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Autore: Afaneia    17/05/2012    1 recensioni
Chi è Luisa? Un tempo non era nessuno, era solo una piccola ragazza di provincia, una piccola allenatrice di Borgo Foglianova partita all'avventura come tanti, come tutti. E ora? Ora è la Campionessa di Kanto e Johto, dopo aver superato sfide e pericoli e aver sconfitto, dopo anni di viaggio e allenamento, Lance e Rosso, il Presidente della Lega Pokémon e il vero Campione delle due regioni.
Ma la vita continua a cambiare. La piccola ragazza di provincia ora è quasi una donna e i suoi nemici (Rosso, Argento, quel ladro che conobbe il primo giorno del suo viaggio) stanno cambiando e le loro relazioni mutano con loro. E soprattutto, ciò che cambierà definitivamente la sua vita sarà l'arrivo di Ho-Oh, la fenice di fuoco delle leggende, che discenderà dal cielo ad annunciarle una grande verità...
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Lance, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga della Prescelta Creatura'
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Quattro mesi dopo.

C’era una piccola osai nella Via Montuosa che da Ebanopoli conduceva a Biancavilla. Era uno spiazzo erboso con pochi alberi e una polla d’acqua fresca. Spesso, Luisa, Argento e Lance trascorrevano là la notte.

Là si svegliarono, circa quattro mesi dopo la loro partenza, un mattino di primavera, sentendo nelle loro menti il suono della distante voce di Ho-Oh.

“Ho-Oh? Cosa c’è?” protestò Argento, assonnato ancora.

Vi prego di venire immediatamente a Torre Latta” disse loro il Pokémon.

“Cosa c’è di così urgente che non possa aspettare?” chiese Luisa senza aprire gli occhi. “È così presto! stavamo ancora dormendo.”

“Lo so. Dovete venire.”

“Quanto tempo abbiamo?”

“Il meno possibile.”

“Diavolo” disse Lance. Fu il primo ad aprire gli occhi alla luce del sole. “Vadano al diavolo. Sono le sette.”

“Alziamoci, su. Potrebbe essere importante” sospirò Argento alzandosi in piedi. Con uno sbuffo, Luisa aprì gli cocchi e lasciò che il sole l’accecasse per qualche secondo prima di decidersi ad alzarsi.

Si lavarono in fretta alla piccola polla per svegliarsi, poi presero il volo verso Amarantopoli. Si posarono sulla Cima di Torre di Latta com’erano soliti fare e trovarono in loro attesa l’intero consesso dei Pokémon leggendari.

Luisa strinse gli occhi con vaga perplessità quando li vide, scendendo con leggerezza dal suo Aerodactyl.

“Cosa c’è? Perché siete qui tutti? È successo qualcosa?”

I Pokémon si scambiarono uno sguardo. Forse fu questo, più di ogni altra cosa, a farle capire che qualcosa non andava.

“Non è accaduto nulla, Prescelta” disse Ho-Oh. “Ma è giunto il tempo che tu sappia qualcosa che del tuo passato ti è stato finora tenuto nascosto.”

Luisa rabbrividì. Istintivamente, si spostò indietro per cercare il contatto dei suoi compagni. “Non capisco.”

“Non puoi capire” disse Mewtwo. “Adesso ti sarà spiegata ogni cosa. Abbi la pazienza di ascoltare.”

La mano di Lance si strinse attorno al polso della ragazza. “Va tutto bene. Ci siamo noi” mormorò al suo orecchio.

A quelle parole Luisa ritrovò forza. “Sono pronta ad ascoltare” disse gettando indietro le spalle.

Ho-Oh assentì. “Sta arrivando qualcuno per te.”

Lì per lì Luisa non capì. Dovette voltarsi, seguendo lo sguardo del Pokémon, e vide in cielo come una vaga e distante stella luminosa perduta nell’azzurro ancora grigio del mattino; ma era una stella strana, che a poco a poco pareva farsi più grande e più vicina, e poi, d’improvviso, un’ampia sfera bianca che oscillava a mezz’aria sull’estremità del tetto e che brillò più forte un istante prima di spegnersi…

E poi, nella sua luce, prese forma un uomo alto e ben formato, largo di spalle dai capelli lunghi, la barba corta e ben curata… era bello, era più bello di Argento, più bello di Rosso. Luisa arretrò di un passo guardandolo.

