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Autore: CookieKay    11/06/2012    3 recensioni
Ci sono due cose a cui Hayley Doherty non rinuncerebbe mai: il caffè di Starbucks e New York. E allora perchè si è trasferita a Londra e beve caffè in una qualsiasi caffetteria piena zeppa di turisti?
Dal primo capitolo: “Adesso fumi pure?” mi chiese il mio odioso fratellastro, divertito. “E’ illegale per caso?” sputai velenosa. Lui rise “Fa un po’ come ti pare” sentenziò. Abbassai il finestrino e mi accesi una sigaretta. Non ero una fumatrice accanita, ma in quella situazione ne avevo abbastanza bisogno. “C’è uno Starbucks vicino casa?” chiesi aspirando del fumo. “Sì” rispose semplicemente. Questo voleva dire che me lo sarei dovuto trovare da sola. “Senti per la mia salute mentale, possiamo cercare di andare d’accordo?” ero disperata. Volevo almeno un alleato dalla mia parte. “Scordati di immischiarmi nei tuoi problemi con il tuo vecchio.” Era più perspicace di quello che mi ricordavo. “Per favore. Ho bisogno di un amico” buttai lì, tentando di risultare il più disperata possibile. “La smetti di rompermi i coglioni?” esclamò gelido, come al solito, piombando in un silenzio innaturale.
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6: Crush

 

