Quattro mesi dopo.
C’era una piccola osai
nella Via Montuosa che da Ebanopoli
conduceva a Biancavilla. Era uno spiazzo erboso con pochi alberi e una
polla
d’acqua fresca. Spesso, Luisa, Argento e Lance trascorrevano
là la notte.
Là si svegliarono, circa
quattro mesi dopo la loro partenza,
un mattino di primavera, sentendo nelle loro menti il suono della
distante voce
di Ho-Oh.
“Ho-Oh?
Cosa c’è?”
protestò Argento, assonnato ancora.
“Vi
prego di venire
immediatamente a Torre Latta” disse loro il
Pokémon.
“Cosa
c’è di così
urgente che non possa aspettare?” chiese Luisa
senza aprire gli occhi. “È
così presto! stavamo ancora dormendo.”
“Lo
so. Dovete
venire.”
“Quanto
tempo
abbiamo?”
“Il
meno possibile.”
“Diavolo” disse
Lance. Fu il primo ad aprire gli occhi alla
luce del sole. “Vadano al diavolo. Sono le sette.”
“Alziamoci, su. Potrebbe
essere importante” sospirò Argento
alzandosi in piedi. Con uno sbuffo, Luisa aprì gli cocchi e
lasciò che il sole
l’accecasse per qualche secondo prima di decidersi ad alzarsi.
Si lavarono in fretta alla piccola
polla per svegliarsi, poi
presero il volo verso Amarantopoli. Si posarono sulla Cima di Torre di
Latta
com’erano soliti fare e trovarono in loro attesa
l’intero consesso dei Pokémon
leggendari.
Luisa strinse gli occhi con vaga
perplessità quando li vide,
scendendo con leggerezza dal suo Aerodactyl.
“Cosa
c’è? Perché siete qui tutti?
È successo qualcosa?”
I Pokémon si scambiarono
uno sguardo. Forse fu questo, più
di ogni altra cosa, a farle capire che qualcosa non andava.
“Non è accaduto
nulla, Prescelta” disse Ho-Oh. “Ma è
giunto
il tempo che tu sappia qualcosa che del tuo passato ti è
stato finora tenuto nascosto.”
Luisa rabbrividì.
Istintivamente, si spostò indietro per
cercare il contatto dei suoi compagni. “Non
capisco.”
“Non puoi capire”
disse Mewtwo. “Adesso ti sarà spiegata
ogni cosa. Abbi la pazienza di ascoltare.”
La mano di Lance si strinse attorno
al polso della ragazza.
“Va tutto bene. Ci siamo noi” mormorò al
suo orecchio.
A quelle parole Luisa
ritrovò forza. “Sono pronta ad
ascoltare” disse gettando indietro le spalle.
Ho-Oh assentì.
“Sta arrivando qualcuno per te.”
Lì per lì Luisa
non capì. Dovette voltarsi, seguendo lo
sguardo del Pokémon, e vide in cielo come una vaga e
distante stella luminosa
perduta nell’azzurro ancora grigio del mattino; ma era una
stella strana, che a
poco a poco pareva farsi più grande e più vicina,
e poi, d’improvviso, un’ampia
sfera bianca che oscillava a mezz’aria
sull’estremità del tetto e che brillò
più forte un istante prima di spegnersi…
E poi, nella sua luce, prese forma un
uomo alto e ben
formato, largo di spalle dai capelli lunghi, la barba corta e ben
curata… era
bello, era più bello di Argento, più bello di
Rosso. Luisa arretrò di un passo
guardandolo.
Ecco, l’uomo era
più vicino, era vicinissimo, era davanti a
lei… fece per toccarla, ma a quel gesto la ragazza si
scostò. Le mancava la
voce, le mancava l’aria. Aveva gli occhi più
grandi di terrore, di…
“Tu non sei mio
padre” disse. “Io l’ho visto
morire!”
Ma l’uomo non
mostrò disappunto. Restava immobile, silente,
a guardarla.
“Come sei
bella…”
Sollevò una seconda volta
la mano, e stavolta Luisa arretrò
con une decisione che parve quasi aggressiva: “Tu non sei mio
padre!”. Si girò
e con gli occhi cercò Ho-Oh, Mew; qualcuno insomma che
potesse provare quel che
diceva. “Diteglielo! Diteglielo che io c’ero
quand’è morto!”
“Sht, sht… stai
calma” disse l’uomo e afferrò le sue
mani
per poterla guardare in viso. “Stai buona, sono io. Sono tuo
padre, sono
vivo…sono qui per te.”
