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Autore: Blityri    26/06/2012    17 recensioni
Harry Potter è morto. Hermione ha visto il suo corpo tra le braccia di Hagrid. Non ci sono più speranze. Eccetto una : tornare indietro dove tutto è cominciato per fermare Lord Voldemort.
Ma come ha detto Silente, non tutte le guerre si vincono combattendo.
Dall' ottavo capitolo :
“Ho imparato.”
“Da solo?”
“Da solo.”
“Come mai?”
“A volte sei fastidiosa Evans, lo sai?”
“Tu sempre Riddle.” Ribatté lei mentre un’ombra di sorriso illuminava il volto del ragazzo.
Hermione si ritrovò a pensare che preferiva quando lui si dimostrava insofferente nei suoi confronti, o quando sproloquiava sul suo futuro di gloria. In quei momenti era più facile ricordarsi che era un assassino e quanta morte ancora avrebbe causato. In altri momenti Tom Riddle le sembrava così vulnerabilmente umano.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Tom O. Riddle
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
Capitoli:
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“Là in fondo,
altro stormo si muove; una tregenda
d’uomini che non sa questo tuo incenso,
nella scacchiera di cui puoi tu sola
comporre il senso.
[…] tu stessa ignori il gioco che si svolge
sul quadrato e ora è nembo alle tue porte”1



2 Novembre 1944. Hogwarts


Le coperte verdi le si erano attorcigliate intorno alle gambe, impedendola nei movimenti e costringendola a rimanere seduta e torturare il cuscino. Forse però era meglio così, pensava Hermione, girandosi nervosamente una ciocca di capelli intorno a un dito. Da dopo la partita si era ritrovata in un fastidioso stato di iperattività che aveva irritato persino la paziente Violet e che si accompagnava ad un’antitetica paralisi mentale, o almeno a lei sembrava tale. In quelle poche ore che erano trascorse dalla partita la sua mente era come rimasta bloccata su un unico fotogramma e i suoi occhi rivedevano in continuazione Riddle che la spingeva a terra, prima di essere sbalzato al di là delle gradinate.
C’era così tanto sangue, Hermione si era stupita che un solo corpo ne potesse contenere una tale quantità, o forse che il corpo del giovane Voldemort fosse fatto di sangue e carne, come tutti. Era stato portato via, velocemente quasi una fuga, e lei era rimasta immobile per un istante, senza riuscire a riafferrare la realtà che le vorticava intorno. Poi aveva sentito la sua voce intimare l’ordine, mentre spingeva i Prefetti a radunare gli studenti delle proprie case per riportarli al Castello. Non si era neanche accorta di essere completamente fradicia finché non era entrata nella Sala Comune e aveva notato il tappeto cambiare colore sotto i suoi passi.
Irreale, scombussolate, disarmante. Tom Riddle l’aveva spinta a terra, l’aveva allontanata dalla traiettoria del Bolide. Hermione continuava a far lavorare la sua memoria senza sosta per riordinare i tasselli mancanti. Forse si era sbagliata, davvero l’aveva fatto ? Davvero l’aveva salvata?
“…e proprio non credo che sia stato Vàli.” Sentì ripetere Violet per l’ennesima volta.
Gli occhi vacui di Hermione si spostarono sulla compagna e si socchiusero, come a focalizzarsi sulla realtà di quella conversazione.
“Dico a lanciare quel Bolide.”
“É tipo la trecentonovantaquattresima volta che lo ripeti Vi, abbiamo capito sai?” sbuffò Dorea dal letto affianco, scalciando via gli strati che la ricoprivano.
L’altra si mordicchiò il labbro inferiore, spostando lo sguardo su Hermione, quasi a cercare un supporto. “E allora perché non è ancora tornato in Dormitorio ?”
Hermione tentò di riscuotersi dalla sua apatia per rassicurarla. “Sicuramente sarà in infermeria con Tom…” tentò.
“E scusate avete visto che colpo che ho tirato all’inizio?” si intromise Dorea, spostando il discorso con poco tanto e quasi nessuna reazione da parte delle altre due.