Aprii gli occhi. Tra baci e palpeggiamenti vari, io e Adam ci eravamo addormentati. Era bello stare accoccolata tra le sue braccia e sentire il suo respiro sul collo. Le sue braccia mi avvolgevano, come se avesse avuto paura che sarei scappata. Guardai la sveglia sul mio comodino. Le tre e quarantacinque di mattina. Adam si mosse, stringendomi ancora di più a lui. “Mi soffochi così” dissi ridendo e con la voce impastata. “Scusa” mugugnò lui, lasciando un po’ la presa su di me. “Dovresti andare in camera tua” gli dissi, accarezzandogli il viso. “No” protestò lui, come un bambino. Mi fece ridere. “Adam..” tentai di convincerlo, come una mamma fa con il proprio figlio capriccioso. “Ma ho sonno!” disse appoggiando la sua fronte sulla mia. Gli diedi un bacio a fior di labbra, senza pensarci. “Dopo questo, stai pur certa che non me ne vado” disse sorridendo. Allungò il braccio e accese l’abat jour. Si girò verso di me e prese a fissarmi. D’istinto mi sistemai i capelli, imbarazzata. “Sei bellissima” mi disse dolcemente, avvicinandosi al mio viso. “G-grazie” balbettai sorpresa. Non riuscivo ad abituarmi ai complimenti che mi faceva. Ero abituata a sentirmi insultare da lui. Mi prese il viso fra le mani e mi baciò. “Hai un alito spaventoso” gli dissi ridendo. Prese a ridere anche lui. “Vuoi davvero che me ne vada?” mi chiese, tornando per un momento serio. “No, ma prima che tutti si sveglino dovresti tornare in camera tua” dissi, chiudendo gli occhi. “Hai qualche idea per farmi stare sveglio fino a domani mattina?” mi chiese malizioso, con quel suo ghigno che tanto detestavo. “Depravato” risposi sorridendo. Mi scoprì la pancia e prese ad accarezzarla, muovendo la mano lentamente. Fui pervasa in mezzo secondo dai brividi. Poi iniziò a salire piano piano, continuando a guardarmi negli occhi. Lo baciai con foga, rapita dal magnetismo dei suoi occhi azzurri. Persi letteralmente le mani tra i suoi capelli. Iniziò ad accarezzarmi il seno, diventando sempre più possessivo. Si mise a cavalcioni sopra di me e mi sfilò la felpa e la maglietta con un unico gesto, lasciandomi in reggiseno davanti a lui. Mi guardò un attimo, studiando il mio corpo seminudo e riprese a baciarmi. Gli accarezzai la schiena. La sua pelle era così morbida da sembrare quella di un bambino. Calda. Iniziò a baciarmi il collo, passando per la clavicola, fermandosi sui miei seni e prese ad assaporarli, mentre io sentivo il piacere salirmi fino al cervello. Li baciava, li leccava, li mordeva con dolcezza. E io non ce la facevo più. L’ultimo uomo con cui avevo fatto l’amore era Jamie. Ma la sua esperienza non valeva niente in confronto a ciò che Adam stava riuscendo a farmi provare. Dal mio respiro affannato capì che poteva spingersi oltre. Non mi importava niente: né del fatto che stavo per fare sesso con il mio fratellastro, né di ricascare nei miei errori. Gli levai la maglietta e riuscii a capovolgere le nostre posizioni, ritrovandomi sopra di lui. Lo baciai, spostandomi poi sul suo collo. Gli leccai e gli morsicai il lobo dell’orecchio, sentendo chiaramente che il suo respiro accelerava. Amavo il suo respiro. Amavo l’espressione del suo viso, mentre si mordeva il labbro inferiore. Gli baciai il petto, scendendo sempre più giù, mentre il suo respiro si faceva sempre più affannoso. Gli sfiorai i fianchi e sentii i brividi sotto le mie mani. Slacciai il bottone dei suoi jeans e abbassai la lampo. Lo guardavo così intensamente che per un attimo temetti di consumarlo. Lui fece lo stesso con me. Mentre mi abbassava i jeans, mi strinse il sedere tra le sue mani. Una presa forte, possessiva. Non riuscii a non ridere. “Scusa” dissi sorridendo, imbarazzata per aver spezzato quell’atmosfera carica di passione. “E’ un sogno, vero?” mi chiese, avvicinandosi al mio viso. “ Avevi detto che non saresti mai stata mia” “Sono una pessima bugiarda” Lo baciai ancora, mentre lui mi stringeva a sé, in modo da far combaciare i nostri corpi perfettamente. Poi mi spinse via. Non dosò la forza e mi fece cadere dal letto. “Ma sei scemo?!” brontolai dolorante seduta sul pavimento. “Ho sentito un rumore” disse, mettendosi a sedere sul letto. Aveva interrotto quel momento paradisiaco