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Autore: InstantDayDream    01/06/2012    3 recensioni
Il tizio che era lì con me, chiunque fosse, aveva però degli ottimi riflessi e mi prese giusto in tempo, evitandomi una caduta rovinosa. Mi fece accomodare su una delle panchine presenti sul terrazzo e mi offrì una bottiglietta d'acqua. (...) Afferrai la bottiglietta senza troppi complimenti e, dopo averla aperta, ne presi una generosa sorsata.
«Va meglio?» mi domandò lui. Io mi limitai ad annuire.
«Tu chi sei?» gli chiesi, prima di tornare a bere.
«Choi Siwon, piacere di conoscerti»
Per poco non gli sputai l'acqua in faccia.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Choi Siwon, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. Same Sky




«David sei uno stronzo!» esclamai, riattaccando il telefono senza preoccuparmi di attendere che lui potesse rispondermi.
Senza degnare di uno sguardo le anziane signore che avevo scandalizzato con la mia finezza, o le mie urla, o entrambe, mi diressi fuori dal parco, verso la zona dei taxi. Anche se il sole era coperto quel giorno, mi calai gli occhiali scuri sul naso, giusto per evitare di fulminare con lo sguardo gente del tutto innocente che, in quel momento, non stava facendo assolutamente niente per meritarsi un'occhiataccia. Quando ero partita da Los Angeles gli accordi erano che sarei andata a Seoul, avrei incontrato il manager dell'attore a cui David stava puntando cercando di raggiungere un accordo ragionevole, dopo di che me ne sarei tornata in America e avrei curato tutti i dettagli tecnici del film. Adesso mi chiamava per dirmi che sarei dovuta rimanere in Corea per tre settimane, perchè dovevo anche fare il giro di tutti i possibili set che aveva messo in lista. Aveva detto che lo avrebbe fatto lui, mentre io mi occupavo della produzione da casa. Ma ovviamente dovevo sospettare che fosse troppo bello per essere vero.
Nei quattro anni passati alla Paramount avevo imparato due cose: uno, quando ti offrono quella che sembra essere l'opportunità di una vita dietro c'è sicuramente una fregatura e due, se dopo la fregatura credevi non potesse andarti peggio, ricrediti. Dopo essermi laureata alla Scuola di Cinema Indipendente di Atene sapevo che non avrei mai fatto una gran carriera in Grecia, per questo avevo accettato al volo l'offerta di uno stage di un anno alla Paramount. Passai 365 giorni a portare il caffè ai dipendenti, ma alla fine David, uno dei registi, decise di assumermi come assistente. Di tutti gli stagisti ero l'unica che non si era mai lamentata del suo lavoro, motivo per cui ero l'unica che aveva resistito fino alla fine. L'unica cosa che era cambiata nel primo anno da dipendente fu che venivo pagata per portarli i caffè. Una specie di cameriera ben retribuita. Poi David si accorse che il mio stipendio era esagerato per andare in giro per gli uffici con bicchieri di starbucks e cominciai a fare la sua portaborse, andando a distribuire cose ai quattro angoli del globo ed occupandomi di tutti quei dettagli noiosi che lui non aveva alcuna voglia di sbrigare. Inutile dire che stavo ancora aspettando il momento in cui mi avrebbe autorizzato a stare dietro ad una macchina da presa.
Salii sul primo taxi libero e gli detti un biglietto dove c'era scritto il nome e l'indirizzo del posto dove sarei dovuta andare ad incontrarmi con questo fantomatico manager. La receptionist dell'hotel me lo aveva letto circa dodici volte e, alla fine, ero riuscita a capire come si pronunciava o, in ogni caso, quello che dicevo io somigliava molto a quello che diceva lei, ma avevo troppa paura di trovarmi in un sobborgo sperduto della capitale perchè avevo pronunciato una "V" al posto di una "B" o qualcosa del genere, per azzardarmi a dire io la mia destinazione. Mentre la macchina si infilava nel traffico del primo pomeriggio, colsi l'occasione per osservare quella città. A tratti poteva sembrare simile a Los Angeles, ma era in qualche modo più calma e colorata, di primo impatto mi aveva trasmesso una sensazione di notevole sicurezza. Poi avevo posato lo sguardo sul primo cartello scritto in un modo a me incomprensibile e avevo cominciato a sentirmi soffocata. Mi terrorizzava non riuscire a leggere una parola di quello che vedevo, non potevo capire i nomi delle strade, nè tantomeno leggere una mappa....poteva sembrare stupido, ma essere completamente disorientata mi faceva sentire vulnerabile. Così Seoul era finita in fondo alla lista di posti dove mi sarei voluta fermare e, invece, mi trovavo bloccata lì. Ma questa volta David non l'avrebbe passata liscia, ero stanca delle sue continue trovate per allontanarmi da Los Angeles ed avere un ottima scusa per non farmi fare niente.
