La porta, ancora cigolando, si spalancò. 

L’uomo si scostò dall’uscio della porta, così da  permettere alla donna di entrare. 

Diane, accennando un sorriso, fece un passo sicuro all’interno dell’edificio, ed in quello stesso istante, la figura di lei che aveva attraversato la porta era stata inghiottita dal buio, e come presto accadde anche alla sua altra metà. 

Appena arrivata dentro la porta fu lasciata andare dall’uomo, e si chiuse velocemente senza il ben che minimo accenno al rumore. 

Tutto in quel luogo era contornato dal silenzio, un silenzio intriso da profondi respiri. 

Piano piano la donna si era abituata a quel buio, che così pesto non era, ben sì, si trattava di luce, ben troppo fioca. 

La donna giovane fotografa si guardava intorno, cercando si scrutare ogni singolo particolare dell’edificio, quasi a caccia di una preda da immortalare; curiosa e silenziosa. Ma il suo viaggio da piccola esploratrice fu interrotto da una voce seria e composta, amara ed al tempo stesso che portava calore umano al solo respiro, era l’uomo che l’aveva accolta nell’istituto di igiene mentale.

” Lasci l’ombrello qui all’entrata, nella cesta accanto a lei. Benvenuta Mrs. Arbus, il direttore mi aveva informato che una fotografa si sarebbe recata qui, per immortalare l’istituto. La prego di scusare l’impertinenza di un povero “pazzo”. Solitamente sono io colui che accoglie i visitatori, se così posso esser descritto. Piacere, Anson Shaw.” . Diane, si girò e fissò l’uomo in volto e accennandogli un sorriso disse “Piacere Diane Arbus. Qui per fare delle foto agli uomini\donne\bambini presenti nell’istituto. Dalla casa fotografica Arbus. Nessuna impertinenza, forse dovrei essere io a scusarmi per questo.” “Dovrebbero scusarsi del motivo per cui apro le porte e in questo posto, non per il piacere di parlare con una bella donna, infondo. Mi scusi, le visite di buon grado sono ormai rade. La prego di seguirmi.. Ehm.. Mrs… Arbus.”. Detto questo superò la donna, e girandosi a tre quarti le stese la mano, per invitarla a seguirlo. “Mi chiami pure Diane, Mr. Anson.”  “Con piacere signora.. uhm.. Volevo dire.. Dain.. Mi scusi, ma ero ben certo che la pronuncia del nome che lei porta fosse “Daian” e non “Dian” … Perdoni l’increscioso errore. Diane, mi segua. Ah, mi chiami, Nonas.”. La donna a quelle parole fu quasi pietrificata, nella sua mente riecheggiava, il ricordo di quella sera, di quel magico incontro e la sua mente ormai, era in preda al panico. “Diane? Mi perdoni la prego, non avrei voluto certo mancarle di rispetto e ferirla. Mi scuso.” Ancora sotto shock Diane riuscì a dire “Non si preoccupi, solo antichi ricordi di lontani amici, qualcuno che all’inizio preferiva “Daian” e non “Dian”..” e sorridendo continuò “.. La prego, Nonas, mi faccia fare un giro dell’istituto.” “Il programma comprendeva un incontro con il direttore ed è lì in primo luogo che sono tenuto a portarla, avremmo molto tempo per il giro. Infondo, questo grande edifico è l’amalgamarsi di poche stanze…” “.. Ma brulicanti di milioni di persone.” 

L’uomo, adesso, era lui che fissava la donna con uno sguardo da viaggiatore quasi ammaliato dalle sue semplici parole. Diane fece un passo in avanti, Nonas risvegliato dal muoversi della donna si girò velocemente e la condusse, con passi  quasi affrettati ad un bivio. Davanti ai due c’era un arco, che lasciava spazio alle ombre e al fianco  destro della donna si estendevano delle scale, quasi cadenti nel vuoto, che scendevano verso il basso.