Capitolo
6: Crush
Aprii gli occhi. Tra baci e
palpeggiamenti vari, io e Adam
ci eravamo addormentati. Era bello stare accoccolata tra le sue braccia
e
sentire il suo respiro sul collo. Le sue braccia mi avvolgevano, come
se avesse
avuto paura che sarei scappata. Guardai la sveglia sul mio comodino. Le
tre e
quarantacinque di mattina. Adam si mosse, stringendomi ancora di
più a lui. “Mi
soffochi così” dissi ridendo e con la voce
impastata. “Scusa” mugugnò lui,
lasciando un po’ la presa su di me. “Dovresti
andare in camera tua” gli dissi,
accarezzandogli il viso. “No” protestò
lui, come un bambino. Mi fece ridere.
“Adam..” tentai di convincerlo, come una mamma fa
con il proprio figlio
capriccioso. “Ma ho sonno!” disse appoggiando la
sua fronte sulla mia. Gli
diedi un bacio a fior di labbra, senza pensarci. “Dopo
questo, stai pur certa
che non me ne vado” disse sorridendo. Allungò il
braccio e accese l’abat jour.
Si girò verso di me e prese a fissarmi. D’istinto
mi sistemai i capelli,
imbarazzata. “Sei bellissima” mi disse dolcemente,
avvicinandosi al mio viso.
“G-grazie” balbettai sorpresa. Non riuscivo ad
abituarmi ai complimenti che mi
faceva. Ero abituata a sentirmi insultare da lui. Mi prese il viso fra
le mani
e mi baciò. “Hai un alito spaventoso”
gli dissi ridendo. Prese a ridere anche
lui. “Vuoi davvero che me ne vada?” mi chiese,
tornando per un momento serio.
“No, ma prima che tutti si sveglino dovresti tornare in
camera tua” dissi,
chiudendo gli occhi. “Hai qualche idea per farmi stare
sveglio fino a domani
mattina?” mi chiese malizioso, con quel suo ghigno che tanto
detestavo.
“Depravato” risposi sorridendo. Mi
scoprì la pancia e prese ad accarezzarla,
muovendo la mano lentamente. Fui pervasa in mezzo secondo dai brividi.
Poi
iniziò a salire piano piano, continuando a guardarmi negli
occhi. Lo baciai con
foga, rapita dal magnetismo dei suoi occhi azzurri. Persi letteralmente
le mani
tra i suoi capelli. Iniziò ad accarezzarmi il seno,
diventando sempre più
possessivo. Si mise a cavalcioni sopra di me e mi sfilò la
felpa e la maglietta
con un unico gesto, lasciandomi in reggiseno davanti a lui. Mi
guardò un
attimo, studiando il mio corpo seminudo e riprese a baciarmi. Gli
accarezzai la
schiena. La sua pelle era così morbida da sembrare quella di
un bambino. Calda.
Iniziò a baciarmi il collo, passando per la clavicola,
fermandosi sui miei seni
e prese ad assaporarli, mentre io sentivo il piacere salirmi fino al
cervello.
Li baciava, li leccava, li mordeva con dolcezza. E io non ce la facevo
più.
L’ultimo uomo con cui avevo fatto l’amore era
Jamie. Ma la sua esperienza non
valeva niente in confronto a ciò che Adam stava riuscendo a
farmi provare. Dal
mio respiro affannato capì che poteva spingersi oltre. Non
mi importava niente:
né del fatto che stavo per fare sesso con il mio
fratellastro, né di ricascare
nei miei errori. Gli levai la maglietta e riuscii a capovolgere le
nostre
posizioni, ritrovandomi sopra di lui. Lo baciai, spostandomi poi sul
suo collo.
Gli leccai e gli morsicai il lobo dell’orecchio, sentendo
chiaramente che il
suo respiro accelerava. Amavo il suo respiro. Amavo
l’espressione del suo viso,
mentre si mordeva il labbro inferiore. Gli baciai il petto, scendendo
sempre
più giù, mentre il suo respiro si faceva sempre
più affannoso. Gli sfiorai i
fianchi e sentii i brividi sotto le mie mani. Slacciai il bottone dei
suoi
jeans e abbassai la lampo. Lo guardavo così intensamente che
per un attimo
temetti di consumarlo. Lui fece lo stesso con me. Mentre mi abbassava i
jeans,
mi strinse il sedere tra le sue mani. Una presa forte, possessiva. Non
riuscii
a non ridere. “Scusa” dissi sorridendo, imbarazzata
per aver spezzato
quell’atmosfera carica di passione. “E’
un sogno, vero?” mi chiese,
avvicinandosi al mio viso. “ Avevi detto che non saresti mai
stata mia” “Sono
una pessima bugiarda” Lo baciai ancora, mentre lui mi
stringeva a sé, in modo
da far combaciare i nostri corpi perfettamente. Poi mi spinse via. Non
dosò la
forza e mi fece cadere dal letto. “Ma sei scemo?!”
brontolai dolorante seduta
sul pavimento. “Ho sentito un rumore” disse,
mettendosi a sedere sul letto.
