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Autore: indiceindaco    20/05/2012    5 recensioni
Quando cala il sipario, ed il pubblico abbandona le poltroncine in velluto rosso, ed il brusio della gente si fa fioco, sempre più fioco, cosa succede dietro le quinte? Ad ormai quattro anni dall'uscita dell'ultimo libro, dall'ultima pagina voltata con emozione, aspettativa, malinconia, da quell'ultima frase che ha commosso tutti, nel bene e nel male. Il sipario è calato, il teatro è già stato ripulito, eppure no, non è finita qui.
Harry, Ron ed Hermione, ancora insieme si trovano ad affrontare la vita, quella vera, quella oltre le quinte di scena. E tanti cambiamenti si prospettano all'orizzonte. Scelte da prendere, scelte da rimandare, scelte in cui perdersi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Un po' tutti | Coppie: Draco/Harry, Remus/Sirius, Ron/Hermione
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo, Più contesti
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VI. Impossibile

 

*Alice sorrise: "Ma è inutile tentare," disse;

"Uno non può credere alle cose impossibili."

"Io oserei dire che non hai fatto molta pratica," disse la Regina.

"Quand'ero giovane, lo facevo sempre per mezz'ora al giorno.

Ebbene, una volta, ho creduto ad addirittura sei cose impossibili prima di

colazione.*

L. Carroll

 

Quando, alle 5.35 di quella notte ombrosa d'ottobre, Draco entrò nel salone di Malfoy Manor, convinto che ormai fosse inutile andare a dormire, gli mancò un battito.

L'alcool evaporò dalla sua mente, lasciandogli esplodere un incendio di pensieri nella testa: Narcissa era stesa sulla sua poltrona preferita.

Draco sentì la bocca farsi amara, gli occhi bruciare, le mani tremare e un'insensata voglia di singhiozzare.

Paralizzato sul posto, senza alcuna voglia di razionalizzare, sentì mancare le proprie ginocchia.

Sapeva che ormai di rado, la madre, abbandonava le proprie stanze, ma era capitato che l'avesse trovata sempre lì in quella poltrona, in quei momenti.

Non aveva il coraggio e la forza necessari per assicurarsi che la donna stesse respirando, sentiva solo la gravità mozzargli il fiato e farlo cadere giù, infrangendosi. 

Un lento fuoco consumava tutto in lui, si portò una mano sul petto muto, cercando di inspirare.

Poi, una mano sulla sua spalla, lo tirò fuori dall'inferno.

-Sta bene, sta solo riposando. Sta bene, Draco. Va tutto bene.- la voce profonda e calda di Blaise lo riscosse e finalmente Draco riuscì a far battere il proprio cuore.

Ancora con lo sguardo sul volto di sua madre, abbandonò la propria schiena contro il corpo del suo migliore amico.

Blaise lo abbracciò da dietro e disse:

-Ero venuto a salutarti, ieri sera, erano appena le dodici. Ha bevuto lo Yuctan. Ricordi, lo avevamo nascosto nello studio. Non so come abbia fatto a trovarlo. Ho controllato la bacchetta, l'ultimo incantesimo non era un incantesimo d'appello.- la calma e la dolcezza di Blaise gli accarezzavano il collo, Draco si sentì improvvisamente vuoto. Blaise continuava ad essere un solido appiglio, come temesse che lui potesse sprofondare da un momento all'altro. Forse, si disse Draco, era davvero così.

-Avevo portato del Bezoar, per fortuna. La settimana scorsa mi avevi detto che quelle due pietre rimaste erano ormai quasi marce. L'ho trovata lì, con la boccetta in mano. Ora sta bene. Ho distrutto il veleno e riempito la boccetta con un ricostituente, non si sa mai, ci provi di nuovo. Draco, questa volta dobbiamo svuotare tutta la dispensa dello studio. Sa come arrivarci, e non si fermerà se ci limitiamo a nascondere le cose.

