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Autore: CookieKay    15/05/2012    2 recensioni
Ci sono due cose a cui Hayley Doherty non rinuncerebbe mai: il caffè di Starbucks e New York. E allora perchè si è trasferita a Londra e beve caffè in una qualsiasi caffetteria piena zeppa di turisti?
Dal primo capitolo: “Adesso fumi pure?” mi chiese il mio odioso fratellastro, divertito. “E’ illegale per caso?” sputai velenosa. Lui rise “Fa un po’ come ti pare” sentenziò. Abbassai il finestrino e mi accesi una sigaretta. Non ero una fumatrice accanita, ma in quella situazione ne avevo abbastanza bisogno. “C’è uno Starbucks vicino casa?” chiesi aspirando del fumo. “Sì” rispose semplicemente. Questo voleva dire che me lo sarei dovuto trovare da sola. “Senti per la mia salute mentale, possiamo cercare di andare d’accordo?” ero disperata. Volevo almeno un alleato dalla mia parte. “Scordati di immischiarmi nei tuoi problemi con il tuo vecchio.” Era più perspicace di quello che mi ricordavo. “Per favore. Ho bisogno di un amico” buttai lì, tentando di risultare il più disperata possibile. “La smetti di rompermi i coglioni?” esclamò gelido, come al solito, piombando in un silenzio innaturale.
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2: Ubriachezza molesta

