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Autore: Writer96    19/06/2012    10 recensioni
Lui era il ragazzo incredibile, quello bello e dolce e divertente che faceva impazzire le ragazze e che si faceva adorare dagli amici.
Io era una ragazza più o meno come tutte, fatta eccezione per la mia smodata passione per i libri e la capacità di risultare goffa e incredibilmente timida in qualunque situazione.
E puntualmente mi ritrovavo ad ascoltarlo ogni volta che ne combinava qualcuna delle sue.
-Hayley Core, ragazza londinese. Migliore amica di Liam Payne.
O qualcosa di più?
Dal quarto capitolo
Non avrei mai avuto le forze o il coraggio di allontanarmi da Liam solo per smentire delle voci di corridoio.
Avrei sofferto come un cane e probabilmente quelle sarebbero solo aumentate.
Avrei continuato a fare tutto normalmente.
Come se non avessi saputo niente.
Come se avessi avuto le idee chiare in testa.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '10 Things I didn't give to you'
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"And now that I'm with somebody else, you tell me you love me"
Taken, One Direction





A volte l’universo sembra scordarsi di noi, preferendo far continuare le vite di ognuno come se nulla fosse.
All’epoca lo odiavo, seriamente.
Odiavo vedere come le cose andassero avanti e macinassero il tempo, sottraendone a chi ne aveva bisogno reale.
Odiavo vedere come io potessi andare avanti e rimanere statica, come i cattivi di certi film che nonostante tutto non cambiano mai.

Passò una settimana.
Julie ed Harry fecero pace, anche grazie al fatto che un giorno Niall venne a scuola accompagnato dalla ragazza dai capelli rossi e la presentò a tutti come la sua ragazza ufficiale.
Io e Liam tornammo quelli di sempre.
A volte si creava dell’imbarazzo tra di noi, ma io fingevo di non farci caso, di non notare come a ricreazione riuscissi ad appoggiarmi al petto di Liam e a rimanere in quella posizione per un paio di minuti buoni, consapevole del suo sguardo fisso su di me.
Fingevo di non notare come Liam si incupisse ogni volta che uscivo da una classe dove avevo lezione con Zayn al mio fianco e del resto lui fingeva di non vedere come le ragazzine sussurrassero ogni volta che passavamo insieme.
Entrambi, forse, fingevamo di non dare ascolto a quello che gli uomini chiamano cuore e che io chiamavo semplicemente macchinario delle torture.
Fu mentre rimuginavo su una cosa del genere tormentando il mio povero plum-cake che davvero non aveva colpa, che Julie distrusse il mio delicato equilibrio psicologico.
Non le avevo raccontato di ciò che aveva detto a me e a Liam la sera della festa. Lei si era concentrata su Harry e basta e su quanto fosse stata stupida e non aveva più calcolato quelli che lei stessa aveva definito assolutamente stupidi.
Meglio per me, meglio per lei.

-So che non accetterai volentieri, ma ti prego. Ho bisogno che tu faccia questa cosa per me...- mi disse, facendomi sobbalzare e facendo terminare la vita del mio povero dolcetto contro il pavimento di pietra. Sbuffai e sentii le mie spalle che si abbassavano, mentre annuivo per spingerla a parlare.
-C’è un mio amico che ti ha vista alla festa. Insomma, ha detto che sei carina e... miaestoichietieggiscicolui.- buttò fuori, tutto d’un fiato. Mi venne da ridere, lì per lì, ripensando al pezzo di Harry Potter e il Calice di Fuoco dove lui cerca di invitare al ballo Cho Chang, ma poi realizzai che dovevo anche avere la stessa faccia di quella ragazza e mi affrettai a riportare le sopracciglia al loro posto consueto.
-Come?-
-Mi ha chiesto di chiederti se oggi esci con lui.- brontolò per poi guardarmi sorridente un paio di secondi dopo. Battei gli occhi, mentre registravo le sue parole cercando di non fare caso alla strana grammatica da lei usata.

Questa era buffa.
Un ragazzo che non mi conosceva che mi chiedeva di uscire non di persona, ma tramite la mia migliore amica.
La mia sensazione di essere finita in un filmetto americano si stava pian piano concretizzando sempre di più.