“No…”
Luisa scuoteva il capo.
Strappò i polsi dalle sue mani e
cercò rifugio tra i suoi compagni, i suoi fratello; Argento
le cinse le spalle
con un braccio. Lance si accostò a lei in un gesto
protettivo e fraterno.
“Cosa vuoi, cosa vuoi da
me? Vattene via, lasciaci in pace!
Ho-Oh, mandalo via” gridò la ragazza, voltandosi
verso il Pokémon.
Guardandola negli occhi, Ho-Oh disse
molto lentamente: “Non
posso farlo, Prescelta Creatura; e anche se potessi farlo, di certo non
farei
il tuo bene.”
Luisa fremette.
“Perché no?”
“Perché chi hai
davanti è Celebi, Guardiano della Foresta e
Signore dei Cieli e Creatore del mondo, ed è tuo padre,
Luisa.”
“Smettila!”
singhiozzò Luisa. Argento la strinse più forte:
“Basta!”
“Sei crudele,
Ho-Oh” disse freddamente Lance. “Tutti voi
siete crudeli. Non lo sai che le è morto il padre che aveva
otto anni?”
“Non sono morto”
riprese l’uomo. Nonostante tutto il suo
spavento, Luisa lo scrutava con occhi grandi; egli le tese la mano, ma
Argento
l’allontanò. “Sono qui, posso spiegarti.
Devo parlarti. Lascia che dica…”
Ci fu silenzio per qualche istante.
Luisa tremava fra le
braccia di Argento. “Lasciamo che parli”
mormorò Argento. “Ce ne andremo se si
spinge troppo in là.”
Lentamente, Luisa assentì
col capo. Allora Celebi sorrise e
li sorpassò, andando a sedere vicino a Ho-Oh. Argento
sedette per terra con la
giovane, volevano mantenersi a distanza da lui. Prima di sedersi
accanto a lui,
Lance disse così: “Se scopro che è solo
una pagliacciata senza significato
buona solo a farla star male, passerà molto tempo prima che
ci rivediate.”
Celebi continuava a sorridere. Era
nobile, bello, altero…
sospirò a un tratto.
“Non è il mio
corpo questo” disse melanconicamente. “Volete
vederlo?” chiese poi.
Non ottenne risposta. Luisa premette
forte il volto contro
la giacca d’argento, ed egli la strinse contro il proprio
petto; ma Lance
allungò la mano e dolcemente le prese il mento con le dita.
“Guarda” disse
con occhi alteri. “Se dobbiamo restare qui,
andiamo fino in fondo.”
Allora, lentamente, la ragazza
alzò gli occhi: l’uomo era
ora in piedi e ardeva di una gran luce, che poi, lentamente, si
spense…
Al posto di quell’uomo
troppo bello, c’era un piccolo
Pokémon.
Sottile, sinuoso, elegante, era verde
come il bosco denso;
tutto in lui svelava una grazia infinita, un’estrema armonia.
Luisa s’incantò a
guardarlo.
Celebi le sorrise. “Sai chi
sono?”
“Io ti ho visto”
disse Luisa piangendo. “Nei boschi c’eri
sempre tu, tra gli alberi c’eri tu, quando nuotavo
c’eri tu…”
“Sì”
rispose Celebi. “Mi mancavi…”
“Parlami” disse
Luisa. “Spiegati, raccontami…dici
d’essere
mio padre!”
“Va bene” disse
Celebi. “Allora ascoltami. Ci vorrà un
po’.”
Io non sono
nato, né
mi hanno generato, né tantomeno mi hanno creato. Esisto da
sempre. Io sono la
forza che ha mosso il mondo.
Io sono
Celebi, la
forza immanente del mondo.
Questa
è la forma più
semplice e spontanea del mio corpo, ma in realtà non
c’è nulla che io non sia, nulla
cui io non sia immanente… o forse vi è qualcosa,
ma di questo ti parlerò.
Io sono il
creatore
dei Pokémon e degli uomini. Perché mi aiutassero
a prendermi cura di ciò che
avevo creato, io ho creato i Pokémon leggendari, nove dalla
mia forza e uno soltanto
per mezzo della forza di un uomo.
Sono il
vostro dio ed
è me che voi venerate, ma a me non interessano le vostre
vite e non ascolto le
vostre preghiere.
Un giorno su
questa
terra venne una tempesta; era una strana tempesta che io non avevo
voluta e che
non riuscivo a fermare. La tempesta uccise gli uomini e voi conoscete
la
leggenda; di una cosa nessuno è a conoscenza ed è
della venuta degli Unown.
