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Autore: fri rapace    25/05/2012    4 recensioni
Nell'aldilà viene data una grande opportunità a Remus e Tonks: potranno incontrare Teddy. Solo una volta.
Scritta per il compleanno di TinaX86 ^^
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Teddy Lupin
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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“Vi aspettavate di trovare un bambino, non è vero?”
Toccò a Teddy l’onere di rompere il silenzio: aveva atteso per dieci interminabili minuti che i suoi genitori si riprendessero, ma inutilmente.
Gli sarebbe piaciuto sentire la loro voce, il primo impatto era stato troppo inaspettato perché potesse rendersi conto di quello che stava succedendo e il loro aspetto fisico lo metteva a disagio. Suo padre era molto diverso da come l’aveva visto in fotografia, ma anche se sua madre era più o meno la stessa, ciò non cambiava il fatto che era difficile per lui identificarli come suoi genitori... oltretutto dimostravano un discreto numero di anni meno di lui!
Si cullava nell’illusione che forse avrebbe ricordato la loro voce. Victoire, quando era incinta, gli aveva detto che i bimbi, nella pancia, sentivano la voce di chi gli stava accanto e quei nove mesi passati nel ventre materno avevano costituito gran parte del tempo trascorso assieme a loro prima che morissero, preferendo combattere piuttosto che rimanergli accanto.
L’ultima riflessione gli fece stringere la bocca dello stomaco, un vecchio rancore che ogni tanto tornava a fargli visita e che durante l’adolescenza era stato un fedele compagno, uno di quelli che la nonna non avrebbe mai approvato frequentasse, che aveva dovuto tenere nascosto persino a Harry, certo che non avrebbe capito.
Scacciò irritato quella sensazione che viveva come sbagliata, negando che, in fondo, era stata la prima cosa che aveva provato quando li aveva trovati nella camera di sua figlia.
Non si erano spostati dalla stanza, malgrado non ci fosse il mobilio adatto a una riunione di adulti, le seggioline e il tavolino in miniatura dove si erano accomodati tutti e tre gli erano parsi bizzarramente adeguati.
Sua madre sbatté più volte le palpebre e sembrò scoprire, non senza un certo stupore, che i suoi occhi non erano vittima di un Incantesimo di Adesione Permanente fissato al volto del figlio.
“Ho bisogno di bere qualcosa di forte...” borbottò. Inghiottì con una mano uno dei calderoni in miniatura sparpagliati sul tavolo e se lo portò alla bocca, fingendo di deglutirne l’inesistente contenuto.
Teddy avrebbe riso, non fosse che non era affatto sicuro che stesse scherzando.
Mentre era distratto da lei, anche suo padre ritrovò la voce: Harry gli aveva parlato molto di lui e si rilassò, sapeva che ora che si era sbloccato avrebbe preso in mano le redini della situazione.
“Lasciamene un sorso, Dora...” mormorò invece, per poi rivolgersi timidamente a lui:
“Allora... sei... sei diventato un grande mago?”
Non furono le loro voci, ma quella frase... quella frase buttata lì, pronunciata a mezza voce a rendere tutto reale.
Sapeva che era stato con quelle parole che il suo padrino, suo padre e i loro amici avevano brindato alla sua nascita.
‘Vi siete ricordati di me, e siete venuti a prendermi?’ pensò stordito, ringraziando il senso di soffocamento che gli aveva impedito di dire ad alta voce quella frase, tante volte ripetuta nel sonno quando, da piccolo, sognava di loro.
Suo padre nascose gli occhi lucidi chinando il capo e lasciando scivolare i capelli sulla fronte, mentre sua madre si alzava goffamente, la seggiolina incastrata nel fondoschiena al seguito, e gli si gettava addosso, rovesciando entrambi.
“Il mio bambino!” gli singhiozzò contro il collo. “Il mio bambino.”
