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Autore: LauFleur    10/05/2012    7 recensioni
Cercò le mani di suo fratello, che ancora gli stringevano il collo, e ci posò le sue.
Gli sembrò di aver trattenuto il fiato per vent’anni. Soltanto adesso poteva respirare.
Chiuse gli occhi.
“Questo.” sussurrò Sam. “Solo questo è vero.”
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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[Penultimo capitolo]

 

 

Un giorno.

 

Avevano occupato una casa abbandonata, nascosta tra i boschi. Avevano entrambi quella stupida convinzione – che ovviamente non avevano detto ad alta voce – che, se si fossero nascosti bene, nessuno avrebbe potuto toccarli.

Sam aprì gli occhi. Tutto quello che vide fu un soffitto pieno di crepe illuminato da deboli raggi di sole. Impiegò qualche secondo per riconoscere la stanza, per ricordarsi dove si era addormentato la sera prima. Ma tutto fu improvvisamente chiaro quando lo sguardo si posò su quella mano appoggiata sul suo stomaco. Riconobbe le dita, le unghie, il calore. Voltò leggermente la testa e si godè la visione di Dean, addormentato accanto a lui, con un’espressione beata stampata in volto, una mano nascosta sotto il cuscino e l’altra su di lui.

Allungò una mano e gli coprì la spalla con la coperta che si era abbassata. In risposta, suo fratello si mosse e si avvicinò ancora di più, mugolando parole incomprensibili.

Non poté fare a meno di sorridere.

 

Un mese prima, Dean si era svegliato con il fiato corto, la maglietta attaccata alla pelle e le mani che tremavano. Come sempre aveva sognato Sam e, come sempre, erano insieme, ma quella volta l’aveva visto più chiaro, più vivo di tutto il resto. E quando si era svegliato, catapultato in quella vita scura e fredda, era stato come se tutto quello che aveva, tutto quello che voleva, gli fosse stato strappato dalle mani. Aveva provato dolore fisico, e avrebbe voluto urlare, con tutto il fiato che aveva, ridatemelo, ridatemi Sammy. Non era più riuscito a riaddormentarsi, non era più riuscito a tornare da lui, e non aveva avuto altra scelta: si era alzato e aveva raggiunto suo fratello. Avevano dormito così, nello stesso letto. Senza toccarsi durante la notte, senza parlarsi quando si erano svegliati. Lontani, ai due lati del letto, ma mai così vicini.

Avevano passato tutte le notti dell’ultimo mese così, sotto le stesse coperte. Non ne avevano mai parlato, non si erano chiesti il perché – perché lo volevano, perché quella vicinanza fosse così bella – o se era la cosa giusta. Non avevano analizzato niente di tutto quello che stavano diventando, ma non importava perché entrambi non avevano mai dormito così bene.

Le prime notti, Sam impiegava ore a lasciarsi cadere nel sonno. Avrebbe voluto avvicinarsi, toccarlo, parlargli, ma si tratteneva. Chiudeva i pugni, si mordeva la lingua, e notte dopo notte aveva imparato a godersi ogni attimo, senza pensare ai desideri che lo logoravano.

Ogni tanto, proprio come quella mattina, Dean si muoveva e, senza neanche accorgersene, lo cercava. Gli circondava il fianco con il braccio e lo tirava verso di sé, allungava una mano e la posava sulla sua, avvicinava la testa alla sua spalla, e continuava a dormire come se quel contatto gli desse ciò che aveva bisogno per trovare un altro po’ di pace.

 

Mentre lo guardava e lo sentiva respirare, Sam sentì un nodo alla bocca dello stomaco. Un brivido gli percorse la schiena, la consapevolezza lo travolse come un treno: quella non era una mattina come tutte le altre, erano agli sgoccioli, era quasi finita.

Sono le ultime quarantotto ore insieme a lui.

La testa iniziò a girare, il corpo fu scosso dall’urgenza. Stavano perdendo tempo, stavano sprecando minuti preziosi. Doveva salvargli la vita, non ammirarlo dormire accanto a lui sperando che quel sonno potesse proteggerlo per sempre.

