Sesto capitolo: Il prezzo della Pace
“Cosa ha fatto?
Perché non si sveglia?” La voce di Aria penetrò nella coltre di tenebre e Rysa cercò di aprire gli occhi.
“Non lo so, ma
il sole sta per tramontare.”
“Padre! Non
entrerà nella Radura!”
“Sì…” La sua
voce uscì roca, ma tutte e tre le persone presenti nella tenda si voltarono a
guardarla.
Era stesa in un
giaciglio, la luce era fioca, segno che il Capo non esagerava quando diceva che
il sole stava per tramontare.
Rysa tentò di alzarsi e represse un gemito, Aria le fu
subito accanto.
“Rimani stesa.”
“No, devo
raggiungere la Radura, aiutami.” Tentò di nuovo, ma la mano ferma di Aria le
impedì di muoversi.
“No.”
“Aria…” Iniziò
suo padre.
“No!” Ripeté con
forza Aria. “Rysa non affronterà Orsoi,
non morirà più nessuno oggi!”
“Capo, Dinal uscite per favore.” I due uomini annuirono e
lasciarono lei e Aria sole.
“No…” Disse lei,
ma Rysa sorrise dolcemente mentre alzava la mano per
raccogliere una sua lacrima.
“Lo batterò.”
Aria scosse la testa, ma Rysa la bloccò. “Devo
crederlo, perché non posso vivere senza di te.” Un lontano rumore di tamburi
fece sobbalzare Aria.
Il Capo guardò
all’interno della tenda.
“E’ l’ultima
chiamata, il sole tramonta.”
Rysa si alzò le sue gambe la reggevano con difficoltà, ma
mentre camminava si fecero più stabili. Indossò le protezioni di cuoio aiutata
da Aria le cui mani tremavano anche se tentava di non mostrarlo. Uscì dalla
tenda e prese un profondo respiro, il sole sfiorava il lontano profilo delle
montagne, pochi minuti e sarebbe scomparso.
Percorse tutto
il tragitto in silenzio, Aria, il Capo e Dinal la
accompagnavano, ma nessuno dei tre trovò qualcosa da dire. La Radura era
silenziosa quasi quanto loro, solo l’occasionale movimento di qualcuno tra il
pubblico faceva capire che erano ancora vivi.
Prese la spada
di suo padre ed entrò nell’arena.
Orsoi era in attesa, immobile. Aveva abbandonato la
pelliccia d’orso ed era nudo dalla cintola in su, i possenti muscoli ben in vista.
La grande spada con cui aveva già ucciso tre avversari era tra le sue mani, la
punta rivolta verso il basso.
Nel vederla
entrare il pubblico si animò e molti iniziarono a mormorare, Rysa li ignorò. Guardava il suo avversario, lo aveva visto
combattere: era il guerriero perfetto. Forse da qualche parte c’era qualcuno
più abile di lui, ma quel qualcuno di sicuro non era lei. L’uomo alzò la spada
e se la portò alla fronte in un gesto curioso, poi la abbassò, ma malgrado i
tamburi avessero smesso di suonare lui non attaccò.
Rimasero
immobili a guardarsi fino a quando il sole non tramontò del tutto lasciando di
sé solo un ricordo in un bagliore che tingeva il cielo di rosa.
“Avete detto
Pace, ma ora qui, perché?” Rysa rimase stupita dalle
sue parole, non si aspettava che volesse comprendere.
“Lo sapete, non
l’avrete mai.” Rysa alzò il mento in atteggiamento di
sfida e lui lentamente annuì, poi alzò la spada. Nei suoi occhi sparì
l’incomprensione, sparì ogni cosa e Rysa seppe che
sarebbe morta.
Il primo colpo
le fece vibrare le braccia e per poco la spada non le sfuggì dalle mani, riuscì
miracolosamente a spostarsi in tempo per il secondo fendente, ma l’uomo
continuò a incalzarla. Parò un fendente, ma il successivo penetrò nelle sue
difese. Si piegò in due portandosi la mano al fianco, era un taglio
superficiale, ma bruciava e quando ritirò la mano la ritrovò sporca di sangue.
Aveva tagliato di netto la protezione di cuoio e le aveva lacerato la pelle. Orsoi fece un passo indietro permettendole di rimettersi in
posizione poi attaccò ancora.
Prima che
potesse accorgersene lui la colpì con l’elsa sul volto, una mossa che aveva già
usato, spaccando la mandibola a un uomo, lei fu più fortunata, il colpo giunse
più in alto finendole sullo zigomo. Non cadde a terra solo perché lui le aveva
afferrato la giubba e torto il braccia sinistro dietro la schiena. Il rumore
secco che fece il suo braccio spezzandosi risuonò nell’arena seguito dai
lamenti del pubblico. Rysa non li udì, il dolore era
l’unica cosa che occupava la sua mente.
Come in un sogno
sentì che veniva messa in ginocchio e poi la sua testa fu violentemente tirata
indietro. Provò a muoversi, ma la presa sui suoi capelli si fece più dura e lei
desistette.