A tavola nessuno fiatava. Non volava una mosca. Solo le posate sui piatti facevano un fracasso irritante. Ad ogni minima domanda che Jodi o Savannah mi ponevano -  “Vuoi un altro po’ di purè?” oppure “A New York fa freddo come qui?”- rispondevo con grugniti degni di un animale cresciuto nella giungla. Intorno a me aleggiava una carica di negatività. Facevo a brandelli i pezzi di roastbeef che avevo nel piatto, immaginando di avere Adam sotto le punte biforcute della mia forchetta. Lui stava lì, con la sua aria strafottente, a guardarmi divertito. Ogni tanto gli lanciavo sguardi omicidi, a cui lui rispondeva con una semplice alzata di sopracciglia. In quel momento provai realmente l’odio sulla mia pelle. Di solito quando qualcuno non mi piaceva, diventavo indifferente nei suoi confronti. Ma Adam doveva sapere che lo odiavo, doveva sapere cos’era l’odio così come lo iniziavo a conoscere io. Gli avrei reso la vita un inferno, più di quanto involontariamente facevo. “Hai un ragazzo a New York?” la domanda di Savannah, congelò di più l’aria nella sala. Fu come se qualcuno si fosse divertito a scaraventarmi un enorme macigno dritto sulla faccia e io fossi sprofondata in un lago di magma rovente. Adam prese a ridere. Jodi prese a servirsi una porzione di piselli senza riuscire a smettere di versarseli sul piatto. Mio padre iniziò a tossicchiare, imbarazzato. Ma sapevo che tutti, a conoscenza dei fatti, volevano saperlo. “No” dissi, togliendo ogni dubbio a tutti. “Scusate, non ho più fame” dissi alzandomi da tavola. Sbattei la porta della mia stanza e mi buttai sul letto. Sentii bussare alla porta. “Adam, vattene non mi va di vederti” dissi scocciata rivolta verso la porta chiusa. “Sono Savannah” disse lei timidamente e a voce bassa, che quasi feci fatica a sentirla. Sospirai, mi alzai dal letto e le aprii la porta. “Dimmi” dissi, un po’ troppo scontrosa. “Ecco, mi dispiace. Non volevo offenderti prima. Non pensavo fossi, ehm.. lesbica.”  Se non fossi stata così sicura di aver sentito quelle parole, probabilmente non ci avrei creduto. Iniziai a ridere, visibilmente e realmente divertita. “Non sono lesbica” le dissi appoggiandole una mano sul braccio. “E’ che mi siete sembrati tutti così strani a tavola, e ho pensato..” “Tranquilla. Facciamo che quando vorrò parlartene, te lo farò sapere. D’accordo?” le dissi sorridendo. Per quanto io mi sforzassi di vederla come una donna, non riuscivo a smetterla di trattarla come se fosse ancora una bambina. Le diedi una dolce carezza sulla guancia. “Sono felice che tu sia qui” mi disse puntando i suoi occhi dorati nei miei. In quel momento mi chiesi come Jodi avesse potuto partorire un mostro insensibile come Adam e una creatura che avrebbe fatto sciogliere i ghiacciai in Antartide come Savannah. La abbracciai “Ti prego, non farmi piangere” le dissi ridendo. Rise insieme a me. “Che dici? Hai voglia di parlare?” disse lei, con un guizzo di curiosità negli occhi. “Vatti a sedere sul letto, ficcanaso” le dissi teneramente, spingendola all’interno della mia stanza e chiudendo la porta. La raggiunsi. Il battito del mio cuore iniziava ad accelerare. Quando avrei finito di raccontarle come stavano realmente le cose, come mi avrebbe giudicata? Sarebbe stata disgustata? Delusa come lo era stata mia madre, che non era riuscita nemmeno a guardarmi in faccia prima che io partissi per Londra? Sospirai, tentando di darmi coraggio, mentre la mia sorellastra mi guardava sempre più incuriosita. “Ti hanno detto perché sono venuta a stare da voi?” le chiesi, immaginando già la risposta. “No.” Appunto. Un altro sospiro. Non sapevo da dove cominciare. Dal principio. Dalla fine. Che cavolo potevo dire per giustificarmi in qualche modo? Sbuffai. Ero pronta a sputare tutta la verità. “Posso parlarti?” la voce di Adam, fredda e gelida, entrò nella mia camera mettendomi i brividi. “Stavamo per intrattenere un’interessante conversazione”  rispose nostra sorella, mettendo il broncio. “La farete un altro giorno questa ‘interessante conversazione’” le fece il verso, aprendo di più la porta in modo che Savannah capisse che doveva andarsene. La vidi sbuffare e strascicare i piedi a terra, proprio come se fosse tornata piccola. Lui entrò e si chiuse la porta alle spalle. “Che vuoi?” gli chiesi astiosa, rimasti soli. “Senti, smettila di fare l’incazzosa. Non è colpa mia se fai danni in giro.” Sapevo a cosa si stava riferendo tra le righe. Sentii ribollirmi il sangue nelle vene. Mi scaraventai contro di lui e lo spinsi con forza contro la porta. Ci ero riuscita. L’avevo spostato con la mia sola forza. Lo notò anche lui, con viso stupito, mentre gli sventolavo davanti alla faccia un indice poco rassicurante “Tu! Non ti azzardare! Non provare a metter bocca in ciò che non sai! Non ti permettere Adam o giuro che non rispondo delle mie azioni!” gridavo così forte, che pensai che mi sentissero fino a New York. “Mi impiccio e come dato che sei venuta a rompere i coglioni anche a Londra! Se solo ti fossi trattenuta le tue voglie da adolescente..” ma non finì la frase. Gli tirai un pugno in faccia. Dal mio metro e 55 scarso riuscii a colpirlo in pieno volto. Tutta la mia rabbia si era concentrata in quel piccolo pugno. “Aaaahhhh!! Che doloreeee” mi strinsi la mano nell’altra e mi maledetti mentalmente. Non pensavo che tirare un pugno potesse fare così male. “Ma sei deficiente?! Dovrei essere io quello che si lamenta! Mi hai tirato un pugno in faccia, Lee!” sbraitò lui, massaggiandosi la guancia ‘ferita’.  “Se tu non fossi dannatamente stronzo, magari mi sarei risparmiata di rompermi la mano sulla tua faccia!” “Pazza violenta! Ma sei cresciuta in una gang?” Doveva fargli davvero male. E per un attimo fu pura estasi. Per quanto lui potesse avermi ferita dentro, io ero riuscita a tirargli un pugno. Un pugno, Cristo Santo! Iniziai a ridere soddisfatta. “Sei un’invasata!” disse spingendomi leggermente, per far si che tra di noi ci fosse la maggior distanza possibile. “Te lo sei meritato, brutto idiota” dissi dolorante. Mi veniva da piangere dal male che sentivo. Ma non volevo dargli quella soddisfazione. “Fammi vedere” disse, prendendomi la mano. Lo allontanai “Non mi toccare” “Smettila di fare la ragazzina e fammi vedere quella mano” “Non mi sembra tu sia un dottore, quindi non vedo come tu mi possa aiutare!” “Tu e la tua linguaccia! Vuoi stare zitta un attimo e darmi quella cazzo di mano?!” Era furioso, si vedeva. Sbuffai e gli porsi il mio arto malandato. “Riesci a muoverlo?” “Se ci riuscissi, ti tirerei un altro cazzotto, non ti pare?” dissi sarcastica. Lui mi gelò con il suo sguardo. Non era in vena di ironia in quel momento. “Ahia, cazzo! Mi fa male!” dissi indietreggiando la mano, mentre lui tentava di aprirla. “Non penso sia rotta. Proviamo a metterla sotto l’acqua fredda. Se non ti passa, ti porto in ospedale.” Mi trascinò in bagno. In un giorno ero riuscita a provocarmi escoriazioni sulle mani dovute all’arrampicata, un livido sul sedere dovuto a quando io e Adam stavamo giocando, e probabilmente una mano rotta. Niente male, Hayley. A quest’ora sarai iscritta nel Guiness dei Primati come ‘sfigata mondiale’. Chiuse la porta del bagno. Aprì l’acqua fredda e tentò di immergere la mia mano sotto il getto gelato. Ma io la ritrassi. “Mi fa male” “Almeno bagnala un po’” “E se l’ho rotta?” “Che vuoi che sia? Ti metteranno il gesso” Sbuffai e la immersi nell’acqua. Trattenni un imprecazione, mentre il getto gelato faceva come da anestetizzante per la mia mano.  Bagnai anche l’altra e la appoggiai sulla guancia di Adam, che era ritornato a fissarmi insistentemente. “Ti fa male?” gli chiesi, massaggiandogli delicatamente la guancia. “Sei riuscita a prendermi bene. E’ stata solo fortuna” Sorrisi “Sì, solo fortuna” ripetei. I nostri occhi continuavano ad incrociarsi. “Mi dispiace” dissi, abbassando lo sguardo. “Per il pugno? N-“ “No. Quello te lo sei meritato” lo interruppi, sicura. “Mi dispiace per essere arrivata qui e avere incasinato la vita anche a voi” continuai bisbigliando. Lui lasciò la mia mano sola sotto il getto e mi prese il viso tra le sue mani. “Ascoltami bene, perché lo dirò solo una volta, d’accordo?” Annuii, ipnotizzata dai suoi occhi azzurri. “Per quanto tu possa essere rompicoglioni, violenta e completamente folle” Ottima premessa. “Fai parte di questa famiglia. Che ti piaccia o meno. E in questa famiglia, ci si aiuta come si può. Hai avuto un ‘incidente di percorso’. Può capitare. Ma non ti dispiacere mai per aver accettato il nostro aiuto, capito? Questo non ti rende una debole. Sapevamo tutti a cosa avrebbe portato la tua sistemazione qui. Ma ci è sembrato il modo migliore per farti ricominciare da capo” “E allora perché continui a ricordarmi i miei errori? Ti diverte tanto farmi soffrire?” Dopo il suo discorso e una breve analisi della situazione e delle mia vita, non riuscii più a trattenere le lacrime. “Voglio solo che tu riesca a superare questa stronzata, senza farti buttare giù da qualche cattiveria” “Non sta andando molto bene” gli dissi, accarezzandogli la guancia tumefatta. Rise divertito. Mi asciugò le lacrime. Ecco l’Adam che mi piaceva: gentile, dolce, fraterno. “Cosa eri venuto a chiedermi?” gli chiesi, ricordandomi che voleva dirmi qualcosa prima di quella scenata da lottatori di boxe. “Se volevi uscire. Ma visti gli eventi..” “Già.” Risposi semplicemente, prima di godermi l’ultimo tocco gentile della mani di Adam sul mio viso. “Ci vediamo domani” disse, prima di uscire dal bagno. Restai immobile, a guardarmi la mano, che riuscivo a muovere normalmente senza sentire nessun dolore. Tornai in camera e mi sdraiai sul letto. Maledetto il suo sguardo. Maledette le sue parole. Maledetto Adam, che mi faceva dimenticare perché ero arrabbiata con lui. Chiusi gli occhi, ma non riuscii a dormire.