Ecco, l’uomo era più vicino, era vicinissimo, era davanti a lei… fece per toccarla, ma a quel gesto la ragazza si scostò. Le mancava la voce, le mancava l’aria. Aveva gli occhi più grandi di terrore, di…

“Tu non sei mio padre” disse. “Io l’ho visto morire!”

Ma l’uomo non mostrò disappunto. Restava immobile, silente, a guardarla.

“Come sei bella…”

Sollevò una seconda volta la mano, e stavolta Luisa arretrò con une decisione che parve quasi aggressiva: “Tu non sei mio padre!”. Si girò e con gli occhi cercò Ho-Oh, Mew; qualcuno insomma che potesse provare quel che diceva. “Diteglielo! Diteglielo che io c’ero quand’è morto!”

“Sht, sht… stai calma” disse l’uomo e afferrò le sue mani per poterla guardare in viso. “Stai buona, sono io. Sono tuo padre, sono vivo…sono qui per te.”

“No…”

Luisa scuoteva il capo. Strappò i polsi dalle sue mani e cercò rifugio tra i suoi compagni, i suoi fratello; Argento le cinse le spalle con un braccio. Lance si accostò a lei in un gesto protettivo e fraterno.

“Cosa vuoi, cosa vuoi da me? Vattene via, lasciaci in pace! Ho-Oh, mandalo via” gridò la ragazza, voltandosi verso il Pokémon.

Guardandola negli occhi, Ho-Oh disse molto lentamente: “Non posso farlo, Prescelta Creatura; e anche se potessi farlo, di certo non farei il tuo bene.”

Luisa fremette. “Perché no?”

“Perché chi hai davanti è Celebi, Guardiano della Foresta e Signore dei Cieli e Creatore del mondo, ed è tuo padre, Luisa.”

“Smettila!” singhiozzò Luisa. Argento la strinse più forte: “Basta!”

“Sei crudele, Ho-Oh” disse freddamente Lance. “Tutti voi siete crudeli. Non lo sai che le è morto il padre che aveva otto anni?”

“Non sono morto” riprese l’uomo. Nonostante tutto il suo spavento, Luisa lo scrutava con occhi grandi; egli le tese la mano, ma Argento l’allontanò. “Sono qui, posso spiegarti. Devo parlarti. Lascia che dica…”

Ci fu silenzio per qualche istante. Luisa tremava fra le braccia di Argento. “Lasciamo che parli” mormorò Argento. “Ce ne andremo se si spinge troppo in là.”

Lentamente, Luisa assentì col capo. Allora Celebi sorrise e li sorpassò, andando a sedere vicino a Ho-Oh. Argento sedette per terra con la giovane, volevano mantenersi a distanza da lui. Prima di sedersi accanto a lui, Lance disse così: “Se scopro che è solo una pagliacciata senza significato buona solo a farla star male, passerà molto tempo prima che ci rivediate.”

Celebi continuava a sorridere. Era nobile, bello, altero… sospirò a un tratto.

“Non è il mio corpo questo” disse melanconicamente. “Volete vederlo?” chiese poi.

Non ottenne risposta. Luisa premette forte il volto contro la giacca d’argento, ed egli la strinse contro il proprio petto; ma Lance allungò la mano e dolcemente le prese il mento con le dita.

“Guarda” disse con occhi alteri. “Se dobbiamo restare qui, andiamo fino in fondo.”

Allora, lentamente, la ragazza alzò gli occhi: l’uomo era ora in piedi e ardeva di una gran luce, che poi, lentamente, si spense…

Al posto di quell’uomo troppo bello, c’era un piccolo Pokémon.

Sottile, sinuoso, elegante, era verde come il bosco denso; tutto in lui svelava una grazia infinita, un’estrema armonia. Luisa s’incantò a guardarlo.

Celebi le sorrise. “Sai chi sono?”

“Io ti ho visto” disse Luisa piangendo. “Nei boschi c’eri sempre tu, tra gli alberi c’eri tu, quando nuotavo c’eri tu…”

“Sì” rispose Celebi. “Mi mancavi…”

“Parlami” disse Luisa. “Spiegati, raccontami…dici d’essere mio padre!”

“Va bene” disse Celebi. “Allora ascoltami. Ci vorrà un po’.”

 

Io non sono nato, né mi hanno generato, né tantomeno mi hanno creato. Esisto da sempre. Io sono la forza che ha mosso il mondo.

Io sono Celebi, la forza immanente del mondo.