Sono i
Pokémon che la
tempesta ha portato con sé; non sapevo chi fossero,
né da dove provenissero.
Una cosa soltanto mi parlava di loro: con essi giunse una lastra che
portava
incisa una scritta, Vehmarf. Non
sappiamo cosa significhi; ci parve una minaccia nella loro lingua.
Diedi loro
un lembo della terra che avevo creato, ed è là
che vivono, ora.
Sto
allungando troppo
la mia storia, forse invano; ciò che solo può
interessarti risale a forse venti
anni fa, e fu una domenica in cui decisi di prendere le forme di un
uomo per
scendere tra coloro che avevo creato. Assunsi forme che fossero adatte
al mio
rango e discesi tra gli uomini; e tra le strade di Amarantopoli mi
capitò di
vedere una donna. Si chiamava Monica e la sua grande bellezza mi disse
che
apparteneva alla stirpe delle Prescelte Creature; ma era diversa, lei,
era
troppo bella, lei, era alta ed esile e i suoi capelli erano lunghi e
neri e
lisci, e i riflessi che davano erano come le stelle di una notte buia;
era
bella e io desiderai possederla e averla per me, e da quel giorno
decisi che
avrei fatto di tutto per conoscerla e averla per me, e così
accadde, alla fine.
Passarono dei mesi, e io finii per condurre all’altare quella
donna che avevo
desiderata dal momento in cui avevo saputo della sua dolce esistenza su
questa
Terra.
Due anni
dopo il
nostro matrimonio, Monica concepì una figlia e la mise al
mondo. Le imponemmo
nome Luisa; ma pochi mesi dopo, le imposi un nuovo battesimo
più alto e
importante, con tutti gli onori che si possono riservare a una
Principessa dei
Pokémon.
Ora la mia
gioia era
grande, era immensa; immaginavo che la vita intera fosse in quella casa
di
Borgo Foglianova, che l’amore fosse solo in quella donna coi
capelli del colore
della notte, che la felicità fosse in quella bambina che io
vedevo crescere.
Mi rendevo
conto
tuttavia che non era vera vita per tutti, quella; che era una menzogna,
per la
donna che amavo, per la bambina che era mia, una menzogna fino alla
fine della
vita. Il mio corpo bramava di cambiare, ma io lo violentavo
costringendolo a
restare in quella forma solamente di uomo, che non era mia
più di quanto non lo
fosse un qualsiasi corpo materiale e vivente; e poi, la mia dolce cara
famiglia
cui quotidianamente mentivo…
Finalmente,
feci
accadere quanto tu ricordi; inscenai un incidente d’auto,
nella quale il tuo
papà, mia piccola cara Luisa, perse la vita, mentre io di
nuovo ascendevo al
cielo; quella era, dopotutto, una bugia un po’ meno bugia di
quelle che avevo
raccontato finora, poiché davvero il mio corpo sarebbe morto
e con esso la
strana identità che avevo creato per sposare tua madre e io
avrei ripreso una
vita che mi apparteneva da molto prima della nascita delle vostre.
Tuttavia,
avevo
perduta tua madre; avevo perduta te; il mondo, per me, era
finito… non mi
bastava averla amata, no! Non mi bastava proteggerti…
Non era freddo a quell’ora
del mattino, eppure Luisa tremava
e Argento, accortosene, l’aveva avvolta nel proprio giubbotto.
Gradualmente smise di tremare dopo la
fine del racconto di
Celebi. Quando già da tempo era calato il silenzio,
sollevò lo sguardo e guardò
a lungo il Guardiano della Foresta, il signore dei cieli. Si era fatta
pallida.
“Lance”
chiamò a bassa voce. “Lance, portami via da
qui.”
Si alzò e
barcollò. La giacca le cadde dalle spalle.
“Aspetta” disse
Celebi preoccupato. “Dove vuoi andare?”
“Lontano da te. Ovunque,
lontano da te.”
Celebi scosse il capo. “Ti
prego, parlami.”
“No” disse Luisa.
Piangeva. “Andiamo via. Andiamo via ora.”
“Ti prego,
non…”
“NO!”
urlò la ragazza e indietreggiò. Aveva gli occhi
gonfi
e lucidi, le labbra tremanti: “Sono stanca di tutto questo,
ho paura, voglio
andare via di qui!”
Si diresse a grandi passi tremanti verso il limitare del
tetto della torre. I
suoi compagni la seguirono di corsa, ma alle loro spalle Celebi
parlò di nuovo:
“Sei mia figlia, Luisa, e il tuo sangue è
misto.”