Aveva interrotto quel momento paradisiaco per un rumore? “I
mobili
scricchiolano” dissi alzandomi da terra da sola, dato che lui
non si era
degnato minimamente di aiutarmi. “Non era uno
scricchiolio.” Poi sgranò gli
occhi. Io rimasi immobile. Erano passi dal piano di sopra. Prese la sua
maglietta e scese dal letto come un fulmine. Lo bloccai per il braccio
“Fammi andare
in camera mia!” bisbigliò, con espressione
terrorizzata. “E se chiunque fosse
ti vedesse uscire dalla mia stanza?” “E se non mi
trovassero?” “Come se fosse
la prima volta!” dissi, ricordandogli che fino a poco tempo
prima era solito
tornare tardi. Sembrò tranquillizzarsi. Chiusi la porta a
chiave. Devi finire quello che hai iniziato.
Lo
riportai sul letto. Ma lui sembrava pensasse ad altro.
“Senti, lasciamo perdere
per stasera” mi disse, senza nemmeno guardarmi in faccia.
Alzai un
sopracciglio. Stava per caso rifiutando una notte di sesso sfrenato con
me? Una
forza misteriosa mi fermò dal soffocarlo con il cuscino. Non
dissi nulla. Mi
sdraiai sul letto e gli diedi le spalle. “Te la sei
presa?” “No” dissi
rabbiosa. Capì al volo il mio stato d’animo.
“Come faccio a rilassarmi se ho il
terrore che qualcuno ci scopra?” “La porta
è chiusa a chiave, brutto idiota”
“Sì, ma non è lo stesso”
“Adam, vaffanculo, ok?” “No, vaffanculo
tu. Sei una
ragazzina e ti comporti da pazza”
“D’accordo” risposi, nascondendomi sotto
le
coperte. Sbuffò scocciato. Si sdraiò di fianco a
me e tentò di abbracciarmi, ma
lo allontanai bruscamente. “Prova a toccarmi e ti spacco la
faccia” dissi,
tremando per la rabbia. “Pazza violenta”
sussurrò lui, dandomi le spalle.
Chiusi gli occhi e tentai di convincere il mio corpo che i giochi erano
finiti.
Se fossi stata da sola, mi sarei messa a piangere. Ma averlo
lì, a pochi
centimetri di distanza non mi aiutava. “Vattene
via” gli dissi. “No, voglio
stare qui” ringhiò velenoso. Mi alzai dal letto e
mi diressi verso la porta. La
aprii e me ne andai io. Entrai in camera sua e chiusi la porta a
chiave. Mi
buttai sul letto e aspettai la mattina, per farmi augurare
un’ennesima giornata
di merda dal timido sole londinese. Il letto di Adam era molto
più scomodo del
mio. Sentii il suo profumo sul cuscino.
Che diavolo stai combinando, stupida decerebrata? Sbuffai
sonoramente
smettendo di annusare la federa in
modo
patetico e da psicopatica. Guardai la sveglia sul comodino. Erano
già le sette
e mezza. Sentii scendere Jodi, mio padre e Savannah al piano di sotto
per fare
colazione. Poco dopo uscirono di casa. “Apri questa cazzo di
porta!” la voce
rauca di Adam mi raggiunse come uno schiaffo, risvegliandomi da quello
stato di
semi-coscienza in cui mi trovavo. Mi alzai dal suo letto e aprii la
porta, su
cui lui stava battendo insistentemente il pugno con una violenza
inaudita. “La
smetti di fare casino?” gridai a mia volta. Lui mi prese per
le spalle,
stringendole in una morsa che mi impediva di muovermi. “Tu mi
stai facendo
impazzire! Mi vuoi dire qual è il tuo cazzo di
problema?” mi sbraitò contro,
avvicinando il suo viso al mio. “Tu sei il mio problema! Mi
stai fondendo il
cervello perché a quanto pare preferisci dormire piuttosto
che fare sesso con
me e io mi ritrovo ad annusare il tuo fottuto cuscino come una specie
di
maniaca depravata!” gli sputai in faccia la
verità, rossa in viso per la rabbia
del momento. Lo vidi trattenere le risate. “Evita di ridere,
per favore. Sono
abbastanza patetica senza che tu mi rida in faccia” dissi,
umiliata e
imbarazzata. “Ti immaginavo annusare il mio
cuscino” disse beffardo, con il suo
ghigno. Sbuffai sperando che mi lasciasse andare, così da
potermi rifugiare in
camera mia ad autoinfliggermi testate contro il muro per la vergogna.