Guardai Julie che aspettava con ansia la mia risposta, appollaiata sul bordo della sedia con uno dei laccetti della felpa che era spropositatamente lungo rispetto all’altro.
Di norma avrei sbuffato e cercato di sapere di più su quel misterioso tizio.
Avrei detto che non sapevo quanto fosse il caso e le avrei chiesto di controllare la scorta di spray al peperoncino. Oppure mi sarei fatta creare un alibi meraviglioso da Liam che giustificasse il mio non voler andare.
Ma non quella volta. Era quella che la gente chiama voglia di non pensare, quel bisogno di fare qualcosa senza troppo impegno. Praticamente, quello che io non facevo mai.
-Si può fare. Dove devo incontrarlo?- le chiesi e la vidi sorridere soddisfatta, contenta in un certo senso.
-E Liam?- domandò, senza smettere di sorridere.
Da quello che ne sapevo io, E Liam non corrispondeva al nome di nessuno dei locali che frequentavo, perciò supposi che la mia risposta doveva averla stupita parecchio.
-Liam non è il mio ragazzo, Julie. Può fare quello che vuole e io posso fare quello che voglio. Nei limiti del ragionevole, certo.- risposi, ignorando volutamente la sensazione familiare di nausea che accompagnava ogni volta l’affermazione Liam non è il mio ragazzo. A dire il vero, quella sensazione c’era semplicemente ogni volta che le parole Liam,non mio erano nella stessa frase.
-Alla Rosewood Gallery, alle cinque e mezza...- mi disse dopo qualche istante di silenzio che era stato occupato solo dal suo sorriso che da scherzoso era diventato triste. Nonostante stessi diventando sempre più brava a ignorare le cose e a far finta di niente, ero sicura di non riuscire a nascondere neanche una minima emozione alle persone che mi erano vicine.
Ed era questo il motivo per cui dovevo uscire con questo chiunque fosse. Perché, per una volta, la mia testa fosse silenziosa e i miei gesti più veri.
-Grazie...- mormorai e lei alzò un pollice in risposta, tornando allegra e felice come se niente fosse successo.

Mi feci una doccia e lavai accuratamente i capelli e mi accorsi solo in quel momento che la domanda su chi fosse il misterioso ragazzo non mi aveva sfiorata neanche per sbaglio.
Questo acuì la nausea che, zitta zitta, era stata lì di sottofondo per tutto il tempo.
Mi sentivo una persona orribile, disposta ad usare gli altri per dimenticare la mia solitudine.
Chissà, forse avrei dovuto fondare davveroCuori Solitari (e)Anonimi.
Alle quattro ero ancora in balia del mio accappatoio, mentre continuavo a guardare il mio armadio, forse sperando che si aprisse il fondo e che Narnia mi accogliesse sorridente. Il senso di colpa era aumentato sempre di più mentre i miei pensieri si rivolgevano costantemente a Liam, alla reazione di Liam, all’eventuale faccia che Liam avrebbe fatto davanti ad un mio ragazzo, ad un’ipotetica scenata di gelosia – che ero sicura non sarebbe mai avvenuta- da parte di Liam nei miei confronti...
Decisi di chiamarlo per quello, per egoismo.
Perché avevo bisogno di lui, nonostante non sapessi più distinguere il bisogno di prima dal bisogno di adesso.

“Payne!”
“Core?” Risi, sentendo il suo tono sorpreso, la voce calda deformata dal vivavoce del telefono. Non avevo resistito ed ero corsa di sotto, rischiando di slogarmi una caviglia inciampando in fondo alle scale, per prendere quel maledetto cordless.
“Ho bisogno di te.” Esitai e presi una maglietta, avvicinandomela alle spalle. Rosa, a righine viola e bianche, sottile e abbastanza nuova. Niente di che, ma era la prima cosa che mi soddisfaceva abbastanza.
“Dimmi”
“Non mi hai mai dato consigli prima di un appuntamento al buio. E’ giunta l’ora che tu lo faccia!” Provai a ridere, ma mi limitai a deglutire, sentendo il silenzio dall’altro capo del telefono.
“Esci con qualcuno?”
Non volevo illudermi che fosse geloso. Lui non era geloso, non lo era mai. Non sarebbe stato geloso di me e, soprattutto, non lo sarebbe stato perché uscivo con qualcuno.
“Sì. Un amico di Julie...”
“Che devo fare?”
“Dirmi cosa devo fare io...” provai, tirando fuori i pantaloni bianchi, studiandoli con attenzione e lanciando un’occhiata alle Coq che un tempo erano bianche e che ormai erano di un semplice grigetto slavato.
“Hayley...”
Sospirò e io iniziai a vestirmi, lanciando l’accappatoio sul piumone senza rimpianti. Potevo vedere Liam che si concentrava, la lingua intrappolata tra i denti e la mascella contratta. Potevo sentire il suo respiro che si fermava, all’inseguimento delle idee.
Potevo sentire il mio che si bloccava nel ricordare il breve contatto delle sue labbra sulle mie.
“Dovresti metterti qualcosa di comodo. Perché sei più rilassata e poi sei più bella. E non devi ridacchiare, ma devi aprire la bocca e spiazzarlo. Ma solo dopo un po’... e... Hay. Poi chiamami e dimmi com’è andata.”

