Capitolo
3: Amore
perso, amore represso
Stavo
sdraiata sul prato, con un libro sulla faccia per coprirmi dal sole
mentre
tentavo di appisolarmi. L’aria era tiepida e intorno a me una
distesa infinita
di altri studenti parlavano, ridevano e studiavano. Sbadigliai
sonoramente
mentre qualcuno mi tirò via il libro dal viso.
“Dovresti studiare al posto di
star qui a dormire” la voce severa di Jamie mi rimbombava
nelle orecchie. Lo
guardai “Non hai lezione?” gli chiesi, sorpresa di
vederlo. “Inizio fra
mezz’ora” mi rispose, scompigliandosi i capelli. La
prima volta che avevo visto
Jamie l’avevo scambiato per uno studente. Mai avrei detto che
fosse un
professore. Era uno dei docenti più giovani, se non il
più giovane. Aveva
trent’anni, ma ne dimostrava poco più di una
ventina. “Tieni” disse passandomi
un caffè di Starbucks. Manna dal cielo. Lo presi avida tra
le mie mani.
“Immaginavo ti avrebbe fatto piacere”
“Immaginavi bene” dissi pimpante,
sorseggiando il mio caffè macchiato con panna. “Ci
vediamo dopo?” gli chiesi,
notando che si stava alzando dal prato. Annuì semplicemente
e sparì tra la
folla. Sorrisi notando quanti studenti lo salutavano entusiasti. Ma una
morsa
allo stomaco mi fece ripiombare nel senso di colpa. Mi
accesi una sigaretta, sperando che quel
senso di angoscia mi abbandonasse. Lo amavo, che potevo farci? Amavo i
suoi
dolci occhi castani. Amavo il suo modo di prendersi cura di me. Amavo
la
passione che metteva in tutto. Amavo i suoi baci. Amavo
l’essere amata da
qualcuno incondizionatamente e sinceramente come faceva lui. Presi a
sfogliare
il mio libro, quando il mio cellulare vibrò. Un messaggio. Ti amo. Non ero più su un
prato stracarico di gente e insetti.
Volavo su una nuvola di zucchero filato dritta nel paese degli
unicorni. Sapeva
fare questo, Jamie. Sapeva trasportarmi in mondi fantastici. Sapeva
farmi
tornare bambina con solo due parole. Sospirai e risposi al messaggio
con un
banale ‘anche io’. Alle volte di fianco a lui mi
sentivo scontata. Lui mi
sorprendeva e io non facevo nient’altro che sospirare
fantasticando su di noi.
Mi sdraiai di nuovo sul prato in attesa che le lezioni finissero e che
lui
potesse essere tutto per me. “Hayley!” la voce di
Trent mi scosse con forza dai
miei pensieri. “Che succede?” gli chiesi.
“Non lo so, il rettore ha convocato
il professor Pills e la sua segretaria mi ha chiesto di venirti a
chiamare” Mi
mancò il fiato. “Cos’hai
combinato?” mi chiese ridendo. “N-niente”
risposi
colpevole. Lui aggrottò la fronte, notando il mio
tentennamento. Mi alzai dal
prato, presi la mia borsa e mi avviai nell’ufficio del
rettore. A metà
corridoio incontrai Jamie. Il volto scuro. Guardava dritto davanti a
sé. Non
gettò nemmeno un’occhiata dalla mia parte. In quel
momento capii: ci avevano
scoperti. Mi superò con passo svelto. Mi voltai un attimo a
guardarlo. Stava
andando verso il suo ufficio. Merda. Quando mi trovai davanti
all’ufficio del
rettore sentii chiaramente un tossicchiare imbarazzato alle mie spalle.
La
segretaria, la signora Mcfinnies, doveva aver intuito qualcosa. Bussai
terrorizzata alla porta che mi separava da un atroce destino. Il
rettore mi
invitò ad entrare, cortese come al solito. Il suo ufficio
era illuminato dai
raggi solari dell’esterno. Avevo voglia di chiudere le
persiane delle finestre
per non farmi guardare in faccia. Vergogna. Umiliazione.
