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Autore: CookieKay    16/05/2012    1 recensioni
Ci sono due cose a cui Hayley Doherty non rinuncerebbe mai: il caffè di Starbucks e New York. E allora perchè si è trasferita a Londra e beve caffè in una qualsiasi caffetteria piena zeppa di turisti?
Dal primo capitolo: “Adesso fumi pure?” mi chiese il mio odioso fratellastro, divertito. “E’ illegale per caso?” sputai velenosa. Lui rise “Fa un po’ come ti pare” sentenziò. Abbassai il finestrino e mi accesi una sigaretta. Non ero una fumatrice accanita, ma in quella situazione ne avevo abbastanza bisogno. “C’è uno Starbucks vicino casa?” chiesi aspirando del fumo. “Sì” rispose semplicemente. Questo voleva dire che me lo sarei dovuto trovare da sola. “Senti per la mia salute mentale, possiamo cercare di andare d’accordo?” ero disperata. Volevo almeno un alleato dalla mia parte. “Scordati di immischiarmi nei tuoi problemi con il tuo vecchio.” Era più perspicace di quello che mi ricordavo. “Per favore. Ho bisogno di un amico” buttai lì, tentando di risultare il più disperata possibile. “La smetti di rompermi i coglioni?” esclamò gelido, come al solito, piombando in un silenzio innaturale.
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3: Amore perso, amore represso

 

