Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: Ninfea Blu    03/06/2012    2 recensioni
Salve a tutte. E' la prima volta che scrivo in questa sezione, ma sono affascinata dal personaggio del dottor Cullen, che trovo complesso e interessante, quindi ho voluto provare. Attraverso questa ff, affronto una tematica che mi interessa molto. Ho cercato di rispettare il personaggio e di svilupparlo raccontando la sua esistenza e le sue esperienze.
2° cap - "Mio padre: mi era capitato di pensare a lui... mi chiedevo come avesse reagito alla mia scomparsa, se mi avesse fatto cercare."
5° cap - "Heidi mi inquietava; era un misto di grazia ultraterrena unita a una fisicità fatta di carne e sangue. Sentivo nei suoi confronti una specie di repulsione che si mischiava all'attrazione."
9° cap - "Il mio incontro col destino avvenne una fredda mattina di febbraio, con la luce chiara che entrava attraverso la finestra del mio studio e illuminava il volto delicato di un'umana, una donna che all'epoca era la moglie di un altro uomo."
Non so se la dicitura spoiler sia corretta, di fatto non è una if. Accetto consigli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Heidi, Tanya, Un po' tutti | Coppie: Carlisle/Esme
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
29 - Incontri inaspettati

29 – Da Toronto a Forks

 

 

La guerra in Europa presto sarebbe finita, ma gli ultimi colpi di coda della belva che aveva aggredito il mondo furono violenti.

Le truppe tedesche non volevano ritirarsi dai territori occupati, benché colpite duramente dalla resistenza partigiana che trovavano tra i popoli che avevano tentato di sottomettere. Le rappresaglie erano feroci, quanto la lotta per non cedere all’oppressore. Il Regno Unito aveva resistito all’invasione e gli inglesi collaboravano con le truppe americane. Ma la guerra miete vittime da ambo le parti.

Anche molti dei nostri cadevano.

Il ministero della guerra spediva ai quattro angoli del paese telegrammi alle donne, madri e mogli di soldati caduti al fronte.

Un collega che lavorava nel mio stesso reparto di medicina generale, ricevette la triste notizia che suo figlio era stato ucciso da un cecchino in territorio nemico.

E presto anche Adam, da ebreo, avrebbe solo potuto piangere sull’orrore più profondo che l’umanità potesse immaginare.

In quel clima di angoscia e dolore quasi non riuscivo a convincermi della fortuna che era toccata a me, che avevo potuto riabbracciare mio figlio.

Avevo smesso di pregare tanto tempo prima, convinto che le mie preghiere non fossero degne di essere ascoltate, ma adesso tutti i giorni ringraziavo quel Dio misterioso e incomprensibile, che aveva concesso una tale grazia ad una creatura infernale qual’ero; non mi pareva di meritare tanto, mentre tanti giovani dall’altra parte del mondo perdevano la loro vita.

Hitler doveva essere furioso, ma non volle mai contemplare la resa, almeno fino all’ultimo, quando ormai palesemente sconfitto si tolse la vita nel suo bunker a Berlino.

I venti della tempesta si stavano placando e fu l’inizio di un periodo di gioia, una profonda felicità che persiste ancora oggi, nonostante tutto, anche a dispetto degli innumerevoli spostamenti fatti attraverso gli anni, da un territorio all’altro degli Stati Uniti; avevo compreso nel tempo e dalle esperienze vissute che ero a casa ovunque fosse la mia famiglia, con mia moglie e i miei figli il cui numero era destinato a crescere ancora.

Fu bello ritrovare e ricostruire il legame con mio figlio; sviluppai una sintonia tale con lui che non avevo mai avuto in quel nostro passato, segnato da troppi conflitti e incomprensioni.

Edward abbracciò senza altre esitazioni lo stile di vita ‘vegetariano’ , ma non aveva mutato la bassa opinione di sé stesso; semmai, con la sua discesa agli inferi, si era esacerbata la convinzione di essere un demone senz’anima, ma almeno ora riconosceva pienamente le mie ragioni e le condivideva totalmente. Era mosso e ispirato dalla volontà ferrea e assoluta di non ricadere nell’errore.