Irresponsabilità. Senso
del pudore pari a zero. “Si accomodi pure, signorina
Doherty” disse,
indicandomi la sedia davanti a lui. “Pochi giorni fa mi sono
giunte delle voci,
da fonti molto attendibili” L’uomo davanti a me,
basso e calvo, mi squadrava
come se fossi una serial killer. La mia mente si svuotò
completamente mentre il
mio cuore accelerava i battiti. Sapevo già dove voleva
andare a parare. Ero in
apnea da pochi minuti quando lui ricominciò a parlare
“Ho sperato che queste
voci si sbagliassero, ma dopo appurate ricerche ho constatato che era
tutto
vero” Appurate ricerche. Effettivamente era il rettore di una
delle facoltà di
giornalismo più facoltose d’America.
“Signorina Doherty, immagino lei sappia di
cosa io stia parlando e immaginerà anche cosa sono costretto
a fare” Non dirlo,
non dirlo. Ti prego, non farlo. “Devo chiederle di
abbandonare immediatamente
la facoltà” lo disse con voce tombale.
“Io..” tentai, sapendo di non avere
nulla a mio favore. “Mi dispiace” disse solo,
mentre sentivo il pavimento sotto
ai miei piedi aprirsi e inghiottirmi. Mi indicò la porta e
io uscii a testa
bassa. Avevo mandato tutto a puttane. E per che cosa? Per amore. Come
avrei
potuto spiegare a mia madre che ero stata cacciata dal college per una
tresca
con un professore? Tresca? No, io ero innamorata di lui e lui di me.
Senza
pensarci corsi nell’ufficio di Jamie. Aprii la porta e lo
trovai seduto sulla
sua sedia di pelle, intento a fumare una sigaretta e a piangere
silenzioso.
Alzò il suo sguardo su di me. Volevo abbracciarlo,
stringerlo a me. Avrei
voluto urlargli in faccia che non l’avrei lasciato solo. Ma
lui mi bloccò
“Sparisci di qui, Hayley” sibilò fra i
denti, con un tono che pensavo non
potesse appartenergli. “Ora possiamo stare insieme,
no?” dissi in un attimo di
follia. Non so cosa lo trattenne dal prendermi a schiaffi.
“Hayley, sei
stupida, per caso?! Io ho rovinato il tuo futuro e tu la mia carriera e
l’unica
cosa che hai da dirmi è che ora potremmo stare
insieme?!” “Possiamo uscire allo
scoperto!” “Ci hanno già scoperti! E non
mi sembra sia andata molto bene per
entrambi” “Ma..” “Basta,
Hayley. Sparisci dalla mia vita”. Si era alzato e mi
aveva spinto fuori dal suo ufficio. Mi chiuse la porta in faccia. E con
quello
avevo capito che diceva sul serio. Il tono che aveva usato, le sue
maniere
dure. Non mi voleva più. Per quanto mi amasse, non mi
avrebbe più voluta. “Per
favore, non mi lasciare” bisbigliai attaccata alla porta,
disperata. Le lacrime
mi bagnavano il viso. Fu come se qualcuno mi avesse strappato il cuore
dal
petto e ci avesse fatto un ragù di carne e sangue. Mi
allontanai da quella
porta chiusa. Chiusa come la nostra storia. E tornai a casa. Avevo
perso tutto
ciò che mi importava. Perché doveva essere il mio
professore? Perché non poteva
essere uno studente come me? Quando entrai in casa, lo sguardo gelido
di mia
madre mi perforò l’anima. Il rettore doveva averla
già avvisata. “Ti è dato di
volta il cervello?” chiese solamente. Non risposi. Avrei
voluto urlare, rompere
qualcosa. “Ho chiamato tuo padre e l’ho informato.