Stavo sdraiata sul prato, con un libro sulla faccia per coprirmi dal sole mentre tentavo di appisolarmi. L’aria era tiepida e intorno a me una distesa infinita di altri studenti parlavano, ridevano e studiavano. Sbadigliai sonoramente mentre qualcuno mi tirò via il libro dal viso. “Dovresti studiare al posto di star qui a dormire” la voce severa di Jamie mi rimbombava nelle orecchie. Lo guardai “Non hai lezione?” gli chiesi, sorpresa di vederlo. “Inizio fra mezz’ora” mi rispose, scompigliandosi i capelli. La prima volta che avevo visto Jamie l’avevo scambiato per uno studente. Mai avrei detto che fosse un professore. Era uno dei docenti più giovani, se non il più giovane. Aveva trent’anni, ma ne dimostrava poco più di una ventina. “Tieni” disse passandomi un caffè di Starbucks. Manna dal cielo. Lo presi avida tra le mie mani. “Immaginavo ti avrebbe fatto piacere” “Immaginavi bene” dissi pimpante, sorseggiando il mio caffè macchiato con panna. “Ci vediamo dopo?” gli chiesi, notando che si stava alzando dal prato. Annuì semplicemente e sparì tra la folla. Sorrisi notando quanti studenti lo salutavano entusiasti. Ma una morsa allo stomaco mi fece ripiombare nel senso di colpa.  Mi accesi una sigaretta, sperando che quel senso di angoscia mi abbandonasse. Lo amavo, che potevo farci? Amavo i suoi dolci occhi castani. Amavo il suo modo di prendersi cura di me. Amavo la passione che metteva in tutto. Amavo i suoi baci. Amavo l’essere amata da qualcuno incondizionatamente e sinceramente come faceva lui. Presi a sfogliare il mio libro, quando il mio cellulare vibrò. Un messaggio. Ti amo. Non ero più su un prato stracarico di gente e insetti. Volavo su una nuvola di zucchero filato dritta nel paese degli unicorni. Sapeva fare questo, Jamie. Sapeva trasportarmi in mondi fantastici. Sapeva farmi tornare bambina con solo due parole. Sospirai e risposi al messaggio con un banale ‘anche io’. Alle volte di fianco a lui mi sentivo scontata. Lui mi sorprendeva e io non facevo nient’altro che sospirare fantasticando su di noi. Mi sdraiai di nuovo sul prato in attesa che le lezioni finissero e che lui potesse essere tutto per me. “Hayley!” la voce di Trent mi scosse con forza dai miei pensieri. “Che succede?” gli chiesi. “Non lo so, il rettore ha convocato il professor Pills e la sua segretaria mi ha chiesto di venirti a chiamare” Mi mancò il fiato. “Cos’hai combinato?” mi chiese ridendo. “N-niente” risposi colpevole. Lui aggrottò la fronte, notando il mio tentennamento. Mi alzai dal prato, presi la mia borsa e mi avviai nell’ufficio del rettore. A metà corridoio incontrai Jamie. Il volto scuro. Guardava dritto davanti a sé. Non gettò nemmeno un’occhiata dalla mia parte. In quel momento capii: ci avevano scoperti. Mi superò con passo svelto. Mi voltai un attimo a guardarlo. Stava andando verso il suo ufficio. Merda. Quando mi trovai davanti all’ufficio del rettore sentii chiaramente un tossicchiare imbarazzato alle mie spalle. La segretaria, la signora Mcfinnies, doveva aver intuito qualcosa. Bussai terrorizzata alla porta che mi separava da un atroce destino. Il rettore mi invitò ad entrare, cortese come al solito. Il suo ufficio era illuminato dai raggi solari dell’esterno. Avevo voglia di chiudere le persiane delle finestre per non farmi guardare in faccia. Vergogna. Umiliazione. Irresponsabilità. Senso del pudore pari a zero. “Si accomodi pure, signorina Doherty” disse, indicandomi la sedia davanti a lui. “Pochi giorni fa mi sono giunte delle voci, da fonti molto attendibili” L’uomo davanti a me, basso e calvo, mi squadrava come se fossi una serial killer. La mia mente si svuotò