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Autore: Claire Knight    23/06/2012    3 recensioni
So bene che è una pazzia, ma è raro che l'ispirazione venga spontanea e ho, come dire, colto la palla al balzo. Torno alla carica con una HiroMido molto tormentata, spero di non farla durare più di 7 capitoli (inclusi prologo ed epilogo). Ambientata in un altro universo, quello inventato da me :D, può essere a mio parere interpretata con personaggi OOC. Ma spero di non deludere le aspettative di nessuno, dati questi preavvisi. Il rating è attualmente verde. Se dovesse cambiare, tuttavia, sono certa che non supererebbe il giallo.
Dedico questa long fiction ad Alicchan, che aveva tanto voglia di leggere una HiroMido e si è ritrovata questo schifo sotto gli occhi ^^". Spero che lei e tutti coloro che avranno il coraggio di leggere possano apprezzare. Detto questo, buona lettura.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Jordan/Ryuuji, Xavier/Hiroto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1.

 

Erano le prime luci dell'alba. Dalla ciotola che teneva tra le mani si levava un profumino delizioso. Amava la cucina di Afuro, suo apprendista, oramai divenuto anche il suo cuoco personale. Gli sfuggì un sorriso. Era un giovane vivace e talentuoso, sebbene un po' timido a volte. Quel ragazzo aveva promettenti doti magiche, l'aveva capito non appena aveva incrociato i suoi occhi cremisi. Si erano incontrati qualche anno prima e lui, venendo a sapere della sua triste situazione familiare, aveva deciso quasi subito di prenderlo sotto la sua custodia. Che fosse un ottimo cuoco era solo un'altra delle sue eccezionali qualità.
Stava per cominciare a mangiare quando sentì l'uscio aprirsi piano e richiudersi con un rumore sordo. Dall'andatura dei passi incerti capì subito chi fosse.
< Sommo Kiyama > pronunciò, < Mi scusi se la disturbo... ma c'è un signore che desidera vedervi >.
Voltandosi scorse la figura alta e snella di Afuro, i capelli biondi lunghi e un po' sporchi erano raccolti in una coda alta, mentre alcune ciocche scendevano ribelli sugli occhi e ai lati del viso. Indossava una casacca bianca sgualcita. Si ripromise di comprargliene una nuova al più presto.
< Sai dirmi il suo nome? > domandò con voce parziale.
< No, maestro... mi spiace >. Il mago lo chiamò a sé con un gesto e subito il ragazzo si accostò al suo maestro, sedendosi in ginocchio al suo fianco.
< Afuro, hai sentito parlare di ciò che è successo stanotte? >.
< Confusamente, signore... si tratta di poche ore fa, dopotutto >.
< Hai ragione > rispose Kiyama, < Tuttavia ritengo che siano venuti per domandarmi qualcosa sull'accaduto >.
Il giovane Afuro fu scosso da un pensiero, perché il sommo Kiyama avrebbe dovuto saperne di più degli altri? Decise tuttavia di tacere - non voleva rischiare di risultare inopportuno - e tenne lo sguardo sul piccolo tavolino di legno cui il suo maestro stava mangiando.
< Le è piaciuta la colazione? > domandò, cambiando argomento.
Kiyama sorrise mentre beveva un po' dalla ciotola. < Sinceramente ancora non ho cominciato > si scusò, < Ma sai bene che adoro ogni cosa che prepari >.
< La ringrazio > disse Afuro, silenziosamente orgoglioso.
< Su, Afuro > esordì poi l'altro con uno sbadiglio, < Fa entrare in casa il nostro ospite, non vorremo lasciarlo fuori ad aspettare tutto il giorno! >.
Il ragazzo annuì e si alzò in fretta, facendo ondeggiare la lunga coda di capelli chiari. Corse fino alla porta e sparì oltre la soglia.
L'altro riprese a mangiare un po', appena sentì i passi avvicinarsi dal corridoio ripose le posate e si pulì le labbra. Tirò un lungo respiro e attese senza voltarsi.