Ti trasferirai da lui a
Londra. Non ti voglio più in casa mia” disse prima
di sparire in camera sua a
piangere. Ero riuscita a deluderla, a farla vergognare. Non replicai
nemmeno.
Non ne avevo la forza. Mia madre non mi voleva più. Jamie
non mi voleva più. Il
rettore del college non mi voleva più nella sua
università. In quel momento mi
chiesi per che cosa vivevo. Che cosa mi avrebbe spinto ad andare
avanti. Se
esisteva qualcuno in grado di amarmi. Piansi silenziosamente. Quel
qualcuno
esisteva. Ma quell’amore era stato sbagliato fin
dall’inizio. Aveva infranto i
sogni e le aspettative di entrambi. Mi aveva ridotto ad una stupida
sognatrice.
Presi il cellulare e rilessi milioni e milioni di volte quel
‘ti amo’ di poche
ore prima. Quelle semplici parole che amavo sentirmi dire da lui.
Entrai in
camera mia e iniziai ad impacchettare la mia roba.
Due
settimane. Due fottutissime settimane da quando avevo tentato di
molestare mio
fratello. Ero caduta in uno stato di mutismo assoluto nei confronti di
Adam. Ma
a lui sembrava non importare. Alle volte lo trovavo a fissarmi con il
suo
solito modo indecifrabile e volgevo lo sguardo da un’altra
parte, imbarazzata.
Avrei voluto prendermi a sassate sulle dita delle mani piuttosto che
passare il
mio tempo con lui. Stavo giocando con una polpetta nel piatto quando
sentii il
mio cellulare suonare nella tasca della mia felpa. Mi alzai da tavola e
risposi
in cucina. “Pronto?” “Hayley, ciao! Sono
Freddie, lo steward” sorrisi
imbarazzata. Mi ero dimenticata di avergli dato il mio numero di
telefono.
“Ehy, Freddie come va?” chiesi gentile.
“Tutto bene. Senti, stasera sono a
Londra. Ti va se ci vediamo?” “Si,
d’accordo. Tanto non ho nient’altro da
fare”
“Ah bene! Allora ci vediamo alle nove davanti a Buckingham
Palace, ok?” “Va
bene” risposi prima di chiudere la conversazione.
“Chi è Freddie?” la voce di
Adam mi fece smettere di sorridere. “Uno che ho conosciuto in
aereo” risposi
vaga, uscendo dalla cucina. “E’ molto lontano
Buckingham Palace da qui?” chiesi
a Jodi, intenta a versarsi un bicchiere d’acqua.
“No, non molto” rispose
pensandoci su. Savannah mi spiegò in modo molto dettagliato
come raggiungere la
mia meta, dopo aver scoperto che mi sarei dovuta vedere con un ragazzo.
Sui
visi di Jodi e di mio padre, invece, leggevo preoccupazione.
“L’ho conosciuto
in aereo. E’ uno steward e ha un paio di anni in
più di me” dissi, notando poi
che si erano tranquillizzati. Salii al piano di sopra, in camera mia e
fui
raggiunta da Adam. “E’ un appuntamento?”
mi chiese chiudendo la porta alle sue
spalle. “Non lo so” risposi sincera. Non riuscivo a
guardarlo in faccia. Le mie
guance stavano prendendo fuoco. “E pensi di girare per Londra
da sola?” “Starò
con lui” “Dovrai arrivarci a Buckingham”
“Affitterò una guardia del corpo nel
tragitto” risposi ironica. Mi
spinse sul letto e si mise a cavalcioni su di me. “E se ti
dicessi che non
voglio che tu esca con lui?” mi chiese talmente vicino al mio
viso, da vedermi
specchiata nei suoi occhi azzurri. Ecco che il mio cuore prendeva a
martellarmi
nel petto. “Ti risponderei che io e te siamo solo
fratelli” risposi, trovando
la forza di guardarlo negli occhi. Capì
all’istante e sorrise divertito. Si
alzò dal letto e velenoso mi disse “Divertiti, sorellina” prima di uscire
dalla mia stanza sbattendo la porta.