Spostò la mano ancora appoggiata sul suo torace, si liberò dalla presa di suo fratello e si mise seduto.

“Dean,” sussurrò, scuotendogli una spalla. “svegliati.”

“Mmmm,” mugolò. La mano vagava sul lenzuolo, cercando un corpo che non c’era più.

“E’ tardi.” Insistette Sam, e quelle due parole ebbero la forza di farlo tremare. Cazzo, era tardi davvero. Era tardi per tutto. “Dean!”

Ancora con gli occhi chiusi, Dean alzò un braccio e afferrò la mano di suo fratello che lo stava scuotendo. Gli strinse il polso e poi lo tirò verso di sé. Sam si lasciò trasportare, improvvisamente di nuovo stanco, e cadde tra le coperte. Se ne rese conto all’improvviso: Dean era l’unica cosa contro cui non riusciva a combattere.

“Voglio dormire,” mormorò Dean. “voglio dormire ancora un po’.”

E, per la prima volta, si addormentarono abbracciati.

 

 

Erano entrambi seduti sul divano, Sam aveva il portatile sulle gambe e Dean guardava lo schermo della televisione senza vederlo. Il fratello maggiore si alzò, sparì in cucina e tornò con due birre. Bevvero lentamente, gustandosi ogni sorso, senza rivolgersi parola. Non era necessario parlare, dare voce ai pensieri, era tutto nell’aria. Tutto sospeso. Ad ogni respiro, la fine era sempre più vicina. E la potevano toccare, annusare, vedere.

Dean intravide dalle tende il sole che calava. Scomparve, portandosi con sé la luce del giorno e la calma che finora era riuscito a mantenere. Si fece comandare dall’istinto, allungò una mano raggiungendo le gambe di Sam e chiuse il computer.

“Basta, Sammy.” sussurrò. Nemmeno lo guardò, non cercò i suoi occhi perché sapeva cosa ci avrebbe trovato seppellito dentro: dolore. Ancora dolore.

Basta Sammy…” borbottò l’altro. “Cosa hai intenzione di fare, Dean? Stare col culo su questo divano e aspettare che ti vengano a prendere? Come se fossi il primo degli sprovveduti, come se non avessi mai dovuto lottare in vita tua?”

“No.” La sua voce, bassa e roca, risuonò nella stanza spoglia. Si voltò e guardò Sam. Trovò i suoi occhi e ci scovò quello che si aspettava, ma oltre al dolore c’era qualcos’altro: tenacia. Quella forza che lo aveva contraddistinto fin da bambino. Quella forza che, quando erano piccoli, lo faceva andare avanti per ore, notte e giorno, a chiedergli dov’era papà, quando sarebbe tornato, quando avrebbero rivisto casa. Quell’impegno che metteva nelle recite scolastiche a cui nessuno assisteva se non Dean, nei temi e nei compiti di matematica che nessuno apprezzava se non professori che presto si sarebbero scordati di quel bambino tanto intelligente che spariva sempre dopo qualche mese. Quella forza che gli aveva fatto scegliere Stanford, che lo aveva rimesso in piedi, con le armi cariche strette tra le mani, dopo aver visto la ragazza che amava in fiamme davanti ai suoi occhi. Quella forza, così umana e così sensibile, che solo Sam aveva.

Dean sentì un misto di tenerezza e orgoglio inondargli il petto, e provò quella sensazione che troppe volte l’aveva paralizzato: non riusciva a gestire tutto il bene che gli voleva. Era più grande di lui, più grande di tutto il resto.

Nonostante la fine fosse aggrappata alle loro spalle, un tentativo glielo doveva, lo doveva ad entrambi. E allora disse, “Dimmi cosa hai scoperto.”

Sam alzò le spalle e indicò il computer chiuso. “Se almeno mi avessi fatto finire di leggere…”

“In questi mesi, intendo.” E di fronte all’espressione improvvisamente colpevole di suo fratello, gli sorrise.