Sentì dei passi pesanti varcare la soglia e quelli leggeri di Afuro correr nuovamente via, lasciandoli soli.
< Buon giorno, sommo Kiyama >.
La voce lo spinse a voltarsi. Riconobbe subito la figura di quel vecchio. Il vecchio capo villaggio viveva di una vecchiaia magra e pallida, ma ancora forte e vigorosa. Aveva un carattere dalla volontà di ferro, una sicurezza espressa nei lineamenti decisi del suo viso, nel taglio folto delle sopracciglia. Era uno dei capofamiglia più anziani e attivi nella politica del villaggio.
< Anche a lei, onorabile Faber >.
< Mi spiace disturbarla ad un ora tanto scomoda, ma si tratta di una questione prioritaria >.
< Non si preoccupi, sono sveglio già da molto > rispose, < Ad ogni modo, immagino che abbia a che fare con l'incendio di stanotte >.
< Ne ha sentito parlare, dunque > disse il vecchio Faber, in parte sollevato di non dover raccontare tutta la storia. Il padrone di casa gli fece cenno di sedersi con lui al tavolo. Poi il sommo Kiyama riprese in mano le posate: < Spero non le dispiaccia se mangio, non mi sento mai perfettamente sveglio a stomaco vuoto >.
L'altro annuì con un sorriso, ma in verità era silenziosamente scioccato da quella forma di gentile maleducazione. Però, in fondo, il sommo Kiyama, per quanto si fosse ambientato bene in quella cittadella, rimaneva sempre uno straniero. Il vecchio Faber si guardò un po' intorno, ammirando la luminosità della casa e la sua costruzione. La villetta era situata sullo strapiombo sul mare, se ne sentiva la fresca aria salmastra in tutto il palazzo.
Non appena finì di mangiare, il mago alzò lo sguardo e lo fissò in quello dell'altro. Decise di terminare in fretta il discorso, aveva di meglio da fare che intrattenersi con un uomo che di fronte a lui faceva buon viso a cattivo gioco e coi paesani parlava male dello “strambo mago con gli occhi azzurri e i capelli rossi”.
< Riprendendo il discorso, onorabile Faber, sapete bene che non sono un bonzo, né tanto meno un sacerdote ufficiale. Non posso far niente per i vostri morti >.
Il vecchio sorresse il suo sguardo gelido. C'era un motivo preciso per cui erano in pochi a frequentare quel mago. Oltre all'aspetto fisico inusuale, solo pochi riuscivano a non sentirsi in soggezione. Anche il ragazzino biondo era senza dubbio un individuo strano, da frequentare il meno possibile. Ma il genere umano invidiava i maghi, e allo stesso tempo non poteva fare a meno delle loro incredibili risorse.
< Infatti non è per domandarvi questo che sono qui >.
Il vecchio estrasse dalla saccoccia scura che portava al collo un pacco legato con semplici corde scure. Lo tenne in mano un istante, poi glielo porse. Il mago lo accettò indugiando: quell'oggetto emanava un'aura magica particolare, ma non sapeva dire se fosse positiva o negativa.
Sciogliendo il nodo dal pacco uscì subito un lembo di tessuto bianco. Con due dita ne saggiò la consistenza. Era morbida, suppose che in inverno dovesse essere anche comoda contro il freddo. Non riusciva a capire cosa potesse celare un indumento tanto comune. Dopo un poco alzò lo sguardo sul vecchio Faber.
< Dove l'avete trovata? >.
< È la veste che portava con sé quel fuorilegge sgangherato che ci è fuggito stanotte > asserì l'altro. Kiyama mugugnò di aver capito. Tirò la veste fuori dalla busta e la tenne sospesa tra le dita. Ne seguì il bordo con la mano sinistra e presto non poté fare a meno di notare lo squarcio irregolare che la percorreva. In quel punto, proprio lungo la spaccatura, dove alcuni fili spuntavano sparuti qui e là, il mago avvertiva più leggera l'essenza magica, come se la lontananza dall'altra metà la indebolisse.