Sbuffai, senza capire il suo comportamento. Mi infilai in bagno e mi
buttai
sotto l’acqua calda della doccia. Asciugai i miei capelli,
districando i nodi
con una spazzola e li lisciai sotto il calore della mia piastra. Amavo
i
capelli lisci. Era un casino di tempo che non li piastravo e sentirli
tra le
mie dita mi fece involontariamente pensare a Jamie. Dannato il mio
cervello che
non mi dava tregua. Lui mi diceva sempre che con i capelli lisci
sembravo una
bambina, che mi davano un tocco innocente. Scossi la testa, sperando
che il
ricordo di Jamie sparisse dalla mia mente ed uscii. “Sei
bellissima” mi disse
una curiosa Savannah che mi guardava mentre mi passavo un po’
di mascara sulle
ciglia. “Grazie” risposi, un po’
imbarazzata. Entrò in camera mia e si mise di
fianco a me. “Come ti vesti?” mi chiese spostando
il suo sguardo sul mio
armadio. “Non ne ho la più pallida idea”
risposi alzandomi dal letto. “Pensavo
a un paio di jeans e a una felpa” dissi, notando la sua
alzata d’occhi al
cielo. “E’ un appuntamento! Non puoi andare vestita
come una che è andata allo
stadio” disse ridendo. “Ma io sto tanto
comoda” “Chi se ne frega! Non devi star
comoda! Devi risplendere!” disse, un po’ troppo
platealmente allargando le
braccia come ad imitare un bagliore accecante. Alla fine fu lei a
scegliermi i
vestiti. Mi sentii un’ idiota. Mia sorella di diciassette
anni che mi dava
lezioni su come presentarmi un appuntamento. “Dovresti
metterti dei tacchi” “Te
lo scordi” fu la mia risposta seria a quella sua proposta.
“Almeno delle ballerine” “Non ho
ballerine” “Te le presto io, scema!”
corse in camera sua, al piano di sopra e
mi portò un paio di ballerine dorate, con un piccolo
fiocchetto nero sul
centro. Guardai allo specchio la mia figura per intero. Non sembravo
nemmeno io.
Sembravo quasi una ragazza elegante. “Perfetta” la
voce di Jodi mi fece
stringere il cuore. “Grazie” le dissi sinceramente
grata. “Lo farai cascare ai
tuoi piedi!” ridemmo a quella affermazione esaltata di mia
sorella. Avevo
impiegato tutto il pomeriggio a prepararmi, ma ne era valsa la pena.
“Non è
bellissima?” chiese Savannah. Mi voltai e vidi Adam che mi
guardava dalla testa
ai piedi. Grugnì qualcosa e tornò in camera sua.
“Bene, forse dovrei andare”
dissi a mia sorella e a Jodi. Mi accompagnarono al piano di sotto e mi
salutarono dalla porta. Savannah era stata precisa con le indicazioni.
In pochi
minuti mi trovai a Buckingham Palace. Meraviglioso.
Fissai allucinata il palazzo della regina ad occhi aperti.
“Hayley!” la voce di
Freddie mi fece voltare. Bellissimo.
Avevo dimenticato quanto fosse affascinante. “E’ da
molto che aspetti?” mi
chiese prendendomi per mano. “No, veramente sono appena
arrivata” lo seguii
attraverso Trafalgar Square, guardandomi intorno incantata e con
sguardo
sognante. Pensai a quella coppia che mi aveva fermato per strada il mio
primo
giorno a Londra. Se fossi stata con Jamie, probabilmente avrei fatto
anche io
tante di quelle foto da riempire milioni e milioni di album
fotografici. “A che
pensi?” mi chiese Freddie, riportandomi nella
realtà. “Non ricordavo quanto
fosse bella Londra” dissi con voce sognante. Lui rise
“Quindi ti trovi bene?”
