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Autore: Malecsis    21/05/2012    6 recensioni
Frammenti di Malec qui e lì... Alec e Magnus attraverso i libri di Cassie Clare, nei momenti che lei non ci ha mostrato. (Ovviamente, spoilers da tutto ciò che ha scritto Cassandra Clare, scene inedite o cancellate incluse)
Genere: Angst, Erotico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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01

Le porte aperte dell'Istituto furono la conferma del suo sospetto.
Stava succedendo qualcosa di serio, se Hodge l'aveva contattato, e soprattutto se i Cacciatori avevano lasciato le porte della loro preziosa roccaforte spalancate in quel modo.
Magnus inspirò leggermente, serrando le labbra.
L'hai giurato, ricordi? Niente più interferenze nel loro mondo.
Hai già visto abbastanza di come va a finire, per i mortali.
Non è il caso di replicare.
E non è te che dovrebbero chiamare, per risolvere i loro guai.

Oh si, se lo era ripetuto più volte. Hodge aveva chiesto aiuto per uno dei suoi giovani allievi, rimasto ferito durante una lotta contro uno dei demoni superiori.
Perchè lui? Perchè non chiedere aiuto ai Fratelli Silenti?
Non lasciarti coinvolgere, come secoli fa.
Diamine, in ottocento anni, qualcosa dovresti averla imparata.

E ciò nonostante, i piedi si mossero autonomamente per farlo entrare nell'Istituto, silenzioso come un felino, un ciuffo di capelli corvini che, diversamente dagli altri, gli ricadeva penzoloni sulla fronte. Non aveva avuto il tempo di curarsi, come faceva ogni mattina. Non era neppure l'alba. E Hodge non aveva mentito riguardo al demone, perchè l'intenso odore di sangue demoniaco non poteva sfuggire alle sue narici.
Non lasciarti coinvolgere.
E' una storia già vissuta.
Quanto può sopravvivere un mortale al veleno di un demone superiore?
Sei venuto ad assistere alla morte di un ragazzino, questo hai fatto.
Ottocento anni, e non hai imparato niente.

Non si accorse di star stringendo leggermente i pugni, mentre saliva le scale dell'Istituto, avvolto in uno spettrale quanto strano silenzio. Non che si fosse aspettato un comitato di benvenuto, o Hodge sulla soglia della porta, ma sembrava che quell'edificio a lui fin troppo familiare fosse vuoto.
Potresti sempre voltarti e andartene adesso. Non è troppo tardi.

 

“Hodge, dove diavolo sei!! Jace! Clary!”


La voce della ragazza che aveva urlato era intrisa di terrore, oltre che di una certa isteria. Magus era appena arrivato sul ballatoio, quando la vide scendere di corsa dalle scale del piano superiore, i lunghi capelli lisci sconvolti e insanguinati, il viso teso in una smorfia di angoscia. Così tanto diversa dalla bellissima e sensuale gatta che si era presentata alla sua festa. Così tanto simile alla ragazzina terrorizzata che doveva essere al momento.
Una storia che conosci, no?

“...Magnus Bane?”

Isabelle aveva messo d'istinto la mano sul pugnale nella cintola, in un primo momento pronta a scattare per difendersi, poi geuinamente basita. Sava succedendo troppo, e troppo in fretta.

“L'unico e inimitabile.” Magnus avanzò verso di lei, le mani in tasca e il passo sicuro. “Dov'è Hodge?”

“E' quello che vorrei sapere anche io," replicò frettoosamente Isabelle, guardandosi in giro. Sembrava frenetica e sgraziata nei gesti. “Non trovo nè lui, nè Jace-nemmeno Clary, e i maledettissimi Fratelli Silenti dovrebbero essere già qui! Quanto tempo credono che abbia Alec?”

 

Magnus la osservò per un momento, e gli occhi di giada si posarono sul brutto taglio che le sfigurava uno zigomo. Il sangue si era già incrostato, e a giudicare dal modo in cui le parole le uscivano cariche di angoscia, probabilmente nemmeno si accorgeva del dolore al viso. Gli venne del tutto spontaneo sfiorarle la guancia con le dita, e in pochi istanti il taglio si richiuse, pulito.