“Sono e resto un mostro, Carlisle; questa è una cosa che non posso cambiare, ma da ora in avanti, per quanto sarà possibile, cercherò di essere un vampiro migliore. Non cederò mai più al demone che dorme dentro di me; lo relegherò al silenzio, come hai fatto tu. È una promessa.”

Ero sicuro che l’avrebbe mantenuta, leggevo una determinazione assoluta in fondo al suo sguardo.

Instaurò un rapporto amichevole e cameratesco anche con Emmett e molto spesso andavano a caccia insieme; i pensieri sereni e semplici di suo fratello, così diversi e distanti dai suoi, lo distendevano. A Emmett piaceva giocare e coinvolgeva Edward con l’ entusiasmo un po’ animale che lo distingueva nettamente.

“Avanti lumaca! Scommetto la pelle di un orso che non riesci a battermi nella corsa.”

“Ti farò mangiare la polvere Emmett; comincia a correre, ti do un po’ di vantaggio.”

Effettivamente Edward era più veloce, più agile e scattante, ma in forza bruta Emmett era imbattibile oltre che micidiale.

Un vero carro armato inarrestabile per chiunque.

Io e Esme restavamo lì, a guardare i nostri figli correre veloci attraverso la foresta, come due ragazzi che si sfidavano in gare di resistenza, mentre i tiepidi raggi del sole filtravano qua e là tra le foglie verde scuro, facendo brillare le loro pelli bianche come avorio.

Avevo la sensazione di aver raggiunto la completezza della mia vita, mentre osservavo i loro volti distesi e il sorriso amorevole di Esme che si stringeva a me, serena e appagata.

Era un momento perfetto, come forse non ne avevo mai avuti.

Nella quiete suprema della foresta, anche l’aria pareva immobile attorno a me, il tempo e lo spazio sembravano congelati nell’eternità; in quel sacro silenzio niente faceva pensare alle bombe che cadevano sulle città in Europa.

 

Edward tornò a scuola a Toronto insieme a Emmett e Rosalie, riprendendo a comportarsi come un normale ragazzo di diciassette anni. I suoi occhi erano tornati quasi dorati, mantenevano solo una lieve sfumatura che dava sull’arancio.

Eravamo a gennaio e le temperature si erano molto abbassate e la neve ricopriva le strade della città, le pianure attorno e le maestose foreste canadesi teatro delle nostre battute di caccia.

Tutto era avvolto nella morsa del gelo e il sole pallido dell’inverno non aveva la forza di oltrepassare lo strato denso delle nubi che coprivano il cielo, quindi, potevamo esporci alla luce chiara del giorno senza temere di essere scoperti.

 

Passò un altro anno senza che accadesse nulla di eclatante.

Il ritmo della nostra vita era sempre quello, scandito dal passaggio delle stagioni, salvo qualche piccola insignificante variazioni: un alunno difficile dal carattere ribelle per Esme, l’inserimento per lei in una nuova classe, un nuovo collega all’ospedale sostituiva quello che andava in pensione. I nostri rapporti sociali con la comunità erano sempre la cosa più difficile da gestire; avevamo la necessità di inventare scuse convincenti per evitare inviti a cena, feste di compleanno e altre simili ricorrenze troppo umane.

Nel maggio del ‘43 Rosalie e Emmett decisero di sposarsi.

Era diverso tempo che ci stavano pensando, ma avevano sempre dovuto rimandare per cause di forza maggiore, o perché non si presentava mai l’occasione propizia. Rosalie desiderava un vero matrimonio completo di cerimonia e luna di miele. Era un sogno di normalità che coltivava fin da umana; non le pareva vero di poterlo rendere concreto, sostenuta da Esme, che si dimostrò entusiasta. Aiutò la figlia in tutto, come una vera madre commossa ed emozionata; curò i dettagli, gli inviti a pochi umani a noi vicini, come Adam Keller e la sua famiglia, i preparativi della piccola casa a pochi chilometri dalla nostra, dove i novelli sposi avrebbero vissuto soli per un po’ di tempo.