Questa è la forma più semplice e spontanea del mio corpo, ma in realtà non c’è nulla che io non sia, nulla cui io non sia immanente… o forse vi è qualcosa, ma di questo ti parlerò.

Io sono il creatore dei Pokémon e degli uomini. Perché mi aiutassero a prendermi cura di ciò che avevo creato, io ho creato i Pokémon leggendari, nove dalla mia forza e uno soltanto per mezzo della forza di un uomo.

Sono il vostro dio ed è me che voi venerate, ma a me non interessano le vostre vite e non ascolto le vostre preghiere.

Un giorno su questa terra venne una tempesta; era una strana tempesta che io non avevo voluta e che non riuscivo a fermare. La tempesta uccise gli uomini e voi conoscete la leggenda; di una cosa nessuno è a conoscenza ed è della venuta degli Unown.

Sono i Pokémon che la tempesta ha portato con sé; non sapevo chi fossero, né da dove provenissero. Una cosa soltanto mi parlava di loro: con essi giunse una lastra che portava incisa una scritta, Vehmarf. Non sappiamo cosa significhi; ci parve una minaccia nella loro lingua. Diedi loro un lembo della terra che avevo creato, ed è là che vivono, ora.

Sto allungando troppo la mia storia, forse invano; ciò che solo può interessarti risale a forse venti anni fa, e fu una domenica in cui decisi di prendere le forme di un uomo per scendere tra coloro che avevo creato. Assunsi forme che fossero adatte al mio rango e discesi tra gli uomini; e tra le strade di Amarantopoli mi capitò di vedere una donna. Si chiamava Monica e la sua grande bellezza mi disse che apparteneva alla stirpe delle Prescelte Creature; ma era diversa, lei, era troppo bella, lei, era alta ed esile e i suoi capelli erano lunghi e neri e lisci, e i riflessi che davano erano come le stelle di una notte buia; era bella e io desiderai possederla e averla per me, e da quel giorno decisi che avrei fatto di tutto per conoscerla e averla per me, e così accadde, alla fine. Passarono dei mesi, e io finii per condurre all’altare quella donna che avevo desiderata dal momento in cui avevo saputo della sua dolce esistenza su questa Terra.

Due anni dopo il nostro matrimonio, Monica concepì una figlia e la mise al mondo. Le imponemmo nome Luisa; ma pochi mesi dopo, le imposi un nuovo battesimo più alto e importante, con tutti gli onori che si possono riservare a una Principessa dei Pokémon.

Ora la mia gioia era grande, era immensa; immaginavo che la vita intera fosse in quella casa di Borgo Foglianova, che l’amore fosse solo in quella donna coi capelli del colore della notte, che la felicità fosse in quella bambina che io vedevo crescere.

Mi rendevo conto tuttavia che non era vera vita per tutti, quella; che era una menzogna, per la donna che amavo, per la bambina che era mia, una menzogna fino alla fine della vita. Il mio corpo bramava di cambiare, ma io lo violentavo costringendolo a restare in quella forma solamente di uomo, che non era mia più di quanto non lo fosse un qualsiasi corpo materiale e vivente; e poi, la mia dolce cara famiglia cui quotidianamente mentivo…

Finalmente, feci accadere quanto tu ricordi; inscenai un incidente d’auto, nella quale il tuo papà, mia piccola cara Luisa, perse la vita, mentre io di nuovo ascendevo al cielo; quella era, dopotutto, una bugia un po’ meno bugia di quelle che avevo raccontato finora, poiché davvero il mio corpo sarebbe morto e con esso la strana identità che avevo creato per sposare tua madre e io avrei ripreso una vita che mi apparteneva da molto prima della nascita delle vostre.

Tuttavia, avevo perduta tua madre; avevo perduta te; il mondo, per me, era finito… non mi bastava averla amata, no! Non mi bastava proteggerti…

 

Non era freddo a quell’ora del mattino, eppure Luisa tremava e Argento, accortosene, l’aveva avvolta nel proprio giubbotto.

Gradualmente smise di tremare dopo la fine del racconto di Celebi. Quando già da tempo era calato il silenzio, sollevò lo sguardo e guardò a lungo il Guardiano della Foresta, il signore dei cieli. Si era fatta pallida.

“Lance” chiamò a bassa voce. “Lance, portami via da qui.”

Si alzò e barcollò. La giacca le cadde dalle spalle.

“Aspetta” disse Celebi preoccupato. “Dove vuoi andare?”

“Lontano da te. Ovunque, lontano da te.”

Celebi scosse il capo. “Ti prego, parlami.”