Isabelle allargò gli occhi, toccandosi lo zigomo. Non appena realizzò che cosa le aveva fatto, si avvinghiò agli avambracci di Magnus, che per riflesso inarcò le sopracciglia.

 

“Devi aiutarlo! Magnus, per favore-

 

“Devo essermi perso il contratto in cui è esplicitato questo mio dovere…”

 

Isabelle ringhiò qualcosa in una lingua incomprensibile, al limite della frustrazione.

 

“Non mi importa se dovrò costringerti o supplicarti, maledizione! E’ mio fratello quello che sta morendo in quella dannata stanza, tutti quelli che dovrebbero aiutarlo gli stanno voltando le spalle! I Fratelli Silenti che per un Cacciatore adolescente nemmeno si scomodano, Hodge che è sparito-sei l’unica speranza che mi resta, e per l’Angelo, farò qualsiasi dannata cosa perché almeno tu lo aiuti!”

 

Magnus rimase in silenzio, stringendo appena gli occhi da gatto. Aveva già visto quella disperazione negli occhi di una donna, e non una sola volta. Aveva già sentito quel tono, l’arroganza che la disperazione è in grado di darti, la prepotenza di chi non ha più nulla da perdere, perché sta già perdendo tutto nella persona più cara che scivola via.

Ci stai ricadendo.

Ti sei ripromesso di non interferire mai più nei loro affari.

Non dopo la rivolta. Non dopo William.

 

“Dov’è tuo fratello?”

 

Ci sei ufficialmente ricaduto.

Ottocento anni di idiozia.

 

Isabelle si concesse pochi istanti di sollievo, prima di lanciarsi in una corsa sfrenata lungo il corridoio. Arrivò per prima nella stanza, probabilmente l’infermeria dell’Istituto, dato che di letti ce n’erano parecchi, esattamente come la collezione di vasetti e calici etichettati come pozioni curative. Magnus la vide chinarsi sull’unica sagoma sdraiata, e fu allora che lo riconobbe. Era il ragazzo dagli occhi blu che aveva visto alla festa, l’unico del gruppetto che avesse dimostrato un po’ di umiltà, e non quell’arroganza tutta giovanile che aveva letto nello sguardo del suo amico biondo.

A chi vuoi mentire, quegli occhi ti hanno ricordato lui.

La genetica è una gran puttana.

Soprattutto considerando che agisce secondo una logica strana.

 

“Non riusciamo a curarlo, gli iratze non hanno alcun effetto, e nemmeno i soliti intrugli di Hodge,” mormorò frenetica Isabelle, voltandosi a guardarlo, i grandi occhi scuri velati dal panico.

 

Magnus la superò, avvicinandosi al letto dalla parte libera. Alec, questo quindi era il nome del ragazzo con gli occhi blu. Anche lui era irriconoscibile, rispetto alla sera della festa. Mortalmente pallido, il viso contratto in una smorfia di dolore, i capelli corvini in parte appiccicati alla fronte, in parte sparati in tutte le direzioni. Gli appoggiò una mano sulla fronte, per rendersi conto della situazione. Era ghiacciata, sotto la patina di sudore.

 

“Alec?” mormorò leggermente. “Puoi sentirmi?”

 

“Non ha più ripreso conoscenza da quando siamo arrivati qui.”

 

Magnus non sollevò gli occhi su Isabelle, non ne aveva bisogno. Poteva intuire che nel suo sguardo ci fossero disperazione e speranza insieme, perché probabilmente in lui vedeva la soluzione al problema.

Soluzione? Quale?

Il veleno è già arrivato al cuore, sta morendo.

E’ il veleno di un demone superiore, la magia curativa non funzionerebbe.

Ed è debole, ferito gravemente, anche senza il veleno non potrei scommettere che si riprenderebbe.

Isabelle aspettò che lo stregone scansasse la mano, prima di riprendere la pezzuolina per asciugare il viso e il collo del fratello. Era sui carboni ardenti, come se temesse che dandogli fretta, Magnus si sarebbe rifiutato di guarirlo.

Dille la verità. Suo fratello morirà.

Non può farcela.

