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Autore: XanaX    22/05/2012    0 recensioni
Quando credi di essere riuscito a trovare del controllo, crolli nel buio. Confusione, musica, amore, rimpianti e passati troppo presenti. Una persona rischia di scoppiare, e dei tagli non sono il metodo giusto per far scorrere l'inquietudine. Perché suonare non vuol dire diventare immortale. La musica è un filo sottile di nylon, non si spezzerà mai, ma basterà perdere l'equilibrio per precipitare. Tra amici, nemici, fan, tatuatori, disertori, disadattati e musica. Divina Musica. Elias Wild, biondo cantante con la lama in mano, sopraffatto dal passato, trova rifugio in amori disordinati e sofferti.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Elias! Smettila di dimenarti! Sei morto, lo vedi? Sei deceduto! Se non la smetti, giuro che ti lego al lettino!- Lo rimproverò il fotografo.

- Ti piacerebbe legarmi al letto, eh?… Ho freddo! Dannato metallo!- Ringhiò Elias tra i denti, mostrando un perfetto broncio.

Eric ed i Purple Cat si trovavano nella cripta asettica e tecnologica dell’ospedale. Eric era riuscito il ad avere il permesso speciale di usare quella stanza come location per le fotografie grazie ad un suo amico capo reparto. Elias era sdraiato su un tavolo autoptico, nudo, tranne per i leggeri boxer neri. Eric si inginocchiò fino a trovarsi alla stessa altezza del cantante, gli sussurò vicino all’orecchio: - Se fai il bravo bambino e stai fermo, e la smetti di urlare… dopo ti porto a casa mia a vedere il mio letto…-

Elias tremò a sentire il caldo fiato del fotografo sul collo, ad eccitare le terminazioni nervose, cercò subito di calmarsi e ignorare il freddo che gli lambiva la pallida pelle della schiena, non tanto per essere invitato a casa di Eric, ma per non dargli un pretesto per stuzzicarlo ulteriormente. Non voleva immaginare neanche quali avrebbero potuto essere le conseguenze.

Eric si alzò e, riprendendo la compostezza folle che si riesce a notare solo nei direttori d’orchestra, ordinò a Rob e Dave di appostarsi attorno ad Elias, e spostò di pochi centimetri un faretto per far cadere il fascio di luce direttamente su gli occhi, spalancati, del malcapitato cantante. Elias emise un gemito di dolore e di sorpresa. Una piccola candela di sadismo dentro Eric si infiammò. Rob cercava di capire perché quel fotografo si comportava in un modo così antipatico e sconveniente. Dave ridacchiava, conoscendo già i piani di Eric.

In tutto si scattarono solo una quindicina di foto. Ma il risultato fu meraviglioso.

Per quel pomeriggio avevano finito, Eric consigliò ai Purple Cat di andare subito a casa, di farsi una doccia, di mangiare leggero ed evitare di fare le ore piccole, per il giorno successivo li voleva splendenti.

Rob, Dave, Elias e Eric viaggiavano in una autovettura scoperta, con il sole che li accarezzava dolcemente e la radio che diffondeva una melodia calda come le notti caraibiche. Osservavano tutti un particolare silenzio, quasi religioso. Era Dave che guidava, Rob occupava il posto anteriore del passeggero, Elias e Eric tentavano di non considerarsi - sennò si sarebbero scannati, teneva a precisare Dave- nei sedili posteriori.

Eric, fasciato nei suoi attillati panni neri, era mollemente adagiato con le braccia allargate, ed un sorriso a metà tra il compiaciuto ed il malizioso a illuminargli il viso, scatenato dallo sguardo offeso e triste di Elias.

- Porca miseria! Mi viene da vomitare… Dave! Ferma qui, c’è un chiosco, aspetto che mi passi la nausea e poi torno a casa a piedi- Annunciò agitato Elias portandosi le mani allo stomaco.

Eric sorrise a quella finta così plateàle e, quando Dave accostò vicino ad un parco, decise di scendere anche lui, per tormentare un po’ il cantante, ma soprattutto per passare ancora del tempo con quella creatura infantile ma affascinante.

