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Autore: Arrow    03/06/2012    3 recensioni
Quando arrivarono nei pressi di un piccolo parchetto, Jude tirò fuori dalle tasche il cellulare e controllò l’ora. Le 11.45.
« Senti Rob io de- »
« Bene! Qui sarà perfetto! » lo interruppe.
Il biondo guardò male l’altro che gli sorrise di rimando per poi avviarsi all’interno del parco.
Jude lo seguì con fare nervoso, sì, si stava incazzando. Quella mattina Robert era più strano del solito e, se inizialmente credeva che tutto fosse dovuto alla rottura con la sua ragazza, ora cominciava a pensare che fosse solo una banale scusa per dare di matto, per dare sfogo ad un qualche cumulo di frustrazione che gli si era venuto a creare dentro.
{ Il rating potrebbe subire variazioni. }
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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{Capitolo interamente dedicato a Rob ♥}

 

 

-In my veins.

~ Capitolo 6 - Oh you run away, I am not what you found . 

 

Robert ricordava perfettamente quando il suo cervellino aveva iniziato a mandargli segnali di aiuto: la sera prima aveva litigato con Susan e quel giorno – per educazione fisica – la sua classe sarebbe andata in piscina. Lui e Jude erano conosciuti come il duo che impiega sempre secoli per prepararsi e neanche quella volta le cose furono diverse. Quando rimasero solo lui e il biondo nello spogliatoio e quest’ultimo s’era tolto gli slip, Robert aveva sussultato involontariamente, in preda ad una specie di attacco d’asma improvviso. Jude s’era rivestito in fretta e furia notando che c’era qualcosa che non andava nell’amico, ma il maggiore lo aveva rassicurato dicendogli che si sarebbe ripreso e che andava tutto bene. Nonostante avesse creduto di crepare lì su quella panchina di legno, la sua reazione al corpo di Jude lo aveva decisamente sconvolto maggiormente e gli aveva lasciato addosso una strano senso di terrore che non lo aveva abbandonato poi per giorni.

Forse era soltanto un brutto scherzo che il suo io gli stava giocando. Era difficile anche per lui, che era un ragazzo non propriamente brillante, ma di mentalità aperta, pensare di cambiare radicalmente la visione del mondo e di sé stessi nell’arco di… quanto, due settimane?!

Aveva tentato diversi metodi per “verificare” ciò che sia il suo cervello sia il suo cuore si ostinavano a fargli credere. Probabilmente anche il fatto di non essere mai realmente riuscito ad avere una vera e propria relazione stabile con una ragazza, aveva influito sul suo modo di essere. Dopo avervi meditato, comprese che più le ragazze che aveva frequentato provavano ad avvicinarsi a lui, più lui tendeva ad essere diffidente e distaccato; come se non volesse che il suo spazio privato fosse violato. Magari era sempre stato gay e doveva semplicemente scoprirlo! Anche se avrebbe preferito che ciò si verificasse in circostanze meno disastrose.

Jude. Anche lui era stato oggetto dei suoi pensieri. In fondo era grazie a lui, o meglio dire a causa sua, che aveva realizzato di essere quello che era.

Dopo il confronto con l’altro, Robert aveva riflettuto parecchio, come mai aveva fatto in vita sua, ma era comunque giunto alla conclusione che non poteva fare altrimenti, doveva allontanarsi ed allontanarlo da sé. Sentiva, però, che il disprezzo del suo amico gli avrebbe logorato presto l’animo, ma come tutte le altre cose ci avrebbe fatto i conti.

Quella mattina aveva quasi rischiato di svegliare l’intero quartiere, quando, entrato in bagno, aveva prestato attenzione alla sua figura riflessa nello specchio. Un grido talmente forte era risuonato nell’aria che lui stesso si sorprese di quanta voce potesse avere appena sveglio. Diamine, era un mostro! Le sue occhiaie erano talmente scavate che sembrava che la sua pelle fosse corrosa e il suo aspetto in generale tradiva una devastazione interiore da fare concorrenza ad un depresso complessato. E sicuramente la sua barba incolta non migliorava la visione generale…

Dopo quella pessima esperienza Robert capì che aveva decisamente bisogno di aiuto, ma… chi poteva aiutarlo? Aveva inizialmente pensato a Shannon, ma non poteva riavvicinarsi a lui e agli altri senza aver prima sistemato almeno un po’ le cose e così escluse tutti quanti quelli del suo gruppo. Anzi, in quei giorni aveva deciso che non sarebbe andato a scuola, così da lasciare il tempo a Jared e gli altri di metabolizzare il suo distaccamento senza che questi inveissero contro di lui alla prima occasione.