Sam prese un respiro profondo, si liberò del computer appoggiandolo sul pavimento e, accomodandosi contro lo schienale del divano, iniziò a parlare. Gli raccontò di ogni ricerca, ogni libro, ogni formula, ogni simbolo. Gli raccontò tutto quello che aveva scoperto.

“Bene,” disse alla fine Dean, strusciando le mani tra di loro. “Anche se il demone dell’incrocio non può sciogliere il patto, non significa che non possa parlare, giusto? Ce lo dirà quella puttana chi detiene il mio contratto.”

Sam sentì un brivido di freddo, le mani iniziarono a sudare. Non aveva il coraggio di guardarlo e parlare, allora lo disse tutto d’un fiato. “L’ho uccisa.”

Dean si immobilizzò. Le mani ferme a mezz’aria, la bocca aperta e gli occhi spalancati. “Cosa?”

“L’ho evocata, non parlava, l’ho uccisa. Fine.”

“Fine?”

“Fine.”

“Con cosa?” chiese, e siccome suo fratello non apriva bocca continuò. “Dimmi che non hai usato la Colt, Sammy. Dimmi che hai trovato un altro modo, un altro fottutissimo modo che non sprechi uno dei due proiettili più importanti di tutta la nostra maledettissima vita.”

Sam si alzò, si allontanò dal divano, si allontanò da lui. Aveva riconosciuto la voce, era quella che usava quando stava per scoppiare, la voce che precedeva urla, rimproveri e bicchieri di whisky. E non aveva voglia di buttarsi a capofitto nell’ennesima litigata. Non quel giorno.

“Non sapevo cosa fare.” mormorò, con la voce che stava insieme per miracolo.

Dean era sull’orlo, su quel filo che divide l’agitazione dalla rabbia. Sarebbe bastata qualche parola, un tono di voce sbagliato, un rimprovero in più, e sarebbe scoppiato. Ma tutto quello che aveva non erano parole, voci o rimproveri, tutto quello che aveva – lì, in piedi davanti ai suoi occhi – era suo fratello. Perso e disperato.

“Calmati.” disse, e lui stesso fece fatica a riconoscersi. “Troveremo un altro modo.”

“Non c’è!” urlò Sam, passandosi le mani tra i capelli.

“Stai calmo, ti ho detto. Guardami. Fermati e guardami.” Sam smise di camminare avanti e indietro e ubbidì. Poi Dean aggiunse, “Chi ti ha detto che avevo solo un anno?”.

“Un demone. Ruby, la chiamano così. L’ho scelta perché tutti i demoni che ho trovato parlavano di lei, sa qualcosa per forza.” Fu come se si fosse distrutta una diga, le parole uscirono da sole, un fiume in piena. “Sapeva di te Dean, sapeva tutto. Ci conosce, ha detto che ci conoscono tutti. Non vedono l’ora di distruggerci, di separarci. Cristo, Dean, non vedono l’ora di averti laggiù.”

Dean s’impose di non guardare la lacrima che stava rigando la guancia di suo fratello. “Chiamala.”

“Non parlerà, Dean. Non ci dirà un cazzo.”

Si alzò, lentamente, e lo raggiunse. Alzò un braccio e avvicinò il palmo aperto della mano al volto di suo fratello. Sam ci lasciò cadere la testa, mentre sentiva il pollice di Dean che gli accarezzava la guancia e cancellava il segno della lacrima.

“Tutti parlano, Sammy.” E sulle sue labbra apparve, in un misto di affetto e rassegnazione, un sorriso.

 

 

“Che onore!” esclamò Ruby. “Evocata e legata da Dean Winchester in persona!”

Sam aveva recitato la formula, Dean l’aveva intrappolata nel cerchio disegnato sul soffitto e legata mani e piedi ad una sedia.

“Non ho tempo da perdere,” iniziò Dean.

“Per quanto mi riguarda, possiamo farla finita anche subito. Non vi dirò niente.”

“Inizierò con le buone, e finirò con le cattive.”