completamente mentre il mio cuore accelerava i battiti. Sapevo già dove voleva andare a parare. Ero in apnea da pochi minuti quando lui ricominciò a parlare “Ho sperato che queste voci si sbagliassero, ma dopo appurate ricerche ho constatato che era tutto vero” Appurate ricerche. Effettivamente era il rettore di una delle facoltà di giornalismo più facoltose d’America. “Signorina Doherty, immagino lei sappia di cosa io stia parlando e immaginerà anche cosa sono costretto a fare” Non dirlo, non dirlo. Ti prego, non farlo. “Devo chiederle di abbandonare immediatamente la facoltà” lo disse con voce tombale. “Io..” tentai, sapendo di non avere nulla a mio favore. “Mi dispiace” disse solo, mentre sentivo il pavimento sotto ai miei piedi aprirsi e inghiottirmi. Mi indicò la porta e io uscii a testa bassa. Avevo mandato tutto a puttane. E per che cosa? Per amore. Come avrei potuto spiegare a mia madre che ero stata cacciata dal college per una tresca con un professore? Tresca? No, io ero innamorata di lui e lui di me. Senza pensarci corsi nell’ufficio di Jamie. Aprii la porta e lo trovai seduto sulla sua sedia di pelle, intento a fumare una sigaretta e a piangere silenzioso. Alzò il suo sguardo su di me. Volevo abbracciarlo, stringerlo a me. Avrei voluto urlargli in faccia che non l’avrei lasciato solo. Ma lui mi bloccò “Sparisci di qui, Hayley” sibilò fra i denti, con un tono che pensavo non potesse appartenergli. “Ora possiamo stare insieme, no?” dissi in un attimo di follia. Non so cosa lo trattenne dal prendermi a schiaffi. “Hayley, sei stupida, per caso?! Io ho rovinato il tuo futuro e tu la mia carriera e l’unica cosa che hai da dirmi è che ora potremmo stare insieme?!” “Possiamo uscire allo scoperto!” “Ci hanno già scoperti! E non mi sembra sia andata molto bene per entrambi” “Ma..” “Basta, Hayley. Sparisci dalla mia vita”. Si era alzato e mi aveva spinto fuori dal suo ufficio. Mi chiuse la porta in faccia. E con quello avevo capito che diceva sul serio. Il tono che aveva usato, le sue maniere dure. Non mi voleva più. Per quanto mi amasse, non mi avrebbe più voluta. “Per favore, non mi lasciare” bisbigliai attaccata alla porta, disperata. Le lacrime mi bagnavano il viso. Fu come se qualcuno mi avesse strappato il cuore dal petto e ci avesse fatto un ragù di carne e sangue. Mi allontanai da quella porta chiusa. Chiusa come la nostra storia. E tornai a casa. Avevo perso tutto ciò che mi importava. Perché doveva essere il mio professore? Perché non poteva essere uno studente come me? Quando entrai in casa, lo sguardo gelido di mia madre mi perforò l’anima. Il rettore doveva averla già avvisata. “Ti è dato di volta il cervello?” chiese solamente. Non risposi. Avrei voluto urlare, rompere qualcosa. “Ho chiamato tuo padre e l’ho informato. Ti trasferirai da lui a Londra. Non ti voglio più in casa mia” disse prima di sparire in camera sua a piangere. Ero riuscita a deluderla, a farla vergognare. Non replicai nemmeno. Non ne avevo la forza. Mia madre non mi voleva più. Jamie non mi voleva più. Il rettore del college non mi voleva più nella sua università. In quel momento mi chiesi per che cosa vivevo. Che cosa mi avrebbe spinto ad andare avanti. Se esisteva qualcuno in grado di amarmi. Piansi silenziosamente. Quel qualcuno esisteva. Ma quell’amore era stato sbagliato fin dall’inizio. Aveva infranto i sogni e le aspettative di entrambi. Mi aveva ridotto ad una stupida sognatrice. Presi il cellulare e rilessi milioni e milioni di volte quel ‘ti amo’ di poche ore prima. Quelle semplici parole che amavo sentirmi dire da lui. Entrai in camera mia e iniziai ad impacchettare la mia roba.

