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Autore: shesfelix    03/06/2012    2 recensioni
Questa è la mia prima ff in assoluto, quindi spero siate comprensivi se non è il massimo. Ce la metterò sempre tutta per migliorare e rendere più comprensibili possibile gli avvenimenti e gli stati d'animo.
Il titolo è una frase latina che significa "se tu sarai felice, lo sarò anch'io". Se volete contattarmi su twitter, sono @shesfelix. Vi sarei anche grata se recensiste per farmi sapere come vi sembra. Grazie in anticipo!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Evanna

«Ti ho cercata per tutta la casa! E perché la finestra è aperta? Si gela!» esordì una voce delicata.
«Louis…» mugugnò. Strizzò leggermente gli occhi. Si sentiva distrutta: si era di nuovo addormentata sulla poltrona della libreria, in una posizione alquanto scomoda; e per di più, aveva sognato per l’ennesima volta (da circa quattro anni) quel ragazzo. Tutto si ripeteva sempre nei minimi particolari. Ormai aveva smesso anche di chiedersi se fosse successo davvero o era solo frutto del suo bisogno di colmare quell’enorme vuoto.
 
Louis

Rabbrividì, non appena ebbe chiuso la finestra. Acciderbolina, che umidità…!, esclamò tra sé e sé stringendosi nella felpa consunta dell’Hollister. Gli mancava, quel negozio. Non ci metteva piede precisamente da tre anni, otto mesi e quattordici giorni. Da quando loro padre era andato in bancarotta si erano costretti a risparmiare ogni singolo penny; avevano dovuto vendere casa, mobili, auto, argenteria, gioielli; dovuto dire addio a comodità e abitudini…
«Evy, così ti prenderai un malanno di quelli mai visti, ne sei consapevole?» chiese accigliato. Dalla morte dei loro genitori (due anni prima a causa di un maledetto incidente d’auto) e, nel giro di poco tempo, quella improvvisa dello zio che si era preso cura di loro, Simon, era diventato iperprotettivo nei confronti di sua sorella. Erano rimasti soli al mondo e lui aveva acquisito sulle proprie spalle il peso di tutte le responsabilità, essendo il maggiore. Era cresciuto d’un tratto, nonostante fosse comunque rimasto un “Peter Pan” nel profondo e avesse conservato i suoi modi “aristocratici”.
Lo zio Simon abitava a Londra. Aveva lasciato tutto ai suoi nipoti, ma lì non era facile vivere, soprattutto se si possedeva una casa con esercizio commerciale sottostante -specificatamente una libreria- da mandare avanti a diciannove anni. Aveva rinunciato persino all’università. Gli affari non andavano bene come per suo zio; aveva ancora tanto da imparare.
 «Sì, Louis…» si schiarì la voce mettendosi composta.
La guardò con un sorriso intenerito. Anche Evanna era maturata, più di quanto si potesse aspettare. Aveva dovuto sopportare l’abbandono delle sue “migliori amiche”, l’adattarsi a nuovi ritmi di vita, i lutti, il trasferimento… Aveva superato quasi tutto in fretta, levandosi di dosso l’aria da bambina viziata. Gli ricordava troppo la mamma. Lei e suo marito mancavano, a entrambi. Louis cercava di non farglielo pesare. Voleva solo il meglio per sua sorella.
«La colazione è già pronta. Dovresti correre in cucina se non vuoi che si freddi!» avvisò scompigliandole la chioma dai ricci color dell’oro. Obbedì senza fare storie: si alzò assonnata, gli impresse un bacio sulla guancia e filò su per le scale. Era tanto fiero di lei.
 
Harry

Driiiiiiiin.
Harry mugugnò, annaspando con la mano, e spense la sveglia. Non aveva mai odiato così tanto quel suono da quando abitava a Londra, dato che segnava l’inizio del nuovo anno scolastico. Andare a scuola era diventato un incubo -nonostante a lui piacesse studiare- e, se non fosse stato per Rebecca e Charlie, avrebbe già rinunciato alle sue aspirazioni.
Si rilassò tra le lenzuola, sorridendo nello scorgere le persone ritrarre nelle foto sul comodino: sua madre Anne, le due amiche, e poi lei, Elisabeth. Conoscerla era stata una delle cose migliori della sua vita, non tanto per il fatto che fosse  di nobili origini (era imparentata con i reali inglesi) o che la sua famiglia avesse accolto in casa sua lui e Anne offrendole l’impiego di cameriera; semplicemente, era stato fortunato perché in Liz aveva trovato tutto quello di cui aveva bisogno: una persona che gli volesse bene e lo accettasse per quello che era.
 
Elisabeth

La gente e le cose scorrevano velocemente sotto i suoi occhi e le gocce di pioggia picchiettavano sui vetri oscurati della limousine nera.
«Harry, ti sarei grata se la smettessi di tamburellare sulla maniglia, grazie…» ammonì pacatamente. Il ragazzo si bloccò all’istante. A Elisabeth dispiacque di essergli rivoltasi con quel tono; non faceva parte della sua indole. Quel giorno era particolarmente in ansia: era il suo primo giorno in una scuola pubblica e voleva dare la migliore impressione di sé. Voleva essere giudicata per le sue capacità e non favorita per la sua posizione sociale. Aveva talmente assillato i suoi genitori che alla fine avevano accettato, e così adesso era diretta all’istituto frequentato dall’unico vero amico che avesse mai avuto. Sarebbero stati insieme, lui l’avrebbe aiutata ad ambientarsi, e poi moriva dalla voglia di conoscere le amiche di cui aveva tanto sentito parlare.
Ed ecco che l’auto si fermò davanti all’imponente edificio di mattoncini rossi circondato dal verde, la London’s High School. Harry andò ad aprirle lo sportello munito di ombrello. Lo ringraziò con un sorriso, mentre James li salutava per riportare l’auto a Green Park. Si guardò attorno. Quel posto già iniziava a piacerle.
«Io entro a prendere gli orari, poi devo fare un salto in libreria qui vicino per ritirare il libro che ho ordinato»
«Potrei andarci io, sempre se non ti dispiace» suggerì desiderosa di essergli d’aiuto.
«Mi faresti un gran favore, Liz…!» Le diede le indicazioni. «C’incontriamo all’entrata principale!» e lo vide correre tra gli studenti riparandosi con la cartella.
Sospirò e iniziò a camminare tra le vie. Tutto le sembrava nuovo. Dopo qualche minuto lesse l’insegna “Tommo’s library”. Che nome strano!, pensò sbattendo le ciglia. Doveva essere quella. Si fece coraggio ed entrò, provocando il tipico suono della campanella.
«Arrivo!» disse una voce dal retro accompagnata da vari rumori.
Elisabeth si guardò intorno. Era un locale accogliente, con i mobili di un rilassante celestino e le poltrone color panna sparse in giro con qualche tavolino.
«Un attimo e sono subito da lei» Il proprietario fece la sua comparsa a testa bassa con due libri in mano. «Scusi l’attesa, stavo…» alzò lo sguardo e si bloccò. Elisabeth ebbe un colpo al cuore.



Ed ecco a voi il primo e vero capitolo di questa ff! Come avrete capito, quello descritto nel prologo era solo un sogno, da adesso incomincia la vera storia.
Vi prego di farmi sapere che ne pensate o di avvertirmi se ci sono errori nella trascrizione. I primi capitoli sono un po' corti, ma piano piano saranno più corposi. Spero che vi appassioniate sempre di più. Baci, Fel.
  
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