“Ci ha già provato il tuo fratellino, non te l’ha detto?”

“Mio fratello è molto più paziente di me.” Tirò fuori dalla tasca dei jeans una fiaschetta, la stappò lentamente. “E per me sarà un piacere sfregiarti quel bel faccino.”

Senza nemmeno guardarla, spruzzò un po’ di acqua santa sulla faccia della ragazza. Un grido spezzò l’aria, il demone si dimenò tra il fumo che gli circondava il viso.

Il fumo e le grida sparirono, rimpiazzate da una risata. “Credi di farmi parlare a suon di gavettoni?”

“Voglio un nome.” Altra acqua benedetta, altro fumo, altre grida.

“Ti vedo un po’ sciupato,” ghignò Ruby, scuotendo la testa per togliersi i capelli dagli occhi. “non hai una bella cera. Manca poco, eh?”

Sam si intromise, raggiunse con due falcate suo fratello, gli strappò la fiaschetta dalle mani e gliela rovesciò addosso tutta, fino all’ultima goccia. “Parla!” urlò, sovrastando il rumore della pelle che sfrigolava. “Dacci quel nome!”

Quando si riprese, Ruby continuò da dove era stata interrotta, come se Sam non si fosse mai mosso, non avesse mai parlato. “Non riesci a riposare, Dean?”

“Dormo da Dio.” rispose. E quelle parole ebbero nella sua bocca un sapore nuovo, quando si accorse che le stava dicendo la verità.

“Le tue occhiaie dicono il contrario. Dimmi un po’, quanto ti torturano quei sogni?”

Dean s’immobilizzò. Le braccia, incrociate sul petto, persero forza e cascarono lungo i fianchi. Sentì le gambe deboli, la testa che iniziava a girare e nelle orecchie un brusio così forte che gli impediva di sentire i suoi stessi pensieri.

I sogni? Che cazzo ne sa lei dei miei sogni?

Guardava il demone, ma vedeva il vuoto. Era fermo, immobile, ma dentro urlava e scalpitava.

Fa’ che questa puttana non dica nulla a Sam. Fa’ che lui non lo scopra.

Sam era confuso. Spostava gli occhi da suo fratello al demone, e poi di nuovo su suo fratello: sembrava una statua, il suo corpo era lì ma lui non c’era. E non riusciva a capire perché. L’unico indizio, l’unico spiraglio di luce, era ciò che aveva detto Ruby.

“Che sogni?” chiese con un filo di voce.

“Tuo fratello non te ne ha parlato?”

Si voltò verso Dean, che lo guardava come se aspettasse che il mondo gli crollasse addosso. Come se fosse l’ultimo sguardo che aveva a disposizione.

“È quello che succede quando i cerberi ti danno la caccia, quando il momento di raggiungere l’inferno si avvicina. Sei talmente terrorizzato che ciò che ti fa più paura ti viene a trovare appena chiudi gli occhi.” spiegò Ruby. “Allora, Dean? Raccontaci. Quali sono i tuoi incubi?”

Sam lo guardava e non capiva. Da quanto tempo aveva gli incubi? Da quanto era tormentato nel sonno? Perché lui non se n’era mai accorto? Era talmente perso nelle sue fantasie, talmente impegnato a desiderare quello che non poteva avere, che non riusciva più a leggere suo fratello. In tutti quei mesi, quando lo aveva guardato dormire, ogni volta che aveva chiuso gli occhi, gli era sembrato addirittura… in pace.

“Forza Dean, spara. Cosa vedi?” continuò il demone. “Quei bei cagnoni che ti strappano la carne? Tutte le fantasiose torture che dovrai subire all’inferno? Quanto ci metterà tuo fratello a farsi ammazzare senza di te?”

No, avrebbe voluto rispondere. Niente di tutto questo. Vedo lui, vedo noi. Felici. Insieme. A quanto pare, ciò che più mi terrorizza non sono i cerberi o l’inferno, ma siamo noi.

Ora capiva, tornava tutto. Capiva il perché: perché lui, perché loro, perché ora.