“Secondo te cosa può essere successo?” continuò infatti Violet.
Hermione sospirò, scuotendo la testa, non aveva mai creduto alle coincidenze. Prima la Piovra Gigante aveva cercato di uccidere Riddle, poi un Bolide l’aveva quasi ammazzato. Qualcuno stava cercando di eliminare dalla scena il giovane Voldemort.
“..così ho deciso di andare a sinistra per poi lanciarmi contro Daves…”
“Non lo so, l’anno scorso Mirtilla, poi quella sirena e ora il Bolide. Inizio ad avere paura.”
“…e bum! Praticamente l’ho quasi disarcionato…”
“Poi ci sono quelle strane sparizioni, ne hai sentito?”
“Ho letto qualcosa sulla Gazzetta, dici che c’è qualcosa di più grosso dietro?”
“Non lo so, ma il Ministro non sembrava avere molto il polso della situazione. Ho paura… paura che si stia movendo qualcosa.”
“…poi Malfoy con quella nuova scopa ha fatto miracoli! Immagino che centri il fatto che abbia preferito allenarsi invece che andare ad Hogsmeade…”
“Oh, Dorea per Salazar! Ce la fai a stare zitta ? C’eravamo tutte e due alla partita.”
La ragazza si lasciò cadere sgraziatamente sul letto, chiaramente offesa.
“Non saprei, non sembrano avere qualche legame tra loro quelle spar…” riprese Hermione, prima di interrompersi bruscamente. Il suo sguardo si spostò sulla giovane Black, che sedeva a gambe incrociate, tenendo il broncio.
“Come hai detto?” chiese Hermione, mentre sentiva il battito improvvisamente accelerare.
L’altra continuò a guardarsi le punte della lunga coda, tentando di ignorarla. Ma se c’era una cosa che Dorea Black amava più del Quidditch era parlare di Quidditch, quindi la sua resistenza durò pochi secondi.
“Stavo parlando della nuova scopa di Malfoy, l’hai vista? É la nuova Comet, quella che arriva a fare 100 chilometri all’ora, quella che ha il sell…”
“No, no. Dopo.” La interruppe Hermione.
Dorea corrugò la fronte, cercando di capire cosa intendesse. “Che Malfoy si è allenato tutto il giorno, invece che andare ad Hogsmeade?”
Hermione saltò su eccitata, mentre sentiva una strana corrente percorrerle il corpo. Era la stessa sensazione che provava quando conosceva tutte le domande di un test, eccitazione e soddisfazione. Svelta si lanciò giù dal letto e si infilò il primo paio di pantaloni che trovò a portata di mano, se era giusto quello che aveva in mente non c’era tempo da perdere.
Sotto lo sguardo allibito delle sue due compagne finì di vestirsi.
“Dove diavolo stai andando?” le chiese Violet.
Hermione si soffiò via i capelli crespi dal viso. “ In Infermeria.” Rispose veloce, prima di sparire dal Dormitorio.
Mentre usciva dalla stanza fece in tempo a sentire il commento di Dorea. “Io l’avevo detto che tra quei due c’era qualcosa.”
Camminò veloce fuori dalla Sala Comune, poi giù, saltando qualche scalino mentre sentiva finalmente la sua mente tornare ad appartenerle. Abraxas Malfoy non era andato ad Hogsmeade il 31 Ottobre. Abraxas Malfoy era rimasto ad Hogwarts forse ad allenarsi a Quidditch, forse no. Hermione saltò altri due scalini prima di fermarsi al suono del suo nome che era rotolato fuori da uno dei corridoi dietro di lei.
Charlus Potter le si avvicinò con un sorriso sornione stampato su quella faccia dolorosamente familiare.
“Non dovresti essere in giro Hermione, c’è il copri fuoco.” La informò, finendo di infilare qualcosa sotto il mantello.
“Sono Caposcuola, tu piuttosto cosa fai qua?” rispose piccata lei, con cipiglio autoritario.
“Giro di ronda, è il mio turno sta sera.” Rispose tranquillo.
Hermione annuì, poi si voltò e lo osservò con sguardo investigativo. Charlus raddrizzò le spalle.
