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Autore: Darkvayne    23/06/2012    1 recensioni
Vi siete mai chiesti se è possibile trasformare la determinazione in odio?un uomo ci riuscì,il suo nome era Noah Von Ronsemburg,meglio conosciuto come il Giudice Magister Gabranth.
Questa è una storia che scrivo al fine di colmare una grande fetta della vita di uno dei miei personaggi preferiti,il Giudice Gabranth,con una storia da me inventata.La storia copre un arco di tempo che parte dalla sua infanzia a 10 anni,fino ad arrivare al termine degli eventi di Final Fantasy XII.La storia è essenzialmente frutto della mia fantasia e viene raccontata dagli occhi e l'anima di Gabranth.
Si tratta del mio primo racconto e spero che lo gradirete,accetto in tal senso critiche e giudizi al riguardo.
Il vero scopo però di tutto ciò non è solo quello sopracitato,no,il vero scopo è condividere con tutti il mio pensiero su esso,e per farvi scoprire il Giudice Gabranth,ma non il Giudice Gabranth che avete visto nel gioco originale,ma la sua intera storia che risiede nella mia mente.
Perchè questo non è altro che il racconto di un povero sognatore che non è capace di tenere a bada la propria mente.
Buona lettura.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gabranth
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando sei solo ti restano poche cose,una di queste è il silenzio. Il silenzio è il tuo unico e solo amico,il silenzio ti accompagna sempre,ti aiuta a concentrarti,ti aiuta a non dimenticare.
Forse è per questo che quando vi sono di morti gli si dedica un minuto di silenzio,perché non siano soli…o forse perché non vogliamo essere noi ad essere soli.
Non importava quanta gente ci fosse accanto a te,eri solo,solo come un cane.
Non vi era più nulla  a parte il silenzio che accompagnasse le tue giornate.
Forse i morti dopo essere andati all’oltremondo ritornano,ritornano per noi,a farci compagnia,sotto forma di silenzio,perché tu non sia mai solo. E quando anche colui che odi di più in assoluto,il tuo peggior nemico,l’alimentatore del tuo odio ti abbandona,allora capisci di essere davvero solo.
Vidi le varie zattere seguire il corso del fiume verso l’orizzonte,sopra di esse vi erano loro,le vittime di quel dannato giorno,che ora se ne vanno verso l’oltremondo per il meritato riposo.
La mamma indossava un lungo ed elegante abito,e le donne del villaggio l’avevano truccata come meglio potevano ausiliando dei loro pochi mezzi,trovai l’abito fra le macerie della nostra casa,era lo stesso che aveva usato il giorno del suo matrimonio.
Non era mai stata così bella come in quel momento.
Il suo corpo disteso su una zattera era ormai pronto a essere lasciato andare,a farsi guidare dal fiume sino all’oltremondo.
Mi inginocchiai e accarezzai il volto della mamma. Non piansi,le mie lacrime ormai erano finite,ormai il mio cuore era stato mutilato dal dolore,non ne possedevo più uno,ma solo un semplice e freddo pezzo di ghiaccio frantumato dalla sofferenza.
L’alba illuminava quel nostro addio,il sole illuminava con la sua luce il volto della mamma,come se anch’egli volesse dargli un estremo addio. Gli occhi erano puntati tutti verso di me,quella della mamma era l’ultima zattera rimasta. Volevamo partire tutti insieme verso una nuova città,ormai eravamo rimasti in cento superstiti,volevamo ricominciare da capo,o almeno così si era detto prima del funerale. Ma come?come?come si poteva ricominciare quando il dolore di una perdita ti tiene ancorato al passato? Non lo so…non mi interessava…volevo solo che tutto ciò avesse fine,avrei voluto morire per non essere costretto a rimanere solo per l’eternità. Passarono ore,mi attendevano perché dessi l’ultimo addio alla mamma e poi partissi insieme a loro. Ma io non avevo la benché minima intenzione di andarmene,non mi interessava,volevo passare tutto il tempo che mi rimaneva insieme la mamma,non mi importava se era il passato.
Quel passato era tutto ciò che mi rimaneva,come potevano chiedermi di abbandonarlo? Non piansi,rimasi solo in silenzio,in silenzio per lei. L’unica persona che mi avesse davvero amato durante il corso della mia vita.
