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Autore: Kanda_90    24/06/2012    2 recensioni
Il mondo di D.Gray-man...la sua storia...i suoi personaggi...
Ma come si sarebbero svolti gli avvenimenti, come sarebbero cambiati gli equilibri tra i membri dell'Ordine, se fin dall'inizio ci fosse stata un'esorcista in più?
Tutto ha inizio in una calda e limpida mattina, alla alba. Una ragazza e il suo cavallo nero si concedono una lunga cavalcata...
Sostano sulle rive di un piccolo specchio d'acqua....
Lei non ricorda il suo passato...non pensa al suo futuro...ma sta per fare un incontro che le cambierà drasticamente la vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Yu Kanda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sempre rapida ad aggiornare, come al solito XD
Devo dire che questo capitolo ha richiesto parecchio impegno da parte mia, scrivere scene drammatiche mi è risultato più difficile di quanto pensassi. Quindi spero che l'atmosfera che trasmetterà la lettura sia almeno vagamente simile a ciò che mi ero prefissata...
Dopo questo capitolo, verrà introdotto anche il secondo personaggio principale della storia (eheheheeeeeh XD) ed il racconto si attaccherà finalmente al manga (ergo: so' cavoli per la sottoscritta XD)
Non vi trattengo oltre e vi auguro...Buona lettura!!!

Hikari

3rd Night: Akuma

Sentii la porta dell’emporio sbattere con violenza e dei passi pesanti e concitati riempire la via. Immaginai le corpose nuvolette di polvere che dovevano aver alzato gli stivali di quella donna, un sentiero effimero sulla strada deserta. Una parte di me avrebbe voluto seguirla, quella parte che si sentiva vicina a lei, perché era consapevole che dentro di sé soffriva per qualcosa che aveva perso, perché avvertivo quanto fossimo legate da quella strana forza che risiedeva in quel cubetto, ancora sul tavolo di casa mia... Ma un'altra parte mi urlava di fuggirla, perché mi avrebbe privata della mia vita, catapultandomi in un mondo sconosciuto e, intuivo, oscuro...
Fu questo mio lato che prevalse. Attesi, seduta sul retro del negozio, finchè il suono dei passi non si fu allontanato, dopodiché mi alzai lentamente e, con l’aria di chi non è più conscio del mondo che lo circonda, montai a cavallo, uscendo sulla via.
Non condussi Seishin, lasciai che fosse il mio destriero a decidere per me la via da seguire. Avvertendolo, si diresse verso l’unico posto in cui riuscivo a sentirmi in pace, lo stesso luogo dove, non più di un giorno prima, avevamo incontrato l’Esorcista. Con passo lento e rilassato, il mio tenebroso amico scivolava fra l’erba alta, i fiori e tutto ciò che la natura donava alla vita dei mortali. Piccole farfalle svolazzavano intorno a noi, ma io non riuscivo a cogliere la meraviglia di quello spettacolo, sedevo, apatica, lasciando che il flusso incoerente dei miei pensieri trovasse una via per placarsi. Non facevo che pensare e ripensare a quella telefonata e a quanto fossi stata stupida nel volerla ascoltare. Forse, se mi fossi fatta gli affari miei, mi sarei sentita meglio... Certo, sarei comunque stata assillata da mille dubbi, per quanto quella donna mi aveva chiesto e raccontato, ma forse avrei avuto meno questioni cui pensare. Dalla conversazione che avevo origliato, intuivo che l’Esorcista non mi aveva detto tutto quanto sapeva...probabilmente era a conoscenza di più dettagli circa il mio passato, di quanto non lo fossi io stessa, e ciò mi creava una certa angoscia, naturalmente. Io non avevo alcun ricordo, prima dei nove anni...nulla che potesse aiutarmi a capire da dove venissi, perché fossi giunta lì...nulla, a parte quegli strani sogni sporadici. Ma i sogni non sono altro che immagini create dal nostro cervello, fantasie e paure inconsce, non certo ricordi. O no? Non ero in grado di convincere nemmeno me stessa, ero costretta ad ammettere che, per quanto cercassi di trattenerla con forza, la situazione mi stava velocemente sfuggendo di mano.