“No” disse Luisa. Piangeva. “Andiamo via. Andiamo via ora.”

“Ti prego, non…”

“NO!” urlò la ragazza e indietreggiò. Aveva gli occhi gonfi e lucidi, le labbra tremanti: “Sono stanca di tutto questo, ho paura, voglio andare via di qui!”

Si diresse a grandi passi tremanti  verso il limitare del tetto della torre. I suoi compagni la seguirono di corsa, ma alle loro spalle Celebi parlò di nuovo: “Sei mia figlia, Luisa, e il tuo sangue è misto.”

Luisa si voltò a un passo dal vuoto. “Cosa pretendi che faccia? Che l’accetti?”

“No. Scappa” rispose Celebi. “Scappa se non sei in grado di fare altro. Sono tuo padre e voglio la tua felicità, dunque scappa se non sono io quella felicità. Ma ricorda sempre, in ogni luogo, che il tuo sangue è il mio.”

Ora Luisa esitava, bianca, stravolta. Gettò una Pokéball con un braccio molle e languente, e immediatamente il suo possente Aerodactyl fu accanto a lei e lei montò sulla sua grotta, con un po’ di debolezza e mormorò: “No, non ce la faccio.”

Si chinò e mormorò qualcosa verso i suoi compagni con occhi spenti e lucidi; e mentre essi pe un attimo si scambiavano uno sguardo, Aerodactyl si alzò percuotendo l’aria con le grandi ali robuste e si precipitò in picchiata, e già pochi momenti dopo scompariva all’orizzonte portandosi via la ragazza. Istintivamente Argento fece per seguirla e solo Lance, afferrata la mano che già si protendeva per afferrare una Pokéball, lo fermò.

“Dobbiamo andare con lei!” esclamò il giovane, voltandosi di scatto. Lance scosse il capo.

“No. È meglio lasciarla” disse lentamente. I suoi occhi si fecero cupi mentre egli scrutava quell’orizzonte che l’aveva inghiottita. “Lei sa che ci siamo, che siamo uniti a lei. Ci chiamerà quando ci vorrà con sé.”

“E allora cosa facciamo?” chiese Argento accorato. Si voltò e guardò Celebi, i cui occhi erano tristi eppure alteri. Lance si girò a sua volta e scrutò in silenzio il Pokémon prima di dire freddamente: “Andiamo ad Altopiano Blu. Se vorrà cercarci, è là che verrà; e inoltre, è sul confine delle due regioni e potremo raggiungerla rapidamente ovunque lei sia, se ve ne sarà bisogno.”

“E che ci facciamo là? Ma l’hai vista come sta? Quel coso è suo padre!”

“Prescelto” tuonò Ho-Oh con voce grave. “Non parlare così!”

Ma Argento si mise a ridere: “Ti schieri con lui adesso? Hai visto cosa le ha fatto?”

“È solo la verità” disse Celebi.

“È orribile questa verità!” sbottò Lance, percuotendo il suolo con un piede, adirato. E rivolto a Ho-Oh gli disse direttamente in tono di sfida: “E tu che cosa ne dici, eh?”

Ho-Oh s’incupì: “Non posso giudicare i miei superiori.”

“RISPONDI!” urlò Lance.

“Posso comprendere la reazione della Prescelta” disse infine Ho-Oh. “È crollato d’improvviso il mondo che lei conosceva, e non si ricostruirà.”

“E lui ha ragione?” esclamò Argento.

“Basta ora!” sbottò Lugia. “Non puoi parlare così!”

“Ah no?”

“L’essere un Prescelto non ti dà il diritto di usare questo tono.”

“Ce lo dà” rispose Lance. “Perché lei sta male.”

Calò il silenzio sulla cima della torre. Argento si passò una mano tra i folti capelli rossi e spettinati e dopo un momento mormorò: “Andiamo, Lance, sì, andiamo. Andiamo via.”

Lo tirò per un braccio. Lance si girò a guardarlo per qualche secondo; annuì e pose la mano alla cintura. Fece uscire dalla sfera Dragonite ed entrambi presero il volo.

Quando raggiunsero l’ingresso dell’Indigo Platueau, fu Joy la prima ad accorgersi dei loro occhi stravolti e corse verso di loro con lo sguardo perplesso e accorato: “Signor Lance, signor Argento…che cosa è successo?”

“Niente, Joy” mormorò Lance. “Puoi portarci su qualcosa da mangiare? Saliamo in biblioteca.”