Ma lui
non lasciò la presa. “Sei un essere
strano” sentenziò infine, alzando un
sopracciglio. “Grazie mille” dissi sarcastica.
“Non è un’offesa”
“Non me ne
frega un cazzo se non è un’offesa. Per me lo
è, soprattutto se detto da te”
dissi, senza osare guardarlo negli occhi. “Ti do il permesso
di picchiarmi, se
può farti star meglio” disse ridendo. Ma io non ci
trovavo nulla da ridere.
“Siamo una tragedia” bisbigliai, dando voce ai miei
pensieri. “E questo che
significa?” “Che non faremo mai sesso!”
dissi, risultando più disperata di
quello che volevo sembrare. Questo lo fece ridere più forte.
“Come sei
drammatica!” disse, prendendomi in giro. “Vorrei
che fosse tutto come al
solito. Che continuassimo ad insultarci e a non calcolarci come abbiamo
sempre
fatto” dissi. Questo lo fece tornare serio. “Hai
capito perché sei strana? Un
momento mi dici in tono drammatico che non faremo mai sesso, come se
fosse una
delle tue priorità, e un attimo dopo te ne esci fuori che
vorresti che
tornassimo come prima. E io ti ho detto che voglio che tu sia
più chiara e
concr-“ Gli tappai la bocca con un bacio. Le sue mani
lasciarono le mie spalle,
percorrendo la schiena e raggiungendo il mio sedere. Mi prese in
braccio e mi
schiacciò contro il muro. La stretta delle mie gambe intorno
alla sua vita si
fece più forte, mentre con le mani gli sfilavo la maglietta
lasciandolo a torso
nudo. Gli accarezzai la pelle, perfetta e liscia. I suoi muscoli erano
dannatamente perfetti. Adam era dannatamente perfetto. Peccato che era
mio fratello.
Smettila di pensarci, smettila di
pensarci, smettila di pensarci. Non volevo rovinare
quell’ennesimo momento
di passione che ci aveva travolti. La sua bocca si spostò
sul mio collo,
facendo sì che il mio respiro accelerasse. Schiacciandomi
sempre di più tra il
suo corpo e il muro, riuscì a sfilarmi i pantaloni. Lo
sentii accarezzarmi
l’interno coscia, mentre mi mordicchiava malizioso il lobo.
“Gesù” bisbigliai
prima di sentire le sue dita dentro di me. Non riuscii a reprimere un
gemito,
che uscì dalle mie labbra come una sorta di liberazione da
un lungo e doloroso
supplizio. Mandai indietro la testa, sbattendo contro il muro. Mi
mordevo il
labbro inferiore mentre dalle mie labbra i gemiti aumentavano. Lui mi
baciò e
mi soffiò “Non ce la faccio
più”. Il mio cervello elaborò in un
decimo di
secondo tre teorie: la prima era che non ce la faceva più ad
aspettare; la
seconda era che non ce la faceva più a muovere le dita
dentro di me; la terza
era che non ce la faceva più a tenermi in braccio.
“In che senso?” chiesi tra i
sospiri di piacere. Velocemente mi portò sul suo scomodo
letto mettendosi a
cavalcioni su di me. Prima teoria. O
forse seconda. Magari era la terza. Dannazione! Decisi di
buttarmi,
allontanando tutti i pensieri dalla mia testa, svuotandola
completamente. Gli
abbassai i pantaloni e i boxer, in un unico gesto, guardandolo negli
occhi. Ma
davanti a me non c’era il mio odioso fratellastro che mi
riempiva di insulti
dalla mattina alla sera. C’era Adam, il ragazzo che mi
piaceva. Il ragazzo che
si riempiva di brividi quando gli sfioravo i fianchi con la mani. Il
ragazzo
che pensava prima al mio piacere che al suo. Il ragazzo che
‘non ce la faceva
più’. La mia mano destra si spinse sempre
più in basso, fino a raggiungere ciò
che stava cercando. Iniziai con movimenti lenti, dolci, per poi
aumentare di
intensità e velocità, così come il suo
respiro.
Portò le sue labbra vicino al mio orecchio e mi
bisbigliò “Ti prego,
fammi entrare”. Nessuno prima di quel momento mi aveva mai
chiesto il permesso.
Quella sua richiesta mi fece pensare a quando si citofona a casa di
qualcuno
con cui hai litigato e gli chiedi di farti entrare per chiarire.