 

Due settimane. Due fottutissime settimane da quando avevo tentato di molestare mio fratello. Ero caduta in uno stato di mutismo assoluto nei confronti di Adam. Ma a lui sembrava non importare. Alle volte lo trovavo a fissarmi con il suo solito modo indecifrabile e volgevo lo sguardo da un’altra parte, imbarazzata. Avrei voluto prendermi a sassate sulle dita delle mani piuttosto che passare il mio tempo con lui. Stavo giocando con una polpetta nel piatto quando sentii il mio cellulare suonare nella tasca della mia felpa. Mi alzai da tavola e risposi in cucina. “Pronto?” “Hayley, ciao! Sono Freddie, lo steward” sorrisi imbarazzata. Mi ero dimenticata di avergli dato il mio numero di telefono. “Ehy, Freddie come va?” chiesi gentile. “Tutto bene. Senti, stasera sono a Londra. Ti va se ci vediamo?” “Si, d’accordo. Tanto non ho nient’altro da fare” “Ah bene! Allora ci vediamo alle nove davanti a Buckingham Palace, ok?” “Va bene” risposi prima di chiudere la conversazione. “Chi è Freddie?” la voce di Adam mi fece smettere di sorridere. “Uno che ho conosciuto in aereo” risposi vaga, uscendo dalla cucina. “E’ molto lontano Buckingham Palace da qui?” chiesi a Jodi, intenta a versarsi un bicchiere d’acqua. “No, non molto” rispose pensandoci su. Savannah mi spiegò in modo molto dettagliato come raggiungere la mia meta, dopo aver scoperto che mi sarei dovuta vedere con un ragazzo. Sui visi di Jodi e di mio padre, invece, leggevo preoccupazione. “L’ho conosciuto in aereo. E’ uno steward e ha un paio di anni in più di me” dissi, notando poi che si erano tranquillizzati. Salii al piano di sopra, in camera mia e fui raggiunta da Adam. “E’ un appuntamento?” mi chiese chiudendo la porta alle sue spalle. “Non lo so” risposi sincera. Non riuscivo a guardarlo in faccia. Le mie guance stavano prendendo fuoco. “E pensi di girare per Londra da sola?” “Starò con lui” “Dovrai arrivarci a Buckingham”  “Affitterò una guardia del corpo nel tragitto” risposi ironica. Mi spinse sul letto e si mise a cavalcioni su di me. “E se ti dicessi che non voglio che tu esca con lui?” mi chiese talmente vicino al mio viso, da vedermi specchiata nei suoi occhi azzurri. Ecco che il mio cuore prendeva a martellarmi nel petto. “Ti risponderei che io e te siamo solo fratelli” risposi, trovando la forza di guardarlo negli occhi. Capì all’istante e sorrise divertito. Si alzò dal letto e velenoso mi disse “Divertiti, sorellina” prima di uscire dalla mia stanza sbattendo la porta. Sbuffai, senza capire il suo comportamento. Mi infilai in bagno e mi buttai sotto l’acqua calda della doccia. Asciugai i miei capelli, districando i nodi con una spazzola e li lisciai sotto il calore della mia piastra. Amavo i capelli lisci. Era un casino di tempo che non li piastravo e sentirli tra le mie dita mi fece involontariamente pensare a Jamie. Dannato il mio cervello che non mi dava tregua. Lui mi diceva sempre che con i capelli lisci sembravo una bambina, che mi davano un tocco innocente. Scossi la testa, sperando che il ricordo di Jamie sparisse dalla mia mente ed uscii. “Sei bellissima” mi disse una curiosa Savannah che mi guardava mentre mi passavo un po’ di mascara sulle ciglia. “Grazie” risposi, un po’ imbarazzata. Entrò in camera mia e si mise di fianco a