CAPITOLO 4
Da allora passarono tre anni.
Sosuke, ormai diciannovenne, era stato promosso
sergente maggiore e comandante di una squadra. In fondo, in mancanza di Melissa
e Kurz, lui era l’unico che potesse assumere quel ruolo.
Era al comando di un gruppo esperto di piloti di AS:
Rodny, Max, Phill e Sammy, unica femmina. Quest’ultima era innamorata di
Sosuke e più di una volta ci aveva provato con lui, ma niente! Il suo
cuore era occupato e nessuna avrebbe preso il posto di quella ragazza!
Sammy aveva sentito parlare di lei da Telethe e molte
volte aveva cercato di prendere l’argomento con Sosuke, ma lui cambiava
subito discorso o la ignorava: probabilmente il parlarne lo faceva soffrire e
cercava di nasconderlo…
Ma quel giorno qualcos’altro lo faceva soffrire…
Quella mattina si vestì lentamente;
infilò con molta calma un abito ufficiale adatto alle cerimonie. Mentre
lo faceva, si guardava allo specchio della sua cabina; vedeva un ragazzo forte
e fiero, con occhi che, però, non nascondevano il dolore e il rimorso
per le sue azioni. Ripensava all’accaduto, al motivo per cui era
successo… quindi ripensò a lei.
I suoi pensieri furono interrotti da Telethe che era
entrata dicendo
“Allora, sei pronto? Ormai è
ora…”
Lui era l’unico con cui parlasse normalmente; invece
Sosuke continuava a trattarla solo come una capitana.
Gli anni l’avevano resa più bella e
desiderabile. Molti, infatti, nella base la corteggiavano, ma lei continuava a
soffrire per lui.
“Salve signora” disse lui frettolosamente,
mentre armeggiava con la cravatta che non riusciva a mettersi.
“Oh, ma guarda…” disse lei con voce
maliziosa “… Il mio bambino non riesce a sistemarsi la
cravatta” si avvicinò e gliela mise a posto.
Lui arrossì e disse impacciato
“La ringrazio, ma non c’era bisogno”
“Oh sì, invece!” poi gli
accarezzò il naso con l’indice in modo provocante. Lui
reagì a quella sua azione e, con uno scatto, gli spostò la mano
con violenza
“Mi scusi…” disse poi col volto cupo
“… Ma non mi sembra proprio il momento per i suoi giochetti. Ora
andiamo, è tardi.”
“Sì… scusa… hai
ragione…” affermò con imbarazzo.
Raggiunsero rapidamente il luogo della cerimonia e si
unirono agli altri militari.
Sammy, quando lo vide arrivare, fece subito il saluto
e si azzardò a chiedere
“Chiedo il permesso di sedermi accanto a voi,
Sergente maggiore”
“Permesso accordato” rispose lui.
Infondo non gli dispiaceva. Sammy era una delle poche
persone con cui riuscisse a parlare liberamente: aveva trovato in lei una
confidente. Con lei aveva parlato del suo rimorso e quindi poteva capire come
si sentisse in quel momento.
Lui si sedette al suo posto, in prima fila, in quanto
amico di Kurz. Cominciò a guardarsi intorno, cercandola. Incontrò
subito quegl’occhi distrutti dal dolore, davanti a lui; ne rimase quasi
impaurito e distolse lo sguardo. Poi si girò di nuovo e vide, in braccio
a lei, quella bambina. Il suo sguardo innocente, faceva intendere che non stava
capendo la situazione; continuava a giocherellare con le dita della madre che
la teneva in braccio; i suoi profondi occhi azzurri lo squadrarono, poi gli
sorrise. Quel riso spontaneo gli spezzò il cuore. Già…
perché lui era il responsabile della morte di suo padre: quella bambina,
di soli due anni, non avrebbe più rivisto il padre a causa sua!
La bara contenente il povero Kurz arrivò subito
dopo. Era ricoperta da una bandiera commemorativa.
Tutti si alzarono in piedi e salutarono
l’amico-collega con il saluto militare. La tromba, che intonava la marcia
funebre, suonò, lasciando la tristezza nel cuore di tutti.
La bambina in braccio a Melissa, al passaggio della
bara, strinse con la manina la bandiera, facendola cadere: sembrava quasi che
anche lei volesse salutare il padre. Un militare poi la raccolse, la
piegò e la porse alla bambina che la strinse a sé, come se fosse un
tesoro che nessuno doveva togliergli. A quella vista, Melissa cominciò a
piangere a dirotto, stringendosi la figlia al petto e accarezzandogli la testa.
