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Autore: SmokingRum    12/05/2012    1 recensioni
L'ultima e diretta discendente di Sherlock Holmes, il suo assistente, uno studente di medicina, e i loro casi.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter XII
The bomb, the fear and the nemesys
 
 
 
 
Il silenzio mi stava quasi facendo male alla testa. Cheyenne, in genere così razionale, stava letteralmente sudando freddo. Non si era mossa da quando mi aveva detto quella frase. Quella breve e terribile frase.
 
 
Come sarebbe a dire che stiamo per morire?!
 
 
 
-Cheyenne, che succede?
-Stiamo per morire, te l’ ho detto.
-Spiegati meglio.
-Quel pulsante ha attivato la chiusura forzata della porta che, ora come ora, non si aprirebbe nemmeno con le cannonate. Inoltre, ha attivato una bomba che probabilmente è nascosta proprio qui dentro. E che ci farà saltare in aria.
 
 
 
Cheyenne, cosa stai dicendo?! Morire? Noi due?
Come è possibile una cosa del genere?!
 
 
 
Quanto tempo era passato? Venti, trenta minuti? E ancora nulla. Io stavo sudando freddo da molto ormai. Ero terrorizzato, letteralmente. Quando sarebbe scoppiata quella bomba?! E perché ce ne restavamo così fermi? Cheyenne sembrava come imbambolata, come se non se lo aspettasse.
-Cheyenne, forza. Tiraci fuori da questo casino.
-E come? Non so come fare, se tu lo sai dimmelo.
-Non lo so nemmeno io. Sei tu quella geniale.
-A quanto pare non così tanto.
-Ma io lo so che tu puoi salvarci la pelle, ne sono sicuro.
-Non bastano le tue convinzioni, Muddy. Io non so come salvarti.
 
 
Non ora, Cheyenne. Non farmi ricredere su tutto quello che
pensavo di te! Io ero disposto ad affidarti la mia vita, 
perché mi fido di te! Avanti, tira fuori le palle!
Io lo so che tu puoi salvarci. Lo so.
 
 
 
-Qui non si tratta di salvare me, si tratta di salvarci. Tutti e due. Non possiamo morire, non è ancora il nostro turno!
-E allora cosa devo fare?! Non ho idea di dove sia la bomba e qualsiasi movimento avventato potrebbe farla esplodere!
-Tanto esploderà comunque! Almeno provaci! Perché ti stai arrendendo?!
-Perché per colpa mia, per colpa della mia intelligenza, per colpa del mio stupido senso di giustizia, due persone sono morte senza che io potessi fare nulla e ora morirai anche tu! –urlò. Si portò una mano alla bocca, quasi per trattenere un lamento, un gemito. Vidi i suoi occhi arrossarsi.
 
 
 
Oh, mio Dio! Sta piangendo? Per me? Cheyenne, stai piangendo
per me? Perché? Forse perché non vuoi che io muoia?
Cheyenne, non piangere.
 
 
 
Le sue spalle si scossero lievemente, mentre le mani cominciarono a tremare. Si mise la testa fra le gambe e singhiozzò silenziosamente. Io mi avvicinai a lei e mi misi in ginocchio, carezzandole la testa.
-Che cos’hai? –le chiesi.
-Non lo so! –strillò –Non lo so, non ho mai provato una cosa simile! Che cos’è?! Mi fa male il petto, come se mi avessero strappato il cuore! E mi fa male ogni volta che penso che potresti morire! E non è solo oggi! Ci ho pensato anche altri giorni e ogni volta sentivo il cuore quasi scoppiarmi di dolore! Che cos’è?!
La lasciai piangere qualche secondo, mentre nella mia mente tentavo di mettere in ordine quelle parole.
 
 
E’ quello che provo io se penso che tu 
potresti morire, Cheyenne. Solo che tu non lo sai.
Proprio tu, la più geniale mente del’ universo, non capisci quello che
provo per te. E adesso cosa dovrei dirti? 
Ma di una cosa, Cheyenne, sono sicuro: che se
davvero stiamo per morire, io devo farti tornare la voglia
di combattere.
 