Luisa si voltò a un passo
dal vuoto. “Cosa pretendi che
faccia? Che l’accetti?”
“No. Scappa”
rispose Celebi. “Scappa se non sei in grado di
fare altro. Sono tuo padre e voglio la tua felicità, dunque
scappa se non sono
io quella felicità. Ma ricorda sempre, in ogni luogo, che il
tuo sangue è il
mio.”
Ora Luisa esitava, bianca, stravolta.
Gettò una Pokéball con
un braccio molle e languente, e immediatamente il suo possente
Aerodactyl fu
accanto a lei e lei montò sulla sua grotta, con un
po’ di debolezza e mormorò:
“No, non ce la faccio.”
Si chinò e
mormorò qualcosa verso i suoi compagni con occhi
spenti e lucidi; e mentre essi pe un attimo si scambiavano uno sguardo,
Aerodactyl si alzò percuotendo l’aria con le
grandi ali robuste e si precipitò
in picchiata, e già pochi momenti dopo scompariva
all’orizzonte portandosi via
la ragazza. Istintivamente Argento fece per seguirla e solo Lance,
afferrata la
mano che già si protendeva per afferrare una
Pokéball, lo fermò.
“Dobbiamo andare con
lei!” esclamò il giovane, voltandosi di
scatto. Lance scosse il capo.
“No. È meglio
lasciarla” disse lentamente. I suoi occhi si
fecero cupi mentre egli scrutava quell’orizzonte che
l’aveva inghiottita. “Lei
sa che ci siamo, che siamo uniti a lei. Ci chiamerà quando
ci vorrà con sé.”
“E allora cosa
facciamo?” chiese Argento accorato. Si voltò
e guardò Celebi, i cui occhi erano tristi eppure alteri.
Lance si girò a sua
volta e scrutò in silenzio il Pokémon prima di
dire freddamente: “Andiamo ad
Altopiano Blu. Se vorrà cercarci, è là
che verrà; e inoltre, è sul confine
delle due regioni e potremo raggiungerla rapidamente ovunque lei sia,
se ve ne
sarà bisogno.”
“E che ci facciamo
là? Ma l’hai vista come sta? Quel coso
è
suo padre!”
“Prescelto”
tuonò Ho-Oh con voce grave. “Non parlare
così!”
Ma Argento si mise a ridere:
“Ti schieri con lui adesso? Hai
visto cosa le ha fatto?”
“È solo la
verità” disse Celebi.
“È orribile
questa verità!” sbottò Lance,
percuotendo il
suolo con un piede, adirato. E rivolto a Ho-Oh gli disse direttamente
in tono
di sfida: “E tu che cosa ne dici, eh?”
Ho-Oh s’incupì:
“Non posso giudicare i miei superiori.”
“RISPONDI!”
urlò Lance.
“Posso comprendere la
reazione della Prescelta” disse infine
Ho-Oh. “È crollato d’improvviso il mondo
che lei conosceva, e non si
ricostruirà.”
“E lui ha
ragione?” esclamò Argento.
“Basta ora!”
sbottò Lugia. “Non puoi parlare
così!”
“Ah no?”
“L’essere un
Prescelto non ti dà il diritto di usare questo
tono.”
“Ce lo
dà” rispose Lance. “Perché
lei sta male.”
Calò il silenzio sulla
cima della torre. Argento si passò una
mano tra i folti capelli rossi e spettinati e dopo un momento
mormorò:
“Andiamo, Lance, sì, andiamo. Andiamo
via.”
Lo tirò per un braccio.
Lance si girò a guardarlo per
qualche secondo; annuì e pose la mano alla cintura. Fece
uscire dalla sfera
Dragonite ed entrambi presero il volo.
Quando raggiunsero
l’ingresso dell’Indigo Platueau, fu Joy
la prima ad accorgersi dei loro occhi stravolti e corse verso di loro
con lo
sguardo perplesso e accorato: “Signor Lance, signor
Argento…che cosa è
successo?”
“Niente, Joy”
mormorò Lance. “Puoi portarci su qualcosa da
mangiare? Saliamo in biblioteca.”
“Lance,
cosa…”
“Affari
personali” rispose Lance poggiandole una mano sulla
spalla. “Non preoccuparti. Ti prego, Joy…solo la
colazione.”
Si avviarono lentamente lungo le
scale. Argento era
bianchissimo in viso.
“Dev’essere
tremendo” mormorò guardando i gradini.
“È
brutto, è orribile. Non dev’essere
triste?”
Lance tacque per qualche istante.