Tutto lì. Tutto quello che Liam poteva dirmi era lì, tutti i suoi consigli e il suo affetto erano racchiusi in una quarantina di parole scarse, parole dette freddamente, quasi, con apprensione finale.
La scarpa destra mi cadde di mano, lasciando in bella vista il mio calzino immacolato.
Ma la mia bocca rimase serrata, mentre il mio cervello macinava parole e risposte che non avrei avuto il coraggio di dare.
Fu il mio cuore che, ancora una volta, si ribellò a quei vincoli di vene e arterie e provò a raggiungere la scarpa lì sul pavimento.

“Grazie Liam. Mi è sempre piaciuto il tuo essere logorroico.”

Chiusi il telefono con rabbia, facendolo scivolare sul pavimento con un tonfo. Avrei voluto riprenderlo e chiamare di nuovo, dirgli che già non ero più arrabbiata, che andava tutto bene, che non sarei uscita con quel tizio, chiunque lui fosse, e che in realtà volevo solo sentire la sua voce.
Ma non lo feci, rimanendo invece lì a fissare il telefono sul pavimento come se fosse stata tutta colpa sua.
-Hayley, non vorrei metterti fretta, ma, tesoro, direi che dovresti andare...- mi disse Julie, sbucando con la testa e vedendomi lì accucciata sul pavimento, il telefono e una scarpa davanti e l’aria di chi vorrebbe solo nascondersi da qualche parte facendo finta che il resto del mondo non esista.
-Hayley.... chi era al telefono?- mi domandò, già conoscendo la risposta. Fu per questo che non dissi niente, limitandomi a fissarla con gli occhi spalancati e facendo respiri profondi che sopperissero alla mia mancanza di cuore.
-Voglio uscire lo stesso. Perché Liam è un maledettissimo bastardo.- brontolai, alzandomi e infilando la scarpa controvoglia, prendendo mascara e matita e truccandomi continuando a borbottare. Julie mi seguiva come un’ombra, gli occhi puntati sui miei capelli e il respiro mozzo di chi non sa esattamente cosa dire.
Mi guardai allo specchio, né soddisfatta né delusa dal mio aspetto e mi voltai verso di lei, quasi inciampando. Il mio Smartphone era nella tasca dei pantaloni, un laccio ribelle usciva da un lato della scarpa e la frangia aveva deciso di andare da tutte le parti. Ero pronta per non essere più Hayley.

-...Liam Payne è un maledettissimo bastardo, ma è anche il mio migliore amico ed è anche la persona della quale sono stata innamorata per anni senza avere il coraggio di ammetterlo. Bene. Sono pronta ad uno sfolgorante pomeriggio insieme ad un ragazzo che non conosco. Julie, un giorno ci rideremo sopra, spero. Perché ora ho solo voglia di piangere e di rovinare tutto il trucco.- urlai, prendendo la borsa e le chiavi e facendo una di quelle uscite di scena ad effetto che avevo sempre sognato di fare.
Peccato che avessi detto frasi sconnesse, patetiche e lamentose.
Un tuono approvò il mio pensiero e mi fece sobbalzare, stizzita.
Evidentemente non era così: il mondo finge di dimenticarsi di te, anche lui è solo un gran bugiardo, ma in realtà aspetta solo il momento migliore per colpirti.
Nella mia grande uscita di scena, mi ero dimenticata anche l’ombrello.