per un rumore? “I mobili scricchiolano” dissi alzandomi da terra da sola, dato che lui non si era degnato minimamente di aiutarmi. “Non era uno scricchiolio.” Poi sgranò gli occhi. Io rimasi immobile. Erano passi dal piano di sopra. Prese la sua maglietta e scese dal letto come un fulmine. Lo bloccai per il braccio “Fammi andare in camera mia!” bisbigliò, con espressione terrorizzata. “E se chiunque fosse ti vedesse uscire dalla mia stanza?” “E se non mi trovassero?” “Come se fosse la prima volta!” dissi, ricordandogli che fino a poco tempo prima era solito tornare tardi. Sembrò tranquillizzarsi. Chiusi la porta a chiave. Devi finire quello che hai iniziato. Lo riportai sul letto. Ma lui sembrava pensasse ad altro. “Senti, lasciamo perdere per stasera” mi disse, senza nemmeno guardarmi in faccia. Alzai un sopracciglio. Stava per caso rifiutando una notte di sesso sfrenato con me? Una forza misteriosa mi fermò dal soffocarlo con il cuscino. Non dissi nulla. Mi sdraiai sul letto e gli diedi le spalle. “Te la sei presa?” “No” dissi rabbiosa. Capì al volo il mio stato d’animo. “Come faccio a rilassarmi se ho il terrore che qualcuno ci scopra?” “La porta è chiusa a chiave, brutto idiota” “Sì, ma non è lo stesso” “Adam, vaffanculo, ok?” “No, vaffanculo tu. Sei una ragazzina e ti comporti da pazza” “D’accordo” risposi, nascondendomi sotto le coperte. Sbuffò scocciato. Si sdraiò di fianco a me e tentò di abbracciarmi, ma lo allontanai bruscamente. “Prova a toccarmi e ti spacco la faccia” dissi, tremando per la rabbia. “Pazza violenta” sussurrò lui, dandomi le spalle. Chiusi gli occhi e tentai di convincere il mio corpo che i giochi erano finiti. Se fossi stata da sola, mi sarei messa a piangere. Ma averlo lì, a pochi centimetri di distanza non mi aiutava. “Vattene via” gli dissi. “No, voglio stare qui” ringhiò velenoso. Mi alzai dal letto e mi diressi verso la porta. La aprii e me ne andai io. Entrai in camera sua e chiusi la porta a chiave. Mi buttai sul letto e aspettai la mattina, per farmi augurare un’ennesima giornata di merda dal timido sole londinese. Il letto di Adam era molto più scomodo del mio. Sentii il suo profumo sul cuscino. Che diavolo stai combinando, stupida decerebrata? Sbuffai sonoramente smettendo di annusare la federa  in modo patetico e da psicopatica. Guardai la sveglia sul comodino. Erano già le sette e mezza. Sentii scendere Jodi, mio padre e Savannah al piano di sotto per fare colazione. Poco dopo uscirono di casa. “Apri questa cazzo di porta!” la voce rauca di Adam mi raggiunse come uno schiaffo, risvegliandomi da quello stato di semi-coscienza in cui mi trovavo. Mi alzai dal suo letto e aprii la porta, su cui lui stava battendo insistentemente il pugno con una violenza inaudita. “La smetti di fare casino?” gridai a mia volta. Lui mi prese per le spalle, stringendole in una morsa che mi impediva di muovermi. “Tu mi stai facendo impazzire! Mi vuoi dire qual è il tuo cazzo di problema?” mi sbraitò contro, avvicinando il suo viso al mio. “Tu sei il mio problema! Mi stai fondendo il cervello perché a quanto pare preferisci dormire piuttosto che fare sesso con me e io mi ritrovo ad annusare il tuo fottuto cuscino come una specie di maniaca depravata!” gli sputai in faccia la verità, rossa in viso per la rabbia del momento. Lo vidi trattenere le risate. “Evita di ridere, per favore. Sono abbastanza patetica senza che tu mi rida in faccia” dissi, umiliata e imbarazzata. “Ti immaginavo annusare il mio cuscino” disse beffardo, con il suo ghigno. Sbuffai sperando che mi lasciasse andare, così da potermi rifugiare in camera mia ad autoinfliggermi testate contro il muro per la vergogna. Ma lui non lasciò la presa. “Sei un essere strano” sentenziò infine, alzando un sopracciglio. “Grazie mille” dissi sarcastica. “Non è un’offesa” “Non me ne frega un cazzo se non è un’offesa. Per me lo è, soprattutto se detto da te” dissi, senza osare guardarlo negli occhi. “Ti do il permesso di picchiarmi, se può farti star meglio” disse ridendo. Ma io non ci trovavo nulla da ridere. “Siamo una tragedia” bisbigliai, dando voce ai miei pensieri. “E questo che significa?” “Che non faremo mai sesso!” dissi, risultando