Le
giornate seguenti trascorsero
lentamente, scandite dai pasti e dalle visite di qualche amico o di
qualche
Pokémon leggendario. Luisa si riprendeva a poco a poco.
Quattro giorni dopo la
Lega, si alzò e andò a fare colazione in sala,
aggrappandosi al braccio di
Argento per supplire al tremito delle proprie gambe. Quel giorno il
professor
Oak venne a trovarli accompagnato da Blu.
Gli era passata la febbre, al bel
Capopalestra, ma c’era ora
un nuovo dolore nel suo sguardo piagato. Era qualcosa di più
antico e profondo,
questa volta: qualcosa che si rivelava nei suoi occhi e nel suo modo di
muoversi, nella nuova esitazione prima di parlare. Si ritrovava in
tutto il suo
atteggiamento, una sorta di rassegnazione, un insensato tentativo di
una nuova
vita in cui era il primo a non credere.
Quando arrivarono, Luisa era seduta
su un puff della
biblioteca ad ascoltare la voce di Lance, monotona e rilassante,
leggere per
lei la Storia della Lega Pokémon:
Dalla
fondazione dell’Impero al cambio della guardia. Joy
venne ad annunciare
l’arrivo dei due e Lance, scambiando in un secondo un
pensiero coi suoi
fratelli, le disse di farli entrare. Luisa si ricompose rapidamente
prima che entrassero.
Veniva prima il professore, seguito a
poca distanza, con
passo più lento e quasi strascicato, dal giovane nipote
ch’egli amava tanto
(forse quasi quanto lo amava Rosso).
“Siamo venuti a
trovarvi” disse il professore appena
entrato. “E a vedere come sta la nostra
Campionessa.”
“Benone, professore, grazie
mille” rispose Luisa, con un
sorriso luminoso che fece dimenticare il curioso spettacolo delle sue
labbra
esangui, appena pochi giorni prima. “Oggi ho
camminato!”
“È tutto merito
del tuo dottor Jude, immagino” disse il
professore, mentre Lance faceva loro cenno di sedersi. Luisa sorrise.
“Non sarei qui senza il
dottor Jude” replicò lentamente. Si
strinse la vestaglia sopra il petto fasciato e si rivolse a Blu.
“Come stai,
tu?”
Blu sorrise, ma d’un
sorriso amarissimo e triste, chinando
il capo, e rispose lentamente: “Me ne sto facendo una
ragione. Mi ci vorrà un
po’, ma…prima o poi…” Strinse
la mano del nonno e proseguì con più forza.
“Il
nonno mi dà una mano in questi giorni. Dovete ringraziare
lui se non mi hanno
ritrovato sugli scogli dell’Isola Cannella!”. E si
mise a ridere, ma nessuno
ebbe il coraggio di seguirlo, perché rideva come un pazzo,
insensatamente.
“Devi ricordarti, Blu, che
di qualunque cosa tu possa aver
bisogno, puoi rivolgerti a noi” gli disse Lance a bassa voce,
ma diretto e
convinto.
“Voi parlate sempre al
plurale, come se foste un’entità
unica” gli rispose Blu, in tono distaccato. “Ve ne
siete mai accorti?”
Luisa non gli diede retta.
“Blu…sai dove si trova Rosso,
ora?”
Per un istante la domanda lo
lasciò sorpreso. Poi, alzando
le spalle con gli occhi lucidi al cielo, disse con voce tremante:
“Non lo so,
che cosa importa? Mio Dio, sarà a cercarsi un’Ala
d’Iride, probabilmente. O a
fondersi i neuroni a forza di chiedersi come abbia potuto
perdere… oh, cavolo,
non lo so! Personalmente, spero davvero che stia morendo!”
Tremava. Il professore se lo strinse
contro e Blu,
respirando a fondo, finì per calmarsi: “Scusatemi
tanto. Mi controllo male in
questi giorni… è vero che spero che muoia, ma non
intendevo parlare in questo
modo. Mi dispiace…”
“Ma tu non vorresti mai che
morisse!” mormorò Oak
stringendolo con più forza.
“Oh, sì che lo
vorrei!” gemette Blu con rabbia. “Ha perso, e
ora vorrei che morisse, è uno stupido, come lo odio! Per
colpa sua ho perduto
anni interi della mia vita, anni a inseguirlo, a cercare di superarlo e
poi a
capirlo, quando ho compreso di non poterlo superare… anni a
inseguire il suo
fantasma! Ho rovinato tutto per colpa sua! Tutto, la mia vita, la sua,
tutto!”