 
 
-Cheyenne, se ti arrendi così io morirò.
-Lo so! Diamine, lo so! 
-E inoltre avrai perso. E Koichi vincerà. Nessuno saprà che hai risolto il caso.
Il pianto di Cheyenne cessò. Le sue spalle minute smisero di scuotersi e le mani di tremare. Non alzò la testa, ma capii che gli occhi erano spalancati e fissi sul pavimento.
 
 
 
Io devo fare in modo che Cheyenne si
ricordi di come si combatte.
 
 
-Se invece riuscissimo ad uscire di qui tutti saprebbero che hai risolto brillantemente anche questo enigma. Pensaci un secondo!
E ci pensò probabilmente. Perché appena finii di parlare scattò in piedi. Vidi i suoi occhi turchesi brillare più vivi che mai, mentre si soffermavano su ogni signolo particolare della stanza nella quale ci trovavamo. C’era solo un tavolo e una sedia. Nient’altro. Le mura erano in cemento armato, non un  quadro ne altri oggetti che potessero coprire un nascondiglio. 
-Dove sei? – sussurrò Cheyenne –Se non puoi essere nascosta qui allora dove sei?
Vedevo i suoi occhi quasi arrossarsi per lo sforzo del suo ragionamento. Era fragile, in quel momento, per questo non riusciva a pensare lucidamente. Ma io sapevo che ce l’avrebbe fatta. Non per niente, io le avevo donato la mia anima e non ero un uomo così stupido da affidare la propria essenza ad una donna insipida o che non saprebbe cosa farsene.
Poi vidi i suoi occhi indugiare sul cadavere di Koichi, accanto a noi, abbandonato in una pozza di sangue. 
Cheyenne si lanciò su di esso e si mise a frugare nelle sue tasce e nella sua giacca. All’ improvviso smise di cercare e, lentamente, fece fare capolino ad una scatola, non più larga di sei centimetri e lunga dieci, di plastica nera.
-Ti ho trovata. –sussurrò. 
La poggiò piano a terra e, il più delicatamente possibile, tolse il pezzo superiore di plastica. Si rivelarono così centinaia di piccoli fili  colorati ed un timer che scandiva silenzioso i secondi.
Mancavano 12 minuti e sei secondi all’esplosione.
-Va bene… Tu sei il detonatore, quindi la bomba non è qui… Sicuramente sotto il terreno… Va bene… - sussurrò Cheyenne –Posso farcela. Muddy, mi devi fare un favore.
-Tutto quello che vuoi!
-Compiacimi. Ora come ora il mio sistema nervoso è decisamente fragile e potrebbe crollare da un momento all’ altro. Qualsiasi cosa io dirò, anche la più sciocca o incomprensibile… tu compiacimi.
-Va bene.
Cominciò ad armeggiare con i fili. Perché non era come nei film, dove i fili sono due, uno rosso e uno blu?! Lì i fili erano così tanti e di colori tutti diversi che gli occhi mi si stavano storcendo!
Sotto il mio sguardo terrorizzato, ne staccò all’ improvviso uno. Guardai il timer, che non si fermò. Cheyenne sospirò e continuò con il suo lavoro.
 
10 minuti e sette. In dieci minuti la mia vita sarebbe finita?
-Muddy.
-Dimmi.
-Io sono intelligente?
-Incredibilmente.
-E sono simpatica?
-In maniera discutibile, ma io la apprezzo molto la tua simpatia.
-E tu ti fidi di me?
-Si.
-Quanto? 
-Fino alla morte. Ti seguirei anche all’ inferno. Ti darei la mia vita in un pacco. 
Staccò un altro filo. Tirai un sospiro di sollievo quando vidi che i secondi avevano rallentato il loro pauroso CountDown.
 
 
Otto minuti. Ma ne erano passati molti di più di due e Cheyenne continuava a far rallentare i secondi. Ormai mancava poco, poi sarebbe riuscita a fermarla completamente.
-Muddy.
-Dimmi.
-Io sono utile?
-Hai aiutato tanta gente. Si, sei utile. E sei utile anche a me.
-E dimmi una cosa… sono bella?
-Sei probabilmente la donna più bella che io abbia mai visto, Cheyenne. Mile volte più bella di Maria. 
Un altro filo volò via. 
 