Sorrisi
divertita e lo baciai, acconsentendo. Entrò piano, in modo
da preparaci a ciò
che avremmo provato di lì a poco in maniera molto
più ampliata. Trattenni un
urlo liberatorio, quando iniziò a muoversi sopra di me
sempre più veloce,
facendo aderire i nostri corpi perfettamente. Chiusi gli occhi, per
godermi
fino in fondo ciò che stava accadendo. Gli circondai la vita
con le mie gambe,
spingendolo più a fondo in me. I nostri respiri andavano
all’unisono, proprio
come i nostri cuori. Persi le mie labbra sulle sue, sentendo il suo
respiro
affannoso nella mia bocca. Intrecciò le sue mani nelle mie,
portandole
leggermente al di
sopra della mia testa.
Lo sentivo spingere sempre più a fondo, sempre
più forte. Mi mordeva le labbra,
ingordo, come se non ne avesse mai abbastanza di me. Ma nemmeno io ne
avevo
abbastanza di lui. Volevo sempre di più e lo incoraggiavo
ogni tanto con un
“Vai” o “Più forte”
prima di abbandonarmi al piacere completo nell’ averlo
dentro di me, finalmente. Mi leccò le labbra, assaporandole.
Sarei anche potuta
morire in quel momento, non mi sarebbe importato: sarei morta felice e
appagata. Sentii i brividi pervadermi il corpo e il mio
respirò accelerò in
maniera spropositata. Strinsi più forte che potevo le gambe
intorno alla sua
vita, prima di liberarmi. Insieme a lui. Il nostro ultimo gemito lo
facemmo a
due centimetri dalle nostre facce.
Mi
baciò la punta del naso prima di accasciarsi stravolto al
mio fianco. Ci eravamo
riusciti, finalmente. Senza che niente o nessuno ci interrompesse.
Senza che
nessuno dei due avesse ripensamenti. “E’
stato..” iniziò con fiato corto.
“Già”
finii io, sapendo esattamente cosa intendesse. Bellissimo. Fantastico.
Meraviglioso. La fine del mondo. Un viaggio di sola andata per la luna
in un
razzo di cioccolata. Mi scompigliò i capelli e si
rivestì. “Strano, vero?”
disse, allacciandosi i jeans. “Cosa?” chiesi senza
capire. “Insomma, anche per
te è stato strano?” disse, raccogliendo la sua
maglietta dal pavimento. Iniziai
ad odiare quel termine. Ero strana io ed era strano il sesso con me,
dal suo
punto di vista. Sentii le lacrime pungermi gli occhi. Mi rivestii in
fretta,
nel silenzio che si era creato tra di noi. Mi sentivo sporca e
umiliata. Era
stato fantastico per me. “Vieni a fare colazione?”
mi chiese, aprendo la porta.
“No, grazie” tentai di sorridere, ma fu
più difficile di quello che pensassi.
Non era quello che mi aspettavo. Pensavo che saremmo stati abbracciati
sul suo
letto a coccolarci, a baciarci a fare un secondo e un terzo round.
Invece lui
aveva preferito andare a fare colazione da solo. Sentii la rabbia
salirmi fino
al cervello. Scesi con foga le scale e lo aggredii verbalmente mentre
si stava
preparando una tazza di cereali. “Sei proprio uno stronzo di
merda!” “Che ho
fatto?” chiese fermando il cucchiaio stracolmo di cereali e
latte a mezz’aria.
“Mi chiedi pure che hai fatto?! Hai detto che è
stato strano fare sesso con me!
Sai quanto possa essere demoralizzante sentirsi dire una cosa del
genere?”
sbraitai come una pazza. “Prima mi riempi di dolci parole e
poi mi molli come
una scema per fare colazione!” ”Avevo
fame” “Ma chi cazzo se ne frega! Non è
questo il punto!” “E qual è? Che per me
è stato strano fare sesso con la mia sorellastra?
Penso sia più che normale!” “Mi
aspettavo dei complimenti!” esplosi. “Lee, hai
fatto sesso con me, non hai mica vinto le olimpiadi!”
“Sai che c’è? E’ stata la
scopata migliore della mia vita! Ecco, l’ho detto! Non
è stato strano, è stato
bellissimo. E se questo vuol dire che sono da rinchiudere, benissimo!
Sono
pazza!” Ero letteralmente fuori di testa. Sorrise, scosse la
testa e riprese a
mangiare. Con un gesto fulmineo presi la tazza e gli versai il latte e
i
cereali sulla testa. “Ma che cazzo fai?!” disse
indietreggiando. Sì, ero
completamente impazzita. “Sono qui davanti a te, mi sto
umiliando e vergognando
come una ladra e l’unica cosa a cui pensi è
mangiare. Perché sei così stronzo?”
dissi seria. Lui mi guardò come se mi stesse vedendo per la
prima volta. “Che
significa che è stato strano?” chiesi senza
imbarazzo, determinata. Lui si
morse un labbro “E’ stato come tornare
vergine” disse, puntando i suoi occhi
azzurri nei miei. “Di
solito non mi
preoccupo di sbagliare, ma con te è stato diverso. Avevo una
paura fottuta di
fare qualche cazzata, qualcosa che non ti sarebbe piaciuto, qualcosa
che ti
avrebbe spinta a dire basta. E non volevo che tu lo dicessi. Per questo
è stato
strano” finì appoggiandosi al mobile della cucina.