La nostra ex-vicina di casa mi si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla.
-Noah…-disse. –Dobbiamo…dobbiamo andare Noah…-
Mi girai,senza fretta,la guardai negli occhi, anche in quegli occhi riuscivo a intravedere la disperazione,o semplicemente i suoi occhi stavano riflettendo ciò che io provavo in quel momento?
-Andatene allora-. La donna si chinò verso di me e mi diede un leggero strattone.
-Noah,coraggio,so come puoi sentirti ma…-
-LASCIATEMI SOLO!!!!!!ANDATEVENE!!!ANDATEVENE!!!-gli gridai mentre la allontanavo da me.
E nulla,nulla,niente di niente.
Semplicemente mi guardò tristemente e se ne andò.
Se ne andarono tutti,la vicina,i vecchi membri della Legione,i pochi anziani superstiti,tutti.
Solo io la mamma e il silenzio eravamo ancora li.
Il fiume accarezzava le sue rive dolcemente,e cantava una sorta di dolce nenia che mi riportava alla mente i giorni in cui andavamo con la mamma al fiume per lavare i panni,o quando io e Basch andavamo a pescare insieme….tanti ricordi,troppi per poter sopportare.
Caddi a terra vicino alla mamma e mi rimisi a piangere,tutto ciò non aveva senso,pensavo di avercela fatta,di non avere altre lacrime da versare…e tuttavia eccomi li,a piangere senza ritegno.
Piansi per tanto,senza che nessuno mi consolasse,senza più sentire la dolce voce della mamma che mi rassicurava,o le forti parole di Basch che mi spronavano ad andare avanti.
Nessuna voce.
Ci vollero ore prima che smettessi di piangere,ormai si era fatto pomeriggio.
Ogni volta che fermavo per un po’ il mio pianto,riattaccavo immediatamente finchp finalmente non ebbi il coraggi di smettere.
Mi stesi accanto alla mamma,e osservai il cielo.
-Mamma ti ricordi quando eravamo andati a pescare tutti e tre insieme? Ce lo avevi insegnato tu perché il nonno lo aveva insegnato a te. Basch diceva  che avrebbe preso un pesce enorme e invece non prese un bel niente,ricordo che ridemmo tutti e tre fino a piegarci,fu davvero un bel momento vero?-
Nessuna risposta.
-E ti ricordi invece quando….-
Continuai a vaneggiare così per ore e ore fino a che non si fece nuovamente notte inoltrata,ma ancora io stavo parlando senza freni.
-Guarda mamma,si vedono le stelle! Ti ricordi quando ci hai insegnato le costellazioni? Basch se le era dimenticate subito,io invece me le ricordo ancora tutte,guarda,quella è la costellazione del Serpentario,laggiù invece c’è quella dell’Angelo e appena attaccata ad essa vi è la costellazione dello Stregone…-
E ancora nessuna risposta. La osservai negli occhi e mi alzai e mi misi ai piedi della zattera.
-Mamma ora vado a dormire…ho un po di sonno,buonanotte e fai sogni d’oro-.
E mi addormentai.
Quando all’alba mi risvegliai lei non c’era più.
Il fiume l’aveva presa con se e la stava accompagnando nel suo viaggio.
Osservai in silenzio il lungo fiume e il suo corso,sorrisi e socchiusi gli occhi mentre le lacrime rigavano il mio volto.
-Buon viaggio mamma-.
E me ne andai anch’io, camminai a lungo,gli altri abitanti si erano diretti verso Nalbina,la mia prossima meta.
Non stavo rinnegando il passato,perché il passato ti insegue sempre e ovunque,mi ero finalmente reso conto che non potevo e non dovevo sbarazzarmi degli anni trascorsi in felicità al villaggio,ma dovevo portare con me tutti i ricordi,dai più dolorosi ai più felici. Dovevo trascinarli con me fino alla fine,solo così sarei potuto crescere.
Solo così avrei potuto realizzare il mio desiderio,la vendetta,e quel dolore mi avrebbe aiutato a portare a termine il mio s
copo.

   
 
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