< Lei è un mago molto potente, sommo Kiyama > esordì il vecchio Faber, < Questa veste doveva essere molto importante per il fuggitivo, che è riuscito a tenere con sé l'altra parte dell'abito. Una volta perso di vista, gli uomini che erano presenti l'hanno gettata tra le fiamme, ma all'estinguersi dell'incendio è stata rinvenuta intatta. Nemmeno un filamento bruciato! Son qui perché noi da soli non siamo in grado di comprendere: siamo certi che sia un oggetto che abbia a che fare con la stregoneria ed è per questo che confidiamo che lei possa risolvere questo mistero >.
Che sfacciato! commentò tra sé il sommo Kiyama. Se il vecchio Faber aveva molto da ridire sul conto del mago, allo stesso modo l'altro ne aveva da ridire su quell'umano così ignorante. Tralasciando il fatto che la veste era senza dubbio di origine magica, e non stregonica, cosa che un normale uomo non avrebbe mai potuto dedurre, lo irritava il fatto che si ostinasse a pensare che egli fosse uno stregone. In tutto il mondo, tra uomini e bestie, era nota la differenza tra mago e stregone, l'uno praticava magia positiva, l'altro negativa. I maghi non avevano nulla a che fare col mondo della magia oscura sfruttata dagli stregoni, come viceversa questi erano incapaci di praticare quella positiva. Anche se nel rivolgersi a lui lo chiamava mago, in fondo lo sentiva più come uno stregone, come un uomo malvagio e di cui non fidarsi se non in casi di estrema necessità. E questa ne era la prova. Si lasciò sfuggire un sospiro. Inoltre, la faccenda sembrava complicata e lo intrigava conoscere il passato di quella “veste miracolosa”.
< Capisco > disse infine, < Non sarà facile, effettivamente sento provenire da questo oggetto una forza magica particolare. Ma tutto è ancora un mistero. Lasci fare a me >.
Si alzò in piedi e anche il vecchio Faber fece altrettanto. Lo congedò con un saluto cordiale, come sempre, ma non appena furono uno fuori dalla vista dell'altro entrambi si lasciarono andare ai pensieri più velenosi. Il sommo Kiyama mandò poi a chiamare Afuro. Avrebbe approfittato di quella situazione per far fare un po' di allenamento al suo piccolo apprendista. Il vecchio Faber credeva di poterlo sfruttare per le sue curiosità personali e le sue guerre politiche contro il mondo. Sicuramente non avrebbe fatto trapelare la notizia della sua visita a villa Kiyama. I maghi erano ritenuti strani e allo stesso modo tutti coloro che vivevano loro vicino. Per questo motivo nessuno si avvicinava mai troppo a loro. Gli umani erano invidiosi, provavano paura, cercavano in tutti i modi di soggiogarli o di isolarli. Ma i maghi non ne soffrivano più di tanto, sentivano bene di appartenere ad un ramo differente del genere umano. E le persone come quelle erano senza dubbio le ultime che un mago volesse mai avere in casa.

 

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Afuro rimase a studiare la veste chiara che il maestro gli aveva messo tra le mani. Probabilmente, si diceva, gliel'aveva consegnata quel vecchio capo villaggio che era venuto a fargli visita quella mattina. Il sommo Kiyama gli stava vicino, seduto a gambe incrociate su uno dei sassi bianchi e piatti che si trovavano nei pressi del fiume.
Ogni volta che il maestro lo convocava per un allenamento lo portava lì. Diceva che era fondamentale che un mago riuscisse a percepire la natura e la forza che da essa proveniva. I maghi vivevano la realtà in modo completamente diverso dagli esseri umani, per cui valeva la regola delle quattro dimensioni: altezza, lunghezza, profondità e tempo. Si trattava più prettamente delle quattro verità che gli uomini potevano arrivare a intuire. Le creature dotate di capacità magiche erano in grado di comprendere e coesistere con una quinta percezione della realtà: quella delle aure spirituali.