Improvvisamente Seishin si impennò, nitrendo furiosamente. Colta alla sprovvista dal suo scarto inaspettato, mi aggrappai alla criniera e al collo, pregando di non cadere.
“Che ti succede?! Calmati! Calmati Seishin!!”
Udirmi pronunciare il suo nome sembrò riportare la sua attenzione al mondo reale. Gli zoccoli anteriori ritoccarono terra, ma non smetteva di gridare e raspare il terreno. Sentivo ogni suo muscolo in tensione. Cosa stava accadendo?!
Poi li vidi, in lontananza... Non erano altro che una decina di punti indistinti, ma qualcosa dentro di me si sentì gelare. Avanzavano, sospesi i aria, ma non erano uccelli, non avevano ali ed il loro modo di procedere era decisamente troppo rettilineo per appartenere ad un qualsiasi animale. Più si avvicinavano, più sentivo una morsa d’acciaio stringermi lo stomaco. Paura.
Ora che si erano avvicinati ancora, scorgevo degli strani filamenti sporgere dalla parte inferiore di quegli...oggetti? Cosa diamine erano? Strane forme globulari, da cui comparivano quelli che, a prima vista, mi fecero pensare a cannoni...ma non poteva essere. Non esistevano armi simili e di certo non volavano!
Erano sempre più vicini, ma né io né il mio cavallo eravamo in grado di muoverci. Eravamo pietrificati da un terrore irrazionale verso ciò che ci veniva incontro.
Al centro di quegli ammassi grigi, riuscivo a scorgere ciò che somigliava ad un viso sofferente, un pentacolo nero in fronte, come un marchio... Poi, i “cannoni” di quello più vicino a noi cominciarono ad emettere un sinistro bagliore rosastro. Fu sufficiente a svegliarmi dal torpore e piantare i talloni nei fianchi del mio destriero. Con uno scarto fulmineo, lo stallone nero si voltò verso la valle.
“Corri! Corri!!”
Fu tutto ciò che riuscii a gridare, prima che il fragore delle molteplici esplosioni cominciasse a rimbombare appena dietro di noi. Quei maledetti affari ci stavano sparando addosso, vedevo i frammenti del mondo che ci circondava esplodere intorno alla nostra corsa disperata. In fondo alla discesa, il villaggio si era animato: la gente era uscita dalle case e correva verso le colline, per mettersi in salvo da quel pericolo sconosciuto. Ero vicina, ancora pochi metri e sarei arrivata sulla via principale.
“Papà.”
Lo sussurrai appena, una parola. Ma esprimeva tutto ciò per cui ero tremendamente preoccupata. Di fronte a me alcuni uomini erano usciti a sbarrare la strada a quei mostri, armati dei loro attrezzi agricoli.
“No...!”
Ma non fui abbastanza svelta. Un lampo li colpì in pieno. Nella mia corsa folle, potei vedere i loro visi agonizzanti riempirsi di pentacoli, prima che di loro restasse solo cenere, a riempire i loro abiti.
Non so cosa mi impedì di urlare...
Intorno a me il villaggio prendeva fuoco e crollava sotto il peso di quello spietato attacco...ceneri di ciò che un tempo erano i suoi abitanti volavano e si disperdevano intorno a me...l’Inferno...
Un colpo esplose a pochi metri da noi, l’onda d’urto fu troppo forte ed entrambi fummo lanciati verso l’altro lato della strada. Fui violentemente disarcionata e non riuscii a contare le volte che rotolai sullo sterrato. Riaprii gli occhi, di fronte a me la mia mano, piena di tagli che si stavano odiosamente rimarginando. Strinsi i denti per la rabbia e la frustrazione, mentre un mostro spianava le armi verso la sottoscritta. I bagliore che preparava il colpo di grazia si diffondeva rapidamente, ma non mi mossi, non sarei riuscita ad evitarlo...