più disperata di quello che volevo sembrare. Questo lo fece ridere più forte. “Come sei drammatica!” disse, prendendomi in giro. “Vorrei che fosse tutto come al solito. Che continuassimo ad insultarci e a non calcolarci come abbiamo sempre fatto” dissi. Questo lo fece tornare serio. “Hai capito perché sei strana? Un momento mi dici in tono drammatico che non faremo mai sesso, come se fosse una delle tue priorità, e un attimo dopo te ne esci fuori che vorresti che tornassimo come prima. E io ti ho detto che voglio che tu sia più chiara e concr-“ Gli tappai la bocca con un bacio. Le sue mani lasciarono le mie spalle, percorrendo la schiena e raggiungendo il mio sedere. Mi prese in braccio e mi schiacciò contro il muro. La stretta delle mie gambe intorno alla sua vita si fece più forte, mentre con le mani gli sfilavo la maglietta lasciandolo a torso nudo. Gli accarezzai la pelle, perfetta e liscia. I suoi muscoli erano dannatamente perfetti. Adam era dannatamente perfetto. Peccato che era mio fratello. Smettila di pensarci, smettila di pensarci, smettila di pensarci. Non volevo rovinare quell’ennesimo momento di passione che ci aveva travolti. La sua bocca si spostò sul mio collo, facendo sì che il mio respiro accelerasse. Schiacciandomi sempre di più tra il suo corpo e il muro, riuscì a sfilarmi i pantaloni. Lo sentii accarezzarmi l’interno coscia, mentre mi mordicchiava malizioso il lobo. “Gesù” bisbigliai prima di sentire le sue dita dentro di me. Non riuscii a reprimere un gemito, che uscì dalle mie labbra come una sorta di liberazione da un lungo e doloroso supplizio. Mandai indietro la testa, sbattendo contro il muro. Mi mordevo il labbro inferiore mentre dalle mie labbra i gemiti aumentavano. Lui mi baciò e mi soffiò “Non ce la faccio più”. Il mio cervello elaborò in un decimo di secondo tre teorie: la prima era che non ce la faceva più ad aspettare; la seconda era che non ce la faceva più a muovere le dita dentro di me; la terza era che non ce la faceva più a tenermi in braccio. “In che senso?” chiesi tra i sospiri di piacere. Velocemente mi portò sul suo scomodo letto mettendosi a cavalcioni su di me. Prima teoria. O forse seconda. Magari era la terza. Dannazione! Decisi di buttarmi, allontanando tutti i pensieri dalla mia testa, svuotandola completamente. Gli abbassai i pantaloni e i boxer, in un unico gesto, guardandolo negli occhi. Ma davanti a me non c’era il mio odioso fratellastro che mi riempiva di insulti dalla mattina alla sera. C’era Adam, il ragazzo che mi piaceva. Il ragazzo che si riempiva di brividi quando gli sfioravo i fianchi con la mani. Il ragazzo che pensava prima al mio piacere che al suo. Il ragazzo che ‘non ce la faceva più’. La mia mano destra si spinse sempre più in basso, fino a raggiungere ciò che stava cercando. Iniziai con movimenti lenti, dolci, per poi aumentare di intensità e velocità, così come il suo respiro.  Portò le sue labbra vicino al mio orecchio e mi bisbigliò “Ti prego, fammi entrare”. Nessuno prima di quel momento mi aveva mai chiesto il permesso. Quella sua richiesta mi fece pensare a quando si citofona a casa di qualcuno con cui hai litigato e gli chiedi di farti entrare per chiarire. Sorrisi divertita e lo baciai, acconsentendo. Entrò piano, in modo da preparaci a ciò che avremmo provato di lì a poco in maniera molto più ampliata. Trattenni un urlo liberatorio, quando iniziò a muoversi sopra di me sempre più veloce, facendo aderire i nostri corpi perfettamente. Chiusi gli occhi, per godermi fino in fondo ciò che stava accadendo. Gli circondai la vita con le mie gambe, spingendolo più a fondo in me. I nostri respiri andavano all’unisono, proprio come i nostri cuori. Persi le mie labbra sulle sue, sentendo il suo respiro affannoso nella mia bocca. Intrecciò le sue mani nelle mie, portandole leggermente  al di sopra della mia testa. Lo sentivo spingere sempre più a fondo, sempre più forte. Mi mordeva le labbra, ingordo, come se non ne avesse mai abbastanza di me. Ma nemmeno io ne avevo abbastanza di lui. Volevo sempre di più e lo incoraggiavo ogni tanto con un “Vai” o “Più forte” prima di abbandonarmi al piacere completo nell’ averlo dentro di me, finalmente. Mi leccò le labbra, assaporandole. Sarei anche potuta morire in quel momento, non mi sarebbe importato: sarei morta felice e appagata. Sentii i brividi pervadermi il corpo e il mio respirò accelerò in maniera spropositata. Strinsi più forte che potevo le gambe intorno alla sua vita, prima di liberarmi. Insieme a lui. Il nostro ultimo gemito lo facemmo a due centimetri dalle nostre facce.  