“Ti riprenderai”
gli disse il professore. “Ti stai già
riprendendo, Blu, ma hai bisogno di un po’ di tempo per
accorgertene.”
“Ma certo che
andrà così” mormorò
tristemente il ragazzo.
Sapevano tutti che non era vero, ma nessuno lo disse.
“Tornerò in palestra tra
qualche giorno, Lance, e voglio starci per almeno una settimana di
seguito”
proseguì, con voce un po’ più alta, ma
con gli occhi ancora lucidi. “È un buon
inizio, no? Non credi che mi farà bene? Mi ci
farò chiudere dentro se occorre,
ma ci resterò per tutta una settimana…anche la
domenica, eh? Che cosa ne
pensi?”
“Un segno di profondo
impegno da parte tua” rispose Lance.
“Oh, sì, mi sto
impegnando davvero, sai? E non farò vincere
nessuno quest’anno, te lo prometto. Oh, non temere! Sandra
perderà anche quest’anno
abbastanza volte da riempire l’Altopiano Blu di mocciosetti
presuntuosi che si
crederanno chissà chi per aver battuto la principessa dei
Pokémon Drago. Cielo,
Lance, lo so che è tua cugina e la nipote del Maestro, ma
dovresti frenare
tutto questi nepotismo dilagante!”
Non era Blu a parlare, era qualcuno
con la faccia di Blu, la
voce di Blu, lo stesso dolore di Blu, ma non era affatto Blu. Era come
trasfigurato, e ora, mentre parlava, era visibile in lui il suo
turbamento.
“Blu” gli disse
Luisa. “Ascolta, Blu… non ti dirò nulla
che
suoni anche vagamente come ‘chi non ti vuole non ti
merita’ o qualcosa del
genere: non è il tuo caso, questo. E non ti dirò
nemmeno di pensare a come
sarebbe stata la tua vita insieme a lui… ma io credo che
Rosso non sarà mai
completamente felice, perché ovunque sarà gli
mancherà qualcosa. Quando sarà
con te, penserà di aver perso la sua occasione; e quando
cercherà Ho-Oh, per
avere la sua approvazione, si struggerà di non essere con
te…”
“Da anni va avanti
così” disse Blu tristemente.
“Sai, Blu, forse
combattendo così è qualcosa di unico che
cerca di ottenere: qualcosa che sia contemporaneamente te, e Ho-Oh, e
la
Prescelta Creatura…”
Blu tacque, dopo aver udito queste
parole, per quasi un
minuto intero. Quando parlò, era di nuovo il Capopalestra di
Smeraldopoli, la
creatura nobile e malinconica del vulcano vuoto dell’Isola
Cannella.
“Il più grave
difetto di Rosso” disse lentamente “E lo
è
sempre stato, da quando lo conosco, è la sua ambizione
smisurata… che lo porta
alla difficoltà di scegliere, all’occorrenza,
l’una via o l’altra a parità di
rischio… vuole e vorrà per sempre la scelta
più difficile, quella più lunga e
più redditizia, per quanto assurda, sempre inscindibile dai
suoi ideali. Per
questo non può accontentarsi di avere solo me, o solo il suo
sogno: lui vuole
una terza alternativa, quella difficile, quella che non è un
compromesso. E
purtroppo è così che è andata: vuole
avere entrambi…”
“E non avrà
niente” disse Argento. Blu annuì:
“Potrebbe avere me, se la sua ambizione non gli suggerisse di
puntare più in
alto. La cosa, ovviamente, sta diventando frustrante… ma chi
sono io per
competere con la sua ambizione?”
Si alzò in piedi e si
avvicinò al puff dove Luisa sedeva.
“Vorrei parlarti un momento. Voi altri volete
scusarci?”
“Andiamo per un minuto da
una parte” rispose Luisa pensando
alla vastità della biblioteca. Blu annuì e, senza
attendere risposta, la
sollevò tra le braccia perché non dovesse
camminare. La ragazza si aggrappò a
lui per non rischiare di cadere, ma senza protestare si
lasciò trasportare in
un angolo appartato della biblioteca, dietro una serie di librerie. Blu la fece sedere su una
seconda poltrona e
s’inginocchiò accanto a lei, appoggiandosi a un
bracciolo per parlarle.
“Volevo chiederti scusa a
nome suo di quello che ti ha
fatto” disse a bassa voce. Luisa sorrise.
“Ascolta… tu non
sei responsabile di quello che combina il
tuo ragazzo.”
“Era per me che era
disperato.”
“Non preoccuparti,
Blu… nessuno di voi due ne ha colpa. In
effetti, non è colpa di nessuno. È stata una
fatalità, Blu.”