Fu un attimo. L’essere venne squarciato con violenza ed esplose in una miriade di frammenti e fiamme, mentre la creatura autrice della sua fine, si parò di fronte a me. Era enorme, di forma vagamente umana, due enormi occhi rossi colmi di istinto omicida. Istintivamente, però, non provai paura.
“Hai intenzione di rimanertene lì impalata?!”
Mi voltai verso quella voce conosciuta. L’esorcista era dietro di me, in mezzo alle macerie lignee dell’emporio, dietro al quale avevo origliato la sua telefonata, ritta e fiera in mezzo a quella devastazione, come se fosse il suo habitat naturale. E forse, intuii, lo era.
“Tu?”
“Questa”
, disse, indicando la belva che mi aveva protetta, “è la mia Innocence.”
Rivolsi di nuovo lo sguardo verso la scimmia, perché a quel punto avevo intuito che si trattava della stessa tenera creatura che l’accompagnava quando l’avevamo incontrata. Il cambiamento era sconcertante.
Dunque questo era il potere dell’Innocence...
“Hai due scelte. Combatterli e distruggerli con me, oppure morire sotto i loro colpi...”,sorrise ironicamente, “anche se credo che per te sarebbe difficile.”
Maledetta. Era vero. Una scheggia di quei proiettili mi aveva colpita, poco prima di venire disarcionata, ma, nonostante tutti intorno a me, diventassero cenere, al contatto con quei proiettili, io ero ancora viva, indenne, se si escludeva il profondo taglio sul braccio sinistro, che, stranamente, faticava a rimarginarsi.
“Ma...?”
“Veleno.”
Fu la risposta alla mia domanda inespressa. “I proiettili degli Akuma sono costituiti dal loro stesso sangue. Al contatto con essi, si viene corrosi dal veleno e si diviene cenere.”
“Akuma?”
“Questi”
, disse, indicando gli immondi esseri che, nel frattempo, la sua Innocence stava riducendo a brandelli, “sono Akuma. Macchine assassine, nate al solo scopo di uccidere. Più esseri umani uccidono, più si evolvono ed il loro potere aumenta. Ma siamo fortunati, questi qui non sono altro che un manipolo di Livello 1, perciò dovremmo riuscire a sbarazzarcene senza troppi problemi.”
Se ciò che lei chiamava “Livello 1”, erano in grado di portare una tale distruzione, non osai pensare cosa potessero fare ad un livello superiore. Ciò che mi irritò fu che quella donna aveva parlato al plurale, convinta che io l’avrei aiutata.
“Io non distruggerò proprio niente! E’ il tuo lavoro, non il mio! Io voglio solo vivere in pace e ricostruirmi una vita dopo che tu e questi cosi ve ne sarete andati e...”
Non potei finire il mio irato discorso perché, con la coda dell’occhio, vidi uno di quei mostri sfuggire alle grinfie dell’Innocence e dirigersi verso la fucina, al cui ingresso stava mio padre, con in mano una delle sue infallibili spade, deciso a proteggere la sua casa. Fu uno di quei momenti in cui il tempo sembra scorrere al rallentatore.
Il mio nero destriero, rialzatosi a fatica sulle gambe, gravemente ferito, corse verso di me...
Mi aggrappai alla sua schiena, in una corsa contro il destino, che si accaniva su di me...
Lo sguardo di mio padre, fiero di fronte al mostro pronto a far fuoco...
Il lampo roseo che lo investì...
L’urlo lancinante che lanciai, ma che rimase muto alle mie orecchie...
La rabbia ed il dolore...
Corsi tra le macerie, ignorando il mostro, ancora sospeso in aria di fronte a ciò che un tempo era casa mia. Spostai le assi, con una forza data dalla rabbia e dall’angoscia, finchè non vidi il viso di mio padre, pallido, gli occhi sbarrati, il corpo schiacciato dal peso della sua dimora.
“Padre!”
Vidi le lacrime rigare il suo viso, mentre mi sorrideva per l’ultima volta, i pentacoli che già si affollavano sulla sua pelle. Chiusi gli occhi, incapace di sopportare la vista del mio vecchio che si tramutava in cenere...