“Lance, cosa…”

“Affari personali” rispose Lance poggiandole una mano sulla spalla. “Non preoccuparti. Ti prego, Joy…solo la colazione.”

Si avviarono lentamente lungo le scale. Argento era bianchissimo in viso.

“Dev’essere tremendo” mormorò guardando i gradini. “È brutto, è orribile. Non dev’essere triste?”

Lance tacque per qualche istante.

“Sì” rispose infine. “Lei credeva di aver conosciuto suo padre, e invece ha scoperto che non era così e che tutti le mentivano…compresi coloro che lei credeva che le sarebbero stati amici, i Pokémon leggendari.”

Proseguirono in silenzio fino alla biblioteca. Appena furono entrati, Argento si abbandonò su un divanetto ai piedi di un’alta libreria a parete e solo dopo molti secondi, dischiudendo gli occhi che aveva chiusi, mormorò: “Perché proprio qui?”

“Perché non in un posto più privato, dici? Perché Joy possa portarci da mangiare. E perché qui ci sono dei libri che possiamo consultare.”

“Su Celebi?” chiese Argento sollevando il capo.

“Sì” rispose Lance semplicemente. Anche lui era molto, molto stanco. Andò in silenzio fino alla finestra e si sedette sul vano foderato in velluto rosso, con gli occhi stanchi e tristi che vagavano lontano, che avrebbero voluto inseguire qualcosa che in quel momento non era lì.

Finalmente, l’infermiera giunse portando un vassoio che appoggiò sul tavolino intarsiato di fronte al divano. Fatto questo, essa si accostò a Lance e gli parò sottovoce. Lance assentì col capo, poi Joy uscì dalla stanza.

“Cosa ti ha chiesto?” domandò Argento prendendo una fetta di torta.

“Se vogliamo essere lasciati soli” rispose Lance sedendosi accanto a lui. “E se volevamo che il pranzo ci fosse servito a parte.”

Mangiarono e si riposarono per qualche istante, poi si diressero verso gli scaffali che Lance indicò e che, secondo lui, sarebbero stati loro d’aiuto.

“Mio padre aveva una vera passione per i Pokémon leggendari” spiegò mentre lasciava correre lo sguardo sui libri. Avvicinò a sé una scala scorrevole attaccata alla libreria e cominciò piano piano a salire: “Se ne interessava moltissimo. Fece arrivare molti libri su questo solo…ecco, questo può andare.”

Consultarono libri per la maggior parte della mattinata. Ogni cosa che lessero confermava, ampliava o commentava il resoconto che Celebi aveva fatto della creazione. Smisero solo quando Joy fece loro sapere che avrebbe servito il pranzo nella camera di Lance.

 

Luisa raggiunse Isola Cannella e una volta scesa dal dorso del suo Aerodactyl incominciò a scalare il vulcano.

Correva più che salire, ma arrancava più che correre. Si aggrappava alle rocce, agli arbusti radi, alle pietre…intanto, piangeva. Si graffiava le mani, le braccia, le gambe magre bruciate dal sole e rotolava nella polvere ardente…raggiunse la cima del vulcano. Là cadde seduta tra le rocce e si prese il capo tra le mani. Non voleva piangere e piangeva, o forse neppure pensava intensamente di non volerlo…era sola.

Padre! Quello era suo padre? Ma com’era possibile? Come poteva quel Pokémon leggendario, quel Guardiano ella Foresta, Sire e signore dei cieli…ma come? No, era tremendo, era sbagliato…

E poi, dopo un tempo indefinibile e molto lungo, un suono di passi. Luisa sollevò d’improvviso il capo dalle sue braccia piegate e calde, rizzandosi con un sussulto di spavento, e si guardò intorno con aria d’affanno. Ma chi…era Blu.

Egli la vide a sua volta e per un momento interruppe il cammino con aria incerta e perplessa, guardandola. Ma poi, riprendendosi dallo stupore iniziale, si mosse con decisione verso di lei, saltellando tra le rocce come chi conosce bene un luogo ed è abituato a muovervisi. Si fermò sulla roccia nella cui ombra la ragazza si era rifugiata e allargando le gambe si chinò sulla sua figura.

Luisa sollevò gli occhi su di lui pulendosi le ultime lacrime. Gli sorrise stancamente: “Come stai?”

“Io bene. Tu…”

“Lascia stare, dai.”

“Non ne vuoi parlare?”