Mentre immaginavo varie punizioni -che andavano dal lassativo nel caffè alle torture medievali- il taxi raggiunse la nostra destinazione. Il palazzo dove si trovava l'agenzia aveva un aspetto talmente banale che, all'inizio, mi ero convinta che fossimo fermi semplicemente a causa di un altro semaforo rosso. Quando l'autista cominciò a gesticolare mi resi conto che quel casermone color crema, talmente anonimo da sembrare un magazzino, era la mia destinazione. Tirai fuori una banconota dal portafoglio ed uscii dall'auto, senza aspettare che mi desse il resto. Le mie spese erano a carico della Paramount e, in quel momento, desideravo far spendere a David quanto più possibile. Mi diressi con espressione scettica verso la porta a vetri dell'ingresso e, dopo aver guardato dentro per qualche istante, la spinsi per poter entrare. All'interno l'ambiente migliorava parecchio.
Raggiunsi la ragazza alla reception, che mi guardò con un sorriso gentile e cominciò a blaterare qualcosa in coreano di cui non capii assolutamente nulla.
«Ehm, si salve.» dissi, in inglese « Sono Athanasia Chronis, avevo un appuntamento con...» già, con chi? Inutile dire che non mi ricordavo il nome del manager.
Per l'ennesima volta nella giornata estrassi un biglietto e lo passai alla persona interessata, in modo che potesse leggere.
«Per cosa, signorina?» mi chiese
«Dovevamo discutere di un contratto...mi manda la Paramount Pictures»
Senza fare ulteriori domande prese il telefono e cominciò a chiamare qualcuno. Non capii assolutamente niente della conversazione che seguì, a parte il mio nome, ma fortunatamente non durò a lungo.
«La stanno aspettando. Terzo piano, seconda porta sulla sinistra»
«Grazie mille»
Mi diressi verso gli ascensori guardandomi attorno: le pareti di quel posto erano tappezzate dagli artisti che erano tenuti sotto contratto dall'agenzia. Erano tantissimi, molti di più di quanti non potessi immaginare. Chissà quale tra tutti quei ragazzi aveva attirato l'attenzione di David. Ero piuttosto curiosa, sicuramente una volta in hotel mi sarei messa a guardare i suoi lavori principali. In fondo non capitava tutti i giorni che qualcuno, da Hollywood, si scomodasse per andare dall'altra parte del mondo a reclutare un attore.
La porta dell'ascensore si aprì e, come mi era stato detto, andai a bussare alla seconda porta a sinistra. Fuori c'era un'etichetta che ne indicava il nome del proprietario, ma essendo in coreano mi era totalmente inutile.
«Avanti»
Il fatto che avessero risposto in inglese mi faceva sperare di essere dalla parte giusta. Aprii la porta e mi ritrovai davanti ad un tizio che aveva almeno venti anni in meno, rispetto a quanti me ne aspettassi. Rimasi a fissarlo imbambolata per un paio di minuti, finchè lui non mi riportò con i piedi per terra.
«Signorina Chronis...»
«Si. Sono io.»
Che osservazione intelligente. Probabilmente se ne accorse anche lui perchè mi lanciò un'occhiata molto interrogativa. Facendo finta di niente chiusi la porta alle mie spalle ed andai a stringergli la mano, sperando che lui si dimenticasse in fretta dell'accaduto e che tornasse a considerarmi una persona normale.
«Prego, si accomodi.Mi avevano avvertito che potevo fidarmi di lei, ma non credevo che sarebbe venuta a trovarci così presto»
«Così presto?» domandai, senza capirci molto, mentre mi accomodavo sulla sedia davanti alla scrivania.
«Si, abbiamo firmato il contratto solo da poco...ci avevano detto che sarebbe arrivata tra una settimana.»
«Come sarebbe a dire che avete firmato il contratto?» sapevo di non essere stata il massimo dell'educazione, ma mi aveva colto totalmente alla sprovvista. Io ero andata lì per discutere i termini dell'accordo, se avevano già firmato, cosa ci facevo?
«Sì. È venuto qui un suo collega ieri...portandoci il contratto proposto dal Signor Robbins»
«Signore mi pare un termine esagerato» borbottai in greco, digrignando i denti.
«Come?»
«Niente, mi scusi. Mi fa piacere che il nostro contratto vi abbia soddisfatto. Immagino vi abbiano detto che visiteremo i set insieme. Quando sarebbe più conveniente per voi?»
«Se non le dispiace fisserei un altro incontro per quello e via via cercheremo di fissare gli appuntamenti, compatibilmente con gli impegni dei ragazzi. In fondo di tempo ne abbiamo!» «
Oh si insomma...credo dipenda dai punti di vista, ma per me il tempo non è mai troppo!» in fondo tre settimane non erano poi così tante.