Tre minuti e 48 secondi. La tensione si sentiva, si poteva tagliare, prenderla in mano e appallottolarla. Mancavano solo tre fili. Quale sarebbe stato quello giusto?
-Muddy. 
-Dimmi.
-Se io morissi qualcuno sarebbe triste? E si sentirebbe forse come quando io mi sentivo sola?
-Nessuno può sapere se la propria tristezza è uguale a quel sentimento che gli altri chiamano allo stesso modo. Però io, se tu non ci fossi più, sarei triste per il resto della mia vita.
-Ma è troppo difficile! Pensare a qualcuno senza sapere nulla…!
-Cheyenne… -la interruppi –Io continuerei comunque a pensare a te.
Un ultimo filo volò via e il timer, sotto i nostri occhi, si fermò per sempre.
Rimanemmo in silenzio, senza nemmeno respirare. Poi, all’ improvviso, vidi il corpo di Cheyenne pendere prepotentemente verso destra. La presi al volo prima che battesse la testa a terra.
Non riuscivo a vederle il viso perché era coperto dalle mani.
-Cheyenne, stai bene? 
Tolse le mani dal viso e vidi i suoi occhi color lapislazzuli inondarsi di lacrime e un sorriso spuntarle sul viso pallido e spossato. Mi gettò le braccia al collo e mi strinse forte.
-Ce l’ho fatta! Ce l’ ho fatta! Sei vivo, sono viva. Ce l’ ho fatta!
Io la abbraccia, cingendole con le braccia i fianchi, sorridendo di sollievo.
-Si. –dissi –Ce l’hai fatta.
 
 
Dopo tre ore, tre dannatissime ore, Scotland Yard si decise ad arrivare. Aprirono la porta (impiegandoci altre tre ore) e senza nemmeno chiederci come stavamo, ci avvolsero le spalle con quelle dannatissime coperte. “Per lo shock…” sussurrò Cheyenne ridacchiando. Rimanemmo a terra abbracciati anche mentre Henry Johnson chiedeva spiegazioni a Cheyenne. Lei non districò l’abbraccio. Continuò a stringermi senza lasciarmi nemmeno un secondo, rispondendo alle domande. Il cadavere di koichi Saito venne portato via insieme a quello della povera e innocente vittima. 
Quando finalmente riuscimmo ad uscire da quella maledettissima stanza, Tutta la famiglia Saito era stretta in un pianto disperato. Nessuno osò dir loro la verità, cioè che Saito voleva strappare il denaro al vero successore della ditta. O tantomeno che per farlo aveva ucciso. Maria mi ringraziò e, con un congedo, capii che da me non voleva farsi più vedere. Sicuramente lei aveva davvero capito cosa era realmente successo. E forse me ne voleva un poco. 
Shinichi, la causa di quel disastro, si avvicinò a Cheyenne e con un inchino la ringraziò di cuore per tutto quello che aveva fatto. Cheyenne gli sorrise (forse addirittura onesta) e si inchinò anche lei, tenendomi la mano. E quella mano che, mi dissi, non avrei più lavato, continuò a tenerla stretta per tutto il tragitto di ritorno verso casa. 
Una volta che ritornammo al campus Henry ci disse di non fare parola con nessuno di quello che era accaduto e che avrebbe tentato di tenere la faccenda più oscura possibile alla stampa.
Cheyenne gli disse di prendersi davvero tutto il merito di questa disgrazia. Quando lui le chiese perché lei gli rispose che non voleva averci nulla a che fare.
 