Di natura ogni essere vivente possedeva un'aura spirituale e, in casi particolari, anche numerosi oggetti potevano averne. La vegetazione e tutto ciò che apparteneva alla terra, un semplice sasso come una grande cascata, aveva un'aura propria e inconfondibile. Non tutto, ovviamente, possedeva questo tipo di forza: gli oggetti umani, per esempio, se non contaminati dalla magia, non avevano alcun tipo di aura. Un mago per natura doveva saperle percepire, ma l'impresa più difficile risiedeva nel saperle distinguere le une dalle altre. La prima distinzione si effettuava tra le aure naturali, che non possedevano uno spirito, e quelle degli esseri viventi. In seguito, tra aura positiva e aura negativa. I maghi più bravi erano inoltre in grado di capire se un oggetto possedeva un'aura magica infusa o originaria.
Afuro si sentiva ancora un principiante, ma nell'allenamento impegnava sempre tutto se stesso. Era convinto che, sotto la guida del sommo Kiyama, prima o poi sarebbe diventato bravo almeno la metà di lui.
< Allora Afuro, cosa ne pensi? > domandò il maestro con tono pacato.
Il ragazzo alzò lo sguardo dalla veste, < Ne proviene senza dubbio un'aura magica, ma non sono sicuro sulla sua provenienza > disse, < Ma questa spaccatura... l'aura non si dissolve in questo punto, è solo più leggera. Quindi suppongo che questa veste abbia un'aura magica originaria... >.
< Esatto > sorrise il mago, < Vedo che migliori a vista d'occhio >.
< Grazie. Ma sono convinto che sia solo questione di intuito. Io non ho ancora una tecnica precisa o anche solo le conoscenze giuste per poterlo dire con sicurezza >.
< Non devi certo fartene una colpa > disse l'altro alzandosi in piedi, < Sono io che non te le ho mai insegnate. Vieni, ti mostrerò un piccolo trucco >.
Afuro lo seguì nuovamente in casa. Entrato nel salone, prese un foglio bianco e, tenendolo fra le mani, si risedette nuovamente a terra, mentre il suo allievo faceva altrettanto. Il sommo Kiyama lo posò a terra e vi pose una mano sopra, chiuse gli occhi e recitò a memoria un incantesimo che Afuro non aveva mai sentito. Le parole fluivano sicure e ininterrotte, una litania lenta e ipnotica. Afuro non notava alcun cambiamento, sentiva solo la testa un po' vuota, poi all'improvviso avvertì una vibrazione particolare. Percepì l'aura del maestro più distintamente del solito, come se d'improvviso fosse più forte, poi attraverso le dita gli parve come di sentire quella forza fluir via dal suo corpo, allargandosi invece a macchia d'olio sul foglio. Era lì, come un vuoto d'aria, una piccola distorsione della materia.
Il maestro interruppe il contatto e alzò o sguardo sul ragazzo. L'incantesimo non gli aveva tolto tanta energia, aveva scelto appositamente una magia facile. Sorrise notando lo sguardo incantato di Afuro, < L'hai sentito bene, giusto? >.
L'altro annuì, < Uhm... e ora? >.
< Come e ora? > fece il maestro.
< Insomma, ecco > rispose Afuro con un po' di esitazione, < Io dovrei imparare a fare questo? In che senso un trucco...? >.
Il sommo Kiyama ridacchiò tra sé, < No, no. Per imparare questo ci vogliono molti anni di addestramento. Il trucco che volevo insegnarti serve per distinguere gli oggetti con aura infusa da quelli con aura originaria >.