La ragazza scosse il capo e si voltò a guardare il mare. “Non credo che t’interesserebbe.”

“Io dico di sì.”

“Blu, ti prego…”

“È una storia di cuore? Argento, forse? Ma mi sembra più probabile Lance.”

“No, Blu. Non è questo.”

“E allora cosa? Puoi parlarne con e, sai?”. Blu si sedette al suo fianco, soggiungendo con aria da esperto: “Potrebbe salvarti dal bere, sai!”

Luisa gli sorrise. “Sei gentile, Blu” gli disse teneramente. “Ma siamo stati noi a salvare te. Non so se tu, ora, puoi salvare me.”

“Tu prova.”

“Ho scoperto” esitò “che mio padre non era la persona che io ricordavo…che tutti dicevano che fosse. Sei contento?”

Blu rifletté, aggrottando le sopracciglia con fare pensieroso.

“Io ho sempre saputo che mio padre era il boss della malavita di Kanto e Johto” disse “Eppure gli voglio molto bene. Tu non credi che potresti continuare a volerne al tuo?”

“Credi che sia la stessa cosa?” domandò Luisa onestamente, strofinandosi gli occhi con i palmi delle mani aperte, come i bambini.

Il giovane reclinò il capo da un lato. “Il mio è vivo, ma mi ha lasciato. Il tuo è morto, e ti ha lasciata ugualmente, ma non per sua colpa. Il mio è un malavitoso, il tuo è…non me lo vuoi dire, non importa: lo sai tu, e dunque farai tu le tue riflessioni.”

“Sì” rispose Luisa piano. Rifletté per qualche istante, poi continuò con decisione: “Parliamo un po’ di te, ora. È Rosso che aspettavi?”

Blu parve considerare se dirle la verità. “Sì” ammise poi, allargando le braccia. “Perché negarlo? Sarei molto sciocco a dire che non è così. Se ti dicessi che volevo fare una gita di piacere, dopotutto, tu mi crederesti?”

“No” disse Luisa. “E saresti un gran bugiardo.”

“Appunto.”

Blu sorrise, rasserenato. Socchiudendo gli occhi, si sedette più comodamente, appoggiando il viso sulla sua spalla, come un bambino. Luisa gli picchiettò sulla fronte con due dita.

“Se adesso passasse Rosso, s’ingelosirebbe.”

“Chi ti dice che non sia il mio obiettivo?” rispose Blu senza muoversi, ancora con gli occhi chiusi. “Così, forse si deciderebbe.”

“Ma io non voglio avere a che fare col tuo fidanzato geloso. Ho già rogne col tuo fidanzato innamorato.”

“E invidioso” mormorò Blu.”

“E invidioso” mormorò la ragazza. Blu si girò sulla sua spalla e si abbassò ulteriormente, ponendo la testa nel suo grembo. Guardava il cielo con occhi lucidi che riparò dal sole, e da lei, con un braccio.

“Sai, credo che non sia invidioso solo perché sei la più forte” disse lentamente. “Tu puoi vedermi ogni giorno, se lo desideri. Ti basta raggiungermi in palestra, o venire qui, oppure…lui no.”

“Lui sa più spesso di me dove ti trovi” gli fece notare Luisa.

“Ma non può raggiungermi” disse Blu con voce innaturalmente alta e acuta. “Ha deciso che per essere il migliore deve dedicarsi anima e corpo all’allenamento. E non può venire, non può cercarmi. Per questo t’invidia, credo. Perché sei libera quando lui non lo è.”

“Nessuno glielo impone.”

“Lui stesso” disse Blu tristemente. Sorrise scuotendo il capo, sconsolato. “Lui fa tutto questo per me, per essere il più grande quando sarà con me. Lo fa per il suo sogno prima di tutto, ovviamente, ma so che l’altro motivo sono io e devo accontentarmi di questo secondo posto.”

“Considerando di chi parliamo…” mormorò Luisa a bassa voce.

Blu smise di parlare, ma rimase steso sulle sue gambe a fingere di dormire. Dopo qualche minuto aprì gli occhi e con un sospiro si alzò in piedi.

“Dove vai?” chiese Luisa sorpresa.

Blu cominciò ad arrampicarsi per andarsene. “Oggi non verrà.”

“Come fai a saperlo?”

“Lo sento. Oggi non verrà.” S’issò sulla roccia e cominciò a discendere il fianco del vulcano. Luisa lo scrutava in silenzio.