Questo non me lo sarei mai
aspettato. “Ah” dissi solo, elaborando
sconnessamente le informazioni appena
ricevute. “E questo è un bene o un
male?” chiesi. Lui sospirò “Non lo
so”
rispose, scompigliandosi i capelli castani. “Quindi non ho
fatto completamente
schifo?” chiesi, rossa in viso per l’imbarazzo.
“Direi di no” disse,
togliendosi dei cereali dai capelli. Sorrisi soddisfatta.
“Ora posso mangiare?”
mi chiese. Mi avvicinai a lui, lo baciai a fior di labbra e gli
sorrisi. In
quel preciso momento sentii cadermi qualcosa sulla testa e gocciolarmi
addosso.
Latte. Lo vidi ridere vincitore. “Quanto sei
stupido!” sbraitai ridendo e
strizzandomi i capelli nel lavandino. “Questa puoi anche
togliertela” disse,
sfilandomi la maglietta e lasciandomi in reggiseno davanti a lui.
“Che intenzioni
hai?” chiesi maliziosa, alzando un sopracciglio.
“Tu che dici?” disse
prendendomi in braccio. Mi sdraiò sul tavolo. Ma un
movimento ci congelò sul
posto. Chiavi nella porta. Mi lanciò sulla faccia la
maglietta, che indossai
alla velocità della luce. Scesi dal tavolo e quasi scivolai
sulla pozza di
latte sul pavimento. “Oh, siete già svegli? Ma che
è successo qui?” Jodi, notò
subito la pappetta schifosa di latte e cereali sotto i nostri piedi.
“Niente!” esclamammo
in coro io e Adam.
“Voi due non me la raccontate giusta!” disse
“E pulite prima che arrivi la
signora Travis, o le prenderà un colpo nel vedere questo
schifo sul pavimento!”
finì. “Come mai sei a casa?” le chiese
suo figlio. “Ho dimenticato un paio di
fascicoli. Che programmi avete per oggi?” “Pensavo
di portarla in giro” disse,
con una faccia un po’ disgustata. “Non uccidetevi,
mi raccomando” esclamò
ridendo prima di uscire dalla porta e tornare al lavoro. Finii di
pulire il
pavimento e mi apprestai ad andare al piano di sopra. “Dove
credi di andare?”
mi chiese Adam, prendendomi per un braccio. “A lavarmi. Sono
ricoperta di
latte” dissi, allontanandolo leggermente.
“Bhè, potrei farti compagnia” disse,
stringendomi a sé. “Quindi mi porti a spasso
oggi..” dissi, mentre salivamo le
scale. “Se vuoi” disse vago. “Ma non ti
aspettare che ti tenga per mano” disse
ridendo. Senza rendermene conto, mi sentii delusa nell’averlo
sentito dire
quella frase. Non ti terrà mai per
mano.
Entrammo nel bagno e mi butto di peso nella doccia, ancora vestita. Non
riuscii
a ribellarmi. Aprì l’acqua che mi bagnò
dalla testa ai piedi. Continuava a
ridere e si buttò sotto l’acqua anche lui. Prese a
baciarmi con foga mentre mi
toglieva di dosso i vestiti fradici. Pochi minuti dopo mi ritrovai
schiacciata
contro il muro ad ansimare di piacere, mentre entrava dentro di me. Lo
sentivo
gemere e sospirare. Le sue mani mi toccavano, mi accarezzavano, mentre
le mie
unghie gli graffiavano la schiena bagnata. Adam riusciva a farmi
dimenticare di
ciò che ci circondava. C’eravamo solo io e lui. Mi
baciò per l’ennesima volta,
mordendomi le labbra, prima di gemere per l’ultima volta.
Rimanemmo fermi,
immobili, in silenzio. Gli unici rumori presenti in bagno erano i
nostri
respiri e il getto dell’acqua che batteva sui nostri corpi.