 
Guidai sbuffando fino a che non trovai un parcheggio decente vicino alla gelateria. Julie mi aveva mandato una decina di messaggi minatori, supplichevoli, dolci e rabbiosi e io avevo risposto solo con un semplice “Quando torno ti spiego. Non ce l’ho con te. Scusa”.
Scendendo dalla macchina, una goccia d’acqua mi precipitò nel colletto, scivolandomi sulla schiena e facendomi strillare con ancor più rabbia. Una risata fece sì che mi spiaccicassi una mano sul volto, rovinando quel trucco che avevo tentato di preservare impedendomi di piangere. Mi voltai, incontrando lo sguardo azzurro e divertito di un ragazzo dai capelli lisci e castani con una curiosa felpa verde smeraldo.
-Sono felice di vedere come le amiche di Julie le assomiglino nei modi di fare. Spero solo che tu sia meno paranoica...- mi disse, porgendomi una mano e osservando divertito la mia aria scettica.
-Paragonarmi a Julie non è stata una grande mossa, sai? Non se mi spiego, ma dirmi che assomiglio ad una ragazza che si spaventa quando passa davanti alle porte di un negozio con un vestito temendo che le dicano che l’ha rubato non mi sembra una grande idea...- brontolai, concedendomi un sorriso quando lo vidi ridere allegramente. Si muoveva come un bambino, esagerando i gesti e facendo espressioni tipiche di chi sa di essere costantemente osservato.
-Ricordami di fare un monumento a Julie per averti fatto uscire con me, ragazza che dovrebbe chiamarsi...- finse di grattarsi la testa, sollevando la felpa e mostrandomi il bordo di una maglia a righe blu e verdi sotto di essa. Sbuffai, ridacchiando incerta davanti alla sua reazione.
-Hayely. Mi chiamo Hayley Core e non so nemmeno chi diavolo sei tu...- dissi, concedendogli un sorriso, perché, nonostante tutto, quel ragazzo mi era simpatico.
Come Liam, aveva avuto la capacità di entrare nel mio cuore senza chiedere il permesso.
Come Liam, ogni suo sorriso sembrava avere una sfumatura diversa.
Ma a differenza di Liam non riusciva a farmi seccare la bocca ogni volta che pensavo a lui.

-Temo di aver dimenticato il mio nome. Potresti guardare sulla mia carta d’identità, per cortesia?- me la porse, mentre io rimanevo ancora lì, immobile davanti a lui, le chiavi della macchina in mano e la sgradevole sensazione di bagnato che mi pervadeva la schiena. Doveva essere uno scherzo, organizzato perfettamente da Julie ed Harry, o magari da Zayn, perché un ragazzo del genere non poteva esistere.
Era la personificazione dello spirito di un pagliaccio.
-Dimmi che stai scherzando...- supplicai, senza prendere la tesserina e osservandolo mentre tornava serio. Si lasciò sfuggire un sorriso sghembo e scosse la testa, rimettendo la carta d’identità in tasca e porgendomi solo la mano.
-Sì, sto scherzando. Mi chiamo Louis Tomlison e per oggi sarai costretta a cercare di interpretare i miei comportamenti.- esclamò, cominciando a camminare subito dopo avermi stretto vigorosamente la mano.
Avevo voglia di ridere, perché quel Louis era forte, forte come mi era parso Zayn le prime volte.
-Ottimo. Sappi che ancora non mi sono laureata in psicologia, quindi potrei anche spingerti al suicidio senza neanche saperlo.- dissi e lui mi strizzò un occhio, accorciando le falcate ed adeguandosi al mio passo. I suoi piedi andavano ad un ritmo diverso dal mio e sembravano essere scollegati dal resto del corpo, forse infagottati in quel paio di Nike enormi e chiaramente slacciate.
-Non mi ispira il suicidio. Guarda- disse,  indicandomi il ponte e sorridendo – Potresti mai pensare di buttarti da una cosa così carina, rischiando di deturparla con barelle e squadre di soccorsi?-
Spalancai la bocca, stupita dal suo ragionamento così infantile eppure così profondo.
Mi sarebbe piaciuto conoscere Louis da piccolo.
-Meraviglioso. Non avevo voglia di dire alla polizia che non ti ho buttato di sotto per qualche strana ragione.- annuì anche lui alle mie parole e mi indicò una panchina che si affacciava non sul parco ma sulla strada trafficata. Non molto romantico, a dire il vero, ma ci si accontentava.
Nonostante tutti i miei buoni propositi, non ero in vena di romanticismi.
Louis non mi ispirava romanticismo, era inutile negarlo: era più uno di quei ragazzi compagnoni che sono in grado di prenderti in giro davanti a tutti solo per poterti abbracciare e dirti che ti vuole bene.
-Non ti ho portato a prendere il gelato perché, sai, mi sembravi più che altro un gattino spaventato quando ti è caduta l’acqua addosso...- scherzò e io sorrisi, lievemente in imbarazzo ma divertita.
-Detesto il freddo, se devo essere sincera. Il problema è che a volte sembro fredda alle persone, capisci?- domandai retoricamente, facendolo corrugare eccessivamente le sopracciglia. Giunse le mani e tamburellò la punta delle dita, con l’aria di chi vuole fare una parodia mal riuscita di uno psicologo.
Avrei voluto raccontare a Louis la mia vita, sfogarmi e dirgli ciò che pensavo seriamente, ciò che mi affliggeva e ciò che mi preoccupava, al diavolo il fatto che lo conoscessi da dieci minuti.
Mi fermai, però, perché non sarebbe stato educato parlare, durante un appuntamento, della mia travagliata non-storia con il mio migliore amico.