Quelle ondate di parole arrivavano a tratti. Draco si discostò da Blaise, barcollando arrivò fino alla duchesse, si accovacciò ed accarezzò il viso della madre, ancora profondamente addormentata.

-Cosa devo fare?

Sentì la propria voce metallica, amara. Non la riconobbe neppure, se non per il fatto che aveva appena pensato ciò che la sua voce aveva sputato fuori.

-Flinch…- tentò Blaise, ma gli occhi taglienti di Draco tremarono in sua direzione.

-Quel bastardo…- sussurrò distogliendo subito lo sguardo da Blaise.

-Draco, lasciamola riposare, andiamo di là.- disse allora, poggiando una mano sul suo avambraccio, non fece alcuna pressione, ma automaticamente Draco si alzò e lo seguì verso lo studio.

Dopo una decina di metri, Blaise si richiuse la porta alle spalle e cercò gli occhi dell'altro.

Occhi fissi a terra, lucidi e stracolmi di rivoli salati che non volevano lasciarsi andare.

-Non cedere adesso.- sussurrava a se stesso, il ragazzo, sfiorandosi i capelli biondi.

Blaise gli fu accanto, tirandolo in un abbraccio, sebbene sapesse quanto Draco detestasse il contatto fisico non richiesto.

Sapeva che il suo migliore amico era assolutamente anaffettivo, ma sapeva anche che non avrebbe avuto altro modo per rassicurarlo.

Dopo un istante Draco si divincolò di nuovo, gli occhi ora asciugati da un velo di rassegnazione.

-Draco, questa storia ti sta consumando.- disse Blaise dentro quegli occhi, in un sussurro, continuando, poco dopo:- Flinch ha ragione, non giova a nessuno tenerla ancora qui. I ricordi sono i suoi carnefici, Draco. E non puoi tenerla sempre con te, le fa del male stare al Manor. Lascia che Flinch la porti nella sua clinica, alla Salsmory ci sono i migliori Psicomaghi…

-E la stampa?- disse flebilmente Draco, abbassando lo sguardo.

-Non trovare scuse che non esistono. La stampa nemmeno sa dell'esistenza della Salsmory e tutti sanno che tua madre è molto occupata con gli affari di Lucius, al momento, nessuno potrebbe immaginare che…

-Che sia pazza?- tuonò Draco interrompendolo, l'ira che pulsava nella giugulare.

Blaise non si lasciò intimorire, non era la prima volta che affrontavano l'argomento, gli bloccò i polsi con le mani e lo costrinse a fissare i suoi occhi.

-Che soffra! Che soffra talmente tanto da non voler soffrire mai più. Non puoi salvarla Draco, non tenendola sotto una campana di vetro. Lascia che la aiutino, lascia che qualcuno con la corretta competenza si prenda cura di lei.- disse docilmente, il suo migliore amico lo guardò con un'espressione disperata. Poi mormorò:

-Sono solo così…stanco.

 

***

 

Un cuscino gli arrivò dritto in faccia, nel suo sogno in realtà Harry era caduto dalla scopa.

Mugugnò qualcosa, come un lamento, più per essere stato disturbato che per il dolore.

-Sveglia pigrone!

Harry aprì gli occhi lentamente per richiuderli nello stesso istante, dal momento che era rimasto abbagliato da un molesto raggio di sole.

Passarono cinque minuti buoni prima che, ancora con gli occhi ben nascosti dalle palpebre, Harry si sedesse al centro del letto.

Dopo essere ben ritto, portò una mano davanti a sé, facendo un gesto imperioso con la mano, come a voler dire di socchiudere le tende. Quando sentì il rumore metallico degli anelli che scorrevano, e fu quindi sicuro della penombra della stanza, agguantò con la mano destra gli occhiali, sul comodino lì affianco. Inforcò le lenti e mise a fuoco.

Ron, braccia conserte, gli stava davanti, con un largo ed allampanato sorriso.

-Buongiorno!- riprese con entusiasmo l'amico.