Le lacrime mi rigavano copiose il volto, scendevano da sole, senza che io lo volessi, mentre una furia che mai avevo provato si impossessava di me e mi pervadeva. Tra le assi scorsi un bagliore azzurrognolo... Senza pensare, mi diressi verso quella piccola luce e la raccolsi.
Sentivo una presenza, un potere...
Dietro di me il mostro si preparava a far fuoco.
Animata da un coraggio e una determinazione che non sentivo come miei, mi voltai, guardandolo fissò negli occhi, sfidandolo. L’avrei distrutto con le mie mani.
Poi accadde.
Un vortice caldo mi avvolse, colmandomi completamente, mentre un potere enorme e sconosciuto riempiva ogni particella del mio corpo. Nella mia mano, l’Innocence emanava una luce intensa ed accecante, mentre lentamente cambiava forma.
Urlai tutta la mia frustrazione ed il mio odio per quegli esseri, mentre nella mia mano si materializzava una lama, fiamme verdi-azzurre a ricoprirla.
Non capii realmente ciò che accadde dopo. Con un poderoso salto arrivai di fronte al mostro, guardandolo dritto negli occhi, prima di colpirlo con un fendente che lo divise a metà, ricoprendolo di fiamme azzurre, consumandolo nel rogo della mia vendetta. La stessa fine fecero altri due esseri. Non mi sentivo più padrona di me stessa, era quella presenza misteriosa e potente a guidare la mia mano.
L’Innocence.
Ormai era rimasto solo uno di quei mostri. Alzai la lama, pronta a donargli la stessa fine che avevo riservato agli altri della sua specie...ma, improvvisamente, cominciai a boccheggiare. Le gambe cedettero, ogni muscolo del mio corpo iniziò a lanciarmi fitte lancinanti...la vista mi si annebbiò.
“Kris!”
L’Esorcista gridò. Alzai gli occhi, cercando in tutti i modi di rimanere cosciente, mentre l’Innocence che aveva armato il mio braccio ritornava alla sua forma originaria, innocua. L’Akuma sparò un colpo. Ero certa che non mi avrebbe mancata.
Poi, un lampo nero come la notte, comparve dalle mie spalle...con un poderoso nitrito di sfida e le ultime forze rimaste, si parò dinanzi a me...prendendo il proiettile destinato a me...abbandonandomi in una nuvola di polvere, appena un attimo prima che la belva distruggesse il suo assassino...
Non avrei mai perso il ricordo di quegli occhi, colmi d’amore, neri e profondi come il più profondo degli abissi, lanciarmi l’ultimo fugace sguardo d’intesa, prima di abbandonarmi per sempre...
Silenzio era ciò che sentivo.
Tutto era durato poco più di una manciata di minuti, eppure, avevo la sensazione di aver vissuto una battaglia durata mesi. La polvere si posava a terra, tra i rottami dei mostri e le macerie della mia vita. Io rimasi lì, accasciata a terra, priva di forze, stringendo convulsamente tra le mani quel maledetto cubetto che era stato la mia rovina e la mia salvezza.
L’Esorcista si chinò di fronte a me, attendendo che ricambiassi il suo sguardo. Alzai la testa e incrociai i suoi occhi, mentre lei annuiva, rattristata e provata da quell’orrore. Non ci furono parole tra noi, non furono necessarie...sapeva che l’avrei seguita. Non avevo più nulla che mi trattenesse, nessun legame che mi vincolasse ormai...
Faticosamente mi alzai, aiutata dalla salda presa della donna che, con la sua fida scimmietta in spalla, mi cinse, in un gesto protettivo e determinato al tempo stesso. Volsi lo sguardo alle mie spalle, cercando, nella densa foschia che il fumo delle fiamme diffondeva, tracce dei miei ricordi... I pochi sopravvissuti erano tornati tra quei resti, aggirandosi chi in lacrime, chi con rabbia...non erano più di una decina.. Incrociai i loro sguardi e non vi trovai che odio. Sapevano che la causa di tutto questo ero io, lo sapevano e, naturalmente, mi odiavano per questo. Io stessa mi detestavo dal profondo, avrei voluto scavare un buco e seppellirmici, sparire dalla faccia della terra.