“Sì”
rispose infine. “Lei credeva di aver conosciuto suo
padre, e invece ha scoperto che non era così e che tutti le
mentivano…compresi
coloro che lei credeva che le sarebbero stati amici, i
Pokémon leggendari.”
Proseguirono in silenzio fino alla
biblioteca. Appena furono
entrati, Argento si abbandonò su un divanetto ai piedi di
un’alta libreria a
parete e solo dopo molti secondi, dischiudendo gli occhi che aveva
chiusi,
mormorò: “Perché proprio qui?”
“Perché non in
un posto più privato, dici? Perché Joy possa
portarci da mangiare. E perché qui ci sono dei libri che
possiamo consultare.”
“Su Celebi?”
chiese Argento sollevando il capo.
“Sì”
rispose Lance semplicemente. Anche lui era molto, molto
stanco. Andò in silenzio fino alla finestra e si sedette sul
vano foderato in
velluto rosso, con gli occhi stanchi e tristi che vagavano lontano, che
avrebbero voluto inseguire qualcosa che in quel momento non era
lì.
Finalmente, l’infermiera
giunse portando un vassoio che
appoggiò sul tavolino intarsiato di fronte al divano. Fatto
questo, essa si
accostò a Lance e gli parò sottovoce. Lance
assentì col capo, poi Joy uscì
dalla stanza.
“Cosa ti ha
chiesto?” domandò Argento prendendo una fetta di
torta.
“Se vogliamo essere
lasciati soli” rispose Lance sedendosi
accanto a lui. “E se volevamo che il pranzo ci fosse servito
a parte.”
Mangiarono e si riposarono per
qualche istante, poi si
diressero verso gli scaffali che Lance indicò e che, secondo
lui, sarebbero
stati loro d’aiuto.
“Mio padre aveva una vera
passione per i Pokémon leggendari”
spiegò mentre lasciava correre lo sguardo sui libri.
Avvicinò a sé una scala
scorrevole attaccata alla libreria e cominciò piano piano a
salire: “Se ne
interessava moltissimo. Fece arrivare molti libri su questo
solo…ecco, questo
può andare.”
Consultarono libri per la maggior
parte della mattinata.
Ogni cosa che lessero confermava, ampliava o commentava il resoconto
che Celebi
aveva fatto della creazione. Smisero solo quando Joy fece loro sapere
che
avrebbe servito il pranzo nella camera di Lance.
Luisa raggiunse Isola Cannella e una
volta scesa dal dorso
del suo Aerodactyl incominciò a scalare il vulcano.
Correva più che salire, ma
arrancava più che correre. Si
aggrappava alle rocce, agli arbusti radi, alle
pietre…intanto, piangeva. Si
graffiava le mani, le braccia, le gambe magre bruciate dal sole e
rotolava
nella polvere ardente…raggiunse la cima del vulcano.
Là cadde seduta tra le
rocce e si prese il capo tra le mani. Non voleva piangere e piangeva, o
forse
neppure pensava intensamente di non volerlo…era sola.
Padre! Quello era suo padre? Ma
com’era possibile? Come poteva
quel Pokémon leggendario, quel Guardiano ella Foresta, Sire
e signore dei
cieli…ma come? No, era tremendo, era sbagliato…
E poi, dopo un tempo indefinibile e
molto lungo, un suono di
passi. Luisa sollevò d’improvviso il capo dalle
sue braccia piegate e calde,
rizzandosi con un sussulto di spavento, e si guardò intorno
con aria d’affanno.
Ma chi…era Blu.
Egli la vide a sua volta e per un
momento interruppe il
cammino con aria incerta e perplessa, guardandola. Ma poi,
riprendendosi dallo
stupore iniziale, si mosse con decisione verso di lei, saltellando tra
le rocce
come chi conosce bene un luogo ed è abituato a muovervisi.
Si fermò sulla
roccia nella cui ombra la ragazza si era rifugiata e allargando le
gambe si
chinò sulla sua figura.
Luisa sollevò gli occhi su
di lui pulendosi le ultime
lacrime. Gli sorrise stancamente: “Come stai?”
“Io bene.
Tu…”
“Lascia stare,
dai.”
“Non ne vuoi
parlare?”
La ragazza scosse il capo e si
voltò a guardare il mare.
“Non credo che t’interesserebbe.”
“Io dico di
sì.”
“Blu, ti
prego…”
“È una storia di
cuore? Argento, forse? Ma mi sembra più
probabile Lance.”
“No, Blu. Non è
questo.”
“E allora cosa? Puoi
parlarne con e, sai?”. Blu si sedette
al suo fianco, soggiungendo con aria da esperto: “Potrebbe
salvarti dal bere, sai!”