Guardai la sveglia, mentre i passi di Adam rimbombavano pesanti sulle scale. Le tre e venti di notte. O di mattina, da un altro punto di vista. Non ero riuscita minimamente a chiudere occhio. La mano mi pulsava. Lo sentii entrare in camera e buttarsi sul letto. Sbuffai. Mi alzai e scesi in cucina per prendere un pacco di surgelati da mettermi sulla mano. Quando tornai in camera mia non feci caso ad Adam seduto sul mio letto. “Posso dormire con te?” mi chiese semplicemente. Non risposi. Chiusi la porta e mi avvicinai al letto. “Ti fa ancora male?” mi chiese notando la busta gelata sulla mia mano. Annuii. “Vuoi che ti porto in ospedale?” “No” dissi sedendomi accanto a lui. “Non riesci a dormire?” gli chiesi con voce rauca. “No” disse semplicemente. Mi sdraiai sul letto e lo tirai leggermente per la manica della felpa verso di me. Mi accoccolai sul suo petto, come un gatto ubbidiente e lui prese ad accarezzarmi i capelli. Per un momento mi sembrò di ritornare alle dolci serate con Jamie, nel suo appartamento. Ma Adam non era Jamie. Adam non sapeva di sigaretta mista a caffè macchiato con panna. Non mi accorsi nemmeno che stavo piangendo. Mio fratello si tirò su a sedere e mi abbracciò. “Sfogati” disse solo, coccolandomi tra le sue braccia. Mi avvinghiai a lui come un koala e piansi tutte le lacrime che avevo in corpo. “Vuoi parlare?” mi chiese premuroso. “Voglio solo dimenticare” dissi asciugandomi le lacrime dal viso. “D’accordo” disse lui, avvicinandosi pericolosamente a me. Risi e lo spinsi dolcemente indietro “Stupido”. Ma lui sembrò quasi rimanerci male. Gli accarezzai una guancia e per l’ennesima volta mi persi in quegli occhi azzurri, così limpidi e così.. “Hai bevuto?” gli chiesi d’un tratto, notando il suo sguardo annebbiato. “Un po’” rispose lui con voce impastata. Ritornai di fianco a lui e lo feci sdraiare. “Vedi di dormire, idiota” dissi ridendo. “Buonanotte frignona” rispose intrecciando la sua mano nella mia sana. Cadde in un profondo sonno. Io, invece, non riuscivo a muovermi. Perché il contatto con la sua mano mi faceva battere il cuore così forte? E’ tuo fratello, cazzo .La voce nella mia testa aveva ragione. Ma non riuscii a dormire nemmeno un minuto quella notte. Rimasi ferma, a sentire il respiro di Adam sul collo, la sua mano stretta nella mia, il suo corpo vicino al mio. In una cosa Adam aveva ragione: ero un’invasata. Quando lo sentii muoversi, doveva essere già mattina, anche se non c’era un barlume di luce nel cielo. Istintivamente chiusi gli occhi. Lo sentii stiracchiarsi. “Ma che cazzo?” bisbigliò, probabilmente notando dove aveva dormito e con chi aveva dormito. Il mio cuore batteva come un tamburo e avevo paura che nel silenzio lui potesse sentirlo. Di riflesso, involontariamente, gli strinsi più forte la mano. Lo sentii sospirare e mugugnare un “E’ tua sorella, coglione”. Poi sciolse la sua mano dalla mia e uscì dalla mia camera. Aprii gli occhi e feci un respiro per calmarmi. Mi diedi un leggero schiaffo sulla fronte, come per allontanare un pensiero dalla mia mente. In quel momento riuscii ad abbandonarmi tra le braccia di Morfeo.