me. “Come ti vesti?” mi chiese spostando il suo sguardo sul mio armadio. “Non ne ho la più pallida idea” risposi alzandomi dal letto. “Pensavo a un paio di jeans e a una felpa” dissi, notando la sua alzata d’occhi al cielo. “E’ un appuntamento! Non puoi andare vestita come una che è andata allo stadio” disse ridendo. “Ma io sto tanto comoda” “Chi se ne frega! Non devi star comoda! Devi risplendere!” disse, un po’ troppo platealmente allargando le braccia come ad imitare un bagliore accecante. Alla fine fu lei a scegliermi i vestiti. Mi sentii un’ idiota. Mia sorella di diciassette anni che mi dava lezioni su come presentarmi un appuntamento. “Dovresti metterti dei tacchi” “Te lo scordi” fu la mia risposta seria a quella sua  proposta. “Almeno delle ballerine” “Non ho ballerine” “Te le presto io, scema!” corse in camera sua, al piano di sopra e mi portò un paio di ballerine dorate, con un piccolo fiocchetto nero sul centro. Guardai allo specchio la mia figura per intero. Non sembravo nemmeno io. Sembravo quasi una ragazza elegante. “Perfetta” la voce di Jodi mi fece stringere il cuore. “Grazie” le dissi sinceramente grata. “Lo farai cascare ai tuoi piedi!” ridemmo a quella affermazione esaltata di mia sorella. Avevo impiegato tutto il pomeriggio a prepararmi, ma ne era valsa la pena. “Non è bellissima?” chiese Savannah. Mi voltai e vidi Adam che mi guardava dalla testa ai piedi. Grugnì qualcosa e tornò in camera sua. “Bene, forse dovrei andare” dissi a mia sorella e a Jodi. Mi accompagnarono al piano di sotto e mi salutarono dalla porta. Savannah era stata precisa con le indicazioni. In pochi minuti mi trovai a Buckingham Palace. Meraviglioso. Fissai allucinata il palazzo della regina ad occhi aperti. “Hayley!” la voce di Freddie mi fece voltare. Bellissimo. Avevo dimenticato quanto fosse affascinante. “E’ da molto che aspetti?” mi chiese prendendomi per mano. “No, veramente sono appena arrivata” lo seguii attraverso Trafalgar Square, guardandomi intorno incantata e con sguardo sognante. Pensai a quella coppia che mi aveva fermato per strada il mio primo giorno a Londra. Se fossi stata con Jamie, probabilmente avrei fatto anche io tante di quelle foto da riempire milioni e milioni di album fotografici. “A che pensi?” mi chiese Freddie, riportandomi nella realtà. “Non ricordavo quanto fosse bella Londra” dissi con voce sognante. Lui rise “Quindi ti trovi bene?” “Non mi lamento” alzai le spalle. Per quanto Freddie potesse essere bello, non era interessante quanto mi ricordassi. Fai la schizzinosa adesso? Sbuffai mentre mi raccontava di un ennesimo viaggio in aereo. “Ti sto annoiando?” mi chiese stupito. Alzai un sopracciglio “No, no. Continua pure” gli dissi, falsa. Avrei preferito rimanere a casa. Avrei preferito evitare di spendere tutto il pomeriggio a prepararmi, eccitata come una dodicenne al suo primo appuntamento, piuttosto che sorbirmi un’altra mezz’ora di racconti sui suoi viaggi. La sua presa sulla mia mano era ridicola. Nemmeno fossimo stati amici. “Scusami” dissi, facendo finta di leggere un messaggio sul cellulare “Devo tornare a casa” mentii. “E’ successo qualcosa?” chiese allarmato. “Nulla di preoccupante, ma devo andare” dissi, dandogli un bacio sulla guancia e incamminandomi verso casa.