E anche io e Esme ne approfittammo per sancire la nostra unione in maniera definitiva; ci avevamo pensato spesso negli ultimi anni, ma il momento giusto sembrava non arrivare mai. Quale migliore occasione di quella, con tutta la famiglia Cullen felicemente riunita? In un sol giorno furono celebrati due matrimoni; evitammo la chiesa tradizionale che mi pareva fuoriluogo per dei vampiri e per l’occasione affittammo una sala esclusiva della città dove avvenne la doppia cerimonia e anche i membri del Clan di Denali lasciarono il loro rifugio in Alaska per venire a festeggiare con noi.

Furono momenti indimenticabili.

Lo sguardo raggiante di Rosalie, radiosa nel suo abito candido come la neve e senza il rosso del sangue a sporcarlo, gli occhi colmi d’amore di Emmett, la tenerezza e la passione di Esme dove abbandonavo me stesso, in balia di una corrente dolce e calda.

“Questo è il giorno più bello della mia vita. Lo ricorderò per sempre. Grazie Carlisle. Non potrei essere più felice di così, amore mio. - Mi disse baciandomi. – Mi spiace solo che Edward sia solo; ha tanto bisogno di qualcuno accanto.”

“Sì, è vero. Forse un giorno incontrerà la persona giusta, ora che ha mutato atteggiamento ed è meglio disposto verso gli umani. – Accarezzai il suo viso di porcellana finissima e la baciai. - Esme, sono io che devo ringraziare te; tu mi hai sostenuto mentre io stavo cadendo. Sei stata e sarai la mia salvezza. Hai dato senso a tutto quanto. Ti amo, Esme. Ti amerò sempre.”

Era triste che Edward fosse solo; credo che in momenti simili, sentisse più forte il peso della sua solitudine, ma non lo faceva né pesare né vedere.

Ma non riusciva a ingannarci fino in fondo.

Sapevo che era contento di poter condividere quei momenti con tutti noi, eppure mi accorgevo del velo leggero e impalpabile di malinconia che adombrava il suo sguardo. In alcuni momenti non potevo fare a meno di pensare a quanto mio figlio fosse infelice di quella vita.

Nonostante il suo potere, era discreto: cercava di non invadere l’intimità dei suoi famigliari.

Si allontanava, vagabondando attraverso i boschi, cercando i posti più belli quanto inaccessibili, e tra i suoni ovattati della natura riusciva a rilassarsi trovando una parvenza di pace.

Molto tempo prima ero stato tanto simile a lui.

Era facile rivedermi in mio figlio, adesso.

Doveva essere difficoltoso convivere circondato dai nostri pensieri senza sentirsi di troppo.

Edward si concentrava su altro, coltivando svariati interessi: oltre a letture di vario genere, si appassionò alla musica classica e non solo; imparò a suonare pianoforte, a comporre brani lasciandosi ispirare dallo stato d’animo del momento. Era molto portato. Suonare lo rilassava e allontanava, anche se per poco, la sua malinconia.

 

Così arrivò anche il 1944.

Cominciarono a filtrare le prime fumose notizie riguardanti Auschwits, Birkenau, Buchenwald, Dachau, solo alcuni dei 20.000 campi di concentramento e sterminio sparsi in Polonia e Germania e di quello che accadeva lì dentro agli ebrei. Ma solo con l’ingresso delle truppe sovietiche ad Auschwits nel gennaio del ‘45 si sarebbe scoperta tutta la portata dell’orrore inimmaginabile di cui furono teatro quei luoghi: vi avevano trovato la morte migliaia di ebrei, giovani, vecchi, donne e bambini soffocati nelle camere a gas, passati per i camini tra il fumo e la cenere che si depositava sui territori attorno.

Solo alla fine della guerra fu spaventosamente chiaro cosa intendeva il Terzo Reich di Hitler per “Soluzione finale”.

Alla fine Adam scoprì che i suoi parenti erano stati deportati nei campi di concentramento, una notizia che lo riempì di scoramento.