Sosuke fu abbattuto da quello che era successo, ma si
trattenne, mantenendo ben salda la mano attaccata alla fronte.
Sammy, dalla sua posizione di < Attenti! >,
staccò il braccio dal corpo e strinse la mano libera del suo amato
Sosuke; lui accettò la sua mano, sentendosi compreso da un’amica.
La cerimonia funebre durò poco e, al suo
termine, tutti si allontanarono. Sosuke raggiunse Melissa e le fece il saluto
militare, dicendo
“Le mie più sincere condoglianze, signora
Weber”
“Ti ringrazio Sosuke. Ehm… Senti… ti
andrebbe di accompagnarmi a casa? Non me la sento proprio di stare da sola
oggi…”
“Ne sarò onorato” disse lui,
aprendogli la portiera della macchina e salendo a sua volta.
Sammy osservò la macchina nera allontanarsi.
Era preoccupata.
-Riuscirà a trattenersi e a consolare Melissa
nonostante il suo rimorso- pensò. Poi si allontanò anche lei, insieme
a Telethe.
Kaname stava sdraiata sul letto. Quel pezzo
d’arredamento scomodo, era il suo letto da ben tre anni. Nel piccolo
appartamentino di Parigi, in cui si era trasferita dopo la delusione di Sosuke,
viveva come una prigioniera.
Non riusciva a prendere sonno e quel quartiere
malfamato certo non l’aiutava.
Subito dopo sentì il pianto del bimbo. Suo
figlio Danny era l’unica gioia che le era rimasta. Amava quel piccolo
cucciolo indifeso, nato dal dolore che quell’uomo gli aveva fatto
provare.
Come ogni mamma, lei viveva solo per suo figlio:
continuava a sopportare quella situazione solo per Danny…
Si alzò con stanchezza e raggiunse il bimbo di
appena dodici mesi; lo allattò, accarezzandogli il volto e
sorridendogli. Non voleva certo fargli capire quanto fosse triste!
Poi spostò lo sguardo sul braccio che sosteneva
Danny, vedendo quei lividi: quei maledetti lividi presenti su tutto il suo
corpo che erano un segno evidente della crudeltà del padre di suo figlio…
Sosuke entrò tentennante nella villetta di Melissa.
Lei gli fece cenno di accomodarsi, poi disse
“Aspetta qui. Vado a preparare del
caffè”
“Ok”
Lui cominciò ad osservare quella saletta piena
di foto della famiglia Weber. Vedere quelle facce sorridenti, specialmente
quella di Kurz, gli fece piangere il cuore.
Subito dopo, rientrò Melissa con un vassoio in
mano.
“Scusa se ti ho fatto aspettare; serviti
pure”
“La ringrazio. E… Potrei sapere
dov’è Yuiu?”
“L’ho messa a letto: era molto stanca.
Comunque con me puoi parlare normalmente” affermò divertita.
“Mi dispiace molto per lei… Non
potrà mai rivedere suo padre…” disse cupo, riportando la
tristezza nella sala.
“Non dire così…”
incominciò Melissa “… Yuiu conoscerà suo padre
tramite i miei racconti: gli parlerò sempre di lui!” fece un
sorriso “La mia piccola avrà sempre un padre che la
proteggerà!”
“Ammiro la tua forza d’animo. Se solo quel
giorno fossi stato presente!” gridò Sosuke, sbattendo i pugni sul
tavolo.
Melissa continuò a parlare, ignorandolo
“Ricordo ancora il nostro matrimonio…
Ah… Che bella cerimonia… Lui era stupendo! E ancora in piene
forze…
Quando i medici, quel giorno, ci comunicarono che non
erano riusciti a far niente per le complicanze che quella ferita aveva portato
con sè, ci cadde il mondo addosso. A causa di
quelle complicazioni, il mio Kurz sarebbe morto di lì a poco: non
riuscivo a crederci! Lui invece sembrava sereno; mi disse che con me avrebbe
passato i suoi ultimi anni migliori… Buffo, no?
Decisi subito di lasciare l’esercito insieme a
lui e ci sposammo un mese dopo. Te lo ricordi?”
