mai sfiorata sino a quel momento, non perché lei non si fosse fatta domande, ma perché l’eventualità era tanto remota quanto impensabile, e, soprattutto, indesiderabile. Nel tempo, durante quei mesi passati a ridere, parlare, confidarsi, amare, aveva allontanato il sospetto che ora stava diventando realtà davanti ai suoi occhi.
Perché quando Hermione Granger sentì quelle parole, il suo cuore avvertì il tono leggero del ragazzo che per mesi aveva cullato i suoi sonni e accolto i suoi turbamenti, ma la sua mente percepì il timbro sgradevole e arrogante, menefreghista e superbo di quel Serpeverde che era Draco Malfoy.
Ma questo non era possibile, continuava a ripetersi la Grifondoro, trascrivendo freneticamente un appunto, e spingendo così forte la piuma d’oca sulla pergamena da bucarla.
«Romeo e Giulietta, signor Malfoy?» ripetèil professor Rüf, che guardava, sorpreso che qualcuno avesse interrotto la sua lezione, un punto dietro la spalla di Hermione, con un’espressione per metà perplessa e per metà ammirata.
Non ha detto Malfoy. Non ha davvero detto Malfoy. È stata solo la mia mente, solo un gioco della mia mente, uno stupido fraintendimento. Una coincidenza.
Lentamente, la Grifondoro si voltò, e posò lo sguardo su quel ragazzo che ora tutti guardavano, confusi – perché non era mai successo che qualcuno nominasse storie babbane a una lezione, soprattutto non durante la lezione di Storia della Magia, e soprattutto non un Purosangue.
Se Sibilla Cooman avesse visto la faccia di Hermione Granger in quel momento, avrebbe senz’altro sorriso con soddisfazione e compiacimento, ricordandole il grave errore che aveva fatto quando, tre anni prima, mollò le sue lezioni di Divinazione definendole sciocche e senza senso.
«E tu che hai da guardare, Granger?».
Perché quella voce apparteneva, in ultima analisi e senza alcun dubbio, proprio a Draco Malfoy.

 
«Che significa Montecchi?
Nulla: non una mano, non un piede, non un braccio, non la faccia,
né un'altra parte qualunque del corpo di un uomo.
Che cosa c'è in un nome?
Ciò che noi chiamiamo con il nome rosa,
anche se lo chiamassimo con un altro nome,
serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo»

   
 
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