Luisa gli sorrise. “Sei
gentile, Blu” gli disse teneramente.
“Ma siamo stati noi a salvare te. Non so se tu, ora, puoi
salvare me.”
“Tu prova.”
“Ho scoperto”
esitò “che mio padre non era la persona che io
ricordavo…che tutti dicevano che fosse. Sei
contento?”
Blu rifletté, aggrottando
le sopracciglia con fare
pensieroso.
“Io ho sempre saputo che
mio padre era il boss della
malavita di Kanto e Johto” disse “Eppure gli voglio
molto bene. Tu non credi
che potresti continuare a volerne al tuo?”
“Credi che sia la stessa
cosa?” domandò Luisa onestamente,
strofinandosi gli occhi con i palmi delle mani aperte, come i bambini.
Il giovane reclinò il capo
da un lato. “Il mio è vivo, ma mi
ha lasciato. Il tuo è morto, e ti ha lasciata ugualmente, ma
non per sua colpa.
Il mio è un malavitoso, il tuo è…non
me lo vuoi dire, non importa: lo sai tu, e
dunque farai tu le tue riflessioni.”
“Sì”
rispose Luisa piano. Rifletté per qualche istante, poi
continuò con decisione: “Parliamo un po’
di te, ora. È Rosso che aspettavi?”
Blu parve considerare se dirle la
verità. “Sì” ammise poi,
allargando le braccia. “Perché negarlo? Sarei
molto sciocco a dire che non è
così. Se ti dicessi che volevo fare una gita di piacere,
dopotutto, tu mi
crederesti?”
“No” disse Luisa.
“E saresti un gran bugiardo.”
“Appunto.”
Blu sorrise, rasserenato.
Socchiudendo gli occhi, si sedette
più comodamente, appoggiando il viso sulla sua spalla, come
un bambino. Luisa
gli picchiettò sulla fronte con due dita.
“Se adesso passasse Rosso,
s’ingelosirebbe.”
“Chi ti dice che non sia il
mio obiettivo?” rispose Blu
senza muoversi, ancora con gli occhi chiusi.
“Così, forse si deciderebbe.”
“Ma io non voglio avere a
che fare col tuo fidanzato geloso.
Ho già rogne col tuo fidanzato innamorato.”
“E invidioso”
mormorò Blu.”
“E invidioso”
mormorò la ragazza. Blu si girò sulla sua
spalla e si abbassò ulteriormente, ponendo la testa nel suo
grembo. Guardava il
cielo con occhi lucidi che riparò dal sole, e da lei, con un
braccio.
“Sai, credo che non sia
invidioso solo perché sei la più
forte” disse lentamente. “Tu puoi vedermi ogni
giorno, se lo desideri. Ti basta
raggiungermi in palestra, o venire qui, oppure…lui
no.”
“Lui sa più
spesso di me dove ti trovi” gli fece notare
Luisa.
“Ma non può
raggiungermi” disse Blu con voce innaturalmente
alta e acuta. “Ha deciso che per essere il migliore deve
dedicarsi anima e
corpo all’allenamento. E non può venire, non
può cercarmi. Per questo
t’invidia, credo. Perché sei libera quando lui non
lo è.”
“Nessuno glielo
impone.”
“Lui stesso”
disse Blu tristemente. Sorrise scuotendo il
capo, sconsolato. “Lui fa tutto questo per me, per essere il
più grande quando
sarà con me. Lo fa per il suo sogno prima di tutto,
ovviamente, ma so che
l’altro motivo sono io e devo accontentarmi di questo secondo
posto.”
“Considerando di chi
parliamo…” mormorò Luisa a bassa voce.
Blu smise di parlare, ma rimase steso
sulle sue gambe a
fingere di dormire. Dopo qualche minuto aprì gli occhi e con
un sospiro si alzò
in piedi.
“Dove vai?”
chiese Luisa sorpresa.
Blu cominciò ad
arrampicarsi per andarsene. “Oggi non
verrà.”
“Come fai a
saperlo?”
“Lo sento. Oggi non
verrà.” S’issò sulla roccia e
cominciò a
discendere il fianco del vulcano. Luisa lo scrutava in silenzio.
“Ciao,
fidanzatino” gli gridò quando lo vide in fondo,
affacciato sul mare azzurro. Blu la sentì e si
voltò a salutarla col braccio.
Bosco di Lecci dal quale non si vede
il cielo. Il regno del
signore dei cieli, la patria di Celebi.