 

“Pochi giorni fa mi sono giunte delle voci, da fonti molto attendibili” L’uomo davanti a me, basso e calvo, mi squadrava come se fossi una serial killer. La mia mente si svuotò completamente mentre il mio cuore accelerava i battiti. Sapevo già dove voleva andare a parare. Ero in apnea da pochi minuti quando lui ricominciò a parlare “Ho sperato che queste voci si sbagliassero, ma dopo appurate ricerche ho constatato che era tutto vero” Appurate ricerche. Effettivamente era il rettore di una delle facoltà di giornalismo più facoltose d’America. “Signorina Doherty, immagino lei sappia di cosa io stia parlando e immaginerà anche cosa sono costretto a fare” Non dirlo, non dirlo. Ti prego, non farlo. “Devo chiederle di abbandonare immediatamente la facoltà” lo disse con voce tombale. “Io..” tentai, sapendo di non avere nulla a mio favore. “Mi dispiace” disse solo, mentre sentivo il pavimento sotto ai miei piedi aprirsi e inghiottirmi. Mi indicò la porta e io uscii a testa bassa. Avevo mandato tutto a puttane. E per che cosa? Per amore.

 

Aprii gli occhi. Sperai che fosse stato solo un incubo, ma guardandomi intorno mi accorsi che era stato tutto vero. Che quello che mai pensavo mi potesse succedere, era accaduto. La porta si aprì di scatto. “Jamie” sussurrai, forse sperando di trovarlo davanti a me. Ma gli occhi di Adam mi perforarono. “Hai detto qualcosa?” mi chiese, senza capire. “No” dissi solo, sdraiandomi nuovamente e mettendomi un braccio sugli occhi. “Hai intenzione di restare lì a vegetare ancora per molto?” mi chiese, gelido. Era tornato il solito Adam. Non gli risposi. Non ero in vena di discussioni. Volevo solo starmene da sola. E la sua presenza di certo non dava man forte alla mia solitudine. “Che vuoi?” gli chiesi, nella stessa posizione. “Alzati!” mi ordinò. Si avvicinò al mio letto. “Lasciami stare” dissi stanca. “Reagisci, cazzo!” sbraitò, stringendomi per un braccio e tirandomi su, come se pesassi mezzo chilo. Lo guardai ad occhi spalancati. “E levati dalla faccia quell’espressione da deficiente” disse puntando i suoi occhi nei miei. “Vuoi un altro pugno?” gli chiesi con un mezzo sorriso. “Vatti a lavare. Ti porto a fare un giro” disse uscendo dalla mia stanza così come era rientrato. Sospirai. Ormai decideva tutto lui. Mi feci una doccia veloce e mi vestii svogliata. Lo raggiunsi al piano di sotto. Lui mi squadrò dalla testa ai piedi. E sospirò, evidentemente senza speranze. “Dove andiamo?” gli chiesi in macchina. “A bere” mi disse semplicemente. “Io non bevo” lo informai. “E invece oggi lo farai” disse divertito. Parcheggiò la macchina e scendemmo. Essendomi addormentata quando ormai era mattina, mi ero svegliata che era già sera. Entrammo in un tipico pub inglese. All’entrata vidi un uomo che vomitava l’anima in un cespuglio. Probabilmente avrei fatto quella fine, alla prima birra. Seguii Adam attraverso i tavolini. “Ehy, Adam! Siamo qui!” una voce femminile aveva sovrastato il casino nel pub. Mi voltai verso quella voce e vidi una delle ragazze più belle che mai avessi visto. Alta, snella, mora, occhi grandi e castani. I jeans le stringevano le gambe lunghe. Ai piedi indossava un paio di scarpe dai tacchi vertiginosi. Aveva solo una canottiera nera a fasciarle il suo addome piatto e il suo seno abbondante. In quel momento mi venne in mente che forse Savannah aveva ragione: ero lesbica. Adam mi tirò per il braccio, risvegliandomi dai miei pensieri. Raggiungemmo un gruppo