- Dovresti smetterla di seguirmi…- Accennò Elias dirigendosi ad ampie falcate verso una gelateria. Eric si immobilizzò per un attimo, poi prese il biondino sottobraccio e gli sussurrò: - Non ti sto mica seguendo, io, stiamo facendo una deliziosa passeggiata, in un adorabile parco, osservando il tramonto,e tra poche decine di secondi io ti offrirò un gelato. E tutto perché tu hai inscenato un malessere, per stare solo con me.-

- Oh, commovente. Sei melenso. Però il gelato lo accetto volentieri.- Rispose bruscamente Elias senza però staccarsi di un centimetro dal fianco del fotografo.

Ordinarono due coni gelato piccoli.

Fragola e cioccolato per Elias. Limone e nocciola per Eric.

Il cantante pensava che poi la compagnia di quell’invadente non gli era così sgradita, e aveva degl’occhi talmente belli. In fondo si stava godendo quei piccoli, teneri, e temeva irripetibili, attimi. Il caldo del sole morente, il freddo del gustoso gelato. Il ragazzo in nero, il ragazzo vestito di luce. Era strepitoso.

Gli sarebbe piaciuto afferrare la nuca di Eric, sentire scorrere i lunghi capelli corvini tra le dita, avventarsi sulle sue labbra rosse, Dio, che colore vivido, accarezzare per ore la pelle candida come la neve, quella pura, quella che non esiti a mettere in bocca quando sei piccolo, così, semplicemente,davanti a tutti.

- Eli? Posso abbracciarti?- Pronunciava quelle parole col viso arrossato, imbarazzato.

Silenzio. Silenzio assenso.

Eric provò a cingere i fianchi di Elias. Lui non reagiva, poggiava le mani su un muretto, osservava l’orizzonte, ed oltre. Gli posò il mento sulla spalla. Petto contro schiena. Bacio leggerissimo sul collo. Labbra contro pelle.

- Perché mi hai trattato così, oggi?- Chiese Elias a bruciapelo.

- Scusami.- Eric lo abbracciò più forte.

- Me ne vado a casa.- Disse con enfasi Elias, sciogliendosi dalla stretta del fotografo.

Vorrei averlo incontrato tre anni fa. Pensava il ragazzo dai lunghi capelli neri, osservando il puntino bianco che di dileguava, illuminato dal rossore del sole morente. Almeno tutto sarebbe più facile .E avviandosi mestamente verso casa si era fermato a comprare un panino per un uomo anziano, svitato e allegro che non aveva altri famigliari oltre i piccioni e l’alcol.

Il biondo correva incontro alla notte, sfiorava con le dita sottili un cancello, alto quattro metri, di ferro battuto. Arrivato in prossimità di un albero, svelto si arrampicò sui rami scheletrici e si lasciò scivolare lentamente lungo l’inferriata, le prime volte si feriva, ma adesso tutte le ferite si erano cicatrizzate, tranne quella più profonda.

Lasciandosi guidare dalla sacralità del luogo, oltre che dalla conoscenza di ogni sentiero, di ogni cipresso, di ogni lapide, raggiunse un piccolo, apparente, spiazzo.

Apparente perché la lapide c’era, ma non era rialzata, ma il nome e le date, quella allegra di nascita e quella funesta di morte erano incise orizzontalmente, su una lastra di marmo prezioso. Ma nessun materiale, per quanto regale potesse essere, poteva anche minimamente restituire alla accoglienti e morbide braccia della vita, giovane beata, una persona che si trovava nelle grinfie taglienti di vecchia, morte, vecchia signora avvolta in pelle, umana. Pensava con sgomento Elias.

Si era coricato sulla lapide di ghiaccio, ah, quale giaciglio più tremendamente tenero, per una sensuale anima in pena? Passave le dita nei piccoli interstizi delle lettere.

Tristan Wild.

Non mi lasciare vita mia.

  
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