Sosuke annuì. Lei continuò
“Sai… Devo ammettere che Kurz aveva
ragione: questi tre anni sono stati i migliori della mia vita! Forse è
vero; se quel giorno ci fossi stato, non sarebbe successo niente; se quella
ferita a poco a poco non avesse spento mio marito, ora mia figlia avrebbe un
padre… Ma così non è stato. È inutile piangere o
farsi prendere dal rimorso…” in quel momento Sosuke sussultò
“… è meglio continuare a vivere e ricordarlo con
felicità… sono sicura che è questo che vorrebbe! Io lo
farò: continuerò a vivere per Yuiu!”
A quelle parole, Sosuke non seppe trattenersi ed
abbracciò la donna
“Ti ringrazio…” sussurrò, poi
si disse tra sé e sé
–E pensare che dovevo consolarla io…-
E in quell’abbraccio si rasserenò.
Un altro giorno era iniziato e Kaname si stava
preparando ad uscire. Nonostante facesse caldo, visto che era estate, si mise
un vestito che le copriva tutto il corpo per nascondere quei lividi.
Preparò Danny e salutò Trevor, che si era alzato.
“Ehi ehi piccola… dove vai? Non saluti
come si deve il padre di tuo figlio?” così dicendo le prese il
braccio libero e la spinse contro il muro.
“No… Fermo Trevor! Così mi fai
male!”
“E allora?! Lo sanno tutti che ti fa
piacere…”
Aveva gli occhi minacciosi, tipici del maniaco. Lei si
dimenava e cercava di liberarsi. Intanto Danny cominciò a piangere.
“Oh… che cos’ha il mio
piccolo?”
“Non osare toccarlo!!!” urlò lei,
tirandogli uno schiaffo.
Lui furioso disse
“Non permetterti di parlarmi così,
sgualdrinella! E non azzardarti mai più ad alzare le mani!” poi
gli diede uno schiaffo “Ora va, e comprami qualcosa da mangiare”
“Sì… vado subito…”
sussurrò lei con un filo di voce.
Trattenne a stento le lacrime ed uscì.
Sosuke entrò nella sala conferenze.
“Finalmente sergente maggiore! È in
ritardo” disse Telethe.
“Mi scuso”
“Scusato. Ora si sieda. Bene, visto che ci siamo
tutti, posso cominciare…”
Sosuke si sedette accanto a Sammy; lei gli
sussurrò con tono malizioso
“Allora Sagara, come mai così in ritardo?
Dica, cosa stava facendo?… Eh…”
Lui arrossì: non era ancora abituato alle
avance di lei.
“Ehm ehm… Allora la vogliamo finire di
parlottare!” disse adirata Telethe.
“Mi scuso” disse Sammy.
“Bene! Guardate ora
quest’uomo…” sullo schermo comparve una fotografia
“… Quest’uomo è un terrorista che, secondo le nostre
ultime informazioni, starebbe progettando un attentato a Parigi. Ma lui
è troppo furbo perchè lo faccia di persona, così, molto
probabilmente, assegnerà la missione ad un esperto fabbricatore
d’esplosivi; più precisamente, a lui…” e comparve
un’altra foto “… Lui si chiama Trevor Gandal. Pare si aggiri
per Parigi da parecchi anni e che sia in cerca di un lavoro che gli frutti
parecchi soldi. È già stato autore di parecchi attentati in tutto
il mondo. Secondo noi, non si farà sfuggire quest’occasione! Il
vostro compito è quello di trovarlo e di evitare la catastrofe. Tutto
chiaro?!”
Tutti annuirono.
“Sergente maggiore Sosuke Sagara, accettate la
missione?”
“Sì! A nome di tutta la squadriglia dico
che accettiamo!”
“Perfetto! Domani partirete per Parigi”
E così tutti si diressero nelle loro stanze,
per riposarsi in attesa dell’imminente viaggio.
La mattina seguente, la squadra di Sosuke partì
alla volta di Parigi.
Il viaggio non fu lungo; appena arrivati, si divisero
e si diressero in direzioni diverse.
Sosuke camminò a lungo per una via principale
di un quartiere malridotto, nascosto solo da un giornale che gli copriva il
volto e da cui poteva osservare la gente che passava tramite due forellini.
Improvvisamente vide una persona conosciuta: era Kaname!
Sì, era proprio lei, n’era certo! Non poteva dimenticarsi la sua
bellezza, i suoi capelli che erano tornati lunghi, il suo corpo stupendo…
Ma non era sola. Teneva in braccio un bambino
bellissimo. Di chi era?!