 
-Sei stata molto brava. –le dissi, mentre camminavamo piano nel campus diretti al nostro appartamento. Erano le cinque di mattina e io non riuscivo a credere che fosse passata solo una notte.
-Veramente è stato merito tuo se sono riuscito a capire che il morto non era Koichi. –mi rispose.
-Io? Non ho fatto nulla!
-Hai fatto tutto: è stato grazie al libro che avevi tra le mani e alle tue parole che mi sono rivenuti in mente i pirati. E pensando ai pirati ho ripensato alla macchia nera. E se quel cadavere aveva davvero una macchia nera sulla mano, allora non poteva certo trattarsi di Koichi, che non ne aveva nessuna. E poi…
-E poi?
La vidi arrossire.
-E poi sei riuscito a compiacermi come si deve. Mi hai detto esattamente quello che avevo bisogno di sentire. Sei un ottimo bugiardo, sembrava davvero che quelle cose le pensassi davvero.
Mi fermai. Le strinsi la mano più forte, e lei mi guardò interrogativa.
-Pensi che stessi mentendo? –chiesi. 
-Ecco…
-Io le cose che ho detto le pensavo davvero. Non ho detto nulla alla leggera. io credo davvero che tu sia intelligente, apprezzo davvero la tua simpatia tutt’altro che inglese, penso davvero che tu mi sia utile… e penso davvero che tu sia la donna più bella che io abbia mai visto.
Mentre lei mi guardava interdetta, io le lasciai la mano e la superai camminando in fretta. Mi sentivo offeso. Come se i miei sentimenti fossero stati presi e butatti in un cestino. E lei non lo capiva!
-Muddy, che ti prende?! –mi chiese lei.
-Cavolo, se sei ottusa! –urlai.
-Ottusa? Io?
-No, io!
-Ah, ecco.
-Ma certo che tu sei ottusa! Incredibilmente ottusa! Non capisci niente, non capisci nulla di me né dei miei sentimenti! Stupida, scema, ottusa!
-Muddy, stai zitto! –strillò –Sei tu l’ottuso! E sei così ottuso perché sei torbido!
-Ancora con questa storia?!
-Sei torbido! Molto torbido! Perché riesci a far diventare i miei pensieri un agglomerato senza senso! Mi fai diventare strana, non capisco niente quando fai così!
Rimanemmo zitti per qualche secondo. Stava… cercando di dire qualcosa? E quel qualcosa… era quella cosa? 
 
Ed in quel momento, accadde una cosa. No, non ci baciammo, sarebbe stato troppo bello. No, quello che accadde fu seriamente al di là delle mie capacità mentali.
 
Si sentì un botto. Un rumore così potente che mi fece fischiare le orecchie. E a quel suono così familiare, il corpo di Cheyenne ebbe un sobbalzo pauroso. E dopo il sobbalzo, una macchia rossa cominciò a formarsi sulla sua gamba destra. Cheyenbe si mise una mano sulla coscia, dove la macchia rossa diventava sempre più larga. La guardò un secondo. Poi guardò me. E i suoi occhi turchesi, sempre vivi e brillanti, sembrarono appannarsi.
Non ci volevo credere. Le gambe le cedettero e cadde a terra. Corsi verso il suo corpo che giaceva inerme a terra e la rivoltai. Le avevano sparato. Le avevano sparato. E per davvero. Tentai di rimanere il più saldo e razionale possibile, mentre le premetti sulla gamba per fermare il sangue ma, la mia piccola mente, non riusciva a elaborare pensieri. Sapevo solo che dalla mia bocca uscivano suoni senza senso e che le braccia mi tremavano. 
-Gi… -mugugnò lei.
-Cosa?
-Ginevra! –esclamò.
Chi era Ginevra?
-GINEVRA! –urlò lei.
-Bingo! 
Mi girai verso la voce di poco fa, alle mie orecchie sconosciuta. Qualche metro più in la, un uomo ci puntava una pistola ancora calda.
Un sorriso caldo ed accogliente illuminava il viso dello sconosciuto. Era alto, magro. Gli occhi verdi chiari e brillanti scrutavano i nostri visi. il corpo snello e muscoloso, la pelle chiarissima e i capelli neri corvino. Intanto dietro di lui cominciò a spuntare il sole portando con se la prima alba. 
“E’ stato lui”. Fu l’unico pensiero che mi attraversò la mente “Lui le ha fatto del male. Lui deve morire.”
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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