Non li avrebbe più rivisti vivi, non tutti almeno. Solo un cugino si era salvato perché un inglese coraggioso lo aveva aiutato a nascondersi, procurandogli dei documenti falsi. Ricordo ancora l’espressione sgomenta di Adam e le sue mani che tremavano.

“Stamani ho ricevuto una lettera dall’Europa: è di mio cugino. La sorella di mia moglie e suo marito sono saliti su uno di quei convogli diretti verso la Polonia. La loro destinazione finale doveva essere Auschwits. Li hanno separati dai loro figli… non ci sono speranze che siano vivi.” la sua voce era ridotta a un singulto.

“Mi dispiace tanto, Adam.” Fu l’unica cosa che riuscii a dirgli.

Il numero esatto di coloro che finirono in questi posti non si sapeva con esattezza, ma furono pochi i sopravvissuti.

La portata di quell’orrore era tanto grande che anche per me era difficile immaginare la realtà di ciò che mi veniva raccontato. Solo le foto ai luoghi e alle persone hanno potuto mostrare al modo la crudezza folle di quelle immagini. Le guerre tirano fuori sempre il peggio dall’animo umano, lo rendono abbietto e lo fanno regredire a una condizione peggiore della bestia, una cosa che avevo sempre saputo; da quei racconti e dalle testimonianze dei sopravvissuti scoprii che l’uomo era stato capace di creare l’inferno sulla terra e di farlo passare per qualcosa di normale e giustificabile. Era sempre sorprendente scoprire quanto il male potesse essere vasto tra gli uomini, oscuro e inspiegabile. Da quella prospettiva la vita di un vampiro era quasi comprensibile e normale; i miei simili uccidevano gli uomini solo per sopravvivere, come fanno anche certi animali in natura.

Gli uomini si uccidevano tra loro dominati dalla follia dell’ odio più feroce e irragionevole, e anche questa sembrava una costante immutabile attraverso le epoche.

 

 

E mentre la storia umana faceva i conti con quello che restava di un mondo alla fine della guerra, ridisegnando confini di stati e un nuovo assetto politico diviso in due blocchi, noi facemmo i conti con un nuovo sorprendente studente che proveniva dalla costa orientale del Canada.

Edward in mezzo agli umani manteneva il suo ruolo di sentinella a protezione della nostra famiglia; ricordo che un giorno di marzo, piombò come un lampo nel mio studio presso l’ospedale, agitato e inquieto. Ammetto che vederlo così mi spaventava sempre un po’, facendomi temere sempre qualche ricaduta.

“Carlisle, dobbiamo partire subito e lasciare Toronto. È incredibile, ma siamo stati scoperti.” Disse senza tanti preamboli, gettandomi sotto il naso un biglietto. Sopra c’era scritto, so cosa siete.

Restai interdetto a fissare quella grafia tremolante per un breve attimo.

“Chi te lo ha dato?” Chiesi apprensivo, alzandomi dalla poltrona e corrugando la fronte.

“Un ragazzo che frequenta la nostra scuola da poche settimane; è un tipo davvero sveglio, così tanto da aver capito che siamo vampiri.”

“Sei sicuro Edward che non si tratti di uno scherzo?”

“Ho sentito i suoi pensieri; all’inizio aveva solo dei sospetti, ma adesso ne è assolutamente convinto. Ha scritto quel biglietto per tastare le nostre reazioni; non saprei dire se è pazzo o soltanto incosciente. Ha iniziato a parlare in giro, anche se gli altri studenti per fortuna non gli danno troppo credito.”

Brian Stone, figlio di un piccolo imprenditore edile, era un ragazzo che aveva la stessa età di Edward, un giovane dalla mente brillante, intelligente e pericolosamente attento a certi particolari che sfuggivano alla maggior parte degli umani.

Era ossessionato dalla vera o presunta esistenza dei vampiri. Conosceva tutte le leggende su di noi, anche quelle più antiche di origine romena che parlavano del sanguinario principe Vlad l’impalatore, la figura ispiratrice del Dracula di Bram Stoker; aveva letto tutte le opere che esistevano in letteratura, conosceva perfino i racconti della tradizione orale originari dell’ Irlanda che avevano ispirato scrittori come Le Fanu, oltre alle storie dei Nativi Americani che parlavano di queste misteriose creature della notte.

