- It all begins -
Otto giugno, finalmente era la fine.
Ebbene sì da lì a pochi
minuti il caldo soffocante di quell’aula l’avrei
abbandonata per tre mesi e
finalmente il mio primo anno in quella scuola che per me era stata una
scoperta
sensazionale era finito.
Mancavano cinque minuti, chiusi gli occhi ripensando a tutto quello che
era
successo e alle nuove amicizie che avevo fatto in quella classe.
Riaprì gli
occhi e sorrisi sentendo il mio vicino che faceva un conto alla
rovescia alzando
sempre di più la voce: - dieci, nove, otto,
sei….-. Ancora
poco e…DRIN! Finalmente era finita!
L’estate era cominciata e io concludevo il mio primo anno di
università con dei
buoni voti e avevo raggiunto il mio scopo di fare un maledettissimo
esame di
inglese per poter studiare all’estero in seconda. Era stato
da sempre un mio
piccolo sogno, una mia piccola previsione. Ho sempre voluto viaggiare
fino a
sentire la nostalgia di casa mia o ancora meglio andarmene, fuggire
nell’unico
posto che mi aveva sempre rubato il cuore fin da piccola: Londra.
Corsi fuori finendo inzuppata da vari gavettoni con tanto di schiuma.
Finalmente raggiunsi la mia macchina: una mediocre Panda che
però soddisfaceva
molto le mie necessità.
Guidai fino sotto casa mia dopo un’oretta di viaggio;
nonostante i vent’anni suonati
vivevo ancora con mia madre perché non potevo permettermi di
studiare e
lavorare contemporaneamente. Adoravo mia madre, era da sempre la mia
migliore
amica. Un po’ meno mio padre con cui non avevo mai avuto
grandissimi rapporti.
I miei genitori erano separati da quando avevo sedici anni e se prima
con mio
padre ci parlavamo solo per insultarci dopo quel giorno lo vedevo solo
a
qualche pranzo e cena e lui non mi rivolgeva la parola. I miei avevano
mantenuto buoni rapporti e tutte le sue cose, tutte le sue ragazze, le
venivo a
scoprire da mia madre con mio grande rammarico perché avevo
sempre voluto che
fosse stato lui a dirmele e invece non avevo mai conosciuto nessuna
delle sue
fiamme.
Entrai nel portone e corsi su per le scale verso il terzo piano. Mia
madre
doveva avermi sentito perché aveva aperto la porta ai miei
due barboncini che
mi vennero incontro tutti felici perché ero tornata a casa,
li accarezzai
ridendo mentre entravo in casa trovandomi davanti mio padre seduto al
tavolo
della cucina e mia madre che si stava sedendo davanti a lui. Li guardai
interrogativa per poi sentirmi dire da lui: - Siediti Alice.-
Lo guardai male per il tono che aveva usato con me, odiavo che mi desse
degli
ordini così per come lo consideravo veramente un genitore ma
lo sguardo di mia
madre mi ammonì dal rispondergli male e andai a sedermi a
capotavola.
- Ali devo dirti una cosa.- Iniziò mia madre con un sorriso
dolce prendendomi
la mano. Io la guardai serissima pronta a tirare su delle difese. Non
sapevo
cosa aspettarmi, cosa poteva dirmi?! Insomma andavo bene a scuola, non
bevevo
tantissimo, non mi drogavo, ero la copia della figlia perfetta!
- Nell’ultimo mese sono andata da uno psicologo
perché ho paura che nella tua
crescita e ora che stai diventando sempre più adulta tu
abbia avuto nella tua
vita troppo la mia presenza e poco quella di tuo padre. Secondo la
dottoressa
ho ragione e che forse dovresti avere per un certo periodo la
possibilità di
conoscere anche l’altra figura della tua famiglia.-
Alzai un sopracciglio come ancora più confusa di prima: - E
quindi?-. Esclamai
guardandola negli occhi.
- E quindi.. sai che papà è tornato la settimana
scorsa da un viaggio..- Iniziò
mia madre, io ruotai gli occhi. Lo
avevo odiato tanto perché lui era andato a Londra per i
fatti suoi, così diceva
ma in realtà era per conoscere una donna che aveva
conosciuto tramite internet.
- E lui vorrebbe tornare a Londra per tutta l’estate e
abbiamo pensato che
potrebbe portarti con se.-
Sgranai gli occhi a quell’idea. Io? A Londra? Da una parte
saltavo di gioia
dall’altra pensai ai miei amici, a quegli amici che nelle
settimane degli esami
avevo considerato poco, a quegli amici di spiaggia che mi aspettavano.
- Ma non
posso.. e Michi? Vero? Fede mi ucciderà!- Iniziai quasi
balbettando ma lei mi
sorrise mentre mio padre era rimasto in un fastidioso silenzio.
- Saranno sempre qua e potrai chiamarle con il computer.-
Sospirai lasciandomi cadere sullo schienale della sedia. Guardai mio
padre come
per dirgli: “Sei pronto a sopportarmi?” Lui mi
rispose come se mi avesse letto
nel pensiero: - Saranno solo tre mesi, non è così
terribile.- Mi sorrise
dolcemente cosa che non presi con grande felicità.