“Non mi lamento” alzai le spalle. Per quanto
Freddie potesse essere bello, non
era interessante quanto mi ricordassi. Fai
la schizzinosa adesso? Sbuffai mentre mi raccontava di un
ennesimo viaggio
in aereo. “Ti sto annoiando?” mi chiese stupito.
Alzai un sopracciglio “No, no.
Continua pure” gli dissi, falsa. Avrei preferito rimanere a
casa. Avrei
preferito evitare di spendere tutto il pomeriggio a prepararmi,
eccitata come
una dodicenne al suo primo appuntamento, piuttosto che sorbirmi
un’altra
mezz’ora di racconti sui suoi viaggi. La sua presa sulla mia
mano era ridicola.
Nemmeno fossimo stati amici. “Scusami” dissi,
facendo finta di leggere un messaggio
sul cellulare “Devo tornare a casa” mentii.
“E’ successo qualcosa?” chiese
allarmato. “Nulla di preoccupante, ma devo andare”
dissi, dandogli un bacio
sulla guancia e incamminandomi verso casa.
“Un
caffè
macchiato con panna” dissi, con tono lugubre alla cameriera
al di là del
bancone. “Giornata nera?” mi chiese.
“Abbastanza” risposi, grattandomi la
testa. Eppure sull’aereo, Freddie mi piaceva.
Cos’era cambiato? Sospirai
abbandonandomi su un alto sgabello, proprio davanti al bancone. Girai
annoiata
il cucchiaino nella tazzina, carica di caffè. Tornai a casa,
sbattendo la porta
d’ingresso. “Sei già tornata?”
mi chiese Jodi, seduta sul divano intenta a
leggere un libro. Mio padre dormiva sulla poltrona, respirando
profondamente.
Voltai il viso di scatto e dal mio sguardo capì tutto. Salii
di corsa le scale
e sbattei la porta della mia stanza. Dalla camera di Adam sentii una
risata. La
sua odiosa risata. Lauren. Premetti il viso nel cuscino e lanciai un
urlo
rabbioso. Indossai una felpa e un paio di scarpe da ginnastica. Scesi
al piano
di sotto “Vado a farmi una corsa” ringhiai in
direzione di Jodi, senza nemmeno
guardarla. Uscii di casa e iniziai a correre. L’aria gelida
di Londra mi
entrava nelle narici e nei polmoni. Più correvo e
più scaricavo la rabbia che
provavo. Sentii un rombo sopra la mia testa, ma non mi fermai nemmeno
quando
iniziò a diluviare. L’acqua mi atterrava sul viso,
mi bagnava i capelli e i
vestiti. Più di una volta finii in una pozzanghera. Evitavo
i passanti con
passi felini. Ad ogni passo il mio cuore batteva, ringhiando. Sei un essere stupido e incomprensibile,
mi ripetevo. La risata di Lauren mi rimbombava nel cervello. Saperla
nella
stanza di Adam mi faceva girare i coglioni. E a quel punto presi a
correre più
veloce, sfrecciando nella pioggia che imperterrita cadeva dal cielo. E’ tuo fratello, stupida idiota!
E
allora perché ne ero quasi gelosa? Una gelosia non fraterna,
di certo.
Maledetto il mio cervello perverso. Mi fermai. La milza mi faceva un
male
assurdo. Non ero una tipa che amava correre e il mio corpo ne risentiva
come se
fossi stata investita da un tir più volte. Tornai a casa, a
passo lento, con il
fiatone. Aprii la porta e la richiusi alle mie spalle. “Santo
cielo! Hayley,
aspetta vado a prenderti un asciugamano” Jodi si
alzò non appena notò in che
condizioni pietose fossi. Bagnata dalla testa ai piedi, rossa in viso.