“Se ora lo incontrassi,
cosa pensi che gli diresti?”
Luisa sospirò.
“Gli direi che è un gran cretino, a lasciarsi
scappare così un bel ragazzo come te. Gran Dio, io starei
bene attenta a
evitarlo! Anzi, ti marcherei stretto…”
“Ti prego, te lo sto
chiedendo seriamente!” la implorò il
ragazzo.
“Ascolta, Blu…
è questo quello che gli direi. Forse non in
questi termini, ma è pur sempre questo. Non si è
mai abbastanza amati a questo
mondo, Blu… ed è stupido, accidenti, a buttare
via l’amore di uno come te per
inseguire la scia di una leggenda!”
“Diglielo, se lo
vedi” mormorò Blu. “Forse detto da te lo
capirà.”
“Sai”
proseguì dopo qualche momento di silenzio. “Sai
qual è
la cosa che odio più di tutto in questa storia? La cosa
che…che…”
“Che
cos’è?” gli chiese Luisa.
“È che Rosso non
capirà mai che io posso amarlo molto di più
di quanto lo ami quel suo stupido sogno” disse Blu.
“La sua ambizione non lo
amerà mai profondamente, assolutamente, completamente come
lo amo io, non gli
darà la stessa devozione, lo stesso affetto stupido e
cieco… la sua ambizione
non farà altro che tradirlo, è una puttana la sua
ambizione! Ma lui continuerà
per sempre ad amare lei più di me. E sai qual è
la cosa più terribile, invece?”
“No. Che cosa,
Blu?” domandò la ragazza con le lacrime agli
occhi.
“Che qui
l’imbecille sono io. Perché se proprio ora venisse
qui da me a darmi un bacio, io sarei tanto stupido da dirgli baciami,
prendimi,
tutto quello che vuoi, ma ti prego, non mi lasciare più. E
ragionando così…alla
fine la puttana sono io, capisci, e non la sua ambizione.
Perché la sua
ambizione è molto meno lasciva di me, capisci!”. E
Blu si mise a ridere,
disperato. Luisa lo prese per le spalle e lo scosse. Gli disse: Ma la
sua
ambizione è molto meno innamorata di te!”
“Dio, quanto sono
patetico…!” borbottò Blu. Luisa lo
strinse
dolcemente a sé e gli disse: “Dio, quanto sei
innamorato! Veramente sei
straordinario… Ma come fai ad amarlo così tanto
da impazzire? E se penso che
ami così tanto un debole sognatore senza forza di vivere che
non fa altro che
ignorarti…”
“Bisogna proprio essere
stupidi” mormorò Blu.
“Che tu ci creda o no, ti
ammiro” rispose la ragazza. “E non
sai neppure quanto!”
Finalmente Blu sorrise, e alzandosi
in piedi le disse:
“Grazie di avermi ascoltato, Luisa, sai… so che tu
lo conosci molto bene, che
forse non sei dissimile da lui, dal suo carattere…”
“Spero che non siamo troppo
simili” rispose la ragazza.
“No… non
troppo” disse Blu, ma non specificò quel troppo. “Grazie di tutto
questo,
comunque. Tutti voi siete stati buoni con me… e io vi
ringrazio molto per la
gentilezza che mi avete usato, per l’aiuto che mi avete dato
e per la
comprensione che mi avete usato.”
“Torniamo di là,
ora” disse Luisa; ma questa volta volle
alzarsi con le sue gambe, e camminare da sola. Blu
l’aiutò solamente.
A quel punto, il professore si
riportò a casa il nipote. A
Biancavilla, i due si separarono sulla piazza del paese e si diressero
ciascuno
a casa propria, ragionando, ciascuno per sé, sui propri
problemi.
Blu rincasava lentamente, ancora
stanco di quelle notti
insonni trascorse piangendo, stanco di quel dolore antichissimo che da
anni si
portava dietro come un considerevole peso. Rientrato in casa,
trovò la donna
delle pulizie che, finito il proprio lavoro, si accingeva a uscire.
“Signore” disse
amorevolmente quando lo vide entrare. “Come
sta? Va un po’ meglio? Non avrà più la
febbre!”
“Sto meglio”
rispose Blu, anche se non era completamente
vero.
“Ne è sicuro?
Vuole un po’ di compagnia, o
qualcos’altro?”
“La ringrazio tanto,
signora” mormorò Blu “Ma davvero non ce
n’è bisogno. Grazie comunque, sa.”
“Le ho lasciato da mangiare
qualcosa di caldo. Ma se…”
“Non si
preoccupi” disse Blu. “È tutto a posto.