Tutto quel frastuono mattutino, dopo giorni di risvegli quieti e silenziosi, oltre che solitari, lo disturbò e non poco.

-Mmmh…che ore sono?- la sua voce giunse impastata, pregna di whiskey e roca.

-Un quarto alle dodici! Ho lezione alle due, pensavo potessimo pranzare insieme!

A quanto pareva i membri della famiglia Weasley erano pagati per tormentarlo. Harry scostò di lato le coperte e prese contatto con il mondo, una volta che il fresco pavimento aggredì i suoi piedi nudi.

Tirò via la t-shirt grigia che usava come pigiama e, rimanendo in boxer, si fiondò in bagno.

-Faccio una doccia e arrivo. Tu arrangiati con quello che trovi in cucina.- urlò a Ron prima di chiudersi nel calore ovattato del getto d'acqua.

Svuotò la mente, lasciandosi svegliare dolcemente dalla carezza liquida sulla sua pelle, insaponò in un attimo il proprio corpo e frizionò i capelli.

Quando ogni parte di lui fu risvegliata, portò una mano su di sé, in una carezza tangibile. Sospirò debolmente.

Riportò alla mente l'immagine di Ginny e cominciò a prendersi cura dell'abituale erezione mattutina.

Lo scroscio dell'acqua adesso era quasi impercettibile, ed Harry si estraniò da tutto il resto, abbandonando la schiena alle piastrelle umide, continuando a gestire la propria eccitazione.

La Ginny nella sua testa alzò lo sguardo, per scavare nei suoi occhi, come sempre aveva fatto anche durante i loro rapporti.

-Hai intenzione di annegarci in quella doccia? Muoviti!

La voce di Ron gli arrivò vicina, quasi dentro l'orecchio.

Harry morì di vergogna. No, non perché avesse perso tempo con la propria sega mattutina, Ron sapeva persino quanto durasse di solito.

Morì di vergogna perché, nella sua fantasia, Ginny aveva gli occhi grigi.

E da quello che ricordava, quelli non erano i suoi occhi, non potevano esserlo...

Ruotò completamente la manopola verso l'azzurro.

Due minuti più tardi stava indossando un paio di boxer neri e la fantasia s'era esaurita in se stessa, scomparsa come il vapore nello specchio del bagno.

Recuperò una felpa dall'armadio, un paio di calzini e di pantaloncini dalla cassettiera e raggiunse il rumore di padelle e cucchiai.

-Era ora, ho un Bolide al posto dello stomaco, dal rumore che fa!- brontolò Ron, che stava sistemando due uova bruciacchiate in uno dei piatti.

-'Giorno, Ron…come va?- rispose Harry sorridendo al suo migliore amico e sedendosi al solito posto, davanti al lavello.

-Uova, bacon e caffè, dato che per te è ora di colazione.- disse Ron tutto contento.

Quelli nel piatto erano uova deformi e annerite, bacon striminzito, nella tazza fumava invece una sorta di intruglio marroncino che odorava di bruciato.

-A volte mi chiedo come tu possa essere figlio di tua madre, sai, Ron?

Ron rise e si grattò il naso, com'era suo solito fare.

Poi fece scivolare padella e cucchiaio nel lavello e aprì il rubinetto, non prima di aver detto:

-Herm mi ha detto che sei uscito con la squadra, ieri!

Harry annuì, era sicuro che Ron gli avrebbe chiesto qualcosa, quasi quanto lo era di Hermione e della sua bocca larga.

-Sì, è stata una di quelle serate per socializzare, credo. Non è andata male…

-Fantastico! Racconta un po', come sono i tuoi compagni?- lo interrogò Ron, prendendo posto di fronte a lui.

-Tutta gente a posto, simpatica, cordiale…- disse Harry mantenendosi sul vago, soprattutto perché non aveva poi molto da dire.