Quindi… chi rimaneva?

Con quell’interrogativo in testa se ne andò in camera sua, dopo aver pranzato solo con la cameriera che lo serviva. Aveva decisamente messo in tensione quella povera donna; durante tutto il pasto non aveva fatto altro che tamburellare le dita sul ripiano del tavolo e il piede a terra; facendolo sembrare insoddisfatto. La poverina non era riuscita neanche per un secondo a frenare il tremolio delle labbra e delle mani, rischiando più volte di far cadere tutto il cibo. Solitamente Robert compieva quei gesti inconsapevolmente, ma quel giorno era seriamente spazientito poiché non sapeva a chi rivolgersi. Andare da uno psicologo strizzacervelli era fuori questione, anche se i suoi non avrebbe di certo obiettato, ma pensò che rivolgersi a qualcuno con una laurea in materie umane sarebbe stata l’ultima, ma proprio ultima, spiaggia.

Entrando nella sua stanza non potè che pensare a quanto fosse disordinata. Anche questo suo aspetto era cambiato: prima se ne sbatteva e basta, ma in quel frangente si accorse che forse un minimo d’ordine avrebbe dovuto esservi; tanto per far sembrare civile la persona che vi dormiva dentro. Notò anche una pila di fogli sulla scrivania, e ebbe l’impulso di andare a bruciarli da qualche parte, compiendo un rogo di vanità; ma un flash improvviso attraversò la sua mente. Quei giorni sarebbe mancato da scuola, quindi chi gli avrebbe portato i compiti e le cose da studiare? Di solito era lui che se ne occupava… Era più logico, però, far svolgere quel compito ai fratelli Leto dato che vivevano di fronte, ma la condotta scolastica dei due aveva fatto desistere Robert a priori.

Poco male, si sarebbe beccato delle sgridate dai professori.

Dopo essersi grattato la testa, pensò che fosse meglio almeno dare una parvenza di ordine tra i quaderni e i libri così si mise a sistemare anche quei dannati e fastidiosi fogliacci.

Frugando tra questi, un foglietto di medie dimensioni, vagamente più rigido degli altri e di colore verde, spiccò ai suoi occhi.

“Club di fotografia: a cura di Tobey Maguire.”

Robert, preso da un strano impulso di curiosità, scorse a gran velocità, senza però perdersi una parola, le righe scritte sul volantino, fino ad arrivare a ciò che cercava.

« Sì, c’è anche il suo numero! » esultò il moro.

Non sapeva se stesse facendo la cosa giusta; era da un po’ che gli sembrava di mettere il piede sempre nella parte sbagliata della strada, ma tentare non aveva mai nuociuto a nessuno e poi, quel Tobey sembrava un tipo apposto.

 

*

Pensava che si sarebbero ritrovati in un bar, dato quello che gli aveva accennato il ragazzo al telefono, ma seguendo le sue indicazioni, Robert giunse alla conclusione che probabilmente si era sbagliato.

Ringraziò il cielo: nei bar il rischio di incontrare qualcuno di molesto o inappropriato era sempre presente.

Calciò l’erba, mani in tasca, preda della più incredibile noia. Era venti minuti che stava aspettando il suo coetaneo in quel parco, che a primo impatto gli aveva suscitato un senso di profondo abbandono, ma che poi aveva rivalutato come tranquillo e ideale.

Alzò lo sguardo al cielo e contemplò le nuvole. Pensò che le cose erano degenerate talmente in fretta che ancora non era riuscito a realizzare la complessità, e conseguente gravità, della situazione.

Il respiro gli mancò per un attimo, una folata di vento gli ovattò l’udito.

“Ne vale davvero la pena? Riuscirai davvero a vivere senza la sua amicizia?”