E il terrore che aveva portato i suoi sogni in quella casa, sul quel divano, in quel bagno con il tappeto rosso, ora s’impossessò del suo corpo. Dopo minuti interi in cui non aveva fatto altro che starsene zitto e immobile, finalmente si mosse. E lo fece per andarsene.

Si voltò, salì le scale e sparì.

Sam lo vide scomparire un’altra volta. Un’altra volta senza la forza di sostenerlo, senza la capacità di salvarlo, e sentì qualcosa spezzarsi dentro: suo fratello era distrutto, loro non avevano un piano, lui sarebbe rimasto solo. Era la fine.

Mentre saliva le scale per raggiungere la camera da letto, Dean sentì i passi pesanti di suo fratello che lo seguivano. Rimbombavano sui gradini, nelle orecchie, nel petto. E poi sentì la voce. Rotta, disperata, al limite. Urlava, malediva, lo rimproverava, e subito dopo rimproverava se stesso. Continuava a ripetere: è finita. È tutto finito.

Raggiunsero la camera da letto. Dean avrebbe voluto chiudersi in bagno e dimenticare tutto sotto il getto caldo della doccia, ma Sam lo fermò. Senza smettere di urlare neanche per un secondo, lo strattonò e lo costrinse a voltarsi.

Dean lo guardava, stravolto di fronte a lui. Arrabbiato, disperato, alla deriva. Guardava i capelli disordinati che gli coprivano la fronte, le labbra deformate in una smorfia, gli occhi iniettati di disperazione, il pomo d’Adamo che, impazzito, gli disegnava la gola. Lo guardava aprire e chiudere la bocca sputando grida e rabbia, ma non riusciva a sentirlo. Riusciva a sentire e a pensare soltanto una sera, la mia ultima sera.

Mancava poco, mancava così poco. Se ne rese conto all’improvviso, e quel pensiero lo schiaffeggiò. Un’alba, un tramonto, ventiquattro ore. Poi niente, il buio. La fine. E quel buio avrebbe inghiottito anche loro.

Ma se davvero questa era la fine, che senso aveva vederlo in quello stato? Che senso aveva resistere, soffrire, negarsi? Perché doveva fingere fino all’ultimo respiro?

È questo che la gente fa quando sta per morire? Si abbandona alla verità?

Forse sì. Perché la morte lo portò a questo, la morte lo portò da lui.

“Zitto, Sam.” La voce, bassa e raschiata, fu un taglio netto.

“No, non sto zitto! Non sto più zitto! Mi hai tenuto la bocca chiusa per mesi,” continuò a sbraitare. “Niente polemiche, niente proteste, niente verità! Ma ora bast-“

“Hai ragione,” lo interruppe. Un altro taglio. “Ora basta.”

Sam si fermò, si spense, come se all’improvviso gli avessero tolto le batterie. C’era qualcosa nella voce di suo fratello, non sapeva se temerla o esserne curioso. Lo guardava confuso, impietrito al centro della stanza, mentre Dean, a passi lenti e misurati, iniziò ad andargli incontro.

Sam poté vedere la sua figura che si avvicinava, si godeva ogni particolare. Gli scarponi che risuonavano sul pavimento, le gambe storte e adorabili, le braccia fasciate dalla camicia scura. E, sempre più vicini, i suoi occhi verdi che sembravano spogliarlo.

“Hai ragione, Sam.” ripeté.

Adesso poteva sentire il respiro mescolarsi al suo, poteva contare le lentiggini, poteva perdersi sulla linea delle labbra e nel movimento lento delle ciglia.

“Ora basta.” L’ultimo taglio.

Dean fece scivolare lentamente una mano tra lo scollo della maglietta e la pelle, gli avvolse il collo con il palmo. Lo spinse delicatamente verso di sé, e le loro labbra si trovarono.

Un bacio leggero, dolce, morbido.

Sam ricambiò la stretta, gli avvolse i fianchi con entrambe le mani. Rabbrividì quando la camicia si alzò leggermente e poté sfiorare la schiena, la pelle… la pelle nuda.