Dicendo così, prese il foglio da terra e lo porse ad Afuro, che lo prese in mano senza esitare. Avvertì una vibrazione leggera al contatto e chiarì definitivamente ciò che già aveva dato per certo. Il maestro aveva reso di quel comune foglio di carta un oggetto magico.

Cosa potrà fare ora questo foglio?

E la risposta gli apparve sotto gli occhi, col colore nero dell'inchiostro che affiorava sulla carta pallida. Per un istante rimase interdetto e sobbalzò lievemente. Non aveva mai assistito ad una magia affascinante come quella. Poi un istante dopo apparve un'altra scritta: “Che forza”. Al maestro Kiyama sfuggì un sorrisetto divertito, < Se ti piace tanto poi te ne faccio un altro >.
< Un altro? Questo non basta? >.
< Oh, questo è di prova > esordì, < La cosa che volevo spiegarti riguarda, come avrai capito, gli oggetti con aura infusa. Il fatto che posseggano un'aura non li rende tuttavia indistruttibili. La cosa che distingue questo tipo di oggetti da quelli che posseggono un'aura originaria è che, se si infrangono, perdono completamente ogni tipo di forza magica >.
< Quindi, se questo pezzo di carta venisse bruciato perderebbe l'aura che ha appena acquisito? >.
< Esatto > rispose l'altro, < Ora prova a strapparlo >.
Afuro doveva ammettere che un po' gli dispiaceva, chissà perché. Ma obbedì senza batter ciglio, voltò il foglio orizzontalmente e cominciò a romperlo nel centro. Non arrivò nemmeno a metà che sulla superficie di carta vide scoppiare una macchia nera; simboli, simili a dita scheletriche, code di serpenti, lampi di fulmini imperversarono d'improvviso contro il bianco. Il cuore di Afuro perse un battito e si lasciò sfuggire di mano il foglio. Prima che potesse dire qualcosa, il maestro gli parlò, rimanendo impassibile di fronte a ciò che accadeva: < Sta opponendo resistenza >.
< C-cosa? > balbettò il ragazzo, in preda al panico.
< Devi distruggerlo, è un oggetto innocuo. Ciò che fa è solo un tentativo vano, non ha alcun effetto sulla realtà. Cerca solo di spaventarti >.
< Ci è riuscito > esclamò Afuro, < Ma che vuol dire? Avere un aura non conferisce per forza un'anima! >.
Kiyama tacque, a terra la lama di carta continuava ad animarsi di mostri, disegni spaventosi, < Hai cominciato, ora devi finire >.
Afuro non voleva, era terrorizzato. Non capiva perché, come fosse possibile che un oggetto inanimato potesse opporre resistenza in quel caso, la concezione della morte apparteneva unicamente agli esseri umani. E, poi, poteva mai un foglio morire? Non riusciva ad organizzare le idee, ma il suo carattere un po' testardo lo aiutò a prender coraggio dalla paura. Afferrò il foglio da terra e con una mossa decisa lo strappò in due parti. D'improvviso avvertì l'aura magica svanire, infrangersi come un vaso che cade a terra. Ne sentì forte l'eco nella testa e anche il maestro diede segno di averla percepita.
Respirò forte per un po', poi buttò a terra i due rettangoli bianchi che si era ritrovato in mano. Alzò lo sguardo sul maestro, in cerca di risposte. Lui si alzò in piedi con un sorriso compiaciuto.
< Bravo Afuro, non è da tutti riuscirci al primo tentativo >.
Il ragazzo rimase ginocchioni a terra, < È stato tremendo > boccheggiò.
Kiyama rise, < Immagino... ricordo ancora quando è toccato a me la prima volta. Dai, alzati > disse porgendogli la mano per aiutarlo. Afuro l'accettò e si tirò su.
< Quindi... è questo quello che succede quando si spezza l'aura infusa di un oggetto > disse quasi tra sé, osservando a terra i pezzi di carta, tornati ad esser semplici e bianchi.