-Perciò posso evitare di chiederti se vuoi andare a fare un giretto al reparto surgelati del supermercato, giusto? Che peccato, mi piace portarci le ragazze. Sai, stile Shining...- esclamò, facendomi tossire e ridere allo stesso tempo.
Shining era uno dei film più assurdi che avessi mai visto, checché ne dicesse la critica e la popolazione mondiale. Chi mai avrebbe accettato di stare sei mesi, d’inverno, senza collegamenti in un albergo deserto?
Arcuai le sopracciglia, esprimendo il mio disappunto.
-Quindi vorresti chiudermi in una dispensa dopo avermi colpito con una mazza da baseball in testa?- domandai, allungando il collo e arricciando le labbra. Lui avvicinò il suo viso al mio, costringendomi a sforzarmi di rimanere ferma e di non ritrarmi davanti a quella vicinanza improvvisa.
-Mmm, no. Preferivo l’idea di io-e-te-soli-nella-tempesta-di-neve...- cercò di essere suadente, ma poi scoppiò a ridere da solo, senza allontanarsi troppo da me. Risi anche io, perché non era esattamente la scena più romantica che potessi vedere nella mia testa.
-Ok, eliminiamo l’idea. C’è anche il bambino che parla con il suo dito...- disse, amareggiato, e scossi la testa anche io, sospirando, eccessivamente delusa.

Mi stavo divertendo, al contrario di ogni aspettativa.
Louis era pazzo, imprevedibile e probabilmente affetto da qualche malattia mentale ancora non conosciuta, ma era una buona compagnia.
E non era Liam.
Avrei voluto ribattere, allegra, ma qualcosa mi fermò.

Lo squillo del mio cellulare interruppe la mia risposta e lo tirai fuori, guardando Louis con aria di scuse.
“Liam?” domandai, rispondendo, senza evitare quel tono amareggiato che avevo avuto quando gli avevo chiuso in faccia.
“Hayley, penso di dover parlare con te. Credo che la mia confusione... sia... si sia chiarita. Ma non nella maniera che forse speravo. Hayley, pensò che ci sia qualcos’altro che provo per te.”







Writ's corner
Woohooo.
Questo è uno dei miei capitoli preferiti e per una volta sono mediamente soddisfatta del mio lavoro. 
Mi sono divertita a scriverlo, al di là di tutto.
Mi ha divertito Lou, che è un pazzo e che è adorabile (sì, Ali, mi hai contagiata un po', non gongolare...) e io sono sempre più convinta di volere un amico come lui.
La parte di Shining è stata un'improvvisata. Quando ho scritto il capitolo, mi è venuto in mente e ce l'ho ficcato dentro. Sia ben chiaro, io su quel film sono scettica. Sono scettica nei confronti di tutti gli horror, ma, accidenti. Era surreale (Non c'entra niente, lo so, lo so..)
Anche la parte sul suicidio è tratta dalla mia mente. Sarà la felicità di questi giorni, sarà tutto, ma la penso così.
Non prendetevela con Hay se ha accettato un appuntamento al buio. 
Uno, ha ammesso i suoi sentimenti.
Due, non sapevo come metterci Tomlison
Tre, a volte vedere come una persona NON ci faccia effetto ci serve per capire meglio CHI ci fa effetto
Quattro, volevo scrivere di un'uscita di scena disastrosa.

Ok. Immagino di voler dire altre cose, ma momentaneamente me ne sono dimenticata.. ^^"
UNa cosa molto carina.
Finita la storia, ho intenzione di scrivere dei Missing Moments ispirati a questa.
Perciò, per comunicarmi le vostre idee,"aggiungetemi" su Twitter.
Sono @Wirt96
Comunicate tutte le idee che avete, care.

Baci Baci
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