di ragazzi e ragazze seduti a bere. Occupavano circa tre tavoli e molti di loro erano già ubriachi. La ragazza che aveva chiamato mio fratello mi guardava curiosa. “E tu chi sei?” mi chiese, dal suo metro e ottantacinque. “Hayley” risposi, come se fosse la risposta più ovvia che doveva aspettarsi. “E’ mia sorella” disse Adam, prima di baciarla sulla guancia. “Oh, ma che carina!” disse lei, con fare troppo espansivo abbracciandomi. Guardai terrorizzata mio fratello, che si era già accomodato lasciandomi nelle mani di quella pazza mezza ubriaca. “Io sono Lauren” il suo alito alcolico mi entrò nelle narici, stordendomi. Poi si voltò verso gli altri ragazzi “Lei è Hayley!” esclamò ridendo. Mi sedetti vicino ad Adam, che non provava nemmeno a tenermi compagnia. Mi sentivo a disagio. Poi un ragazzo, il più sobrio del gruppo, mi si avvicinò “Sei quella di New York?” mi chiese. “Già” risposi semplicemente. “Piacere, Dave” disse stringendomi la mano. Era molto carino. Viso curato, occhi castani incorniciati da occhiali da vista alla moda, capelli biondi spettinati. In quella compagnia, mi ritrovai a pensare, erano uno più bello dell’altro. “Bevi” disse Adam, mettendomi sotto al naso un enorme boccale di birra. “Non mi va” dissi acida. “Tutto” sibilò gelido. Sospirai. E se bere mi avrebbe davvero fatto scordare quanto la mia vita fosse una colossale montagna di merda? Presi il boccale gigante tra le mie mani e buttai giù tutta la birra. Il sapore amarognolo mi disgustava ma bevvi fino all’ultima goccia. Ed essendo a pancia vuota, l’effetto dell’alcol iniziò subito a farsi mostrare. Non ero una che faceva amicizia molto velocemente. Ma in quell’occasione consideravo ogni persona che veniva a parlarmi come un mio amico di vecchia data. Adam mi passò tre cocktail che inghiottii senza fare domande. Potevo considerarmi una ex-astemia. E una futura alcolista anonima. Mi piaceva l’effetto che l’alcol aveva sul mio corpo e sulla mia mente. Era riuscito a farmi scordare tutto quanto. “Voglio rimanere ubriaca per sempre” dissi a mio fratello mentre mi accompagnava fuori dal locale per farmi prendere una boccata d'aria, dato che la situazione stava degenerando. Aveva bevuto più di me, eppure riusciva a stare in piedi senza barcollare. Io, invece, senza il suo supporto, sarei caduta a terra sfracellandomi contro l’asfalto del marciapiede. Lo sentii ridere. Mi fermai di botto e presi a fissarlo. “Devi vomitare?” mi chiese, spostandosi leggermente a destra. “No” dissi “Volevo solo guardarti” ammisi. Se non fossi stata ubriaca, probabilmente non avrei preso ad accarezzargli il viso. Probabilmente non mi sarei avvicinata così a lui. Probabilmente non gli sarei saltata in braccio. Probabilmente non avrei tentato di baciarlo. “Hayley” disse, indietreggiando un po’ la testa. “Tu non mi vuoi” dissi, più a me stessa che a lui. “Siamo fratelli” “Noi non siamo fratelli” dissi acida. “Perché dobbiamo litigare sempre?” sbraitai come se fossi stata posseduta dal diavolo. Non mi ero nemmeno accorta che stavo camminando. “Dove cazzo vai?” disse, prendendomi con forza il braccio. “A casa. A vomitare” dissi, facendo forza sulla sua mano con la mia per fargli lasciare la presa sul mio braccio. “Non sai nemmeno dove siamo” “Prima o poi troverò casa nostra” “Entra immediatamente” disse, come se fossi stata una bambina, indicandomi il pub. Gliel’avrei fatta pagare. Gli avrei fatto pagare il suo rifiuto nei miei confronti. “Fottiti. Troverò