Magnus inspirò a fondo, serrando le mascelle. L’immagine di Alec alla festa gli era appena tornata in mente. I suoi occhi blu onesti, così diversi da quelli di Gideon e Gabriel. Così umili, semplici, ripuliti da ogni forma di arroganza a cui ormai era abituato. Una qualità di blu così terribilmente simile a quella di Will, eppure più pacati. Lo sguardo semplice di un ragazzo che era arrossito ad un complimento, e aveva abbassato gli occhi sentendo parlare del male compiuto dai suoi predecessori.

Si può morire a diciott’anni? Con il mondo intero che non aspetta che te?

E’ la loro legge, la venerano tanto. Sacrificano i loro figli a queste stronzate.

Non c’è niente che tu possa fare per cambiare questa follia.

 

“Magnus?”

 

“Esci dalla stanza, e chiudi la porta.”

 

Nota personale: niente più inutili giuramenti che tanto infrangerai comunque.

Sobrio o ubriaco che sia.

 

Isabelle esitò, come se le risultasse difficile anche solo l’idea di lasciare il fratello, ma non osò replicare. Girò sui tacchi e obbedì, chiudendosi la porta alle spalle con un rumore netto.

 

“Mi devi un favore, Alec Lightwood…” mormorò piano Magnus, mentre si liberava dalla giacca viola acceso, lasciandola cadere sulla sedia poco distante. Guardò ancora una volta il ragazzo, scansandogli i capelli dalla fronte, accarezzandogliela. “…e io non sono uno che dimentica i propri crediti. Quindi, vedi di sopravvivere abbastanza da ripagarmi.”

 

Alec non replicò né si mosse, il respiro ridotto ad un rantolo terribilmente lento e appena percepibile. Era questione di minuti. Magnus inspirò a fondo e chiuse gli occhi, posando entrambe le mani sul suo petto. Sussurrò alcune parole che i mortali non avrebbero saputo distinguere, perché non era una lingua del loro mondo, e percepì l’energia fluirgli attraverso le vene fino alle dita. Ma non era abbastanza, non per Alec, che stava per essere sconfitto dal veleno del demone. Le parole mutarono ritmo e intensità, e la lingua divenne quella ancora meno nota, una lingua che lui per primo avrebbe pagato pur di non conoscere. La lingua dei demoni. La lingua di suo padre. Magnus Bane stava per intingere il piede nel lago maledetto della magia nera, per un Cacciatore adolescente che neppure conosceva.

A dopo l’ironia della cosa, eh.

Quella specie di mantra che continuava a ripetere era diverso dalle solite magie curatrici a cui era abituato. Sentì nettamente l’energia triplicarsi, scorrere insieme al sangue come fosse una linfa maledettamente vitale, quasi avesse una voce suadente tutta sua che gli ricordava quanto le sue origini gli avrebbero concesso, se solo lui si fosse concesso a loro. Magnus restò concentrato, cercando di focalizzare solo su Alec. Sul modo in cui lo aveva guardato mentre si parlava della rivolta. Sul rossore tenero che gli aveva colorato le guance pallide, quando gli aveva lanciato l’invito a fine festa. Un ragazzo, era solo un ragazzo. Non poteva morire. Non doveva morire. Il mantra divenne più frenetico, le parole pronunciate più in fretta, e Magnus avvertì distintamente la sensazione di poter sfiorare il veleno quasi fosse una sorta di corda, un serpente che stava iniziando a danzare ai suoi ordini. Perse la cognizione del tempo, perché non seppe mai realmente quanto ci impiegò, ma alla fine il serpente scuro si piegò al suo volere, dissolvendosi in una nuvola nera in mezzo a scintille rosse come il fuoco.

Magnus socchiuse gli occhi, sbattendoli un paio di volte prima di riaprirli del tutto. Si scansò un velo di sudore dalla fronte, sbuffando fuori l’aria, e per un momento sentì  le forze vacillare.

Era un po’ che non mettevi mano a questa magia, mh?
Un po’ fuori esercizio.

Alec era ancora immobile, sul letto. Ad eccezione di un debole singulto, non sembrava fosse cambiato nulla. Ora il suo corpo era tornato libero dal veleno del demone, ma le ferite gravi erano ancora tutte lì. Magnus si chinò su di lui, prendendogli il viso fra le mani, portandogli le dita alle tempie.