La memoria lo riportò a quella dannata mattina. Il lieve sfioramento delle sue labbra con quelle del suo migliore amico riaffiorò tra i suoi sensi. Si morse l’interno della guancia, digrignando i denti.

“A che cazzo stavo pensando?”

« Ehi! Scusami se ti ho fatto aspettare! »

Si voltò e vide Tobey rallentare dopo la corsa.

Camicia a scacchi neri e verde scuro, jeans in parte strappati, converse e giacca di pelle. Dopo aver osservato la sua diversa acconciatura, commentò mentalmente, pieno di vergogna, che era decisamente carino.

Sorrise « Ho avuto degli impicci e non sono riuscito ad arrivare prima! »

« Ah, non ti preoccupare. Sono arrivato da poco anche io. » mentì. Non voleva fargli pesare il suo abbondante ritardo.

I due si addentrarono nel piccolo angolo verde e si sedettero su una panchina diroccata.

« Mi dispiace di averti chiamato e chiesto di uscire, senza il minimo preavviso. »

Si stava scusando; Robert aveva solo in quel momento realizzato che forse era stato parecchio indiscreto e che Tobey avesse potuto definire quell’invito decisamente strano.

« Di che ti scusi? Mi fa piacere aiutare. »

Robert distolse lo sguardo dal sassolino che aveva continuato a fissare da quando si era seduto, e lo puntò verso il moretto, sbalordito.

« L’ho capito dal tuo tono di voce. » non si scompose alla sorpresa del maggiore. « Hai vacillato alla fine, nel chiedermi se mi andava di vederci e così ho dedotto che doveva trattarsi di qualcosa di serio. » scorse con la schiena ed appoggiò la testa allo schienale della panchina, chiuse gli occhi e inspirò tranquillamente.

« Sembri uno psicologo, lo sai? » disse Robert divertito, contagiando con la sua risata anche Tobey.

« Con me puoi parlare di tutto, ricordalo. »

Robert si perse nei suoi occhi e sorrise.

« Perché lo fai? »

« Posso essere sincero? » Robert annuì. « Non ne ho idea. Sarà perché ti ho preso in simpatia, sarà perché sono un cretino che si prodiga per tutti; non lo so. Mi va e lo faccio. »

Robert notò che l’altro si stava impappinando e si convinse; gli avrebbe confidato tutto quanto. Si fidava profondamente di lui anche se lo conosceva appena e sapeva di non sbagliarsi sul suo conto.

Se non avesse avuto più un briciolo di orgoglio e virilità, gli avrebbe urlato in faccia che gli voleva bene o lo avrebbe abbracciato.

Robert prese un grande respiro e schiarì la voce « Ti è mai capitato di trovarti immerso sino al collo in una situazione senza rendertene conto? Ed esserne il fulcro? »

Tobey rise sommessamente « Sono una persona abbastanza sveglia, e no; non mi è mai successo. » rispose e si beccò subito dopo un pugno sulla spalla.

« Ehi! Mi stai dando dell’idiota? »

Il minore sembrò non aver sentito né il colpo, né la domanda seccata dell’altro, perché continuò imperterrito a ridere di gusto, fino a quando non si risistemò per l’ennesima volta sulla panchina. Questa volta si girò completamente verso Robert, gambe incrociate e sguardo ora serio.

« No, non mi è mai capitato, ma scommetto che a te sì. »

Robert respirò rumorosamente e abbassò gli occhi rattristato. « Già » assentì. « Ed è complicato. Dannatamente complicato; e non so cosa fare. Io stesso ho voluto allontanarmi per non fare del male ai miei amici, ma ora… sono decisamente messo male. »

Tobey sembrò percepire la tristezza dell’altro e sorrise timidamente « Che è success- »

« Sono diverso. » sguardo oramai cupo, spento, rassegnato.

Il moretto trattenne il fiato, preso alla sprovvista. « Diverso? »

Il maggiore dei due si morse il labbro inferiore. Gli veniva da piangere, ma non poteva. Si era ripromesso di affrontare la cosa da adulto; non voleva scoppiare in lacrime di fronte a Tobey. « Non sai quanto è difficile parlarne. Me ne rendo conto solo ora. Io… » si portò una mano davanti agli occhi, senza voler accennare ad alzare la testa.