-Oh, beh certo! Anche da me, sembrano tutti seri e tranquilli…E di Malfoy che mi dici, Harry? Sai, Herm è preoccupata e...

Harry deglutì a fatica e mormorò:

-Più o meno come a scuola. Non c'è nulla di cui preoccuparsi. Solo…Ron, Ginny non sa che io e Malfoy siamo partner…

Ron annuì grave, poi gli sorrise.

-Tranquillo amico, non dirò nulla. Ginny si agita sempre senza motivo, come la mamma. Per non parlare di Hermione che...

Harry lo interruppe inconsapevolmente alzando gli occhi di scatto dal piatto e fissandolo. Ron cadde nel solito mutismo isterico di quando si toccava quell'argomento

-Ehi! A proposito…Com'è andata l'appuntamento con Herm?

Ron deglutì fragorosamente, e le sue orecchie erano già rosse.

-Ehm, tecnicamente, n-non era un appuntamento e…comunque, b-bene direi…

-Di cosa dovevi parlarle?- chiese Harry fingendo di non averne assolutamente idea.

-Oh, nulla di importante…Fleur vuole che sia lei a farla partorire, o comunque ad assisterla durante quel momento…- disse Ron abbassando lo sguardo sul piatto.

Ad Harry venne da ridere ancora, possibile che Ron fosse talmente timido circa la scottante questione Hermione?

-Capisco…E tra voi, invece?

Ron quasi soffocò, infatti innaffiò il proprio imbarazzo con un generoso sorso di succo di zucca.

-Che intendi, amico?- riuscì infine a dire, la voce ancora provata.

-Dovresti proprio ammetterlo con te stesso, Ron. Sai benissimo cosa intendo.- disse Harry, portando la tazza alle labbra.- Siete gli unici che non se ne siano ancora accorti.

Ron abbandonò la forchetta arreso, e sospirò mestamente, poi s'ammutolì, la testa ciondolante sul petto.

-Non ce l'ho fatta a dirle la verità, d'accordo? Io…non lo so, entro in panico, balbetto e...

Harry gli sorrise per rassicurarlo.

-Sono proprio impedito, eh?- chiese allora Ron, senza voler però né conferme né dinieghi.

-Vedrai che senza rendertene conto le dirai tutto, quando verrà il momento. Sarà spontaneo…- cercò di rassicurarlo Harry distendendo gli angoli delle labbra carnose.

-Ma fra te e Ginny, com'è andata?

Harry strinse il mento fra le mani, cercando di riportare indietro i ricordi, a più o meno un anno prima.

Lo sgomento gli serrò la bocca dello stomaco: era normale non ricordarlo? Eppure era una cosa di fondamentale importanza, fosse stata Ginny a chiederglielo, non voleva nemmeno immaginare l'apriti cielo.

Alzò le spalle e mormorò qualcosa di poco importante e d'improvviso si ricordò di due cose. La prima: doveva assicurarsi che non avesse posta, soprattutto dalla sua ragazza, se teneva alla propria vita.

La seconda…

-Ron, di che colore sono gli occhi di tua sorella?- chiese a bruciapelo.

Ron strabuzzò gli occhi, spaesato, poi serrò le labbra concentrato, portando lo sguardo al soffitto, socchiudendo leggermente l'occhio sinistro. Sembrava quasi di vederlo seduto nella Comune di Grifondoro, intento a scrivere un tema di Pozioni, quando si dipingeva la stessa espressione sul suo viso lentigginoso.

Harry lo guardò con ansia, ma sapeva che non avrebbe avuto la risposta che si aspettava.

-Ma certo! Sono uguali uguali a quelli di mamma…Marroni, perchè?

Ennesima morsa allo stomaco.

Aveva cominciato giornate in modi decisamente migliori, sebbene gli sembrasse impossibile.

 

***

 

Si stiracchiò dolcemente, ancora preda del calore soffuso delle coperte.

Portò una mano accanto a sé, con timore quasi reverenza, tremando d'emozione.