 

“Sono abbastanza sicuro che tu possa sentirmi, perciò ascoltami bene…” gli sussurrò. “Adesso dobbiamo lottare insieme, d’accordo? Non puoi pretendere che faccia tutto io. Sto anche lavorando gratis, per cui sei doppiamente tenuto a fare la tua parte. Sono stato chiaro, Alec Lightwood?”

 

Non ti arrendere.

Non adesso.

Hai tutta la vita davanti, maledizione.

 

~ * ~*~

 

Isabelle si stava torcendo le dita, seduta per terra come quando era piccola, le ginocchia strette al petto e la schiena appoggiata al muro, davanti a quella porta che continuava ad essere chiusa da ore. Jace non era tornato, e neppure Hodge. Nessuno dei Fratelli Silenti si era scomodato, e Magnus Bane era chiuso nell’infermeria da oltre due ore. Aveva provato a contattare il Circolo, ma non era servito a nulla. Avrebbe dato metà della sua vita perché su quel letto ci fosse stata lei, e non suo fratello. Alec avrebbe saputo cosa fare, come comportarsi, a chi rivolgersi. Lei al momento si sentiva così maledettamente insicura, fragile, travolta dal terrore. Non era pronta a perdere suo fratello. E non riusciva a capire come Jace e Hodge li avessero lasciati in quelle condizioni, sebbene in quanto Cacciatrice, il sospetto che fosse successo qualcosa di grave si stava insinuando prepotente nel fiume di pensieri rivolti a suo fratello. Si scansò i capelli dal viso, asciugandosi una lacrima tardiva con nervosismo, tirando su col naso. Non riusciva neppure a sentire il dolore fisico dei colpi presi da Abbandon, o meglio, era grata ad ogni livido che con quella fitta la faceva sentire ancora viva, ancora con i piedi per terra. Doveva riprendersi la lucidità, rialzarsi, riprovare con il Circolo. Doveva semplicemente rimettersi in piedi, da guerriera, come sempre. Ma da sola, questa volta. Senza i suoi fratelli. Si stava alzando lentamente, come se le pesasse, ma quando vide la porta socchiudersi scattò in piedi, il respiro mozzo in gola.

Magnus aveva lo stesso aspetto di quando era arrivato, apparentemente distaccato, tranquillo, sebbene il colorito olivastro fosse un po’ più pallido di prima. Lasciò la porta socchiusa alle sue spalle, incrociando le braccia al petto.

 

“Siete abituati così, voi?” le domandò, placido. “Sono quasi le sette, e non c’è l’ombra di un caffè. Dopo la sveglia che mi avete dato, ce ne vorrebbe un pentolone, non credi?”

 

“Alec?”

 

“E’ vivo,” rispose Magnus, e il tono scherzoso scemò in uno più serio. Rimase appoggiato con la spalla alla soglia della porta, le braccia incrociate al petto, l’aria almeno in apparenza tranquilla. “Ma se vuoi che ti dica che è fuori pericolo, mi dispiace ma non ne ho la certezza. Non ancora. Le sue ferite erano molto gravi, è già un miracolo che abbia resistito tanto.”

 

Isabelle si morse le labbra, cercando di trattenersi.

 

“Voglio andare da lui.”

 

Magnus la osservò per un interminabile momento. Isabelle Lightwood era una ragazzina. Probabilmente un’ottima Cacciatrice, ma anche e soprattutto una ragazzina spaventata. E sola, al momento. Perché Hodge, almeno all’apparenza, si era volatilizzato con uno dei suoi allievi in fin di vita, e non era rimasto nessuno a tenerle la mano durante quelle ore di attesa.

In poche parole, stai avendo pena di lei.

Andiamo bene.

 

“A questo punto, madamigella, procederei per ordine di priorità. Per cui partiamo dal mio ettolitro di caffè. Poi torni qui, ti lasci sistemare, dal momento che non sarebbe molto utile che tuo fratello ti vedesse ridotta così, e poi forse sarebbe il caso di capire che fine ha fatto Hodge.”