Sorpreso dall’agguato, si sentì incapace di lasciarsi andare: alzò impacciato le braccia con cui avrebbe dovuto stringerla, ma non ci  riuscì. Un tuffo al cuore e un’enorme vertigine lo colsero quando sprofondò il naso nei capelli rosa acceso: ricordare il suo profumo fu uno scossone emotivo ben più violento della frase del papà.
Pensò che sarebbe scoppiato a piangere - desiderava farlo - ma l’abbraccio finì prima che ci riuscisse.
Sua madre, in piedi davanti a lui, rise con il viso bagnato, cercando di liberarsi dalla sedia.
“Insomma, Teddy, sei un uomo,” disse con singhiozzi che non capiva se fossero dovuti alle risa o alle lacrime. “Proprio un uomo... Più uomo di tuo padre!”
“Ehi!” protestò lui, con un’occhiataccia alla moglie in cui Teddy lesse anche molta gratitudine: le era bastato così poco per alleggerire la situazione.
“Beh, in versione aldilà sei praticamente un pupetto!”
“Davvero?” replicò serio, la voce roca appena un po' incerta. “Perché devo avere circa la stessa età che avevi tu quando ci siamo conosciuti. Sai, Teddy, è la prima volta che ammette che era praticamente una bambina,” gli strizzò l’occhio complice, coinvolgendolo nel gioco. Facendolo sentire parte della famiglia.
“Uh, parla il vecchietto... Infatti, tu come nonno, ok, ci sta benissimo, ma io!” gli occhi scuri le luccicarono. “Perché sono nonna, vero?”
“Dove sono finite tutte le tue obiezioni sul fatto che io non sono troppo vecchio, povero e pericoloso?”
“Io non ho mai detto che non eri vecchio, ma solo che non m’importava,” lo liquidò disinvoltamente lei, per poi rivolgersi a lui con evidente trepidazione. “Teddy, raccontaci, vogliamo sapere tutto di te!”
“Raccontatemi prima qualcosa voi. Di noi.”
Pensò che fosse quello di cui aveva bisogno, che glielo dovevano.
Lei si prese un minuto per riflettere.
“Remus, dì a Teddy quello che ripetevo sempre quando ero incinta e lo accarezzavo attraverso il pancione!”
Lui gli fece un mezzo sorriso.
“Credo fosse... mmm… ‘ho fame’.”
“Ma che dici! Ti sbagli! Sono sicura fosse qualcosa di più commovente!”
“Ne sono certo. Ti accarezzavi lo stomaco e... hai iniziato a guardarmi con certi occhi che ho temuto seriamente per la mia incolumità, l’ultimo mese!” Lei gli diede uno sberlone sulla nuca, poi si fece triste. Aveva capito che non aveva molto da offrirgli in fatto di aneddoti famigliari e un senso di trionfo che lo fece sentire molto cattivo lo colse.
“È comunque commovente, però,” ritrattò suo padre, dispiaciuto.“È grazie alla tua fame se ora Teddy va matto per gli Zuccotti di Zucca e le salsicce.”
Era vero e ne fu sorpreso, ma non quanto sentirsi mentire indispettito:
“Mai piaciuti, anzi, li ho sempre odiati entrambi.”
Li aveva feriti, lo sapeva, ma il senso di colpa non gli impedì di pensare che se lo meritavano: anche a lui aveva fatto male capire che pensavano davvero di conoscerlo; loro, che avevano scelto di lasciarlo solo.
“Sei arrabbiato?” tentò sua madre, torturando con le mani l’allegra maglietta che indossava. “Hai la stessa espressione di quando ti eri appena fatto addosso qualcosa…”
Teddy, suo malgrado, si sentì arrossire violentemente.
“Non te la prendere, i genitori servono a questo: metterti in imbarazzo,” gli disse papà con tono pacato.
“Tu non hai niente da insegnarmi,” rispose tra i denti. “Io sono stato padre per molto più tempo di te.”
Suo padre si sporse verso di lui alzando le mani e fu certo che l’avrebbe colpito. Desiderava che lo facesse, gli avrebbe offerto l'occasione di sfogare quel rancore che si portava dentro da tanto, troppo tempo.
Invece allargò le braccia, mostrandogli i palmi vuoti.
“Allora insegnami,” lo pregò, osservando speranzoso la porta socchiusa della stanza: due paia d’occhi sbirciavano attraverso la fessura.



Ecco finalmente il capitolo! Ebbene sì, l'uomo era Teddy e la bambina sua figlia :-)
Di Victoire credo non si sappia nulla, per cui cercherò di eliminare quanti più cliché possibili su di lei, e di rendere il più 'unico' possibile Teddy.
Ciao ciao
Fri


   
 
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