Luisa si fermò tra gli
alberi. Tutto era buio e, nel
continuo gioco di luce e ombra che la circondava, non riusciva a
scorgere
nulla. Tutto taceva.
La ragazza sollevò un
braccio davanti a sé. Esitò, lottando
con se stessa; poi represse quella rabbia terribile che la opprimeva e
chiamò:
“Celebi!”
Ecco, ora il silenzio avvolgeva di
nuovo ogni cosa, ma Luisa
era certa che Celebi avesse udita la sua chiamata. Mosse qualche passo
nell’oscurità,
addentrandosi tra gli alberi. A poco a poco, tra i rami,
cominciò a scorgere
travi di legno, un tetto a spioventi, un incensiere… era il
Santuario del
Protettore del Bosco. Si fermò dinanzi
all’edificio. Le pesanti porte,
perennemente chiuse, erano ora aperte e il suo sguardo corse oltre
l’ingresso,
lungo la sala maleodorante d’incenso, fino alla creatura
nell’ombra del
santuario. S’irrigidì.
Celebi sollevò gli occhi
stanchi su di lei. Erano neri e
Luisa vi scorse il riflesso degli alberi. Poco dopo assunse le forme
dell’uomo
che era stato.
Luisa lo guardò con una
certa fissità. Egli le sorrise.
“Sta calando la
notte” disse accennando a quegli sprazzi di
cielo così magri e miserevoli che s’intravedevano
tra i rami degli alberi. Luisa
assentì col capo. Celebi continuò a sorridere.
“La notte…penso a tua madre. I suoi
capelli, i suoi occhi.”
“Lo so”
mormorò Luisa.
“Perché sei
qui?”
Luisa continuò a fare
silenzio. Col piede spostò lentamente
le foglie che marcivano sul terreno.
“Hai amato molto la
mamma?”
Celebi chinò per un
secondo gli occhi.
“L’amo
ancora” mormorò tristemente. “Non ho
voluto mentirle
oltre.”
Luisa annuì, poi,
distogliendo lo sguardo, si massaggiò le
braccia. “Continuavi a
proteggermi…”disse a bassa voce.
Il Pokémon le sorrise
dolcemente in risposta. Luisa esitava.
“Così, sono una
principessa dei Pokémon.”
“È
così.”
“Ho…qualche
potere?”
Celebi assentì.
“Non li chiamerei poteri…direi piuttosto
capacità. Ma se questo è quello che
intendi…sei mia figlia, Luisa, sei la
figlia di una divinità.”
Quelle parole accesero qualcosa in
lei. Arretrò d’un passo. “Tutto
ciò che ho ottenuto, i risultati che ho
raggiunto…sono la Campionessa perché
sono…”
“No” disse
Celebi. “Sei ciò che sei diventata, Luisa,
perché
tu hai voluto diventarlo. Io non ti ho mai facilitato in ciò
che hai fatto;
solo una volta ti salvai la vita, tu ricordi… a
Fiordoropoli.”
Sì, Luisa lo ricordava.
Guardò il pare come per cercare di
capire.
“Cosa sono in grado di
fare?”
“Puoi trasformarti, per
esempio.”
“In che cosa?”
“Tutto ciò che
vuoi. Non hai mai sognato di essere…”
“Dimmi come si
fa” lo interruppe Luisa.
“Prova. Potrei insegnarti
come respirare? Lo sai già, ma non
ne sei consapevole. Prova.”
Luisa lo scrutò
preoccupata, poi chiuse gli occhi.
Da dietro le palpebre, sapeva che
Celebi era ancora lì, di
fronte a lei… si strinse nelle spalle e volle provare, come
lui; volle
concentrarsi.
“Diventa come me”
sussurrò Celebi, e la sua pelle era contro
la sua pelle fremente… con gli occhi della memoria ella
rivide il piccolo
Pokémon sinuoso sulla cima della Torre, rivide
l’esile corpo verde che emanava
tanta potenza. Ebbe d’un tratto un gran desiderio di essere
come lui, di
possedere un corpo piccolo e sinuoso come il suo, di essere potente
come lui…
Si richiuse su se stessa e a quel
punto fu come spiccare un
salto e non accorgersi di essere di nuovo a terra.
Celebi la guardava con uno sguardo
che era amore e
soddisfazione. Luisa sorrise nel vedere il proprio riflesso nei suoi
occhi.
“Diventa
qualcos’altro.”
E lei incominciò a
trasformarsi, sempre più rapidamente e
facilmente, fino a diventare un confuso spettro di colori e forme e
immagini
indistinte… frattanto, continuava a domandare:
“Sono immortale come te?”