 

“Devo-devo ricontattare il Circolo. Non riesco a raggiungere né lui né Jace, se riesco a dare l’allarme, o almeno a raggiungere i miei genitori- ”

 

“Vedi, ce ne sono di cose da fare,” Magnus le rivolse un sorrisetto sghembo. “Dopo il mio caffè, naturalmente.”

 

Isabelle serrò le labbra, mordendosele con forza. Avrebbe voluto mandare al diavolo lui, il suo caffè e la sua gelatina glitterante, ma quell’uomo aveva probabilmente salvato la vita di Alec. E ora come ora, era l’unico riferimento in un momento in cui sarebbe stata completamente sola. Inghiottì la risposta, dunque, e con un sospiro stizzito si diresse verso le scale.

Magnus aspettò che si fosse allontanata, prima di staccarsi dal muro e tornare verso nell’infermeria. Era molto meno buia, ora che la luce filtrava dal finestrone al lato della stanza. Era ancora immersa in un silenzio irreale, sebbene ora fosse spezzato dal respiro ansante di Alec. Magnus si sedette sul bordo del letto accanto a lui, osservandolo per un momento. Per quanto ancora sofferente, ora sembrava molto più vivo di quando aveva iniziato a curarlo. Il viso mortalmente pallido adesso era più colorito, il battito era più regolare, il respiro meno debole. Gli aveva saldato le ossa e richiuso ogni ferita, sebbene quelle alla gamba e i morsi al petto avessero avuto bisogno di un bendaggio, esattamente come la tempia, ancora livida per il colpo preso. La magia curativa aveva fatto il suo dovere, ora toccava a lui resistere e riprendersi. E il suo corpo stava lottando, a giudicare dalla febbre alta che non sembrava dargli tregua. Continuava ad agitarsi nel letto, mugugnando qualcosa di poco chiaro, stringendo la coperta con forza nel pugno. Magnus avrebbe voluto alleviargli quella pena, pronunciare un incantesimo che gli riportasse la temperatura ai livelli normali, ma quel ragazzo non era più in condizioni di reggere altri incantesimi, non dopo aver sopportato magia oscura, veleno di un demone superiore e ferite mortali, tutto insieme in poche ore.

Non posso aiutarti di più, Alec.

Devi farcela da te.

 

“Shh…” Alec biascicò qualcosa di poco chiaro, e Magnus si sporse ad accarezzargli la tempia sana con il dorso delle dita. “Ti manca davvero poco, sai. Devi solo resistere ancora un po’. Presto starai meglio.”

 

Alec singultò bruscamente, socchiudendo gli occhi. Li spostò su Magnus, senza veramente vederlo, ma guardando nella sua direzione. La mano che stringeva il lenzuolo si serrò disperatamente attorno al suo polso, mentre inghiottiva un singulto, sforzandosi di parlare.

 

“Is-Isabelle… e Jace… in p-pericolo…”

 

“Stanno bene, tutti e due” replicò pacato Magnus, continuando ad accarezzargli la tempia e la guancia madide di sudore.

Tu stai facendo a cazzotti con la morte, e ti preoccupi per loro.

 

“…d-demone…”

 

“Spedito in vacanza da un Cacciatore con un gran bel sedere,” gli rispose Magnus, sorridendo appena. Scrollò leggermente le dita, e la pezzuolina con cui gli aveva ripulito le ferite tornò completamente linda, umida di acqua fresca. La usò per rinfrescargli la fronte, accarezzandogli con insolita dolcezza il viso. “Andrà tutto bene, Alec. Puoi fidarti.”

 

Alec sbattè leggermente gli occhi, guardandolo. Mormorò qualcosa, ma aveva la voce impastata e forse non aveva neppure pronunciato qualcosa di sensato. Richiuse gli occhi, cercando col viso quella sensazione di fresco che avvertiva grazie alle carezze, e inspirò più a fondo, senza lasciare la presa sul polso dello stregone. Magnus non osò scrollarsi quella mano di dosso, né ammettere a se stesso quanto quella situazione lo stesse coinvolgendo. Alec Lightwood non poteva morire, doveva poter riaprire quegli occhi incredibilmente blu e godersi la vita. Doveva semplicemente farcela, perché lo meritava molto più di tanta gente che in ottocento anni gli era capitata davanti. Perché sarebbe diventato un grande Cacciatore, e non nel senso guerriero del termine. Aveva dimostrato di avere il cuore al posto giusto, cosa tutto fuorchè scontata in uno della sua razza.