-Probabilmente si è fatta una famiglia;
avrà una vita tutta sua… Forse mi ha già dimenticato…
La lascerò stare…- pensò. Però non poté non
seguirla!
Quando la vide fermarsi davanti alla porta di un
appartamentino al piano terra di un palazzo, pensò che le sue deduzioni
erano esatte. La vide prendere le chiavi e aprire: sembrava già una
donna adulta, nonostante i soli diciannove anni…
Poi osservò meglio il polso della mano in cui
teneva le chiavi: aveva un livido! Cosa le poteva essere successo?
Quando aprì, comparve sulla porta un uomo,
più precisamente, Trevor Gandal!
Non poteva crederci! La sua Kaname che viveva proprio
con lui!
“Sei in ritardo come al solito,
sgualdrinella!”
“Le chiedo perdono, sua altezza…”
rispose Kaname con tono di sfida.
“Non usare quel tono con me!!!” e dicendo
questo la schiaffeggiò, uscendo dalla porta.
Sosuke, alla vista di quella brutalità,
buttò via il giornale ed impugnò la pistola.
“Fermo non ti muovere! Allontanati subito da
quella ragazza!”
“Sosuke?” sussurrò lei.
“E tu chi diavolo sei? Come osi interrompere la
lite di due conviventi?!”
Lui lo guardò con uno sguardo combattivo e
minaccioso che fece tremare Trevor.
Kaname osservava Sosuke.
Perché era lì? Perché era venuto
proprio da lei?
Ma non era felice per il suo ritorno, anzi, il
rivederlo aveva riaperto una vecchia ferita. Lo riteneva responsabile di quei
tre anni terribili!
Allora spinta dalla rabbia, si mise tra il suo amato e
odiato Sosuke e il padre di suo figlio, Trevor.
“Non puntare la pistola contro quest’uomo,
Sosuke!” affermò poi.
“Ah… E così è un tuo
conoscente. E brava la mia sgualdrinella! Hai anche degli ex fidanzati gelosi e
pericolosi!” disse Trevor, abbracciandola da dietro e palpeggiandola.
“Ti ho già detto di lasciarla
stare!” urlò Sosuke col dito sul grilletto.
“Hai visto come l’hai fatto arrabbiare
stupidotta…” continuò il maniaco con tono ironico.
“Trevor, ora basta! Quel ragazzo è
pericoloso: smettila di provocarlo! Smettila di palpeggiarmi davanti a lui! Non
ti basta già a casa quando sei ubriaco la sera! Ti prego di smetterla:
ha il grilletto facile!” sussurrò Kaname al suo convivente.
Sosuke, che aveva sentito tutto, disse
“Kaname, come puoi farti trattare così?
Come puoi difendere quel terrorista?!”
“Terrorista?! Ma che ti salta in mente?!”
“Vuoi dirmi che non lo sapevi?” disse lui
stupito.
-Qui si mette male!- pensò Trevor, che aveva
già tirato fuori un coltello e l’aveva puntato alla gola della
ragazza.
“Ma che fai, Trevor?!” urlò lei
spaventata.
“Scusami, sgualdrinella, ma devo salvare la
pelle. Quello sa troppo!”
Sosuke, con l’ira nel cuore, ma con freddezza ed
esperienza, sparò. Centrò Trevor in mezzo alla fronte, facendolo
cadere a terra dietro Kaname, rimasta scossa e spaventata.
Lei cadde a terra, in ginocchio, piangendo ed
abbracciando il piccolo Danny che non aveva smesso un attimo di urlare dalla
paura.
Lui rimase in piedi, con la pistola fumante in mano, e
con lo sguardo vuoto. Guardava la sua Kaname piangere col figlio in
braccio… Si sentiva un mostro! Un’altra volta aveva lasciato un
figlio senza un padre; un’altra volta aveva fatto soffrire lei…
Poi si riprese, lasciò cadere l’arma,
corse verso di lei, e l’abbracciò da dietro.
“Perdonami” fu l’unica cosa che
riuscì a dire.
Lei quando sentì quell’unica
parola… quella semplice parola… smise di piangere. Era la sola cosa
che voleva. Da quel giorno in cui lui se n’andò senza dire niente,
portandola alla rovina, l’unica cosa che voleva da lui era questo: un
pentimento sincero.
Si tolse dall’abbraccio, si alzò in piedi
e disse
“Seguimi”
Lui si alzò ed insieme entrarono in casa.