< Esatto. E in più hai potuto sperimentare gli effetti che prova colui che la spezza. Una lezione fruttuosa, non c'è che dire >.
< Ma maestro! > esclamò animatamente Afuro, voltandosi verso di lui, < Come è possibile che un oggetto inanimato come un foglio di carta abbia opposto resistenza quando ho provato a romperlo? >.
< Come hai detto tu, è impossibile che un oggetto disponga di un'anima, nemmeno la magia può far sì che si crei una circostanza simile. Quel che hai visto è l'aura magica dell'incantesimo che si ribellava per non essere distrutta e che ha sfruttato così l'unica forma che poteva assumere: quella del foglio e dell'inchiostro magico. Ha fatto di tutto per dissuaderti dal continuare, come hai visto tu stesso >.
< E questo accade sempre? Cioè... >.
< Sì, Afuro > disse il maestro, < Ora vieni, la lezione non è ancora finita >. E così dicendo, si incamminò per il corridoio. Afuro imprecò tra sé, esasperato. Ma come? Tante volte le lezioni non duravano nemmeno la metà di quello che aveva già fatto quel giorno, possibile che ci fosse ancora dell'altro? Perché all'improvviso il maestro aveva tante cose da spiegargli?

 

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Giunsero nel paese in meno di quindici minuti, ma sapevano che al ritorno in salita avrebbero impiegato molto più tempo. Tirava un forte vento, Afuro lo sentiva ululare quasi, come un fischio perpetuo e volubile nelle orecchie.
Non domandò al maestro dove lo stesse portando, ma a quanto pareva si trattava di qualcosa di importante. Ormai gli era passato lo shock per ciò che era successo prima in casa, nonostante tutto in quella giornata stava imparando un sacco di cose importanti che con la sola teoria non avrebbe appreso in modo ugualmente efficace.
Le strade del paese erano abbastanza vive, a quell'ora i negozi riaprivano e la gente accorreva per far spesa. Molte persone giravano indaffarate per i banconi in legno della frutta, ma quando i due passarono tutti si voltarono a guardarli o chinarono il capo, rabbuiando lo sguardo e la quiete cittadina. Afuro si sentì addosso tutti gli sguardi, si sentiva come se gli vomitassero addosso ciò che pensavano di lui. Riusciva a percepire tutta la loro ostilità e, allarmato, si tenne vicino al maestro. Non gli capitava di andare spesso in paese, era raro che ci andasse lo stesso Kiyama. Nella maggior parte dei casi erano le domestiche che scendevano e facevano compere: essendo semplici umane, non dotate di magia, inizialmente si sperava che potessero dimostrare che i maghi erano persone buone e che non andavano temute, ma al contrario la gente tendeva a escluderle, facendo girare voci strane perfino su di loro. Certe volte alcune, di fatto, si licenziavano, nel tentativo di ricostruirsi una vita. E il sommo Kiyama se ne rammaricava molto, l'ultima cosa che voleva era che qualcuno venisse giudicato solo perché stava in sua compagnia. Nella casa, infatti, non obbligava nessuno a restare contro la sua volontà, se una serva o un garzone desideravano andarsene erano liberi di farlo.
Afuro e il maestro girarono l'angolo entrando in una strada che dava sui campi. Subito spiccò, in lontananza, un cumulo di macerie, tra cui pietre e residui di legno bruciato, cenere e polvere. Kiyama rimase interdetto e si arrestò un momento, poi riprese a passo deciso in quella direzione. Sembrava arrabbiato, constatò a mente Afuro mentre lo seguiva tentando di non rimanere indietro.
In un istante raggiunsero il luogo dove evidentemente durante la notte si era consumato l'incendio. Già nel procedere si era accorto che la gente evitava di avvicinarsi, cominciava a intuire, anche se confusamente, ciò che doveva animare la rabbia del maestro.
Per strada il sommo Kiyama si avvicinò ad un passante, impaurito nell'accorgersi di essere proprio lui la persona cui stavano per rivolgersi.