 

“Un caffè macchiato con panna” dissi, con tono lugubre alla cameriera al di là del bancone. “Giornata nera?” mi chiese. “Abbastanza” risposi, grattandomi la testa. Eppure sull’aereo, Freddie mi piaceva. Cos’era cambiato? Sospirai abbandonandomi su un alto sgabello, proprio davanti al bancone. Girai annoiata il cucchiaino nella tazzina, carica di caffè. Tornai a casa, sbattendo la porta d’ingresso. “Sei già tornata?” mi chiese Jodi, seduta sul divano intenta a leggere un libro. Mio padre dormiva sulla poltrona, respirando profondamente. Voltai il viso di scatto e dal mio sguardo capì tutto. Salii di corsa le scale e sbattei la porta della mia stanza. Dalla camera di Adam sentii una risata. La sua odiosa risata. Lauren. Premetti il viso nel cuscino e lanciai un urlo rabbioso. Indossai una felpa e un paio di scarpe da ginnastica. Scesi al piano di sotto “Vado a farmi una corsa” ringhiai in direzione di Jodi, senza nemmeno guardarla. Uscii di casa e iniziai a correre. L’aria gelida di Londra mi entrava nelle narici e nei polmoni. Più correvo e più scaricavo la rabbia che provavo. Sentii un rombo sopra la mia testa, ma non mi fermai nemmeno quando iniziò a diluviare. L’acqua mi atterrava sul viso, mi bagnava i capelli e i vestiti. Più di una volta finii in una pozzanghera. Evitavo i passanti con passi felini. Ad ogni passo il mio cuore batteva, ringhiando. Sei un essere stupido e incomprensibile, mi ripetevo. La risata di Lauren mi rimbombava nel cervello. Saperla nella stanza di Adam mi faceva girare i coglioni. E a quel punto presi a correre più veloce, sfrecciando nella pioggia che imperterrita cadeva dal cielo. E’ tuo fratello, stupida idiota! E allora perché ne ero quasi gelosa? Una gelosia non fraterna, di certo. Maledetto il mio cervello perverso. Mi fermai. La milza mi faceva un male assurdo. Non ero una tipa che amava correre e il mio corpo ne risentiva come se fossi stata investita da un tir più volte. Tornai a casa, a passo lento, con il fiatone. Aprii la porta e la richiusi alle mie spalle. “Santo cielo! Hayley, aspetta vado a prenderti un asciugamano” Jodi si alzò non appena notò in che condizioni pietose fossi. Bagnata dalla testa ai piedi, rossa in viso. Mi tolsi le scarpe e i calzini e aspettai, ferma sulla soglia di casa, che mi portasse un asciugamano. Lo vidi uscire dalla cucina. I suoi occhi azzurri si posarono su di me. Era a petto nudo e teneva in mano una lattina di un energy drink. “Che diavolo ti è successo?” chiese avvicinandosi. “Piove” risposi ovvia. Mi battevano i denti involontariamente. “Mamma! Abbiamo un pulcino bagnato al piano di sotto!” gridò rivolto a sua madre. “Lo so!” rispose lei ridendo dal piano di sopra. “Hai intenzione di rimanere lì a tremare?” mi chiese alzando un sopracciglio. “Non voglio sporcare casa” dissi, stringendomi tra le braccia congelate. Lui rise divertito. Jodi scese correndo dalle scale e mi porse un enorme asciugamano che profumava di biancheria pulita. Mi ci avvolse intorno e dolcemente mi sussurrò “Ti ho preparato un bagno caldo” e mi scompigliò i capelli. Le sorrisi e avvolta nell’asciugamano, a passo lento salii al piano di sopra, seguita da Adam. “Vuoi un po’ di compagnia?” mi chiese, malizioso. “A quanto so, sei già impegnato” dissi, sputando veleno. Lui sembrò capire “Se ne è andata” mi rispose. Non dissi nulla entrai nel bagno, mi spogliai e mi immersi nella vasca. L’acqua bollente, a contatto con la mia pelle gelata, fu così piacevole che pensai potessi sciogliermi. Jodi, aveva riempito la vasca di schiuma. Sorrisi. Da piccola pretendevo la schiuma quando facevo il bagno. Doveva essersene ricordata. Rimasi a mollo come un calzino circa mezz’ora. Immobile ad occhi chiusi. Mi sarei addormentata se mio fratello non avesse bussato alla porta. “Posso entrare?” chiese. “No” risposi, ma fece finta di non aver sentito ed entrò nel bagno. “Ho detto che non potevi entrare, sei sordo oltre che stupido?” gli dissi imbarazzata, nascondendomi tra la schiuma. Lui chiuse la porta, si sedette a terra, con la schiena appoggiata alla vasca da bagno. Sospirò e mi chiese “Come è andato il tuo appuntamento?” “Non potevi chiedermelo dopo?” chiesi rossa in viso. “No. Voglio saperlo ora” e puntò i suoi occhi azzurri su di me. Sbuffai, sapendo che non se ne sarebbe andato fino a quando non gli avessi dato una risposta. “E’ stato uno schifo” ammisi. “Non sa cosa si è perso” disse