“No.”
“Cos’altro posso
fare?”
“Ogni cosa che
desideri.”
Era buio ormai. Da lontano, Luisa
sapeva che Lance e Argento
avevano paura per lei, pensavano a lei. Si rimproverò di non
aver pensato prima
a loro e per essere rimasta sola tanto a lungo, sulla cima del Monte
Argento, a
cercare di comprendere appieno quelle capacitò che da poco
aveva riscoperte in
sé.
Preoccupata, si alzò in
piedi e adagio, poiché era ancora
incerta, si sollevò dal terreno innevato e prese il volo.
Non era come volare col suo
Aerodactyl; era diverso, tanto
strano! Si lanciò in picchiata, proseguendo in parallelo al
pendio scosceso del
monte, verso terra; raggiunse i cento metri dal suolo, poi si
sollevò di botto
e si diresse verso l’Altopiano Blu. Lo raggiunse in pochi
minuti di vento
freddo sul viso infuocato. Accostandosi dall’alto, scorse i
due compagni nell’Arena
delle Battaglie. Erano seduti e aspettavano: davanti a loro, il
Charizard di
Lance aveva acceso un gran fuoco. L’attendevano, lanciandole
nella notte un
segnale luminoso come un aeroporto, perché sapevano che era
l’Arena che avrebbe
raggiunto.
Luisa planò
sull’Arena, soffermandosi accanto a loro, e
lentamente si posò di nuovo a terra. Appena i suoi piedi
ebbero recuperato il
contatto essa si sentì vacillare. Argento la sorresse.
“Com’è?”
domandò, avendola aiutata a sedersi sulle coperte
che lui e Lance avevano steso per proteggersi dal terreno freddo.
“Sei arrivata
volando…”mormorò Lance, arraffando una
pentola
lasciata in caldo accanto al fuoco. Aprendola, le mise davanti una
minestra
calda, e un cucchiaio e una fetta di pane: cibo da malati, ma Luisa non
mangiava dalla sera prima e sentiva mancarsi le forze. Si
gettò sul pane.
“Avrei dovuto venire prima
da voi…scusatemi.”
“Non devi
scusarti” disse Argento. “L’importante
è che tu
stia bene. Luisa annuì mentre con una mano spezzava una
seconda fetta di pane
nella minestra.
“Credevo di non essere
capace di accettarlo…non so ancora,
ci devo pensare. Mi ha mostrato cosa sono in grado di fare…
cosa è mio diritto
fare, in quanto…” Luisa si fermò.
Rincominciò a mangiare.
“Sono la Prescelta
Creatura… è tutto molto strano. Celebi ha
detto…mio padre ha detto che da me si aprirà una
nuova era. Ci sarà una nuova
Età dell’Oro e questo accadrà quando
gli Unown, probabilmente, costruiranno la
loro Torre e sveleranno il loro mistero.” Si interruppe,
mescolando la zuppa
col cucchiaio. “Vi ricordate quando, qualche mese fa,
parlammo degli Unown… ci
domandammo se la torre avesse in qualche modo a che fare con
noi.”
Lasciò la frase in
sospeso, ma non era necessario
terminarla. Il suo breve pasto terminò nel silenzio. La
notte era buia e
fredda, ma a pochi passi da loro crepitava il fuoco.
Ecco, il capitolo che meno mi piace
di questa storia. Celebi
è un personaggio che da piccola mi piaceva ma che ora odio,
perché (come lo
stesso aspetto della Prescelta Creatura) snatura le azioni dei
personaggi che
non sono più dirette dalla loro personalità ma da
fattori esterni. Comunque,
quando concepii la storia da bambina, Celebi c’era e non ho
voluto né potuto
eliminarlo.
Dovete sapere che quando io giocavo a
Pokémon Cristallo, il
mio primo vero gioco di Pokémon, non è che
Internet fosse proprio in tutte le
case, dunque io non sapevo nulla di Celebi, che come sapete
è incatturabile in
Europa, salvo usare i famigerati trucchi. Una volta vidi
l’immagine di Celebi
su un dvd di un film dei Pokémon presso un videonoleggio e
rimasi molto stupita
al vederlo, poiché non ne avevo mai sentito parlare.
Così mi convinsi che fosse
una specie di divinità Pokémon e ci creai attorno
un vero e proprio universo
peraltro gerarchico. So che ora esistono Pokémon demiurghi
come Arceus, ma ai
miei tempi ce li sognavamo. Ed ecco qua la mia teoria,
com’è raccontata nel
monologo di Celebi.