Tobey si accorse che il tempo stava diventando decisamente pessimo e i suoi presentimenti furono accertati da un tuono in lontananza. Non sapeva perché, ma forse capiva cos’era quel peso enorme che vedeva aleggiare sopra l’animo dell’altro. Probabilmente era inconsciamente consapevole di ciò che stava passando e quella sensazione gli stava provocando una strana reazione; era nervoso e non riusciva a smettere di torturarsi le mani.

« Io sono… gay, Tobey. » esordì, alla fine. Una freccia che squarcia l’aria, un uomo che corre attraverso un prato sconfinato. La scia di un aereo nel cielo. Avrebbe potuto paragonare tutte queste cose alla sua dichiarazione. Schietta, coincisa e assolutamente chiara.

Tobey non era mai stato un ragazzo sicuro di sé, e il fatto che tutti lo avessero sempre chiamato “Sfigato nerd!” non aveva di certo aumentato la sua autostima.

Però durante il secondo anno di liceo, due anni prima, aveva incontrato una persona speciale che gli aveva cambiato la vita; per molti aspetti, in molti sensi.

Odiava quella persona, ma poi aveva imparato a conoscerla ed apprezzarla, sino ad innamorarsene perdutamente.

L’amore incondizionato che provava lo aveva portato a trovare la forza di confessarsi, ma ciò che ottenne fu un “Diventa più forte; affronta il mondo e poi torna da me.”

Lo fece, perché quel sentimento valeva più di tutto, perché per quel sentimento sarebbe stato capace di scalare una montagna e correre per tutto il pianeta. A scuola rispose a tono a chiunque provò ad insultarlo o ad attaccare briga con lui e aveva anche tirato un pugno ad un bullo; che poi glielo aveva rifilato con tanto di interessi, ma lui ne era uscito vittorioso. Lui aveva affrontato il mondo senza paura ed era pronto.

Ma si sa, nella vita, non si è mai pronti abbastanza. E lo stesso fu per Tobey…

Non riuscì mai a mostrare a Matt con quanto coraggio aveva conseguito ciò che lui sapeva che sarebbe riuscito a fare. Non ebbe abbastanza tempo.

Matt gli fu portato via da un tragico incidente d’auto, il giorno stesso in cui Tobey aveva vinto, aveva vinto per lui.

Abbassò il capo, non voleva vedere quelle lacrime. Quelle lacrime in cui probabilmente si sarebbe specchiato.

“Fottuto riflesso del passato.” Pensò, sorridendo amaramente.

« Non piangere, Robert… ti prego. » voce strozzata.

Il maggiore sussultò e si toccò uno zigomo. Stava… davvero piangendo?

Si asciugò in fretta con la manica della felpa e forzò un tono di voce tranquillo. « Lo so, sei sconvolto. Mi dispiace, i- »

Un tocco caldo, come un sorso di the che scende lieve e delicato lungo la gola, deliziando i sensi, dando pace. Fu così che trovò l’abbraccio del più piccolo; uno sprazzo di serenità, una bolla che poteva proteggerlo, seppur brevemente e illusoriamente, da quella che era l’orribile realtà.

Non si agitò molto per quel gesto; era come se lo aspettasse da quando si erano incontrati, ma qualcosa non andava. Tobey non diceva nulla.

« A volte per alcuni la diversità è un punto d’incontro, lo sai Rob? » sussurrò. A Robert sembrò che l’altro fosse sul punto di seguirlo a ruota nel suo pianto silenziosamente doloroso, ma interruppe quel pensiero cogliendo il senso di quelle parole.

Sgranò gli occhi e posò le mani aperte sulle spalle dell’altro, lo fissò negli occhi… e comprese ogni cosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Salve a tutti! Eccoci qua col capitolo dedicato a Robertino. :3 Beh, non ho granchè da dire; spero solo di riuscire ad aggiornare presto! E dal prossimo capitolo: SVOLTA! (della serie: era anche ora. y.y ma per questa storia voglio far sviluppare le cose con calma, anche perchè se non lo facessi non verrebbe com'è stampata nella mia mente *sproloqui senza senso;* Ok, me ne vado, che è meglio. Alla prossima carissimi :) ♥ 

   
 
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