“Andiamo...”
Non mi opposi, docilmente mi voltai e la seguii, mentre le lacrime, silenziose e da troppo represse, cominciarono a sgorgare libere.

“Kris, svegliati, siamo arrivate ormai.”
Un lieve tocco sulla mia spalla, mi destò dai miei consueti incubi. Il treno stava rallentando, probabilmente la nostra stazione era vicina. Stiracchiandomi, mi drizzai sul comodo sedile di prima classe. Essere Esorcista, a quanto sembrava, aveva i suoi vantaggi: niente prenotazione, niente biglietto, cabina privata in prima classe. Non male.
Era passata qualche settimana da quando il Generale mi aveva portata via dai brandelli del mio paese distrutto. Avevo perso il conto dei chilometri che avevamo macinato, prima di giungere ad una stazione ferroviaria, ma da quel momento in poi il viaggio era stato tranquillo e piacevole. Anche la ferita che l’Akuma mi aveva procurato, era ormai scomparsa. L’Esorcista non mi aveva fatto domande, né mi aveva costretta ad una forzata conversazione, limitandosi a rispondere a qualche mia rara domanda. Akuma, Innocence, Esorcisti...tutto cominciava a divenirmi a poco a poco più chiaro, nonostante quella donna continuasse ad evadere i miei quesiti circa la telefonata. Le avevo confessato di aver indegnamente origliato quella conversazione e lei non ne era stata naturalmente compiaciuta, anzi, era parsa piuttosto turbata. Tuttavia non volle spiegarmi le strane allusioni alla mia persona e ai terribili avvenimenti che le avevo udito nominare.
“A volte l’ignoranza è una benedizione.” Questo era tutto ciò che mi aveva risposto, ma non mi bastava. Per il momento, comunque, avrei lasciato cadere la questione, anche se non l’avrei certo dimenticata.
Il treno rallentò, fino a fermarsi. Un altoparlante pronunciò il nome della stazione. Dovevamo scendere.
Essere giunta a destinazione mi mise in uno stato di leggera, ma permanente agitazione. Non mi ero resa completamente conto di ciò che mi aspettava, fino a questo momento, in cui la mia nuova vita si stava materializzando. Era come se fossi rimasta avvolta da una lieve foschia, per tutto il viaggio, nebbia che si stava ora velocemente diradando, come volesse dirmi “Ehi, svegliati! Sei arrivata, basta dormire.”
Scesi dal treno. Non avevo bagagli e l’unico oggetto che portavo era ben nascosto, in una tasca interna della mia casacca azzurra. La mia Innocence. Sentivo distintamente la sua presenza, in un modo rassicurante ed insieme inquietante.
“Bene. Qui ci separiamo, io ho un’altra missione da compiere e posso accompagnarti solo fin qui.” mi disse sorridendo il Generale. Dopo il primo, traumatico, impatto, quella donna cominciava a piacermi, aveva un che di...materno. qualcosa che mi era completamente sconosciuto. La sua scimmietta estrasse un foglio dalla tasca dell’Uniforme dell’Esorcista e me lo porse. Non potei fare a meno di sorridere a quel buffo animaletto, sembrava impossibile immaginare in quale belva distruttrice fosse in grado di trasformarsi.
Sul foglio era raffigurato lo stemma dell’Ordine Oscuro, una Rose Cross. Lo aprii, trovando al suo interno parecchie indicazioni. Ecco, mi sarei di certo persa.
“In questo foglio troverai tutte le indicazioni necessarie a raggiungere il Quartier Generale. Mi raccomando, non farlo vedere a nessuno e, soprattutto, non fermarti a parlare e non distrarti. Non puoi sapere chi potresti trovarti davanti.”