Mi baciò la punta del naso prima di accasciarsi stravolto al mio fianco. Ci eravamo riusciti, finalmente. Senza che niente o nessuno ci interrompesse. Senza che nessuno dei due avesse ripensamenti. “E’ stato..” iniziò con fiato corto. “Già” finii io, sapendo esattamente cosa intendesse. Bellissimo. Fantastico. Meraviglioso. La fine del mondo. Un viaggio di sola andata per la luna in un razzo di cioccolata. Mi scompigliò i capelli e si rivestì. “Strano, vero?” disse, allacciandosi i jeans. “Cosa?” chiesi senza capire. “Insomma, anche per te è stato strano?” disse, raccogliendo la sua maglietta dal pavimento. Iniziai ad odiare quel termine. Ero strana io ed era strano il sesso con me, dal suo punto di vista. Sentii le lacrime pungermi gli occhi. Mi rivestii in fretta, nel silenzio che si era creato tra di noi. Mi sentivo sporca e umiliata. Era stato fantastico per me. “Vieni a fare colazione?” mi chiese, aprendo la porta. “No, grazie” tentai di sorridere, ma fu più difficile di quello che pensassi. Non era quello che mi aspettavo. Pensavo che saremmo stati abbracciati sul suo letto a coccolarci, a baciarci a fare un secondo e un terzo round. Invece lui aveva preferito andare a fare colazione da solo. Sentii la rabbia salirmi fino al cervello. Scesi con foga le scale e lo aggredii verbalmente mentre si stava preparando una tazza di cereali. “Sei proprio uno stronzo di merda!” “Che ho fatto?” chiese fermando il cucchiaio stracolmo di cereali e latte a mezz’aria. “Mi chiedi pure che hai fatto?! Hai detto che è stato strano fare sesso con me! Sai quanto possa essere demoralizzante sentirsi dire una cosa del genere?” sbraitai come una pazza. “Prima mi riempi di dolci parole e poi mi molli come una scema per fare colazione!” ”Avevo fame” “Ma chi cazzo se ne frega! Non è questo il punto!” “E qual è? Che per me è stato strano fare sesso con la mia sorellastra? Penso sia più che normale!” “Mi aspettavo dei complimenti!” esplosi. “Lee, hai fatto sesso con me, non hai mica vinto le olimpiadi!” “Sai che c’è? E’ stata la scopata migliore della mia vita! Ecco, l’ho detto! Non è stato strano, è stato bellissimo. E se questo vuol dire che sono da rinchiudere, benissimo! Sono pazza!” Ero letteralmente fuori di testa. Sorrise, scosse la testa e riprese a mangiare. Con un gesto fulmineo presi la tazza e gli versai il latte e i cereali sulla testa. “Ma che cazzo fai?!” disse indietreggiando. Sì, ero completamente impazzita. “Sono qui davanti a te, mi sto umiliando e vergognando come una ladra e l’unica cosa a cui pensi è mangiare. Perché sei così stronzo?” dissi seria. Lui mi guardò come se mi stesse vedendo per la prima volta. “Che significa che è stato strano?” chiesi senza imbarazzo, determinata. Lui si morse un labbro “E’ stato come tornare vergine” disse, puntando i suoi occhi azzurri nei miei.  “Di solito non mi preoccupo di sbagliare, ma con te è stato diverso. Avevo una paura fottuta di fare qualche cazzata, qualcosa che non ti sarebbe piaciuto, qualcosa che ti avrebbe spinta a dire basta. E non volevo che tu lo dicessi. Per questo è stato strano” finì appoggiandosi al mobile della cucina. Questo non me lo sarei mai aspettato. “Ah” dissi solo, elaborando sconnessamente le informazioni appena ricevute. “E questo è un bene o un male?” chiesi. Lui sospirò “Non lo so” rispose, scompigliandosi i capelli castani. “Quindi non ho fatto completamente schifo?” chiesi, rossa in viso per l’imbarazzo. “Direi di no” disse, togliendosi dei cereali dai capelli. Sorrisi soddisfatta. “Ora posso mangiare?” mi chiese. Mi avvicinai a lui, lo baciai a fior di labbra e gli sorrisi. In quel preciso momento sentii cadermi qualcosa sulla testa e gocciolarmi addosso. Latte. Lo vidi ridere vincitore. “Quanto sei stupido!” sbraitai ridendo e strizzandomi i capelli nel lavandino. “Questa puoi anche togliertela” disse, sfilandomi la maglietta e lasciandomi in reggiseno davanti a lui. “Che intenzioni hai?” chiesi maliziosa, alzando un sopracciglio. “Tu che dici?” disse prendendomi in braccio. Mi sdraiò sul tavolo. Ma un movimento ci congelò sul posto. Chiavi nella porta. Mi lanciò sulla faccia la maglietta, che indossai alla velocità della luce. Scesi dal tavolo e quasi scivolai sulla pozza di latte sul pavimento. “Oh, siete già svegli? Ma che è successo qui?” Jodi, notò subito la pappetta schifosa di latte e cereali sotto i nostri piedi. “Niente!”  