Sospirai ancora mordendomi il labbro nervosa da
quell’aspettativa. Dovevo
pensare e da sola. Non potevo decidere così su due piedi.
Mi alzai di scatto dalla sedia: -Ti farò sapere domani, ho
bisogno di
pensarci.- Dissi sorridendo prima di correre in camera e rifugiarmi nel
mio
angolo. Mi raggomitolai sul letto stringendo al petto il mio peluches
preferito,
era una scimmia di nome Lilli, e guardando come incantata i poster che
avevo
appeso alle pareti. Foto mie, foto di Londra, delle stelle, dei miei
film
preferiti. Guardai la mia macchina fotografica pensando al desiderio
che avevo
sempre provato nel voler fotografare il Big Ben all’alba
cosa che avrei potuto
fare ora.
Presi il cellulare digitando il numero della mia migliore amica per una
chiamata veloce, solo lei poteva aiutarmi a decidere.
All’inizio era rimasta sconvolta dalla notizia e poi aveva
iniziato a insistere
sul fatto che dovevo andarci approfittando della cosa non tanto per
stare con
mio padre ma per vivere tre mesi a Londra. A quel punto avevo deciso e
in un
pomeriggio feci le valigie insieme a mia madre tralasciando i pianti al
giorno
dopo.
Ci alzammo presto per ritrovare sotto casa le mie amiche che per farmi
una
sorpresa erano venute a salutarmi e a raccogliere le mie lacrime,
sapevo che
non stavo andando in guerra e che sarei tornata però era la
prima volta che
andavo via per così tanto senza di loro.
Nel giro di qualche ora eravamo già arrivati
all’aeroporto ed eravamo
sull’aereo diretto a Heathrow.
Durante
il
viaggio mi addormentai con la musica nelle orecchie mentre mio padre mi
parlava
di questa donna che da lì a poco avrei conosciuto. Quando mi
svegliai, stavamo
atterrando e anche lui si era addormentato alla fine.
Scesi dall’aereo prendemmo le valigie con mio grande rischio
di ammazzarmi sul
nastro e facemmo un pranzo veloce per poi prendere un taxi con
abbastanza
velocità. Non ascoltai la via in cui stavamo per andare, non
sapevo nemmeno
dove saremmo stati, lui non mi aveva detto niente.
Nel
viaggio mi
persi a guardare le case di periferia con un infantile stupore
nell’associare
quelle case a quella di Wendy di Peter Pan, una delle mie storie
preferite.
Dopo tre quarti d’ora arrivammo davanti ad una casa che aveva
poco a che fare
con quella della storia con mia grande delusione: era grossa, per i
miei
canoni, come una piccola villetta e aveva un giardino che circondava
l’edificio.
Da una delle finestre si poteva vedere un gatto che sembrava guardarci
dall’alto, sorrisi immaginando già di coccolare
quell’animale nonostante
preferissi i cani di gran lunga.
Tempo di oltre passare il cancello del giardino che la porta si
aprì mostrando
una donna dai capelli scuri e lunghi e un sorriso che sciolse la
tensione che
avevo accumulato nell’attesa di incontrarla.
Mio padre la salutò con un bacio parlandole poi con un buon
inglese, cosa che
mi stupì poiché in casa fino allora ero stata io
quella più brava nella seconda
lingua. Dal mio canto sbiascicai imbarazzata un saluto prima di entrare
al suo
invito.
-
Lasciate pure
le valigie qui e andiamo in salotto. Avete fame? Siete arrivati prima
del
previsto.- Ci chiese lei mentre io mi lasciavo guidare verso quella
stanza e
mio padre rispondeva: - Tranquilla, abbiamo mangiato in aeroporto-.
Mi guardai intorno mentre sprofondavo in un divano a L che dava su una
TV al
plasma, i mobili di tutto il salotto e probabilmente anche quelli del
resto
della casa erano molto moderni. Il mio sguardo cadde dalla TV ai due
piccioncini che si erano seduti sul divano accanto al mio, mio padre
aveva un
braccio intorno alle sue spalle che mi sorrideva ancora e la cosa
iniziava a
mettermi in soggezione.
Iniziò a farmi domande sul viaggio e su come mi sembrava
Londra, all’inizio
aveva risposto mio padre al posto mio ma lei lo zittì
appoggiandogli una mano
sulla gamba. Sorrisi pensando che era un gesto tenero, voleva
conoscermi e
forse potevo darle una possibilità.
Ad un certo punto sentimmo la porta aprirsi e una voce che subito
etichettai
dal tono come dolce che chiamò: - Mamma? Sono qui ho finito
prima
l’intervista.-
Qualcosa nel mio istinto mi disse che avevo già sentito
quella voce ma non
ricordavo dove al momento.