“Ciao, fidanzatino” gli gridò quando lo vide in fondo, affacciato sul mare azzurro. Blu la sentì e si voltò a salutarla col braccio.

 

Bosco di Lecci dal quale non si vede il cielo. Il regno del signore dei cieli, la patria di Celebi.

Luisa si fermò tra gli alberi. Tutto era buio e, nel continuo gioco di luce e ombra che la circondava, non riusciva a scorgere nulla. Tutto taceva.

La ragazza sollevò un braccio davanti a sé. Esitò, lottando con se stessa; poi represse quella rabbia terribile che la opprimeva e chiamò: “Celebi!”

Ecco, ora il silenzio avvolgeva di nuovo ogni cosa, ma Luisa era certa che Celebi avesse udita la sua chiamata. Mosse qualche passo nell’oscurità, addentrandosi tra gli alberi. A poco a poco, tra i rami, cominciò a scorgere travi di legno, un tetto a spioventi, un incensiere… era il Santuario del Protettore del Bosco. Si fermò dinanzi all’edificio. Le pesanti porte, perennemente chiuse, erano ora aperte e il suo sguardo corse oltre l’ingresso, lungo la sala maleodorante d’incenso, fino alla creatura nell’ombra del santuario. S’irrigidì.

Celebi sollevò gli occhi stanchi su di lei. Erano neri e Luisa vi scorse il riflesso degli alberi. Poco dopo assunse le forme dell’uomo che era stato.

Luisa lo guardò con una certa fissità. Egli le sorrise.

“Sta calando la notte” disse accennando a quegli sprazzi di cielo così magri e miserevoli che s’intravedevano tra i rami degli alberi. Luisa assentì col capo. Celebi continuò a sorridere. “La notte…penso a tua madre. I suoi capelli, i suoi occhi.”

“Lo so” mormorò Luisa.

“Perché sei qui?”

Luisa continuò a fare silenzio. Col piede spostò lentamente le foglie che marcivano sul terreno.

“Hai amato molto la mamma?”

Celebi chinò per un secondo gli occhi.

“L’amo ancora” mormorò tristemente. “Non ho voluto mentirle oltre.”

Luisa annuì, poi, distogliendo lo sguardo, si massaggiò le braccia. “Continuavi a proteggermi…”disse a bassa voce.

Il Pokémon le sorrise dolcemente in risposta. Luisa esitava.

“Così, sono una principessa dei Pokémon.”

“È così.”

“Ho…qualche potere?”

Celebi assentì. “Non li chiamerei poteri…direi piuttosto capacità. Ma se questo è quello che intendi…sei mia figlia, Luisa, sei la figlia di una divinità.”

Quelle parole accesero qualcosa in lei. Arretrò d’un passo. “Tutto ciò che ho ottenuto, i risultati che ho raggiunto…sono la Campionessa perché sono…”

“No” disse Celebi. “Sei ciò che sei diventata, Luisa, perché tu hai voluto diventarlo. Io non ti ho mai facilitato in ciò che hai fatto; solo una volta ti salvai la vita, tu ricordi… a Fiordoropoli.”

Sì, Luisa lo ricordava. Guardò il pare come per cercare di capire.

“Cosa sono in grado di fare?”

“Puoi trasformarti, per esempio.”

“In che cosa?”

“Tutto ciò che vuoi. Non hai mai sognato di essere…”

“Dimmi come si fa” lo interruppe Luisa.

“Prova. Potrei insegnarti come respirare? Lo sai già, ma non ne sei consapevole. Prova.”

Luisa lo scrutò preoccupata, poi chiuse gli occhi.

Da dietro le palpebre, sapeva che Celebi era ancora lì, di fronte a lei… si strinse nelle spalle e volle provare, come lui; volle concentrarsi.

“Diventa come me” sussurrò Celebi, e la sua pelle era contro la sua pelle fremente… con gli occhi della memoria ella rivide il piccolo Pokémon sinuoso sulla cima della Torre, rivide l’esile corpo verde che emanava tanta potenza. Ebbe d’un tratto un gran desiderio di essere come lui, di possedere un corpo piccolo e sinuoso come il suo, di essere potente come lui…

Si richiuse su se stessa e a quel punto fu come spiccare un salto e non accorgersi di essere di nuovo a terra.

Celebi la guardava con uno sguardo che era amore e soddisfazione. Luisa sorrise nel vedere il proprio riflesso nei suoi occhi.

“Diventa qualcos’altro.”