«Si ha ragione signorina Chronis, ma credo che otto mesi siano un tempo più che sufficiente per fare tutto, riprese incluse!»



Dieci minuti dopo mi ritrovavo sulla terrazza in cima al palazzo dell'agenzia, con il cellulare spiaccicato all'orecchio, in attesa che qualcuno mi rispondesse.
«Asia ma sei impazzita, sai che ore sono?» bofonchiò David, assonnato, dall'altra parte del mondo.
«Io sarei quella impazzita? Perchè qui sono convinti che io debba restare per otto mesi?»
Silenzio.
«David. Giuro che se non rispondi Vlad l'impalatore ti sembrerà un gentiluomo in confronto a quello che ho intenzione di farti!.»
«Beh avevi detto ti saresti occupata tu di tutto quello che c'era da fare in Corea no?»
«Cosa ti può servire per o-t-t-o m-e-s-i?» domandai, scandendo ogni singola lettera delle ultime parole.
«Sei l'assistente del nostro attore. Anzi no, diciamo che sei la sua manager per quanto riguarda il film. Ho bisogno di qualcuno che stia a Seoul, non ti aspetterai che ci venga io vero?»
«Sì! Mi aspettavo ci venissi tu perchè sei un dannato regista!!!»
«E tu sei la mia assistente no? Poi lo sai benissimo che è un film così....giusto per riguadagnare mercato in Asia..»
«Tu. Brutto pezzo di idiota, non puoi farmi partire dicendomi che starò via solo qualche giorno e tenermi invece qui per MESI!»
«Ma io lo faccio per te, tesoro, solo così potrai farti l'esperienza....»
Non finì mai quella frase. Fu travolto prima dallo tsunami di insulti che gli riversai contro, in inglese prima, in greco poi, e, per concludere, in inglese misto a greco. Riattaccai il telefono con violenza, prima di spegnerlo del tutto pur di non dover sentire lui e le sue assurdità per la centesima volta. Mi voltai a guardare il panorama davanti a me e sentii una fitta al cuore. Quel posto che tanto mi aveva terrorizzato sembrava stringermi intorno a me in una morsa dalla quale non riuscivo a liberarmi. Cominciai a respirare a fatica, mentre lo sguardo sembrava appannarsi. Il cuore batteva troppo forte, sembrava quasi che volesse scappare via dal petto. E poi, improvvisamente, l'aria sembrò mancarmi nei polmoni e avrei solo voluto urlare. Probabilmente lo feci.
«Hey, tutto bene?» mi chiese qualcuno.
Non appena i miei occhi riuscirono a mettere a fuoco di nuovo, notai un volto affatto familiare che mi stava fissando.
«Mhmm si sono solo arrabbiata» borbottai, cercando di allontanarmi, ma rischiando di cadere al primo passo fatto.
Il tizio che era lì con me, chiunque fosse, aveva però degli ottimi riflessi e mi prese giusto in tempo, evitandomi una caduta rovinosa. Mi fece accomodare su una delle panchine presenti sul terrazzo e mi offrì una bottiglietta d'acqua. Non ero mai stata il tipo di persona che si faceva problemi a bere lì dove avevano bevuto altri, figuriamoci adesso che la vista dell'acqua mi aveva fatto rendere conto di quanto la gola mi bruciasse. Afferrai la bottiglietta senza troppi complimenti e, dopo averla aperta, ne presi una generosa sorsata.
«Va meglio?» mi domandò lui. Io mi limitai ad annuire.
«Tu chi sei?» gli chiesi, prima di tornare a bere.
«Choi Siwon, piacere di conoscerti»
Per poco non gli sputai l'acqua in faccia. Se lui era Choi Siwon questo voleva dire che...
«...tu sei quello che ha firmato il contratto con la Paramount!» gemetti quasi. Non era possibile. Ero imprigionata a fare da assistente a quella specie di Cicciobello dagli occhi a mandorla per i prossimi duecentoquaranta giorni?
«Sì...e tu devi essere l'assistente di cui parlavano»
A quelle parole cominciai a stritolare la bottiglia ormai vuota. Possibile che tutti sapevano che sarei dovuta essere l'assistente di quel bellimbusto ed io no?
«Ho detto qualcosa di sbagliato?» mi chiese Siwon, notando la mia reazione.
«No. Semmai qualcuno non mi ha detto qualcosa qui...» borbottai.