Mi tolsi
le scarpe e i calzini e aspettai, ferma sulla soglia di casa, che mi
portasse
un asciugamano. Lo vidi uscire dalla cucina. I suoi occhi azzurri si
posarono
su di me. Era a petto nudo e teneva in mano una lattina di un energy
drink. “Che
diavolo ti è successo?” chiese avvicinandosi.
“Piove” risposi ovvia. Mi
battevano i denti involontariamente. “Mamma! Abbiamo un
pulcino bagnato al
piano di sotto!” gridò rivolto a sua madre.
“Lo so!” rispose lei ridendo dal
piano di sopra. “Hai intenzione di rimanere lì a
tremare?” mi chiese alzando un
sopracciglio. “Non voglio sporcare casa” dissi,
stringendomi tra le braccia
congelate. Lui rise divertito. Jodi scese correndo dalle scale e mi
porse un
enorme asciugamano che profumava di biancheria pulita. Mi ci avvolse
intorno e
dolcemente mi sussurrò “Ti ho preparato un bagno
caldo” e mi scompigliò i
capelli. Le sorrisi e avvolta nell’asciugamano, a passo lento
salii al piano di
sopra, seguita da Adam. “Vuoi un po’ di
compagnia?” mi chiese, malizioso. “A
quanto so, sei già impegnato” dissi, sputando
veleno. Lui sembrò capire “Se ne
è andata” mi rispose. Non dissi nulla entrai nel
bagno, mi spogliai e mi
immersi nella vasca. L’acqua bollente, a contatto con la mia
pelle gelata, fu
così piacevole che pensai potessi sciogliermi. Jodi, aveva
riempito la vasca di
schiuma. Sorrisi. Da piccola pretendevo la schiuma quando facevo il
bagno. Doveva
essersene ricordata. Rimasi a mollo come un calzino circa
mezz’ora. Immobile ad
occhi chiusi. Mi sarei addormentata se mio fratello non avesse bussato
alla
porta. “Posso entrare?” chiese.
“No” risposi, ma fece finta di non aver sentito
ed entrò nel bagno. “Ho detto che non potevi
entrare, sei sordo oltre che
stupido?” gli dissi imbarazzata, nascondendomi tra la
schiuma. Lui chiuse la
porta, si sedette a terra, con la schiena appoggiata alla vasca da
bagno.
Sospirò e mi chiese “Come è andato il
tuo appuntamento?” “Non potevi
chiedermelo dopo?” chiesi rossa in viso. “No.
Voglio saperlo ora” e puntò i
suoi occhi azzurri su di me. Sbuffai, sapendo che non se ne sarebbe
andato fino
a quando non gli avessi dato una risposta. “E’
stato uno schifo” ammisi. “Non
sa cosa si è perso” disse dolcemente.
“Posso entrare nella vasca con te?” mi
chiese alzandosi. “Adam non ci provare! O giuro che
sarà l’ultima cosa che
farai con le tue gambe!” gli ringhiai, sentendo che i battiti
del mio cuore
iniziavano ad accelerare vorticosamente. Lui rise. Stava per uscire
quando una
mia domanda lo bloccò “E tu? Ti sei divertito con
lei?” Avevo vomitato quelle
parole senza neanche riflettere, maledicendomi per essere sembrata
così
stupida. Ma per l’ennesima volta lui mi sorprese
“Mi sarei divertito di più a
litigare con te, come al solito”. Se non fossi stata nuda
come un verme,
probabilmente lo avrei raggiunto e abbracciato. Ma mi limitai a
sorridere. Dopo
essermi asciugata mi misi il pigiama e tornai in camera mia. Mi misi
sotto le
coperte, ma non riuscivo a smettere di tremare.
“Adam!” gridai, battendo un
pugno contro il muro che separava la mia stanza dalla sua.
“Che vuoi?” lo
sentii dire dalla sua camera. “Ho freddo! Portami una
coperta!” “Per chi cazzo
mi hai preso? Per il tuo servo?” “Per
favore!” gridai più forte. Lo sentii
sbuffare e alzarsi dal letto. Entrò in camera mia e senza
dire una parola si
infilò nel mio letto e mi abbracciò.