Brian osservò con iniziale curiosità l’atteggiamento dei fratelli Cullen, ne studiò lo strano comportamento asociale, ma soprattutto fu colpito dai dettagli fisici dell’aspetto: il pallore mortale, gli occhi che stranamente cambiavano colore, la superba bellezza al limite dell’umano e la grazia dei movimenti. Soprattutto notò che in mensa non toccavano cibo né acqua. Iniziò a insospettirsi.

Edward spiò allarmato i suoi pensieri per settimane, tra una lezione di chimica organica e le pause in mensa. Captò i suoi discorsi con gli altri ragazzi. Rosalie e Emmett erano presenti e ascoltarono con attenzione ogni cosa.

“Non fatevi ingannare dall’aspetto: quelli sono tre vampiri. Hanno un che di agghiacciante. Il loro pallore non è normale e poi avete notato le occhiaie violacee? E non toccano cibo: piatti e vassoi sono sempre intatti alla fine del pasto.”

“Leggi troppi libri sull’argomento, Brian. I Cullen sono semplicemente molto strani, è risaputo; stanno per conto loro e non danno confidenza a nessuno. Magari sai spiegarci perché non si sciolgono al sole! Sono una razza speciale di vampiri?”

I ragazzi sghignazzavano. Naturalmente Brian non veniva preso troppo sul serio, ma il giovane non si lasciava impressionare dalle opinioni dei suoi amici.

“Sì, prendetemi in giro. Posso dimostrarvi che ho ragione. Il padre, il dottor Cullen, è un vampiro anche lui; l’altro giorno sono andato all’ospedale dove lavora: ho finto di avere mal di stomaco per farmi visitare. Quando mi ha toccato ho sentito che era freddo come il ghiaccio, una caratteristica tipica dei non-morti.”

I suoi compagni avevano riso di nuovo, ironizzando.

“Un dottore vampiro! È troppo assurdo! Avrà scelto di fare il medico per avere a disposizione sacche di sangue sempre fresco! Magari non gli piace bere direttamente dal collo delle vittime!”

Edward, Rosalie ed Emmett, seduti al loro tavolo in fondo alla mensa, avevano sentito i commenti e le risa, restando apparentemente imperturbabili. Rosalie si era agitata sulla sedia in preda al nervosismo.

“Questa storia non mi piace. Dobbiamo eliminarlo!” sibilò la bellissima vampira, guardando Brian con ostilità manifesta. Reagiva sempre così di fronte a una minaccia di qualsiasi natura fosse. Emmett le aveva accarezzato la schiena per calmarla, poi Edward aveva parlato.

“Emmett, Rosalie andate subito a casa. Io corro da Carlisle per avvisarlo. Sentiamo cosa vuole fare lui. Voi avvisate Esme e tenetevi pronti per la fuga.”

 

Ora ricordavo la visita di quel ragazzo in ospedale e i suoi occhi che mi scrutavano in maniera sospetta. Non avevo capito perché.

Già in passato mi era venuto il dubbio di essere scoperto, ma in molti casi si era trattato di suggestione; raramente gli umani erano tanto acuti.

Era forse la seconda volta in tutta la mia esistenza che qualcuno intuiva il nostro segreto. La situazione era critica e non potevo sottovalutarla: Brian non era amichevole né bendisposto a tollerare la nostra presenza. Minacciarlo o spaventarlo perché tacesse non sarebbe servito e non era quello che volevo per me e la mia famiglia. Volevo vivere in un clima che fosse il più sereno possibile, non condizionare la vita di un ragazzino. Provare a parlargli per portarlo dalla nostra parte non sarebbe servito; ci considerava demoni pericolosi, creature del male da combattere, e non escludo che ci avrebbe provato, con tutti i rischi del caso. L’unica soluzione che vedevo era la fuga.

L’ennesima e inevitabile.