qualcuno di meglio di te lì dentro” e barcollando, rientrai nel locale. Ma non tornai dai suoi amici. Guardai il bancone, dove erano appostati un sacco di altri ragazzi. “Chi mi offre da bere?” chiesi sfoggiando la mia miglior faccia da gatta morta in direzione di tutti loro. Meno di dieci minuti dopo mi ritrovai accerchiata da un branco di lupi famelici che mi offrivano ogni tipo di intruglio esistente. Bevvi tutto. Non tralasciai nemmeno un bicchiere. Mi voltai verso il gruppo di Adam. Il mio cuore perse un battito. Poi un altro. E un altro ancora. Baciava Lauren. Sentii la testa girarmi. “Tutto bene?” mi chiese Dave, l’occhialuto amico di mio fratello. “Puoi accompagnarmi a casa?” gli chiesi, sperando di non iniziare a piangere. Mi aiutò a salire nella sua macchina. Involontariamente tiravo delle leggere testate contro il finestrino del passeggero. Lo sentivo ridere. Ogni tanto mugugnavo qualcosa,  in risposta alle sue domande che non mi importavano. “Grazie” dissi, prima di scendere dalla macchina. Lo baciai sulle labbra, lasciandolo sorpreso. Fu un’impresa riuscire ad aprire la porta. Jodi mi aveva dato un mazzo di chiavi, stracolmo di pupazzetti e oggetti metallici che, essendo ubriaca marcia, pensavo potessero aprire magicamente la porta di casa. Mi trascinai in camera mia e mi buttai a peso morto sul letto. Il mio fegato reclamava pietà e il mio stomaco era sottosopra. Mai più alcol. Non sapevo se mi fossi addormentata o quanto tempo fosse passato, ma quando riaprii gli occhi sentii dalla camera di Adam strani suoni. Mi alzai di scatto dal letto e aprii le orecchie per capire che stava succedendo. Posai la testa contro la parete che separava la mia stanza dalla sua. Gemiti e sospiri. Stava facendo sesso. La ragazza rise. Lauren. Puttana. Barcollando uscii dalla mia stanza e spalancai la porta della camera di Adam. “Potete abbassare la voce?! Mi scoppia la testa!” sbraitai prima di sbattere la porta. Vidi solo i suoi occhi, sgranati, azzurri. Andai in bagno e iniziai a vomitare, più per il nervoso che per la voglia di smaltire tutto l’alcol che avevo in corpo. E’ tuo fratello, stupida. Non riuscivo a smettere di insultarmi. Perché mi importava tanto di lui? Io lo detestavo, non lo sopportavo, lo odiavo. Bugiarda. Avevo provato a baciarlo. Una ragazza con tutte le rotelle al loro posto, non avrebbe mai provato a baciare suo fratello. Cosa c’era che non andava in me? Vomitai ancora, e ancora. Più pensavo ad Adam e più vomitavo. Sentii una mano tra i capelli. Il mio stimolo per vomitare mi guardava un po’ imbronciato mentre mi accarezzava la testa. “Fammi bere ancora e giuro che ti uccido” dissi prima di chiudere gli occhi.

 

Ok. Secondo capitolo terminato. Immagino che il motivo per cui la nostra protagonista si sia trasferita a Londra, lo abbiate capito tutti. Avevo pensato di dedicare un intero capitolo a questo inciucio amoroso politicamente scorretto. Bene iniziamo con i ringraziamenti. GRAZIEEE!!!!! :D

@ barrYs: eccoti soddisfatta! Capitolo appena sfornato per la tua gioia (ma de che? XD). Grazie mille per aver lasciato una recensione.. è stato bellissimo vedere che almeno qualcuno abbia apprezzato questa storia XD

Grazie anche a chi ha aggiunto "Posso amarti?" tra i preferiti, tra le storie seguite o ricordate... mi avete fatto un piacere immenso :D Non vi deluderòòòòò muhauahuahauhauh XD

Un bacio,

Kiki

  
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