dolcemente. “Posso entrare nella vasca con te?” mi chiese alzandosi. “Adam non ci provare! O giuro che sarà l’ultima cosa che farai con le tue gambe!” gli ringhiai, sentendo che i battiti del mio cuore iniziavano ad accelerare vorticosamente. Lui rise. Stava per uscire quando una mia domanda lo bloccò “E tu? Ti sei divertito con lei?” Avevo vomitato quelle parole senza neanche riflettere, maledicendomi per essere sembrata così stupida. Ma per l’ennesima volta lui mi sorprese “Mi sarei divertito di più a litigare con te, come al solito”. Se non fossi stata nuda come un verme, probabilmente lo avrei raggiunto e abbracciato. Ma mi limitai a sorridere. Dopo essermi asciugata mi misi il pigiama e tornai in camera mia. Mi misi sotto le coperte, ma non riuscivo a smettere di tremare. “Adam!” gridai, battendo un pugno contro il muro che separava la mia stanza dalla sua. “Che vuoi?” lo sentii dire dalla sua camera. “Ho freddo! Portami una coperta!” “Per chi cazzo mi hai preso? Per il tuo servo?” “Per favore!” gridai più forte. Lo sentii sbuffare e alzarsi dal letto. Entrò in camera mia e senza dire una parola si infilò nel mio letto e mi abbracciò. “Ho chiesto una coperta, non un abbraccio” dissi rigida come una lastra di acciaio. “Vuoi chiudere quel forno?” disse, riferendosi alla mia bocca. Mi accoccolai tra le sue braccia e mi abbandonai completamente a quell’abbraccio. Emanava calore come una stufa. Poi un pensiero mi attraversò il cervello, come una scarica elettrica. Con quelle braccia probabilmente aveva stretto Lauren. Istintivamente mi allontanai e mi girai, dandogli le spalle. “Che c’è adesso?” mi chiese stizzito. “Non voglio te, voglio una coperta” dissi, capricciosa. “Ma vaffanculo, Lee” disse prima di alzarsi e sbattere la porta della mia camera. Non mi portò quella maledetta coperta che mi serviva. E io cominciavo di nuovo a sentire freddo. Perché devi sempre rovinare tutto? Accumulai tutte le mie forze per alzarmi dal letto. Misi da parte il mio orgoglio e mi infilai in camera sua in silenzio. Mi sdraiai sul suo letto, dove poco prima probabilmente aveva fatto sesso con Lauren. E dolcemente gli dissi “Scusa” prima di abbracciarlo a mia volta. Mi addormentai avvinghiata a lui. A un certo punto però lo sentii alzarsi. Gli strinsi la manica della felpa e gli dissi, con voce impastata “Non te ne andare” “Lee, devo andare in bagno” disse ridendo. Gli lasciai la felpa e tornai a dormire. E in quel preciso momento mi resi conto che per quanto la mia testa tentasse di ripetermi che Adam era mio fratello, il mio cuore non riusciva a considerarlo tale. E ormai iniziavo ad arrendermi a quel sentimento che nutrivo nei suoi confronti. “Sparisci dalla mia vita Hayley” . Le parole di Jamie mi rimbombavano in testa. Avrei potuto resistere se anche Adam un giorno me le avrebbe dette? Aprii gli occhi di scatto. Non potevo permettermi di soffrire ancora così tanto. Mi alzai dal letto e uscii dalla sua stanza, incontrandolo nel corridoio. “Dove vai?” mi chiese, senza capire cosa stesse succedendo. “A dormire” gli risposi senza nemmeno guardarlo in faccia. Chiusi la porta della mia stanza e mi sdraiai sul letto. Non avrei permesso ai miei sentimenti di prendere il sopravvento. A costo di reprimerli nella mia anima. A costo di impazzire completamente. Non mi sarei fatta ridurre come uno straccio, per colpa di quell’amore impossibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E finì anche il terzo capitolo! :D                 Aaaah, finalmente! Avevo scritto che avrei dedicato un intero capitolo alla storia d’amore tra Hayley e il professore, ma, ahimè, l’ossessione che provo per la mia protagonista e Adam ha preso il sopravvento ._.’’  Vorrei innanzitutto ringraziare le persone che hanno dedicato del tempo a leggere (spero) la mia storia, a chi l’ha aggiunta tra i preferiti, tra le seguite o ricordate. Grazie mille!

 

@TheBlackStar: innanzitutto grazie mille per aver commentato! :D Mi ha fatto un sacco piacere!! Ovviamente, come anche tu hai scritto, si poteva ben immaginare quello che aveva combinato Hayley ._.’’ Grazie mille per aver definito la mia storia bella e originale, anche se come ho scritto nel primo capitolo mi sono ispirata a Blowing Bubbles di SidRevo, che se non hai letto corri subito a farlo perché è una storia stupenda!! :D

 

A presto,

Kiki

 

  
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