Ma cercai ulteriori conferme.

 

-         Credi che potremmo convincerlo a fidarsi di noi?

 

“No, Carlisle.”

Edward era sempre fermo davanti a me; conosceva già la mia decisione.

“Vado a casa a prepararmi per la partenza: avevo detto a Emmett e Rosalie di tenersi pronti.”

“Hai fatto bene. Vai avanti; io ho delle cose da sistemare. Vi raggiungerò a breve. Punteremo verso la penisola di Olimpia; è molto tempo che non andiamo laggiù. Un ottimo posto per noi.”

“Ma là ci sono i licantropi, te ne sei dimenticato?”

“No, ma basterà non violare i loro territori. Facemmo un patto a suo tempo; credo sia ancora valido.”

 

Così partimmo precipitosamente quella sera stessa. Lasciai all’ospedale la solita lettera di dimissioni che tenevo sempre pronta per ogni evenienza. Per Brian sarebbe stata la conferma della sua teoria, ma poco importava. L’importante era allontanarsi da Toronto il più velocemente possibile.

Tre giorni dopo eravamo a Seattle.

Pensavo che avrei potuto trovare un impiego presso l’ospedale della città, ma mi dissero che l’organico della struttura era al completo; a causa della guerra i finanziamenti erano pochi, quindi la direzione amministrativa aveva chiuso le assunzioni. Fu così che mi parlarono della piccola cittadina di Forks e del suo nuovo ospedale che ricercava medici specializzati e nuove attrezzature. All’epoca si trattava di un piccolo centro abitato che si sarebbe ingrandito col passare degli anni, collocato a nord della penisola, in un territorio umido e piovoso circondato da foreste, luogo perfetto per viverci, dove il sole usciva assai di rado.

Così decidemmo di stabilirci lì.

Forks negli anni sarebbe diventato un luogo stabile per noi, dove tendevamo a tornare periodicamente.

Appena presentai le mie referenze all’ospedale mi assunsero senza indugi di alcun genere.

Comprammo casa laggiù, a qualche chilometro dalla città vera e propria, una grande casa bianca in stile coloniale, con un grande portico che si affacciava sulla foresta che sorgeva attorno.

Si trattava della prima vera dimora che io e Esme decidemmo di acquistare, un luogo fisso dove saremmo sempre potuti tornare.

I licantropi si ricordavano ancora di noi; vennero a controllarci, perché il nostro numero era aumentato di due unità. Stabilito che non eravamo una minaccia per la comunità ci lasciarono in pace, rammentandoci di rispettare il patto per evitare scontri futuri.

Li rassicurammo che avremmo mantenuto la parola.

 

Ci trovammo davvero bene a Forks.

Una cittadina anonima ma in espansione, dove nessuno aveva mai sentito parlare dei Cullen.

Un clima umido, cieli grigi e piovosi, temperature basse.

Attorno, chilometri e chilometri di foreste che si estendevano fino ai confini del Canada, una fauna ricca e varia, alci, orsi, puma più a nord, le prede preferite di Edward.

Era il luogo ultimo dove tutti i tasselli del quadro della mia vita si sarebbero composti dando forma all’immagine finale e compiuta.

Tutti i fili intrecciati dell’arazzo si tesero definitivamente cinque anni dopo il nostro arrivo a Forks.

 

Era il 1950.

Avevo finito il mio turno all’ospedale ed ero rientrato da poco a casa. Esme era seduta al tavolo della sala; stava correggendo i compiti dei suoi studenti. Rosalie aveva trascinato Emmett in città per negozi, ma sarebbero rientrati a breve. Solo Edward era in casa. Se ne stava chiuso nella sua stanza disteso sul divano a fissare il soffitto bianco, lasciandosi vincere dalla noia, come a volte faceva. Sembrava tutto stranamente tranquillo, però io mi sentivo come se dovesse accadere qualcosa d’incredibile. Un presentimento. Ne avevo a volte.

Pochi secondi dopo Edward uscì dalla sua stanza, corse in sala e lì si fermò in attesa. Chiamò tutti noi a raccolta.