“No!” Quella
voce penetrò nel velo di dolore calato su Rysa e lei
vide Aria entrare nell’arena. La spada sotto la sua gola incise la carne, quel
piccolo taglio le riempì gli occhi di lacrime, ma non distolse lo sguardo da
Aria, sapeva che la stava guardando per l’ultima volta.
“Orsoi, re dei Clan, mi avete, sono vostra.” Aria fece
ancora un passo avanti, i biondi capelli erano sciolti e Rysa
si sorprese nel notare i mille riflessi che potevano creare al bagliore delle
torce, che lei non aveva visto accendere. “Ma ogni giorno della mia vita io lo
dedicherò a uccidervi, dovrete temere di addormentarvi al mio fianco, perché
potrei usare un pugnale, dovrete sperare che il vostro piatto non sia passato
tra le mie mani perché vi avrei aggiunto del veleno… oppure…” Si interruppe, i
suoi occhi che fino a quel momento avevano fissato Orsoi
ora guardarono lei. “Oppure potrete lasciarla vivere e io vi obbedirei e vi
onorerei e vi sarei fedele fino alla mia morte.”
“No.” Sibilò Rysa, ma la stretta tra i suoi capelli le impedì di dire
altro.
“Bene, Pace.” La
stretta la abbandonò e lei crollò a terra. Alzò gli occhi fissandoli in quelli
di Aria.
L’aria era tiepida, era una bella giornata
di primavera e l’albero sotto cui era sdraiata stava dando inizio a una nuova
folta schiera di foglie, che ora, di un tenero verde chiaro, spuntavano timide
dai rami.
“Drenir mi ha
chiesto di te oggi…” Aria si voltò appoggiando la testa su una mano.
“Ah sì?”
“Sì…” Lei sorrise.
“Suo padre è un mercante di grano, un uomo
ricco.” Rysa fissava il cielo tra i rami dell’albero
e non le rispose così lei continuò. “Sono sicura che sarebbe un buon partito.”
“Il Capo approverebbe…” Riuscì infine a dire
Rysa facendola scoppiare a ridere. Stupita la ragazza
la guardò e Aria rise ancora poi si mise a giocare con i capelli ribelli di Rysa. Non la guardava quando disse:
“Non voglio Drenir.”
Il cuore di Rysa batteva veloce, mentre chiedeva in
un respiro:
“Chi allora?” Aria alzò lo sguardo su di
lei, aveva le guance leggermente arrossate, gli occhi inquieti si muovevano
rapidi, sembravano non riuscire a fissarsi sui suoi occhi.
“Non è ovvio?” Disse alla fine, la sua mano
lasciò andare i capelli scuri di Rysa e con dita
leggere le sfiorò il viso.
Rysa chiuse gli occhi e Aria si piegò su di lei
sfiorandole le labbra in un bacio. Si separarono guardandosi e si sorrisero. Un
istante dopo erano di nuovo allacciate in un bacio che si fece sempre più
profondo.
“Le ha spezzato
un braccio e ha una ferita al fianco.”
“E il volto?”
“Le verrà un bel
livido, ma non dovrebbe aver nulla di rotto.”
La sua pelle era così morbida, affondò le
mani tra i suoi capelli mentre si perdeva nei suoi occhi che non aveva mai
visto così scuri. Ansimò mentre Aria faceva passare le mani sul suo corpo. Le
loro labbra si trovarono e lei si perdette nel mare di sensazioni.
“Rysa?”
“E’ rinvenuta?”
“Non lo so… Rysa?”
“Beh spero per
lei che sia svenuta, perché questo le farà male.”
Il
prato era fiorito e la terra era umida, ma il sole scaldava la loro pelle nuda.
Aria stava giocando con la testa di lupo, l’unica cosa che lei portasse ancora
addosso. Rysa guardò il cielo e si sentì felice.
“Sono tua, per sempre.” Disse, mentre Aria
inclinava la testa sorridendo.
“Lo so, il mio cuore è tuo e il tuo è mio,
per sempre.” Si chinò per baciarla. Le sue labbra: poteva morire per un suo
bacio. L’amava e l’aveva sempre amata.
Dinal le era accanto, la sua testa ciondolava, i suoi
capelli grigi rilucevano nei bagliori del fuoco.
Rysa era nella sua tenda, stesa sulla sua branda. Tentò di
muoversi, ma il dolore la tenne inchiodata. Alzò la mano sana fino alla gola
sentendo sotto le dita il taglio superficiale che le aveva procurato la lama di
Orsoi.
Sentì che aveva
qualcosa al collo e vi trovò la testa di lupo, Dinal
doveva avergliela restituita mentre era priva di conoscenza. Guardò di nuovo
l’uomo, la stava vegliando, aspettava che si svegliasse. Lo sguardo di Rysa si posò sul pugnale che aveva lasciato a terra accanto
alla sedia.