Forza e coraggio, Alec.

Sei arrivato. Ti manca solo lo sprint finale.

Scommetto su di te.

 

~*~*~

 

Isabelle non riusciva a contenere il sorriso, seduta sul letto del fratello, mentre gli accarezzava il viso umido con la pezzuolina. Dopo ore di ansia e angoscia, finalmente poteva tirare un sospiro di sollievo. Alec riposava tranquillo, il respiro regolare, il battito più stabile, il viso ancora pallido ma non più arrossato dalla febbre violenta, che era andata via da sola. Le sembrava quasi irreale ammetterlo ad alta voce, ma finalmente suo fratello era fuori pericolo. Non osò dire nulla, mentre Magnus posava la mano sulla sua fronte, controllando probabilmente per l’ultima volta le sue condizioni.

 

“Direi che è come nuovo. Più o meno.” Magnus piegò le labbra in un sorriso sghembo, senza nascondere una certa fierezza. Spostò la mano dalla fronte di Alec, accarezzandogli la tempia un’ultima volta, prima di infilare entrambe le mani nelle tasche. “Le fasciature che gli ho lasciato, sarà meglio che le tenga fino alla fine della settimana. Cambiale una volta al giorno, vedrai che le ferite cicatrizzeranno abbastanza in fretta, nonostante tutto.”

 

“Ricevuto,” Isabelle annuì, mettendo via la pezzuolina. “Non so come avrei fatto se non ci fossi stato tu.”

 

Magnus scrollò le spalle. “Avresti preparato un caffè meno forte.”

 

Isabelle alzò gli occhi al cielo, senza impedirsi un mezzo sorriso. C’era ancora da capire dove fossero Jace e Hodge, ma era riuscita a sentire sua madre ed avvertirla. Alec era fuori pericolo. Sentiva di essere tornata in sé, nel pieno delle sue capacità di Cacciatrice, lucida e razionale. E pronta a fare il sedere di Jace a stelle e strisce per essere scomparso senza avvertirla.

 

Magnus inclinò il capo, accarezzando con lo sguardo Alec. Il suo sonno era finalmente tranquillo, e gli faceva venire una gran voglia di sdraiarsi accanto a lui, e aspettare il suo risveglio giocherellando con quei capelli tanto spettinati, o sfiorandogli con le dita le labbra piene, per il solo gusto di vederlo arrossire nell’istante in cui avesse riaperto gli occhi.

Forse è arrivato il momento di andare, mh?

Decisamente.

 

Con aria del tutto tranquilla e naturale, raccolse la giacca viola dalla sedia su cui l’aveva lanciata, infilandosela. “Bene, se non ci sono altri fuori programma…” si sistemò meglio il colletto, infilando le mani nelle tasche dei jeans. “…posso tornare ai miei affari.”

 

Isabelle si alzò in piedi, umettandosi le labbra. “Magnus… grazie. Grazie davvero.”

 

“A buon rendere, Isabelle.” Lo stregone scrollò una spalla, pizzicandole il mento, prima di dirigersi verso l’uscita.

 

“Magnus, aspetta!”

 

“Devo curare anche il gatto, o posso andare?”

 

“Come facevi a sapere… chi ti ha detto di venire?” Isabelle inclinò il capo, accigliandosi. “Alec ti deve la vita, e non sappiamo nemmeno perché tu fossi qui.”

 

Magnus schioccò le labbra, con un mezzo sorriso. Quella si che era una buona domanda. Hodge lo aveva chiamato, ma l’aveva deciso lui di venire. Oh si. Di restare, di lottare assieme a quel ragazzo, di aspettare che fosse fuori pericolo, tutte scelte sue.

Già, perché eri qui?
Per farti di nuovo trascinare nei loro casini?

Non le rispose, se non con un cenno di saluto, prima di uscire dalla stanza e in pochi passi, dall’Istituto.

Almeno lo sai, si, di aver fatto una cazzata?

Forse. O forse no.

Come si dice… il tempo è galantuomo, e svelerà quel che c’è da svelare.

Qualsiasi cosa sia.

  
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