Aveva avvertito i pensieri di due individui che si stavano avvicinando molto velocemente alla casa, troppo velocemente per essere degli umani e non si trattava di Rosalie e neppure di Emmett.

Erano immortali, sicuramente.

La cosa più bizzarra fu ciò che disse Edward per annunciare i nuovi visitatori.

“Stanno venendo qui; si tratta di qualcuno che potremmo conoscere. C’è qualcosa di strano…”

Nell’immediato pensai al clan di Eleazar, ma Edward mi smentì subito.

“No. Si tratta di un uomo e una donna. Lui non lo conosco, ma lei ha qualcosa di famigliare; l’abbiamo già incontrata.”

Non riuscivo proprio a immaginare di chi parlasse. Passai in rassegna tutti gli immortali che avevo conosciuto, richiamando alla memoria volti e nomi vecchi di secoli. Edward pareva perplesso, ma era assolutamente tranquillo, merito di quel vampiro sconosciuto che aveva il potere di controllare le nostre emozioni, come comprendemmo in seguito. Ci preparammo ad accoglierli.

La porta di casa si spalancò su due immortali; una ragazza piccola, minuta, pareva un folletto uscito dalla fiaba di Peter Pan per come si muoveva, agile, scattante e allegra; ciocche ribelli di capelli neri tagliati corti incorniciavano un viso sbarazzino. Il suo compagno era un vampiro biondo dalla testa leonina che emanava una strana calma attorno a sé. Eravamo tutti rilassati, fatto assai inconsueto quando ci si trova in presenza di vampiri sconosciuti, ma c’era una ragione molto semplice. Il ragazzo non lo avevo mai visto prima, ma lei sì.

Ora era molto diversa da quando l’avevo conosciuta, ma anche così, non avrei potuto confondere quella ragazza con nessun altro: era la giovane paziente che avevo incontrato nel manicomio di Madison, la piccola veggente.

Alice.

 

Non era più umana, però.

L’incarnato pallido in un ovale perfetto e bellissimo, gli occhi dorati come i nostri, vivaci e curiosi, il profumo seducente tipico della nostra specie non lasciavano dubbi sulla sua natura.

Improvvisamente mi tornò alla mente Lucien, il vampiro innamorato di lei, che voleva farne la sua compagna. Che fine aveva fatto?

Perché non era al suo fianco?

E questo sconosciuto dagli occhi color cremisi che la seguiva, chi era? Da dove veniva?

Quando era entrato nella sua vita?

Queste e molte altre domande prendevano d’assalto la mia mente; il tempo e le circostanze favorevoli mi avrebbero dato tutte le risposte. Una per una.

Si trattava solo di aspettare.

Giorni, magari anni.

Non avrebbe avuto importanza.

Avevo davanti l’eternità.

 

 

Continua…

 

 

Eccomi qui con un altro capitolo.

Ho aggiornato prima, questa volta. Sono stata brava, eh?

Sì, lo so, dovrei farmi perdonare per tutte le volte che mi sono fatta aspettare.

Ormai siamo quasi in dirittura d’arrivo e la storia a questo punto si scrive quasi da sola. Vi è piaciuto questo capitolo? Forse sembrerà frettoloso, ma si trattava di concentrare alcuni fatti particolari nell’arco di pochi anni e non volevo dilungarmi in situazioni che non erano fondamentali.

Spero possa convincere nel suo sviluppo complessivo.

Direi che mancano ancora un paio di capitoli, e poi potrò scrivere la parola fine. Spero che mi seguirete fino ad allora; avete resistito fin qui, meritereste un premio alla pazienza, un ultimo sforzo e poi vi lascerò in pace.

Un po’ mi dispiace, lo ammetto, ma una conclusione doveva arrivare e volevo che fosse coerente con gli sviluppi successivi della saga di Twilight scritta dalla Meyer.

Devo ringraziarvi tutte per la vostra costanza e per il gradimento che avete dimostrato per questa storia. Spero di non deludervi fino alla fine.

A presto.

Ninfea.

 

 

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Ninfea Blu