Si scontrarono. I fianchi, le cinture, i jeans. E il bacio si trasformò, da dolcezza a irruenza. Dean lo cercò ancora di più, spinse più forte fino a fargli aprire le labbra, che accolsero la sua lingua calda e impaziente.

Passarono secondi, minuti, secoli. Si chiesero entrambi se la fine non fosse già arrivata e li avesse trovati lì, pronti, nel loro paradiso.

Sam aprì gli occhi, terrorizzato dall’idea che tutto potesse svanire, che lui potesse svanire, che fosse di nuovo intrappolato in una delle sue tante fantasie. Ma c’era ancora. Dean era ancora lì, tra le sua braccia. E sembrava un uomo nuovo. Le labbra leggermente gonfie, curvate in quello che sembrava proprio un sorriso, le guance arrossate, gli occhi che brillavano di una luce nuova, finalmente libera.

“Dean” sussurrò. “… Dio.”

Non aveva parole, non le trovava. Tutto sembrava troppo. Troppo da guardare, da toccare, da vivere. Lasciò cadere la testa in avanti, fino a toccare la fronte dell'altro.

Chiuse gli occhi, un respiro profondo. Sorrise.

Dean aveva il respiro irregolare, affannato, si accorse che gli tremavano le mani. Lui invece era tranquillo, pronto, come se in cuor suo avesse sempre saputo che – prima o poi, se avesse avuto pazienza, se avesse saputo aspettare – quel momento sarebbe arrivato.

 “Sei sicuro, Sammy?” Quella voce tanto familiare sembrava provenire da lontano, da un’altra vita, dalla vita che aveva sempre voluto vivere e che mai aveva sperato di ottenere.

Prima che potesse rispondere, prima che potesse urlargli quanto lo voleva fino a finire il fiato che aveva in corpo, Dean gli afferrò la testa e lo costrinse a guardarlo dritto negli occhi.

“Pensa bene prima di rispondere, Sammy.” disse, in un groviglio di parole emozionate ma decise. “Non voglio ferirti, non voglio turbarti, non voglio farti del male. Lo sai, non me lo perdonerei mai. Ma se dici di sì, se mi assicuri che questo – questa cazzo di follia – è davvero quello che vuoi… non mi fermerò, Sam. Dio mi perdoni, non mi fermerò.”

Sam, un sorriso di indescrivibile felicità stampato sulle labbra, socchiuse gli occhi. Si lasciò andare sulla spalla dell’altro, respirò il suo profumo, strinse tra le dita il tessuto consumato della camicia. Avvicinò le labbra alla sua gola. Mentre la barba di qualche giorno gli pizzicava le guance, gli baciò il collo, la mascella, gli zigomi.

“Non ho mai voluto nient’altro.” sussurrò. Cercò i bottoni e, uno ad uno, li fece scivolare lentamente nelle asole. “Solo questo.”

Lo spogliò, Dean rimase a petto nudo. E adesso l’unica cosa che riempiva gli occhi di Sam era il tatuaggio. Quella macchia di inchiostro sulla pelle liscia e dorata. Alzò una mano, lo sfiorò con le dita. Poi avvicinò le labbra e ci lasciò un bacio. Dio, da quanto desidero farlo, e il bacio diventò un morso.

“E ti scongiuro, non ti fermare.” sussurrò, senza staccare le labbra dalla sua pelle.

Dean era incantato da Sam, dalla passione che sprigionava da ogni movimento, dalla devozione che dimostrava con ogni piccolo gesto. E, sentendo le sue labbra che gli baciavano il petto, lo sterno, il cuore, si portò le mani alla cintura.

“Non ti preoccupare, farò piano.” disse a voce bassa, e lo schiocco dei jeans che si aprivano accompagnò le sue parole. “Cercherò di essere… Sarò perfetto.”

E rassicurandolo fino alla fine, anche su l’unica cosa per cui non aveva bisogno di rassicurazioni, lo trascinò sul letto.

 

 

 

  
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