Vada pure a
casa.”
Uscita la donna, Blu salì
al piano superiore per cambiarsi
d’abito e mettersi comodo per la serata. Si disse che, per
ingannare il tempo,
avrebbe compilato la contabilità della palestra e avrebbe
stilato il programma
d’allenamento dell’anno corrente. Ma quando, dopo
essersi lavato, scese in
cucina, trovò di non aver fame e di non voler mangiare
affatto il minestrone
bollente che la signora delle pulizie gli aveva lasciato. Con
questo caldo, si disse svuotando il piatto nel lavello. Ma
la
signora faceva per bene in fondo, pensando alla febbre che aveva avuto
qualche
giorno prima.
Andò in salotto per
rilassarsi una mezz’ora prima di andare
a lavorare. Pensava alla promessa che aveva fatto a Lance…
una settimana in
palestra! Sarebbe stata dura, un radicale cambio d’abitudini:
forse, dopo
Rosso, sarebbe ritornato un bravo ragazzo…
Accese la televisione e fece zapping
per un paio di minuti,
ma per quanto cercasse gli era difficile trovare un programma che non
parlasse
della recente Lega o che addirittura non ne trasmettesse la
più celebre
sequenza. Ma chi poteva avere ancora voglia di vedere una ragazza
dissanguarsi
sotto gli occhi di migliaia di persone? E perché spesso la
telecamera passava
sul suo avversario disperato, che non faceva che gridare? O su di lui
addirittura – ma che cosa importava al mondo di lui- e sui
suoi occhi languidi
che brillavano di febbre e di pianto?
Proprio mentre si alzava per spegnere
la televisione, sentì
il campanello suonare dall’ingresso. Sarà
il nonno,
pensò andando
pigramente ad aprire. Avrà da
dirmi
qualche altra cosa riguardo Rosso… ma perché
pensano che non possa farcela da
solo?
Aprì la porta senza
neppure chiedere chi ci fosse dall’altra
parte… e quale non fu la sua sorpresa quando vide che non
era suo nonno che
aveva bussato, ma che c’era Rosso davanti a lui!
“Che cosa vuoi?”
Rosso guardava in basso con occhi
cupi. Disse: “Non
l’indovini?”
“No” rispose Blu,
non senza una certa asprezza. Rosso non
demorse. “Ho bisogno di parlarti… non potresti
farmi entrare?”
“Puoi parlare
qui.”
“Ma se tuo nonno ci vede,
non mi lascerà parlare con te.”
Blu rimase immobile.
“Va bene” disse
infine. “Vieni dentro.”
Si fece di lato per farlo entrare.
Rosso entrò timidamente
in quella casa, ma non fu invitato ad accomodarsi. Rimasero piuttosto
immobili
nell’ingresso, l’uno di fronte all’altro.
“Scusami.”
“Di che cosa?”
replicò Blu in tono aspro.
“Di tutto, del male che ti
ho fatto, di tutto il dolore che
ti ho… è da imbecilli scusarsi così,
chiederti scusa ora non cancellerà tutti
questi anni…”
“Infatti.”
“Ma mi
dispiace…”
“È inutile
venire qui a dirmi che ti dispiace prima di
tornare ad allenarti come un pazzo.”
Rosso rimase in silenzio a lungo,
prima di rispondere: “Non
tornerò ad allenarmi.”
“E perché
no?”
“Io ho… deciso
di arrendermi.”
“Che cosa?”
gridò Blu scosso.
“Ho capito che tutto questo
è inutile. Basta, ora.”
Blu era a bocca aperta. Lo guardava
incredulo, senza capire,
senza parlare.
“Che cosa ne
dici?” domandò Rosso cautamente.
Finalmente Blu trovò la
forza per rispondergli.
“Fuori. Vai
fuori.”
“No, aspetta,
ascolta!”
“No, tu vai fuori. Fuori!
Esci! Fuori!” esclamò Blu, senza
ascoltare le sue proteste. Non capiva nulla, non vedeva nulla. Lo
spingeva
ciecamente verso la porta.
“Ascolta, Blu,
ascolta…”
“No! Vai fuori, fuori!
Vattene!”
“Aspetta, Blu, ma
perché…”
“E me lo chiedi?
Va’ fuori, vattene!” urlò Blu, gonfio
com’era di frustrazione e pianto e rabbia.
Spalancò la porta e a spintoni lo
cacciò fuori; ma nel momento in cui cercava di chiudergli in
faccia, Rosso
infilò un piede contro lo stipite. A quel punto Blu
uscì fuori a fronteggiarlo
in giardino.