Dopo svariati minuti di silenzio cominciai a sfogarmi, oltre che sulla bottiglia, anche con Siwon, spiegandogli come non fossi al corrente di quel piccolo dettaglio del contratto e che mi avevano detto che il mio viaggio in Corea sarebbe stato solo di pochi giorni, mentre invece mi trovavo bloccata lì per otto mesi. Otto mesi in cui avrei potuto fare tante altre cose stando a Los Angeles, in cui avrei sicuramente fatto più esperienza che stando lì....
«Seoul non ti piace proprio eh?» mi interruppe ad un certo punto, con un sorriso divertito.
«Non è che non mi piace è che....odio camminare per le strade e non riuscire a leggere niente di quello che mi circonda. Mi fa sentire sola e smarrita...come se avessi bisogno di una baby sitter ed odio sentirmi così. E poi il fatto di dover sempre dipendere da qualcuno non aiuta a rendere la cosa più familiare...insomma è come avere a che fare con uno straniero che non ha nessuna intenzione di mostrarsi bendisposto nei miei confronti, anzi, che fa di tutto per chiudermi le porte in faccia...» non me ne ero accorta, ma avevo cominciato di nuovo ad avere il respiro corto. I palmi delle mani mi stavano sudando e li sfregai nervosamente sui jeans.
«Calma, calma....» disse Siwon, portando un dito sotto il mio mento, in modo da potermi inclinare lievemente la testa all'indietro.
Mi trovai a fissare il cielo limpido, in cui cominciava a vedersi qualche striatura colorata del tramonto.
«Adesso vedi delle differenze tra qui e Los Angeles?» mi chiese. Io mi limitai a scuotere la testa, girando appena lo sguardo nella sua direzione. In quel momento mi resi conto che anche lui, come me, era con il naso all'insù, nel tentativo di perdersi tra le nuvole.
«Questo è perchè non importa dove tu vada, sei sempre sotto lo stesso cielo. Finchè il cielo sopra di te resta lo stesso, puoi dire di aver lasciato casa?»
Non risposi, ma restai lì a guardare le strie d'oro che divoravano l'azzurro e bagnavano gli sbuffi di nuvole che si erano raggruppate in angoli distanti. Più guardavo quello spettacolo più mi dimenticavo di dove ero e perchè ero lì. Dopo dieci minuti in cui l'oro aveva cominciato ad essere inseguito dal corallo e quel poco di azzurro che era rimasto si stava trasformando in cupo indaco, non ricordavo quasi l'esistenza di David. Era come se esistesse solo quel susseguirsi di colori.
«Va meglio?» mi domandò improvvisamente Siwon.
«Decisamente» mormorai, risollevando la testa da quella posizione e tornando a guardarlo.
«Bene. Il nostro manager ti lascia questa....ci troverai tutti i vari impegni già presi, così non avrai difficoltà ad organizzare i tempi di lavoro»
Afferrai l'agendina di pelle lucida blu zaffiro che mi stava porgendo ed annuii, ficcandola in borsa.
«Adesso muoviti, ti porto a cena da me. Mi pare tu abbia bisogno di un ambiente familiare»
«Cosa? No...non se ne parla nemmeno! Non voglio mica disturbare così....e poi non dovrei essere io quella che ti organizza le cene?» stavo dicendo frasi sconnesse tra loro, ne ero consapevole, ma non ero intenzionata ad andare a cena con lui da nessuna parte.
«Nessun disturbo, ai miei farà piacere conoscerti, visto che dovremo passare insieme molto tempo nei prossimi mesi»
Momento, momento, momento. Aveva detto che ai suoi avrebbe fatto piacere conoscermi? Non saremmo stati a cena da soli, questo era vero, ma l'idea di una cena con un'intera famiglia coreana mi terrorizzava ancora di più, se possibile.
«Ce ne sarà di tempo per conoscermi, non c'è assolutamente bisogno....»
«Mai sentito parlare della famosa ospitalità orientale?»
Dieci minuti dopo ero seduta con lui, nel sedile posteriore dell'auto che ci avrebbe portata a casa sua. Chiusi gli occhi e contai fino a dieci, sperando che la sensazione di oppressione sul petto mi passasse, ma non funzionava. Alla fine, mentre stavo per chiedere all'autista di accostare per farmi prendere una boccata d'aria, lanciai uno sguardo fuori dal finestrino. Il tramonto oramai tingeva il cielo in tutta la sua bellezza. Una purissima esplosione di colori intensi che tinteggiavano le cime dei palazzi facendole quasi sparire in quella fornace di luce. Improvvisamente respirare non era poi così difficile.
Quello era lo stesso sole che batteva sopra i tetti di Los Angeles. Se ero sempre sotto lo stesso cielo, in fondo, non potevo essere così lontana.



Author's Corner
Questa storia partecipa alla Four Elements Challenge.

Elementi: Aria e Fuoco
Prompt del capitolo: Cielo
  
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