“Potrei abituarmi a
tutto questo” disse, prima di baciarmi sul naso. Riuscii solo
a sorridere. Poi
prese a fissarmi divertito. “Che
c’è?”
chiesi sorridendo. “Mi piace l’espressione che
hai” “Che espressione ho?”
chiesi senza capire. “La tipica espressione che uno ha dopo
una buona e sana
scopata” disse prima di uscire dalla doccia. Una buona e sana
scopata. Era
davvero questo Adam per me? Solo una scopata? E allora
perché il cuore non
aveva smesso un attimo di battermi forte nel petto? Chiusi gli occhi,
abbandonandomi
sotto il getto dell’acqua calda. Non ero mai stata brava nel
gestire i miei
sentimenti e la mia ultima relazione ne era la prova schiacciante. Ma
da lì a
pensare che potevo essermi presa una cotta per il mio fratellastro ce
n’era di
strada. Lui ti piace. Spalancai gli
occhi. “Non è vero” bisbigliai, cercando
di convincere la voce della mia
coscienza. “Hai detto qualcosa?” mi chiese Adam,
aprendo l’anta della doccia.
Lo guardai ad occhi sgranati. “No, niente” dissi
con voce isterica, risultando
poco convincente. Mi guardò un attimo e sussurrò
“Sei dannatamente sexy.”
Sorrisi imbarazzata. Non mi ritenevo una ragazza sexy e sentirmelo dire
per la
prima volta in vita mia, mi fece arrossire. E a dirlo era stato proprio
Adam.
“Passami l’accappatoio, piuttosto” dissi
ridendo. Lui sorrise e fece come
ordinato. Chiusi all’improvviso il getto. Mi strinsi
nell’accappatoio
morbido. Sbadigliai
sonoramente, mentre
mi asciugavo i capelli con un asciugamano. “Dove vuoi essere
accompagnata
oggi?” mi chiese, incrociando il suo sguardo con il mio
attraverso lo specchio.
“Non so. Ci facciamo un giro in macchina?” chiesi,
pensando a quanto mi
piacesse vederlo guidare. “Come vuoi” disse
semplicemente, prima di uscire dal
bagno.
“Mi dici perché
ti metti gli occhiali da sole se di sole non
ce ne è?” gli chiesi, una volta in macchina.
“Perché mi fanno sembrare ancora
più bello” disse modesto.
“Più idiota, vorrai dire” ribattei
ridendo. Erano le
undici e mezza di mattina e in giro c’era una moltitudine di
gente. E noi
eravamo letteralmente imbottigliati nel traffico. “Al primo
parcheggio che
trovo, mi fermo e continuiamo a piedi” disse, isterico.
Sbuffai. Era bello
stare di fianco a lui, guardarlo guidare. Vedere come stringeva la
mascella
ogni qualvolta che doveva fermarsi. Mi piaceva osservarlo di nascosto.
“Non
capisco come fai a guidare da quel lato” esordii.
“Penso sia questione di
abitudine” rispose nervoso. “Ho solo detto una
cosa” sottolineai acida. “Una
cosa stupida” rispose acido. “Si può
sapere perché rispondi a questo modo?”
“Perché per colpa delle tue idee del cazzo, siamo
in mezzo al traffico” “E’
verde” gli dissi indicandogli il semaforo. Partì
veloce, sbuffando. Ma la
nostra corsa si fermò a pochi metri dal semaforo che ci
aveva dato il via
libera. Noi non andavamo veloci, alla fine. Ma chi ci prese in pieno lo
stava
facendo. Sbattei la
testa su non so
cosa. Sentii il vetro del finestrino infrangersi in mille pezzi. La
cintura mi
strinse in una presa soffocante. Chiusi gli occhi d’istinto.
La faccia mi
pulsava come se mi avessero presa a botte con una mazza ferrata. Quando
riaprii
gli occhi, le macchine erano ferme. Allungai il braccio verso Adam.
“Stai
bene?” bisbigliai tramortita. “S-sì e
tu?” la sua voce era terrorizzata. “Non
lo ho ancora capito” tentai di sdrammatizzare. Ma in
realtà sentivo ogni
singolo osso del mio corpo a pezzi. Come se fossi finita in un
frullatore
gigante. Girai il viso verso ciò che rimaneva del
finestrino, dalla mia parte.
Se fossimo stati in qualsiasi altra parte del mondo, quella macchina
avrebbe
preso Adam e non me. Voleva solo significare che il destino mi stava
punendo
per i miei sbagli. L’uomo nell’altra auto sembrava
illeso. Allontanò la sua
macchina dalla mia portiera. Adam uscì dalla macchina e
cercò di aprire il mio
sportello, letteralmente accartocciato. Riuscii a togliermi la cintura.
“Ce la
fai ad uscire dal finestrino?” mi chiese mio fratello. Fu
allora che notai che
non riuscivo a muovere le gambe. “Non ci riesco! Adam non
riesco a muovere le
gambe!” gridai,
in preda al terrore.
“Come non riesci a muoverle?!” gridò
spaventato. “Non ci riesco!” esclamai
piangendo in una vera e propria crisi di panico. “Lee!
Hayley! Ascoltami,
cazzo!” disse prendendomi il viso tra le sue mani.