esclamammo in coro io e Adam. “Voi due non me la raccontate giusta!” disse “E pulite prima che arrivi la signora Travis, o le prenderà un colpo nel vedere questo schifo sul pavimento!” finì. “Come mai sei a casa?” le chiese suo figlio. “Ho dimenticato un paio di fascicoli. Che programmi avete per oggi?” “Pensavo di portarla in giro” disse, con una faccia un po’ disgustata. “Non uccidetevi, mi raccomando” esclamò ridendo prima di uscire dalla porta e tornare al lavoro. Finii di pulire il pavimento e mi apprestai ad andare al piano di sopra. “Dove credi di andare?” mi chiese Adam, prendendomi per un braccio. “A lavarmi. Sono ricoperta di latte” dissi, allontanandolo leggermente. “Bhè, potrei farti compagnia” disse, stringendomi a sé. “Quindi mi porti a spasso oggi..” dissi, mentre salivamo le scale. “Se vuoi” disse vago. “Ma non ti aspettare che ti tenga per mano” disse ridendo. Senza rendermene conto, mi sentii delusa nell’averlo sentito dire quella frase. Non ti terrà mai per mano. Entrammo nel bagno e mi butto di peso nella doccia, ancora vestita. Non riuscii a ribellarmi. Aprì l’acqua che mi bagnò dalla testa ai piedi. Continuava a ridere e si buttò sotto l’acqua anche lui. Prese a baciarmi con foga mentre mi toglieva di dosso i vestiti fradici. Pochi minuti dopo mi ritrovai schiacciata contro il muro ad ansimare di piacere, mentre entrava dentro di me. Lo sentivo gemere e sospirare. Le sue mani mi toccavano, mi accarezzavano, mentre le mie unghie gli graffiavano la schiena bagnata. Adam riusciva a farmi dimenticare di ciò che ci circondava. C’eravamo solo io e lui. Mi baciò per l’ennesima volta, mordendomi le labbra, prima di gemere per l’ultima volta. Rimanemmo fermi, immobili, in silenzio. Gli unici rumori presenti in bagno erano i nostri respiri e il getto dell’acqua che batteva sui nostri corpi. “Potrei abituarmi a tutto questo” disse, prima di baciarmi sul naso. Riuscii solo a sorridere.  Poi prese a fissarmi divertito. “Che c’è?” chiesi sorridendo. “Mi piace l’espressione che hai” “Che espressione ho?” chiesi senza capire. “La tipica espressione che uno ha dopo una buona e sana scopata” disse prima di uscire dalla doccia. Una buona e sana scopata. Era davvero questo Adam per me? Solo una scopata? E allora perché il cuore non aveva smesso un attimo di battermi forte nel petto? Chiusi gli occhi, abbandonandomi sotto il getto dell’acqua calda. Non ero mai stata brava nel gestire i miei sentimenti e la mia ultima relazione ne era la prova schiacciante. Ma da lì a pensare che potevo essermi presa una cotta per il mio fratellastro ce n’era di strada. Lui ti piace. Spalancai gli occhi. “Non è vero” bisbigliai, cercando di convincere la voce della mia coscienza. “Hai detto qualcosa?” mi chiese Adam, aprendo l’anta della doccia. Lo guardai ad occhi sgranati. “No, niente” dissi con voce isterica, risultando poco convincente. Mi guardò un attimo e sussurrò “Sei dannatamente sexy.” Sorrisi imbarazzata. Non mi ritenevo una ragazza sexy e sentirmelo dire per la prima volta in vita mia, mi fece arrossire. E a dirlo era stato proprio Adam. “Passami l’accappatoio, piuttosto” dissi ridendo. Lui sorrise e fece come ordinato. Chiusi all’improvviso il getto. Mi strinsi nell’accappatoio morbido.  Sbadigliai sonoramente, mentre mi asciugavo i capelli con un asciugamano. “Dove vuoi essere accompagnata oggi?” mi chiese, incrociando il suo sguardo con il mio attraverso lo specchio. “Non so. Ci facciamo un giro in macchina?” chiesi, pensando a quanto mi piacesse vederlo guidare. “Come vuoi” disse semplicemente, prima di uscire dal bagno.