< Mi scusi, signore > esordì il mago, < Le posso domandare come mai i lavori non sono ancora cominciati? >.
L'altro rallentò appena, senza tuttavia fermarsi. < S-sì, ecco... no. Io non ne ho idea, d-domandate a qualcun altro, forse... il capo villaggio >, e subito accelerò il passo, per poi sparire oltre l'angolo da cui erano venuti.
Kiyama serrò i pugni, poi li riaprì piano. Poi si voltò verso il ragazzo, ma Afuro non scorse nei suoi occhi il turbamento che aveva immaginato. Sospirò profondamente, poi gli fece cenno di seguirlo, < Più tardi vado a fare due chiacchiere con il vecchio Faber... >.
< Siete arrabbiato, maestro? >.
L'altro sospirò ancora, < Hai capito perché non hanno ancora fatto nulla per rimettere in piedi quell'edificio, Afuro? >. Il ragazzo fece cenno di no senza dir parola, < Per via di quella veste che non è bruciata come si aspettavano. Pensano che il luogo possa essere maledetto >.
< Ma è assurdo! > esclamò l'altro, < Non ha alcun senso... >.
Mentre proseguivano, il maestro si fermò all'improvviso e voltò la testa di lato. Il ragazzo seguì con gli occhi lo sguardo del maestro. Il vento sferzava forte sull'erba alle spalle delle macerie della locanda, sembrava spianare una via, spazzare il terreno in attesa che qualcuno lo calpestasse.
Deviarono per quella parte, mentre Afuro combatteva per tenere a posto le ciocche di capelli che gli finivano sugli occhi e tra le labbra. Ma presto ebbe altro cui badare, passo dopo passo sentiva farsi più vicina una potente presenza. Era insicuro sul proseguire, ma allo stesso tempo i suoi piedi si sentivano come attratti in quella direzione. Come aveva fatto a non percepirla prima, si trattava di un'aura potentissima, aveva l'impressione che il vento stesso fosse come tirato per i capelli in quella direzione.
E in breve la vide, una cicatrice nell'aria, come una fenditura sottile. Oltre i contorni di essa Afuro poteva vedere il paesaggio ondulare, come dipinto su un telo che, nel muoversi, faccia inciampare le sue onde contro lo scoglio dello squarcio. Inoltre, ne proveniva un fischio acuto e assordante. Il maestro si fermò a qualche metro di distanza, non voleva avvicinarsi troppo, e il ragazzo fece altrettanto.
< Quel che vedi, Afuro, è ciò che succede quando si spezza a metà un oggetto che possiede un'aura magica originaria. Per quante parti tu possa creare spezzandolo, nessuna di essere perderà la sua capacità magica. E questo... è quello che ne resta dopo la prima rottura >.
< E come si fa? Gli umani non la vedono. Non... non si può richiudere? >.
< Per richiudere una cicatrice del vento, bisogna avere entrambe le parti dell'oggetto rotto > disse calmo il mago, < Come è vero che sono il segno dello spacco, allo stesso tempo sono in grado di ricomporre i pezzi del puzzle, come si suol dire >.
< Quindi... per aggiustare la veste bisogna trovare prima l'altra parte mancante e portarle entrambe qui? > esclamò Afuro, mentre il maestro assentiva con la testa; poi gli tornò in mente tutta la sgradevole sensazione che l'aveva attraversato nel rompere il foglio di carta magico quella mattina. < E che conseguenze ha tutto questo su chi rompe un oggetto del genere? >.
Per la prima volta il sommo Kiyama scrollò le spalle e tacque per un po', < Dipende... dalla forza dell'incantesimo. Se è molto forte, si rischia addirittura la vita, in certi casi >. Poi soggiunse, < Ma non preoccuparti, il vecchio Faber non mi ha detto nulla di nessuno che sia morto per questa veste... gli unici morti sono tra le macerie >.