“Ho chiesto una coperta, non un abbraccio”
dissi rigida come una lastra di acciaio. “Vuoi chiudere quel
forno?” disse,
riferendosi alla mia bocca. Mi accoccolai tra le sue braccia e mi
abbandonai
completamente a quell’abbraccio. Emanava calore come una
stufa. Poi un pensiero
mi attraversò il cervello, come una scarica elettrica. Con
quelle braccia
probabilmente aveva stretto Lauren. Istintivamente mi allontanai e mi
girai,
dandogli le spalle. “Che c’è
adesso?” mi chiese stizzito. “Non voglio te,
voglio una coperta” dissi, capricciosa. “Ma
vaffanculo, Lee” disse prima di
alzarsi e sbattere la porta della mia camera. Non mi portò
quella maledetta
coperta che mi serviva. E io cominciavo di nuovo a sentire freddo. Perché devi sempre rovinare tutto?
Accumulai tutte le mie forze per alzarmi dal letto. Misi da parte il
mio orgoglio
e mi infilai in camera sua in silenzio. Mi sdraiai sul suo letto, dove
poco
prima probabilmente aveva fatto sesso con Lauren. E dolcemente gli
dissi “Scusa”
prima di abbracciarlo a mia volta. Mi addormentai avvinghiata a lui. A
un certo
punto però lo sentii alzarsi. Gli strinsi la manica della
felpa e gli dissi,
con voce impastata “Non te ne andare”
“Lee, devo andare in bagno” disse
ridendo. Gli lasciai la felpa e tornai a dormire. E in quel preciso
momento mi
resi conto che per quanto la mia testa tentasse di ripetermi che Adam
era mio
fratello, il mio cuore non riusciva a considerarlo tale. E ormai
iniziavo ad
arrendermi a quel sentimento che nutrivo nei suoi confronti. “Sparisci dalla mia vita Hayley”
. Le
parole di Jamie mi rimbombavano in testa. Avrei potuto resistere se
anche Adam
un giorno me le avrebbe dette? Aprii gli occhi di scatto. Non potevo
permettermi di soffrire ancora così tanto. Mi alzai dal
letto e uscii dalla sua
stanza, incontrandolo nel corridoio. “Dove vai?” mi
chiese, senza capire cosa
stesse succedendo. “A dormire” gli risposi senza
nemmeno guardarlo in faccia.
Chiusi la porta della mia stanza e mi sdraiai sul letto. Non avrei
permesso ai
miei sentimenti di prendere il sopravvento. A costo di reprimerli nella
mia
anima. A costo di impazzire completamente. Non mi sarei fatta ridurre
come uno
straccio, per colpa di quell’amore impossibile.
E
finì anche
il terzo capitolo! :D
Aaaah,
finalmente! Avevo scritto che avrei dedicato un intero capitolo alla
storia d’amore
tra Hayley e il professore, ma, ahimè,
l’ossessione che provo per la mia
protagonista e Adam ha preso il sopravvento ._.’’ Vorrei innanzitutto
ringraziare le persone che
hanno dedicato del tempo a leggere (spero) la mia storia, a chi
l’ha aggiunta
tra i preferiti, tra le seguite o ricordate. Grazie mille!
@TheBlackStar:
innanzitutto grazie mille per aver commentato! :D Mi ha fatto un sacco
piacere!! Ovviamente, come anche tu hai scritto, si poteva ben
immaginare
quello che aveva combinato Hayley ._.’’ Grazie
mille per aver definito la mia
storia bella e originale, anche se come ho scritto nel primo capitolo
mi sono
ispirata a Blowing Bubbles di SidRevo, che se non hai letto corri
subito a
farlo perché è una storia stupenda!! :D
A
presto,
Kiki