“Mi dici perché ti metti gli occhiali da sole se di sole non ce ne è?” gli chiesi, una volta in macchina. “Perché mi fanno sembrare ancora più bello” disse modesto. “Più idiota, vorrai dire” ribattei ridendo. Erano le undici e mezza di mattina e in giro c’era una moltitudine di gente. E noi eravamo letteralmente imbottigliati nel traffico. “Al primo parcheggio che trovo, mi fermo e continuiamo a piedi” disse, isterico. Sbuffai. Era bello stare di fianco a lui, guardarlo guidare. Vedere come stringeva la mascella ogni qualvolta che doveva fermarsi. Mi piaceva osservarlo di nascosto. “Non capisco come fai a guidare da quel lato” esordii. “Penso sia questione di abitudine” rispose nervoso. “Ho solo detto una cosa” sottolineai acida. “Una cosa stupida” rispose acido. “Si può sapere perché rispondi a questo modo?” “Perché per colpa delle tue idee del cazzo, siamo in mezzo al traffico” “E’ verde” gli dissi indicandogli il semaforo. Partì veloce, sbuffando. Ma la nostra corsa si fermò a pochi metri dal semaforo che ci aveva dato il via libera. Noi non andavamo veloci, alla fine. Ma chi ci prese in pieno lo stava facendo.  Sbattei la testa su non so cosa. Sentii il vetro del finestrino infrangersi in mille pezzi. La cintura mi strinse in una presa soffocante. Chiusi gli occhi d’istinto. La faccia mi pulsava come se mi avessero presa a botte con una mazza ferrata. Quando riaprii gli occhi, le macchine erano ferme. Allungai il braccio verso Adam. “Stai bene?” bisbigliai tramortita. “S-sì e tu?” la sua voce era terrorizzata. “Non lo ho ancora capito” tentai di sdrammatizzare. Ma in realtà sentivo ogni singolo osso del mio corpo a pezzi. Come se fossi finita in un frullatore gigante. Girai il viso verso ciò che rimaneva del finestrino, dalla mia parte. Se fossimo stati in qualsiasi altra parte del mondo, quella macchina avrebbe preso Adam e non me. Voleva solo significare che il destino mi stava punendo per i miei sbagli. L’uomo nell’altra auto sembrava illeso. Allontanò la sua macchina dalla mia portiera. Adam uscì dalla macchina e cercò di aprire il mio sportello, letteralmente accartocciato. Riuscii a togliermi la cintura. “Ce la fai ad uscire dal finestrino?” mi chiese mio fratello. Fu allora che notai che non riuscivo a muovere le gambe. “Non ci riesco! Adam non riesco a muovere le gambe!”  gridai, in preda al terrore. “Come non riesci a muoverle?!” gridò spaventato. “Non ci riesco!” esclamai piangendo in una vera e propria crisi di panico. “Lee! Hayley! Ascoltami, cazzo!” disse prendendomi il viso tra le sue mani. “I soccorsi stanno arrivando, ok? Stai tranquilla. Io non mi muovo di qui” finì, cercando in qualche modo di tranquillizzarmi. Fu a quel punto che mi guardai le gambe. La destra stava bene, mentre la sinistra era girata in modo innaturale. “Oh, Gesù!” esclamai terrorizzata. Era il mio primo incidente. E potevo essere rimasta paralizzata, per quanto ne potevo sapere. L’ambulanza arrivò pochi minuti dopo, insieme ai pompieri, che mi dovevano estrarre da quel che rimaneva della nostra macchina. Adam aveva chiamato sua madre che ci aveva raggiunti immediatamente. Aveva avvisato mio padre, che preoccupato ci stava raggiungendo. I soccorritori mi fecero sdraiare sulla barella, subito dopo avermi messo il collarino. “Non mi sento più le gambe” li informai tra le lacrime. Uno di loro mi strinse un ginocchio. “Cazzo!!” gridai di dolore. “Nulla di cui preoccuparsi” mi tranquillizzò. Jodi salì sull’ambulanza insieme a me e ad Adam, mentre mio padre pensava a parlare con la polizia e i testimoni oculari. Jodi stringeva suo figlio, piangendo e con una mano stringeva la mia. “Mamma, non piangere” cercò di tranquillizzarla Adam. Chiusi gli occhi, cercando di immaginarmi che dicesse a me quelle parole di conforto. E finii per addormentarmi. “Hayley..” la voce di Jodi mi riportò alla realtà. Mi accarezzava il viso, teneramente. Aprii gli occhi con uno sforzo sovrumano. “Tesoro, hai una gamba rotta” mi avvisò, notando che guardavo il gesso sulla mia gamba sinistra senza capire. “E Adam?” chiesi con voce impastata. “Lui sta bene. Aveva qualche taglio, ma gli hanno messo dei punti” “Mi fa male la faccia” dissi dolorante. La feci ridere. “Ho già detto a tua sorella di far sparire gli specchi da casa per un po’” “Sono messa così male?” chiesi, tentando di sorridere. “Meglio di quello che credi” provò a convincermi.  “Possiamo andare a casa?” chiesi stravolta. “Sì, tuo padre sarà qui a minuti” disse asciugandosi delle lacrime ribelli. “Jodi, stai tranquilla. Sto bene” dissi dolcemente, notando quanto fosse in ansia. “Lo so, ma mi avete fatto prendere un colpo” disse distrutta. Le accarezzai la mano sorridendole. Mio padre arrivò poco dopo, con delle stampelle in mano. “Stai bene?” mi chiese, abbracciandomi. “Sì, papà. Sto bene. Non preoccuparti” dissi, ormai stanca di ripeterlo. Mi aiutò a scendere dal letto, su cui mi avevano fatta dormire. Mi passò le stampelle e rimase al mio fianco per aiutarmi nel caso in cui fossi scivolata. Quando ero più piccola mi ero rotta un braccio: stavo saltando sul letto di mia madre ed ero caduta per terra come un salame. A scuola mi avevano riempito il