“I soccorsi stanno
arrivando, ok? Stai tranquilla. Io non mi muovo di qui”
finì, cercando in
qualche modo di tranquillizzarmi. Fu a quel punto che mi guardai le
gambe. La
destra stava bene, mentre la sinistra era girata in modo innaturale.
“Oh,
Gesù!” esclamai terrorizzata. Era il mio primo
incidente. E potevo essere
rimasta paralizzata, per quanto ne potevo sapere. L’ambulanza
arrivò pochi
minuti dopo, insieme ai pompieri, che mi dovevano estrarre da quel che
rimaneva
della nostra macchina. Adam aveva chiamato sua madre che ci aveva
raggiunti
immediatamente. Aveva avvisato mio padre, che preoccupato ci stava
raggiungendo. I soccorritori mi fecero sdraiare sulla barella, subito
dopo
avermi messo il collarino. “Non mi sento più le
gambe” li informai tra le
lacrime. Uno di loro mi strinse un ginocchio.
“Cazzo!!” gridai di dolore.
“Nulla di cui preoccuparsi” mi
tranquillizzò. Jodi salì sull’ambulanza
insieme
a me e ad Adam, mentre mio padre pensava a parlare con la polizia e i
testimoni
oculari. Jodi stringeva suo figlio, piangendo e con una mano stringeva
la mia.
“Mamma, non piangere” cercò di
tranquillizzarla Adam. Chiusi gli occhi,
cercando di immaginarmi che dicesse a me quelle parole di conforto. E
finii per
addormentarmi. “Hayley..” la voce di Jodi mi
riportò alla realtà. Mi
accarezzava il viso, teneramente. Aprii gli occhi con uno sforzo
sovrumano.
“Tesoro, hai una gamba rotta” mi avvisò,
notando che guardavo il gesso sulla
mia gamba sinistra senza capire. “E Adam?” chiesi
con voce impastata. “Lui sta
bene. Aveva qualche taglio, ma gli hanno messo dei punti”
“Mi fa male la
faccia” dissi dolorante. La feci ridere. “Ho
già detto a tua sorella di far
sparire gli specchi da casa per un po’”
“Sono messa così male?” chiesi,
tentando di sorridere. “Meglio di quello che credi”
provò a convincermi. “Possiamo
andare a casa?” chiesi stravolta.
“Sì, tuo padre sarà qui a
minuti” disse asciugandosi delle lacrime ribelli.
“Jodi, stai tranquilla. Sto bene” dissi dolcemente,
notando quanto fosse in
ansia. “Lo so, ma mi avete fatto prendere un colpo”
disse distrutta. Le
accarezzai la mano sorridendole. Mio padre arrivò poco dopo,
con delle
stampelle in mano. “Stai bene?” mi chiese,
abbracciandomi. “Sì, papà. Sto bene.
Non preoccuparti” dissi, ormai stanca di ripeterlo. Mi
aiutò a scendere dal
letto, su cui mi avevano fatta dormire. Mi passò le
stampelle e rimase al mio
fianco per aiutarmi nel caso in cui fossi scivolata. Quando ero
più piccola mi
ero rotta un braccio: stavo saltando sul letto di mia madre ed ero
caduta per
terra come un salame. A scuola mi avevano riempito il gesso di scritte
e
disegni. Ma rompersi una gamba era stato ancora peggio. Mi sentivo
un’impedita.
E le stampelle al posto di aiutarmi, mi impacciavano ancora di
più. Quando
salii in macchina mi si chiuse lo stomaco. Ad ogni frenata di mio padre
avevo
paura che qualcuno ci venisse addosso o che, peggio ancora, noi
andassimo
addosso a qualcuno. “Il signore dell’altra macchina
sta bene?” chiesi
all’improvviso. “Sì, lui non si
è fatto niente” mi rispose mio padre,
indifferente. “Qualcuno gli ha chiesto perché ci
è venuto addosso?” chiesi
arrabbiata. “Ha detto che si era distratto”
tagliò corto mio padre. Parcheggiò
davanti casa e mi aiutò a saltare sui gradini che mi
separavano dalla porta
d’ingresso. Quando entrai in casa, Savannah mi
abbracciò con così tanta foga
che quasi persi l’equilibrio. “Stai bene, vero?
Dico, a parte la gamba” mi
chiese preoccupata. “Si, a parte la gamba sto
bene”. Mi accarezzò il viso,
guardandomi come se sentisse il mio dolore. Adam era seduto sul divano
e alzò
appena la testa quando mi vide entrare in casa. Non mosse un muscolo.
Fui io a
raggiungerlo, buttandomi sul divano. “Hai bisogno di
qualcosa, tesoro?” mi
chiese Jodi, entrando in casa. “No, grazie” risposi
gentilmente. Lei e mio
padre mi affidarono a mio fratello e tornarono al lavoro, mentre
Savannah tornò
a scuola. Rimanemmo soli. In silenzio. Sul divano. Sbuffai scocciata e
mi
alzai. “Dove vai?” mi chiese Adam.