“Ti prego, Blu, non hai
capito, lascia che…”
“NO! Ti dico io qualcosa
oggi!” gridò Blu. Aveva la voce
stridula, altissima e isterica e urlando piangeva. “Sono anni
che ti sto
dietro, Rosso, a te e al tuo stupido sogno e mio Dio, sa il cielo se
non ne
posso più!”
“Blu…”
“Ti ho aiutato e sopportato
e aspettato e adesso, proprio
quando sto cercando di scordarmi di te, mi viene a dire che
è stato inutile
aspettarti, che dopotutto non era così importante quello che
facevi, che era
inutile, che in fondo non era poi così… o, se tu
morissi adesso!”
Ora Rosso si era arreso e restava in
silenzio, con gli occhi
bassi, le braccia molli contro i fianchi, ascoltando senza protestare
quello
sfogo disperato.
“Mi hai fatto buttare va la
parte più bella della mia vita,
ho buttato via tutto per te, tutto! Ma perché l’ho
fatto? Per che cosa? Per
qualcosa che in fondo, dopotutto, non era molto utile, no? Potevi farne
a meno,
potevi tornare quando te l’ho chiesto…
Sì, potevi tornare quando l’anno scorso
sono venuto a cercarti per chiedertelo… ma no, era
necessario aspettare un
altro anno, fare le cose in grande stile, organizzare una pubblica
sconfitta e
mettere tutto in piazza, umiliarci entrambi davanti al mondo intero,
per capire
che in tutto questo c’è qualcosa di
inutile?”
Occhi iniziavano a brillare
nell’oscurità mentre Blu urlava:
vicini e vicine che scrutavano, da una siepe o dall’ombra di
una persiana,
quella scena isterica. Rosso se ne accorse e cercò, assai
inutilmente, di far
ragionare il ragazzo. “Blu, andiamo dentro… ci
stanno guardando…”
“Non me ne frega un cazzo
che ci stanno guardando, Rosso!
Credi che non lo sappia tutta Biancavilla come stanno le cose? Anzi,
credi che
non lo sappia tutto il mondo? No, non mi sto rendendo più
ridicolo di quanto
già non lo sia! Non lo sai che per tutti io sono la
signorina che ti sta dietro
alle sottane? Oh, ma lo sapresti se sul Monte Argento avessi letto
qualche
gossip! Io sono stanco di essere l’ombra di un pazzo, Rosso,
sono molto
stanco!”
“Ma io ti giuro che ti amo,
Blu… ho capito di avere
sbagliato, solo questo ti chiedo, di perdonarmi…”
“Fatti perdonare da
Ho-Oh” urlò Blu dandogli le spalle e
dirigendosi verso casa a passi barcollanti. “È lui
il tuo vero amore, non io!”
Rosso riuscì ad afferrarlo
prima che aprisse la porta e a
frapporsi tra lui ed essa. Ormai lo sfogo rabbioso era passato e a esso
era
seguito un accesso di pianto e tra i suoi singhiozzi Rosso ebbe modo di
dirgli
quello che doveva.
“Ascolta, sono stato uno
stupido… sì, è la verità,
ma ora ho
capito e giuro, giuro che non commetterò più
quell’errore di credere che una
vita divina, ma senza di te, sia una vita…”
E forse queste parole colpirono
profondamente Blu e rimasero
a lungo scolpite nel suo animo; ma subito non ci pensò.
“Ho capito” gli
disse. “Basta. Vattene ora.” E lo spingeva
da parte per entrare in casa.
“Ti prego, ti
amo!”
“Vai via!”
rispose Blu. Entrò e si barricò dentro,
perché
non voleva farsi veder piangere oltre.
Trascorre qualche minuto accasciato,
addossato contro la
porta sul pavimento. Poi si alza bruscamente, bianco e rosso di pianto,
e si
scaglia contro la porta. Spalancandola, si getta di corsa attraverso il
giardino, lungo la strada, domandandosi dove sua andato,
perché l’abbia fatto,
cercando di sentire di nuovo dentro di sé la consapevolezza
di quelle parole: quell’errore di
credere che una vita divina,
ma senza di te, sia una vita…
Ma dov’è andato?
D’un tratto gli pare di vederlo, è sulla
spiaggia, la spiaggia della fine della loro amicizia, la spiaggia che
si
staglia verso l’Isola Cannella, stagliato contro
l’oscurità, gli corre
incontro…
Qualche minuto dopo, essi erano
abbracciati sulla cima del
vulcano a parlottare dolcemente e a scambiarsi baci e
promesse…
Ma il mattino dopo Rosso non
c’era più.