gesso di scritte e disegni. Ma rompersi una gamba era stato ancora peggio. Mi sentivo un’impedita. E le stampelle al posto di aiutarmi, mi impacciavano ancora di più. Quando salii in macchina mi si chiuse lo stomaco. Ad ogni frenata di mio padre avevo paura che qualcuno ci venisse addosso o che, peggio ancora, noi andassimo addosso a qualcuno. “Il signore dell’altra macchina sta bene?” chiesi all’improvviso. “Sì, lui non si è fatto niente” mi rispose mio padre, indifferente. “Qualcuno gli ha chiesto perché ci è venuto addosso?” chiesi arrabbiata. “Ha detto che si era distratto” tagliò corto mio padre. Parcheggiò davanti casa e mi aiutò a saltare sui gradini che mi separavano dalla porta d’ingresso. Quando entrai in casa, Savannah mi abbracciò con così tanta foga che quasi persi l’equilibrio. “Stai bene, vero? Dico, a parte la gamba” mi chiese preoccupata. “Si, a parte la gamba sto bene”. Mi accarezzò il viso, guardandomi come se sentisse il mio dolore. Adam era seduto sul divano e alzò appena la testa quando mi vide entrare in casa. Non mosse un muscolo. Fui io a raggiungerlo, buttandomi sul divano. “Hai bisogno di qualcosa, tesoro?” mi chiese Jodi, entrando in casa. “No, grazie” risposi gentilmente. Lei e mio padre mi affidarono a mio fratello e tornarono al lavoro, mentre Savannah tornò a scuola. Rimanemmo soli. In silenzio. Sul divano. Sbuffai scocciata e mi alzai. “Dove vai?” mi chiese Adam. “”In bagno” risposi. Lasciai lì le stampelle e saltellando raggiunsi il bagno del piano di sotto. Accesi la luce e non riuscii a fare a meno di guardarmi allo specchio. Rimasi shoccata. La mia faccia era gonfia, piena di tagli, livida. Sulle narici c’era del sangue asciutto. Il labbro che poco prima Adam mordeva, era aperto lasciando intravedere la carne. Trattenni un urlo di terrore. Ma le lacrime non riuscii proprio a trattenerle. Più mi guardavo e più nella mia testa rivedevo le immagini dell’incidente. La porta si spalancò e Adam corse dentro. Mi guardò. Mi nascosi il viso tra le mani, sperando che lui non avesse notato il mio aspetto mostruoso. Mi abbracciò stretta. “Mi dispiace” disse, baciandomi la testa. “Perché mi chiedi scusa?” dissi, nascondendo il viso sul suo petto. “Perché dovevo stare più attento” Lo allontanai senza capire. “Adam, non  è colpa tua. Chiaro?” dissi, sicura. Lui mi accarezzò il viso. “Sembri uscita da un film horror!” Risi. “Grazie, lo prenderò come un complimento!” Mi baciò piano sulle labbra, per evitare di farmi male. Ma non mi importava di sentire dolore o meno. Lo strinsi più forte a me, e lo baciai con più foga. Persi le mani tra i suoi capelli. Le labbra mi bruciavano, come se sulla carne scoperta mi avessero versato del sale. Ma non riuscii a smettere di baciarlo. Fu il sangue a fermarmi. “Merda..” bisbigliai prima di sciacquarmi la bocca sotto al getto d’acqua del lavandino. “Scusa” disse solo, avvicinandosi a me. “Adam, piantala di scusarti” dissi, scocciata. Mi tirò indietro i capelli, mentre io mi bagnavo la bocca. Le labbra mi bruciavano sempre di più, tanto da farmi piangere. Dopo i cinque minuti più interminabili della mia vita, riuscii a fermare il sangue. Mi sentivo così stanca. “Puoi portarmi in camera mia?” gli chiesi stravolta. Mi prese in braccio e mi portò nella mia stanza. Mi sdraiò sul letto. “Puoi stare qui con me?” gli chiesi, trattenendolo per un braccio. Lui si sdraiò di fianco me, accarezzandomi i capelli. Chiusi gli occhi e poco dopo mi addormentai tra le sue braccia. Per il mio cervello fu quasi impossibile non farvi rivivere l’incidente. Mi svegliai di botto, spaventata. Con la mano cercai Adam. Ma lui non c’era di fianco a me. “Adam” lo chiamai. “Adam!!” gridai, in preda a una crisi di panico. La gamba mi faceva un male assurdo, pulsandomi attraverso il gesso. Lo sentii correre sulle scale. Piangevo disperata. Entrò in camera “Lee, sono qui” disse raggiungendomi sul letto. “Non ti ho visto e mi sono spaventata” dissi tra le lacrime. “Non mi lasciare sola, Adam. Non mi lasciare mai” lo pregai stringendolo a me. “Non ti preoccupare. Io starò sempre con te” mi disse. Ma nemmeno lui poteva immaginarsi quanto si stava sbagliando.

 

 

 

E finì anche il capitolo 6! L’altra volta mi sono scordata di ringraziare jekikika96 per la recensione: effettivamente Adam ha l’aria da figone XD.

Per quanto riguarda questo capitolo ho fatto punire Hayley dal Karma. Poveraccia XD . Insomma hanno fatto sesso questi due! F I N A L M E N T E ! Ho avuto parecchi problemi nel descrivere, ehmm, l’”atto sessuale” perché non mi ritengo brava nel descrivere scene di sesso dato che ho sempre paura di finire nel volgare ._.’’ Io ci ho provato seriamente e se è uscita una schifezza: mi dispiace T.T

Vorrei ringraziare anche Athenril per la sua recensione strapositiva che mi ha fatto un sacco piacere e volevo scusarmi per averla distratta da Leopardi: io quando l’ho studiato mi perdevo a guardare le farfalle che volavano quindi posso capirti XD.

E infine vorrei ringraziare chi non recensisce ma aggiunge la mia storia tra i preferiti o le storie seguite. Mercì :D

Un bacio,

Kiki :D

 

 

  
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