- Oggi siete tutti in anticipo? Sono qui anche loro.- Rispose la
fidanzata di
papà mentre io mi voltavo verso l’entrata della
stanza curiosa di vedere il
nuovo arrivato e, se avevo intuito bene, colui che avrei sopportato per
tre
mesi. Sentì la donna dietro di me dire a mio padre:-
E’ il piccolo voleva
rivederti e conoscere lei.-
Tempo qualche minuto e fece il suo ingresso un ragazzo che doveva avere
la mia
età con in braccio il gatto che era alla finestra. La prima
cosa che attirò il
mio sguardo furono i foltissimi ricci che mi fecero venire
l’istinto di
toccarli e poi incontrai i suoi occhi smeraldini e il sorriso sornione
come
quello della madre incorniciato da delle tenere fossette. Quando
guardai
nell’insieme il ragazzo che indossava dei pantaloni bianchi e
un maglioncino
grigio sgranai gli occhi visto che ora avevo riconosciuto chi
effettivamente
era quel ragazzo.
Alcune delle mie amiche più care, tra cui Vero e Fede, erano
fan di un gruppo
che avevo conosciuto e sì mi piaceva nonostante non mi
considerassi una vera e
propria fan. Il gruppo si chiamava: One Direction e davanti a me avevo
Harry
Styles.
- Ehi ma io ti conosco!- Esclamai guardandolo stupita avanzare e
sedersi
accanto a me guardandomi con una faccia curiosa dalla mia reazione.
- Quindi non servono presentazioni? Meno male, tu sei Alice vero?-
Disse lui
usando la pronuncia inglese del mio nome e lasciando che il gatto si
raggomitolasse sulle sue gambe.
- Sarebbe Alice, ma fa niente chiamami pure nell’altro modo.
– Risposi usando la
pronuncia giusta per me guardando il gatto con un sorriso dolce.
Passarono
i
minuti mentre i genitori avevano preso a parlarsi ignorando per quel
tempo noi
due. Io abbassai lo sguardo, volevo ritirarmi e stare con i miei
pensieri,
avevo accumulato troppe cose in un giorno. Harry sembrò
leggermi nel pensiero
perché fece un colpo di tosse per interrompere i
fidanzatini:- Allora le faccio
vedere la camera di Gemma?- Disse a sua madre che annuì, a
quel punto mi alzai
veloce mormorando un:- Grazie.- Lui mi rispose con un sorriso,
evidentemente
neanche a lui piaceva tanto l’ambiente che si era creato
prima.
Mi aiutò a portare una delle mie valigie, cosa che apprezzai
molto visto che me
l’ero immaginato come uno di quelli viziati dal successo. Mi
guidò in una camera
al piano superiore molto grande rispetto alla camera che mi aspettava
in
Italia. La camera di Gemma aveva le pareti color violetto e
c’era un letto ad
una piazza e mezza al centro con la testiera attaccata al muro.
All’angolo
opposto alla porta c’era un armadio colo crema e vicino una
porta-finestra che
dava su un terrazzino. Tra il letto e la finestra c’era una
porta che
probabilmente dava su un bagno comunicante.
Entrai guardandomi intorno a bocca aperta sentendo un forte odore di
lavanda.
Mia madre adorava la lavanda e quell’odore mi fece pensare a
lei e venire la
nostalgia, feci per voltarmi verso la finestra dopo aver posato la
valigia
vicino al letto sentendo un groppo in gola. Come sempre avevo
l’ansia del nuovo
e mi sentivo terribilmente sola.
Harry sembrò notarlo perché mi arrivò
davanti e mi prese per i fianchi
stringendomi in un abbraccio. Il suo profumo mi investì e
sentì i suoi ricci
solleticarmi il viso. Rimasi rigida stupida dal gesto ma poi il calore
del suo
corpo mi rilassò e ricambiai l’abbraccio.
Rimanemmo qualche minuto così in silenzio finchè
non lo allontanai per prima
guardandolo con un mezzo sorriso.
- Sembravi bisognosa di un abbraccio.- Mi disse con un sorrisetto molto
dolce
stampato in viso.
- Non aspettarti questa dolcezza da parte mia in futuro.- Risposi io
abbassando
lo sguardo. Ero imbarazzata?! La cosa accadeva raramente, solitamente
ero
quella che se ne fregava abbastanza.
- Sì? Scommetto il contrario, so sciogliere chiunque.- Disse
ancora lui
abbassando di un tono la voce facendola sembrare quasi roca.
Ruotai gli occhi prima di spingerlo sul letto e aprire la valigia
prendendo il
necessario per una doccia.:- Ho bisogno di una doccia. A dopo!- Scappai
in
bagno evitando il suo sguardo. – Ecco di chi era questa
puzza!- Mi urlò dietro
scoppiando a ridere, io in risposta dal bagno gli lanciai contro la
maglia che
mi stavo togliendo riuscendo ad evitare di essere vista mezza nuda.
Quando mi
guardai allo specchio avevo le guance ancora rosse e mi sentivo addosso
il suo
profumo.
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Salve a tutti! Sono la scrittrice,
chiamatemi Nyota. Bè cosa dovrei dire? Ho scritto questo
primo capitolo perchè mi sono lasciata convincere da
un'amica ed è da molto che non scrivo e spero di riuscire a
trovare una fine almeno con questa storia. So che questo capitolo fa
schifo e sono sincera, preferisco il secondo che ho già
pronto. Se avete consigli fatemi sapere ovviamente!
Nyota