E lei incominciò a trasformarsi, sempre più rapidamente e facilmente, fino a diventare un confuso spettro di colori e forme e immagini indistinte… frattanto, continuava a domandare: “Sono immortale come te?”

“No.”

“Cos’altro posso fare?”

“Ogni cosa che desideri.”

 

Era buio ormai. Da lontano, Luisa sapeva che Lance e Argento avevano paura per lei, pensavano a lei. Si rimproverò di non aver pensato prima a loro e per essere rimasta sola tanto a lungo, sulla cima del Monte Argento, a cercare di comprendere appieno quelle capacitò che da poco aveva riscoperte in sé.

Preoccupata, si alzò in piedi e adagio, poiché era ancora incerta, si sollevò dal terreno innevato e prese il volo.

Non era come volare col suo Aerodactyl; era diverso, tanto strano! Si lanciò in picchiata, proseguendo in parallelo al pendio scosceso del monte, verso terra; raggiunse i cento metri dal suolo, poi si sollevò di botto e si diresse verso l’Altopiano Blu. Lo raggiunse in pochi minuti di vento freddo sul viso infuocato. Accostandosi dall’alto, scorse i due compagni nell’Arena delle Battaglie. Erano seduti e aspettavano: davanti a loro, il Charizard di Lance aveva acceso un gran fuoco. L’attendevano, lanciandole nella notte un segnale luminoso come un aeroporto, perché sapevano che era l’Arena che avrebbe raggiunto.

Luisa planò sull’Arena, soffermandosi accanto a loro, e lentamente si posò di nuovo a terra. Appena i suoi piedi ebbero recuperato il contatto essa si sentì vacillare. Argento la sorresse.

“Com’è?” domandò, avendola aiutata a sedersi sulle coperte che lui e Lance avevano steso per proteggersi dal terreno freddo.

“Sei arrivata volando…”mormorò Lance, arraffando una pentola lasciata in caldo accanto al fuoco. Aprendola, le mise davanti una minestra calda, e un cucchiaio e una fetta di pane: cibo da malati, ma Luisa non mangiava dalla sera prima e sentiva mancarsi le forze. Si gettò sul pane.

“Avrei dovuto venire prima da voi…scusatemi.”

“Non devi scusarti” disse Argento. “L’importante è che tu stia bene. Luisa annuì mentre con una mano spezzava una seconda fetta di pane nella minestra.

“Credevo di non essere capace di accettarlo…non so ancora, ci devo pensare. Mi ha mostrato cosa sono in grado di fare… cosa è mio diritto fare, in quanto…” Luisa si fermò. Rincominciò a mangiare.

“Sono la Prescelta Creatura… è tutto molto strano. Celebi ha detto…mio padre ha detto che da me si aprirà una nuova era. Ci sarà una nuova Età dell’Oro e questo accadrà quando gli Unown, probabilmente, costruiranno la loro Torre e sveleranno il loro mistero.” Si interruppe, mescolando la zuppa col cucchiaio. “Vi ricordate quando, qualche mese fa, parlammo degli Unown… ci domandammo se la torre avesse in qualche modo a che fare con noi.”

Lasciò la frase in sospeso, ma non era necessario terminarla. Il suo breve pasto terminò nel silenzio. La notte era buia e fredda, ma a pochi passi da loro crepitava il fuoco.

 

Ecco, il capitolo che meno mi piace di questa storia. Celebi è un personaggio che da piccola mi piaceva ma che ora odio, perché (come lo stesso aspetto della Prescelta Creatura) snatura le azioni dei personaggi che non sono più dirette dalla loro personalità ma da fattori esterni. Comunque, quando concepii la storia da bambina, Celebi c’era e non ho voluto né potuto eliminarlo.

Dovete sapere che quando io giocavo a Pokémon Cristallo, il mio primo vero gioco di Pokémon, non è che Internet fosse proprio in tutte le case, dunque io non sapevo nulla di Celebi, che come sapete è incatturabile in Europa, salvo usare i famigerati trucchi. Una volta vidi l’immagine di Celebi su un dvd di un film dei Pokémon presso un videonoleggio e rimasi molto stupita al vederlo, poiché non ne avevo mai sentito parlare. Così mi convinsi che fosse una specie di divinità Pokémon e ci creai attorno un vero e proprio universo peraltro gerarchico. So che ora esistono Pokémon demiurghi come Arceus, ma ai miei tempi ce li sognavamo. Ed ecco qua la mia teoria, com’è raccontata nel monologo di Celebi.

   
 
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