Sentì il familiare corpo, il palpitare concentrato del sonno, in un silenzioso respiro sommesso.

Lui era ancora lì, come sempre, addormentato al tuo fianco.

Andava tutto bene, per quanto irreale fosse.

Scostando la mano, non senza sforzo, agguantò il diario e scrisse:

 

Ancora qui. Ancora noi. Nonostante tutto, esistiamo.

 

Poi rilesse la frase, impugnò la piuma con decisione e tagliò via l'ultima parola, per correggerla in: resistiamo.

 

***

 

Draco lasciò scivolare il coltello sul pane, sempre rigorosamente dal basso verso l'alto, creando strani disegni di marmellata, di un rosso sangue, sul burro candido.

Era di cattivo umore, come c'era d'aspettarsi. Chi lo conosceva, sapeva benissimo che ogni mattina Malfoy sceglieva il piede sbagliato per scender dal letto.

Non che lo facesse apposta, semplicemente il sorgere del sole e l'inizio di un nuovo giorno lo disturbavano, innervosivano.

Blaise versò il thé con gesti misurati, nelle porcellane bianche e blu, aggiungendo il limone per Draco e richiamando il latte per se stesso.

In religioso silenzio lo allungò sull'ampio tavolo, in direzione dell'isterismo da mancanza di sonno.

Draco lasciò riposare la fetta di pane su un piattino e agguantò la tazza, bevendone un sorso.

-Ho inviato un gufo a Flinch, questa mattina. Spero di non aver sbagliato. Verrà nel pomeriggio.- disse cautamente Blaise, senza guardarlo.

La smorfia che ne seguì era imputabile a quell'affermazione, invece Draco disse:

-Lo zucchero…

Blaise non si scompose e si limitò a chiedere:

-Due zollette?

L'altro annuì.

Rimasero muti, con la compagnia del tintinnare del cucchiaino che rimestava nella tazza, finché Draco non disturbò quell'armonia mattutina.

-Ho lezione, alle cinque e mezza. Potresti occuparti tu della cosa?- disse con fare distaccato.

-Non ci sarebbe problema ma Flich…

Ma Blaise non ebbe il tempo di finire la frase, perché Draco fece un gesto stizzito con la mano e disse:

-Non voglio aver a che fare con quell'idiota. Solo, vorrei esserci, quando succederà. Vorrei salutarla.

C'era un che di risoluto, di rassegnato, di aspro in quelle parole. Blaise non ebbe il coraggio di dire altro se non:

-Potrai andare a trovarla, non sta andando via per sempre.

-Non metterò piede in quel posto. Non andrò a trovarla. Che vada o meno, per lei, non fa differenza. Non mi vede nemmeno. Ma voglio salutarla. 

Nessuno dei due seppe dire all'altro quanto potessero far male quelle parole, più che reali, più che taglienti.

Draco sapeva che Narcissa non sarebbe tornata, ne aveva la certezza assoluta. Diceva che sua madre se n'era andata con quell'ultimo sorriso, dopo la Guerra.

Sapeva che non vi erano che sguardi ciechi per lui, e ne aveva sofferto, fino a graffiarsi con quella consapevolezza, ma era un Malfoy.

E come tutti i Malfoy, semplicemente, era andato avanti. Parlava con voce incolore, diceva parole senza sapore e senza compassione.

Blaise trattenne lo sgomento e si limitò ad annuire, intuendo quanto quello fosse il momento di assecondare piuttosto che di comprendere.

Non aveva forse anche lui perso la madre? Certo, era ancora un bambino. Certo, la sua mamma non aveva deciso di andarsene.

Blaise vedeva negli occhi di Draco, adesso, la stessa fermezza di Narcissa, la stessa fierezza ed indolente austerità.

Se Lucius avesse visto il figlio non avrebbe avuto, per una volta, nulla da rimproverargli, di questo Blaise era convinto.

Draco probabilmente non se ne rendeva conto, per lui doveva essere naturale.