“”In bagno” risposi. Lasciai
lì le stampelle
e saltellando raggiunsi il bagno del piano di sotto. Accesi la luce e
non
riuscii a fare a meno di guardarmi allo specchio. Rimasi shoccata. La
mia
faccia era gonfia, piena di tagli, livida. Sulle narici c’era
del sangue
asciutto. Il labbro che poco prima Adam mordeva, era aperto lasciando
intravedere la carne. Trattenni un urlo di terrore. Ma le lacrime non
riuscii
proprio a trattenerle. Più mi guardavo e più
nella mia testa rivedevo le
immagini dell’incidente. La porta si spalancò e
Adam corse dentro. Mi guardò. Mi
nascosi il viso tra le mani, sperando che lui non avesse notato il mio
aspetto
mostruoso. Mi abbracciò stretta. “Mi
dispiace” disse, baciandomi la testa.
“Perché mi chiedi scusa?” dissi,
nascondendo il viso sul suo petto. “Perché
dovevo stare più attento” Lo allontanai senza
capire. “Adam, non è
colpa tua. Chiaro?” dissi, sicura. Lui mi
accarezzò il viso. “Sembri uscita da un film
horror!” Risi. “Grazie, lo
prenderò come un complimento!” Mi baciò
piano sulle labbra, per evitare di
farmi male. Ma non mi importava di sentire dolore o meno. Lo strinsi
più forte
a me, e lo baciai con più foga. Persi le mani tra i suoi
capelli. Le labbra mi
bruciavano, come se sulla carne scoperta mi avessero versato del sale.
Ma non
riuscii a smettere di baciarlo. Fu il sangue a fermarmi.
“Merda..” bisbigliai
prima di sciacquarmi la bocca sotto al getto d’acqua del
lavandino. “Scusa”
disse solo, avvicinandosi a me. “Adam, piantala di
scusarti” dissi, scocciata.
Mi tirò indietro i capelli, mentre io mi bagnavo la bocca.
Le labbra mi
bruciavano sempre di più, tanto da farmi piangere. Dopo i
cinque minuti più
interminabili della mia vita, riuscii a fermare il sangue. Mi sentivo
così
stanca. “Puoi portarmi in camera mia?” gli chiesi
stravolta. Mi prese in
braccio e mi portò nella mia stanza. Mi sdraiò
sul letto. “Puoi stare qui con
me?” gli chiesi, trattenendolo per un braccio. Lui si
sdraiò di fianco me,
accarezzandomi i capelli. Chiusi gli occhi e poco dopo mi addormentai
tra le
sue braccia. Per il mio cervello fu quasi impossibile non farvi
rivivere l’incidente.
Mi svegliai di botto, spaventata. Con la mano cercai Adam. Ma lui non
c’era di
fianco a me. “Adam” lo chiamai.
“Adam!!” gridai, in preda a una crisi di
panico. La gamba mi faceva un male assurdo, pulsandomi attraverso il
gesso. Lo
sentii correre sulle scale. Piangevo disperata. Entrò in
camera “Lee, sono qui”
disse raggiungendomi sul letto. “Non ti ho visto e mi sono
spaventata” dissi
tra le lacrime. “Non mi lasciare sola, Adam. Non mi lasciare
mai” lo pregai
stringendolo a me. “Non ti preoccupare. Io starò
sempre con te” mi disse. Ma
nemmeno lui poteva immaginarsi quanto si stava sbagliando.
E finì anche il capitolo
6! L’altra volta mi sono scordata
di ringraziare jekikika96 per la
recensione:
effettivamente Adam ha l’aria da figone XD.
Per quanto riguarda questo capitolo
ho fatto punire Hayley
dal Karma. Poveraccia XD . Insomma hanno fatto sesso questi due! F I N
A L M E
N T E ! Ho avuto parecchi problemi nel descrivere, ehmm,
l’”atto sessuale” perché
non mi ritengo brava nel descrivere scene di sesso dato che ho sempre
paura di
finire nel volgare ._.’’ Io ci ho provato
seriamente e se è uscita una
schifezza: mi dispiace T.T
Vorrei ringraziare anche Athenril per la sua recensione
strapositiva che mi ha fatto un
sacco piacere e volevo scusarmi per averla distratta da Leopardi: io
quando l’ho
studiato mi perdevo a guardare le farfalle che volavano quindi posso
capirti
XD.
E infine vorrei ringraziare chi non
recensisce ma aggiunge
la mia storia tra i preferiti o le storie seguite. Mercì :D
Un bacio,
Kiki :D