Poi si voltò e ripercorse al contrario i propri passi. Afuro rimase quasi interdetto nel vederlo ritirarsi così, perciò gli corse dietro: < Ma non fate nulla, maestro >. L'altro sorrise caldamente, < Ora come ora non possiamo fare proprio nulla, Afuro. Prima dobbiamo fare qualche ricerca >.
Il ragazzo assentì in silenzio e si allontanò a grandi passi dietro al sommo Kiyama. Passando al lato del rudere della vecchia locanda, sbirciò coi suoi occhi furbi oltre le piccole e ormai rade coltri di fumo che si levavano pigramente. Il piano superiore ormai non esisteva più, le mura rotte si reggevano ancora in piedi solo negli angoli; passando nuovamente di fronte all'entrata, vide a terra, annerita e sporca, l'insegna in legno della locanda, che un tempo doveva esser stata appesa al lato della porta, ad attirare lo sguardo dei viaggiatori sperduti nella notte, ai piedi di quella collina un po' brulla e battuta dal vento. Risalirono in silenzio lungo la piazzetta del mercato, consapevoli che la gente già cercava una spiegazione corrotta alla loro visita al paese. Decisero di passare presso la casa del vecchio Faber, a costo di far parlar male di lui dai suoi stessi concittadini. Il sommo Kiyama era senza dubbio un po' ferito, ma soprattutto furioso per il fatto che le vittime nella casa in fiamme non fossero state soccorse per tempo, solo per terrore che il fuoco fosse stato appiccato per qualche oscuro motivo di stregoneria. Forse avrebbero potuto salvare qualcuno, se fossero intervenuti quando avrebbero dovuto, invece di riempirsi la testa di stupide ossessioni. Avrebbe detto quattro parole al capo villaggio. Afuro rimase in silenzio per tutto il viaggio di ritorno, compresa la visita nella piccola e angusta casa del vecchio. Camminando per la strada vedeva come le persone lo guardavano, anche i bambini più piccoli sembravano serbargli rancore. E si chiedeva, una volta di più, perché la gente li odiasse tanto, perché li escludesse così prontamente, senza motivo apparente. Non aveva fanno loro niente di male e si ostinava a non capire che tutto ciò non dipendeva da lui. Gli esseri umani, per il loro sconfinato orgoglio, tendevano a volere tutto, ad essere o sembrare in ogni modo superiori. Si erano da tempo accorti che i maghi erano diversi, che avevano capacità invidiabili. E invidiavano loro, perché non potevano avere ciò che i maghi avevano per natura. E, sentendosi esclusi da una natura migliore, escludevano loro da una quella che ritenevano la vita migliore.




Angolino della tartaruga_ _ _
Salve a tutti, so bene di essermi fatta aspettare molto. Ma come decanta il nome del mio angolino e come sapete voi stessi io sono molto lenta ad aggiornare. E mi spiace. Ma a volte l'ispirazione e la voglia di scrivere volano completamente via. Oggi però mi sono rimboccata le maniche per finire e spero sia venuto bene, come primo capitolo. Lo trovo piuttosto lungo, circa 10 pagine di word, e impegnativo (o almeno lo è stato per me XD).
Ad ogni modo ringrazio tutti quelli che hanno recensito e che leggono, sperando che continuino a farlo!
Personalmente, ringrazio:
Bloody Alice, una ragazza fantastica cui dopotutto è dedicata questa storia;
Ever_Crazy, non solo per aver lasciato una recensione al prologo, ma soprattutto per seguirmi ed incorraggiarmi
sempre, grazie davvero!.
Ice Reflections, i gemelli Nicole e Lore. Vi ringrazio, la vostra bellissima recensione al capitolo precedente e gli incoraggiamenti di Nicole mi hanno aiutata a scrivere tutto questo.
_Ryusei Girl_ per aver messo la storia nelle seguite.

Grazie a tutti e un bacione,
la vostra Claire.

  
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