Sentiva di imboccare vicoli ciechi su vicoli ciechi, vittima dell'incertezza della razionalità. Aveva pensato di far ridurre la pena di Lucius solo per un sorriso di Narcissa.

Non aveva capito che certe strade sono a senso unico, e lo realizzava pian piano, accettando e mai recriminando nulla a se stesso.

All'improvviso si alzò, con un guizzo di seta.

-Vado a prepararmi, ho delle faccende da sbrigare. Fai con comodo.

Blaise annuì concedendosi un morso ad una brioche ancora calda.

Quando Draco uscì dalla stanza gettò un ultimo sguardo al suo migliore amico e disse:

-A più tardi.

Blaise seppe leggere tutto quello che le parole nascondevano. Era il muto "grazie" di quel bambino fragile, del ragazzo insicuro, di quell'uomo deciso, che aveva imparato a conoscere e riconoscere in lui.

Quando poi fu rimasto da solo, in quell'enorme sala da pranzo, inevitabilmente lo sguardo cadde sul piattino di Draco: la fetta di pane era stata abbandonata sulla fredda porcellana e grondava di marmellata alle ciliegie, impreziosita da strani ghirigori di burro.

Non sapeva perché Draco passasse tutta la propria colazione nel prepararla, da quello che poteva ricordare, era un'abitudine che aveva anche a scuola. Prendeva la fetta di pane tostato, quella più dorata e croccante, la stringeva delicatamente tra pollice ed anulare della mano destra e con la sinistra, quella di cui aveva miglior controllo, cominciava a stendere delicatamente il burro. 

Lo distribuiva equamente, con precisione, dal centro fino ai bordi abbrustoliti. Passava il coltello sul pane, rubando un altro sottile strato di burro, e la sua espressione era seria e concentrata.

Poi era la volta della marmellata, la parte più difficile. Non poche volte gli erano tremate le mani, nel creare qualche increspatura. Concentrava tratti decisi di rosso sul bianco, come a creare disegni tutti propri.

Quando poi la fetta era pronta, la abbandonava sulla porcellana.

Non capiva, Blaise, perché Draco mettesse tutto se stesso in quel piccolo rituale. Che bisogno c'era di creare una colazione perfetta, se non la si mangiava neanche?

Anche quella mattina il pane era rimasto lì, sul piattino candido.

Perfetto e intonso.

 

***

 

Harry si passò una mano fra i capelli, abbandonando poi la testa sul bracciolo del divano.

La lettera di Ginny era arrivata eccome. Piena di recriminazioni, rammarichi e dubbi.

Aveva aspettato che Ron lo salutasse per sedersi al tavolo della cucina e buttar giù quattro righe che potessero calmarla.

E non era riuscito affatto nell'intento, infatti si ritrovava circondato da pergamene appallottolate.

Al quarto tentativo, qualcuno bussò alla porta.

Harry sobbalzò, pregando non si trattasse di Hermione, venuta a trovarlo a braccetto con la propria preoccupazione.

Abbandonò sul tavolino del salone le pergamene maltrattate e la lettera di Ginny e, infilate le ciabatte rosse, si trascinò all'ingresso.

Si chiese chi poteva essere alle tre di pomeriggio, quando sistemò gli occhiali sul naso ed aprì la porta.

-Potter…

Harry rimase più che sorpreso, tanto da formare una piccola "o" con le labbra carnose.

Sullo zerbino di casa sua stavano un paio di costose scarpe italiane tirate a lucido. 

Harry le riconobbe perché Fleur aveva costretto Bill ad indossarne un paio simile per il loro matrimonio.

Ma quello che lo sorprese non era la scarpa che batteva nervosa sullo zerbino consumato, piuttosto il proprietario del piede.

-Non si usa far entrare?

Dritto di fronte alla porta di ingresso, Harry vide l'ultima persona che si aspettava di vedere:

-Malfoy?

Aveva dell'impossibile.

  
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