Riuscì a fatica ad addormentare Danny e lo
ripose nella culla. Poi raggiunse Sosuke
“Ti ringrazio… Sono stata una stupida a
difendere quell’uomo, me ne rendo conto… Mi hai salvato, te ne sono
grata… E ti ringrazio anche per esserti pentito… Da quel giorno non
aspettavo altro: mi avevi ferita!” disse mentre le lacrime le offuscarono
la vista.
Lui non rispose. Si avvicinò a lei e
l’abbracciò teneramente. Come aveva potuto farle così male?
Lei in quell’abbraccio si perse, ritrovando la
tenerezza che Trevor la aveva negato. Continuò a piangere, appoggiata al
suo petto, per molto tempo.
Dopo lui sussurrò
“Ti prometto che non ti farò più
soffrire… Ti avevo lasciato perché credevo che con me saresti
stata in costante pericolo e che tu non volessi rischiare, ma mi
sbagliavo… e tu per il mio sbaglio hai pagato le conseguenze… Sono
un mostro e capirò se non vorrai più vedermi…”
Lei allora smise di piangere e lo strinse forte.
“Ti prego, non abbandonarmi di nuovo… Non
ho smesso di amarti, nonostante la rabbia. Ho bisogno di te, ora più che
mai… Ti prego resta con me!”
Lui le accarezzò i capelli, le alzò il
volto bagnato dalle lacrime, e la baciò. Il bacio durò tantissimo
e, al suo termine, le disse
“Se è questo quello che
vuoi…”
“Sì lo voglio!” rispose lei, baciandolo
subito dopo.
Le labbra di lui erano morbide; i suoi baci dolci, al
contrario di quelli freddi e aggressivi di Trevor. Più gli stava vicino,
più lo voleva… Voleva unirsi ad un uomo vero, un uomo che
l’amava, non un uomo che la riteneva solo un oggetto! Aveva bisogno che
lui la facesse sentire di nuovo una donna!
“Sosuke… Unisciti a me… aiutami a
tornare la ragazza spensierata che ero una volta… aiutami a non essere
più solo un oggetto…” disse piano, mordendosi il labbro
inferiore. Poi, quando incontrò lo sguardo dolce di lui, arrossì.
“T’aiuterò…” si
limitò a dire lui.
Si sedettero sul letto mano nella mano; lo stesso
letto in cui Trevor aveva consumato le sue oscenità. Lei, con la mano
libera, cominciò a spogliarsi, sbottonandosi il vestito.
Lui, quando la vide compiere quel gesto, la
fermò.
“Non devi” disse con voce dolce.
Subito dopo la fece stendere sul letto vestita e lui
accanto a lei; la baciò sulla fronte e l’abbracciò.
“Ora dormi mio piccolo angelo, il tuo protettore
è qui accanto a te e non permetterà a nessuno di farti del
male”
Lei lo guardò con gioia. Aveva trovato il modo
per farla sentire amata: l’aveva semplicemente amata, senza volere niente
in cambio.
“Oh… Sosuke…” si limitò
a dire, mentre si accoccolava tra le sue braccia.
Tra le braccia del suo amato, con Danny che dormiva
tranquillo, e gli occhi bagnati da lacrime di gioia, ritrovò la
serenità.
EPILOGO
“Ecco questa è la mia richiesta di
abbandono” disse Sosuke, presentando un foglio a Telethe.
“Cosa hai detto?!”
“Ormai ho deciso: abbandono l’esercito!
Ora devo stare con Kaname, ha
bisogno di me”
“Sei sicuro della tua decisione?” chiese
lei preoccupata ed un po’ indispettita.
“Sì, sono sicuro!” rispose lui
serio.
“Ci mancherai…” sussurrò
“Beh… Sii felice!”
Uscì dall’ufficio di Telethe e
incontrò in corridoio Sammy. Lei gli corse incontro e
l’abbracciò
“Kaname è molto fortunata… Mi
mancherai”
“Anche tu, sei stata un’amica
preziosa…”
Lei gli sorrise e lo lasciò uscire.
Quando uscì, si trovò davanti la sua
Kaname sorridente, con Danny in braccio. Li raggiunse, baciò lei ed
accarezzò la testa del piccolo.
“Allora andiamo a casa?”
“Sì. Ah… Sosuke… ti ringrazio
per aver riconosciuto Danny come tuo figlio”
Lui le sorrise e le prese la mano.
Così, mano nella mano, con figlio a seguito, si
allontanarono come una vera famiglia: la futura famiglia Sagara.