Capii cosa volesse dire. Durante il nostro viaggio mi aveva spiegato, tra le altre cose, cosa fossero e come nascessero quei maledetti mostri chiamati Akuma. Erano il frutto del dolore, causato da una terribile tragedia. Colui che ne veniva colpito lasciava che le tenebre invadessero il suo cuore, tenebre che il Costruttore avvertiva e che utilizzava per convincere il malcapitato a richiamare l’anima della persona amata, per insediarla in un nuovo corpo artificiale, fornito dal Costruttore stesso. Quel corpo poi, uccideva colui che l’aveva richiamato in questo mondo, indossandone la pelle e la vita. Gli Akuma erano creature di dolore e tristezza, traevano potere dall’anima richiamata, imprigionata, senza possibilità di fuga, costretta ad obbedire al Costruttore e costretta ad uccidere ed evolversi. Solo l’Innocence poteva distruggere quegli esseri e donare finalmente la pace alle anime che ne erano coinvolte. Innocence che, però, allo stato puro era ben difficile da controllare, come avevo avuto occasione di sperimentare. Era soprattutto per quel motivo che era necessario porla in forma di arma, mi aveva spiegato l’Esorcista. Ancora ricordavo il senso di potere e l’immediata successiva perdita di forze, che erano seguiti alla sincronizzazione.
Senza la possibilità di distinguere gli Akuma dalle comuni persone, l’unica strada era considerarli tutti nemici e non dar corda a nessuno. Era triste da accettare, ma era l’unico modo per sopravvivere.
“Non si preoccupi, cercherò di arrivare il prima possibile.”
Cloud sorrise gentilmente.
“Allora, arrivederci Kris.”
“Arrivederci.”

Feci per allontanarmi, ma Nyne mi strinse in un caldo abbraccio. Fu il primo atto di spontanea gentilezza, da parte di un estraneo, dopo anni, e mi fece sperare che questo Ordine Oscuro, potesse diventare davvero un luogo in cui poter vivere senza essere perseguitata dai pregiudizi di tutti coloro che mi avevano conosciuta.
“Fa attenzione, mi raccomando.”
Detto ciò sciolse l’abbraccio e mi salutò, salendo su treno. Da quel momento, fui sola.
“Bene, andiamo.” Mi dissi ad alta voce, più per farmi coraggio. Non l’avrei mai ammesso, ma la mancanza di quella donna mi disturbava. Oramai mi ero abituata alla sua presenza e ritrovarmi improvvisamente sola, mi lasciò un lieve senso di insicurezza, che provvidi a scacciare immediatamente. Esitare non mi avrebbe certo aiutata.
Scoprii quanto le grandi città potessero essere un labirinto, per una ragazza di campagna quale ero, e difatti smarrii più volte la strada. Il fatto di non poter chiedere indicazioni di certo non mi aiutava, così persi la maggior parte della giornata nel tentativo di raccapezzarmi, circa la strada da seguire.
Era ormai il tramonto, quando lo vidi e per poco non rimasi senza fiato. Ritto su un pinnacolo roccioso, alto ed imponente con la sua architettura gotica, si ergeva il Quartier Generale dell’Ordine Oscuro, una torre nera che si stagliava contro il chiarore lunare. Era esattamente ciò che avevo visto settimane prima, quando mi ero accasciata sul tavolo di casa mia, pensiero che minacciò di farmi ricadere nel baratro del dolore, di nuovo. Cominciai a camminare lungo il sentiero che conduceva alla base del pinnacolo. Qualcosa mi disturbava...fu come ripercorrere una strada già nota, come stessi ripetendo un copione già scritto e recitato...ma ovviamente non poteva essere, perché in quel luogo ero certa di non aver mai messo piede. Ma ne ero davvero così sicura? Gli avvenimenti dell’ultimo periodo avevano minato nel profondo le mie convinzioni, gettandomi in uno stato di confusione e dubbio pressoché permanente.
Giunsi alla base della parete, che si ergeva alta ed interminabile sopra di me. Intuendo che quella era l’unica via praticabile, cominciai la scalata.
   
 
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