“Cosa sai di Malfoy?” domandò forse eccessivamente diretta.
Il ragazzo fece un mezzo sorriso. “Non pensavo ti piacessero i biondi.” La prese in giro.
Lei sbuffò. “Infatti non mi piacciono.”
“Dite tutte così.”
Hermione lo ignorò e alzò un sopracciglio in attesa.
“Non era male un tempo,” rispose Charlus, spostando gli occhi verso le scale e un non troppo lontano passato “poi è iniziata quella sua fissa per il sangue puro…”
“Lo conoscevi bene quindi ?”
Questa volta Charlus parlò veloce e la sua risposta arrivò secca e inaspettata come un colpo di cerbottana. “Eravamo amici.”
Se l’espressione del ragazzo non l’avesse frenata, probabilmente Hermione avrebbe riso per la sconcertante ironia della cosa.
Charlus colse quell’espressione di sorpresa e si passò una mano tra i capelli. “Non guardarmi così, era in gamba fino a qualche..bè facciamo almeno quattro anni fa, prima che diventasse strano.”
“Oh.” Fu l’unica cosa che lei riuscì a dire.
“Già.”
Hermione si strofinò la punta del naso con il dito indice. “Ora non vi parlate molto.”
“Nah.” Confermò con un’alzata di spalle. “L’ultima volta che l’abbiamo fatto ci siamo presi a pugni, quindi forse è meglio così.”
Lei sgranò gli occhi. “Vi siete presi a pugni ?”
Charlus si passò una mano tra i capelli. “In realtà io l’ho preso a pugni, lui si è lasciato picchiare ora che ci ripenso. Mi sono beccato due settimane di punizione per quello, dannato Malfoy! Non sono riuscito più a scrivere per giorni dopo aver lucid…” si interruppe per tornare a guardarla. “Com’è che stiamo parlando di lui?”
Hermione si pentì di aver introdotto l’argomento, chiedere altre informazioni avrebbe significato destare sospetti. Sospetti che avrebbero portato domande per cui lei non era sicura di avere risposte. A volte si dimenticava del suo passato sempre in agguato, un gigante chiuso in un ripostiglio che cercava in ogni modo di uscire, di non essere abbandonato.
“La mia passione per i biondi.” Tentò.
Prima che Charlus avesse avuto il tempo di commentare, si era già allontanata di corsa arrivando al primo piano.
Rallentando il passo si avvicinò alla porta dell’Infermeria stranamente socchiusa, da cui scivolava un delicato bagliore. Silenziosa sbirciò dentro e non vide nessuno, poi il suo sguardo cadde sull’ultimo letto della fila di sinistra dove era sdraiato Tom Riddle. Il ragazzo continuava a muoversi, come tormentato, mentre dalla sua bocca chiusa, a intermittenza, uscivano dei flebili lamenti, come sussurrati.
La sua mente le disse di tornare indietro ed Hermione fece un passo avanti.


8 Novembre. Hogwarts

La Foresta Proibita era molto di più che un semplice agglomerato di alberi e creature, per secoli aveva rappresentato le paure e le fantasie di generazioni di studenti. Era sfide di coraggio, era libertà, era solitudine: la foresta aveva mille facce, una per ognuno dei ragazzi che vi era entrato, per Alastair in particolare era tutte le sue confessioni.
Mentre camminava, scandagliando il terreno con la bacchetta alla ricerca di indizi, gli sembrava di poter percepire con chiarezza le foglie bisbigliare parole dimenticate, segreti affogati in quel marasma di foglie e rami, e mai più ritrovati. Risentiva, mentre alcuni ramoscelli secchi si spezzavano al suo passaggio, le confidenze che lui e Richard erano soliti farsi in quel luogo, parlavano sempre di tutto ma solo in quella foresta, nascosti dal sole, parlavano veramente di sé.
Una minuscola macchia blu sopra di un sasso attirò la sua attenzione e si chinò a raccoglierlo, mentre lontano sentiva sfumare le risate di un tempo ormai morto.
Si porto la pietra vicino al viso e la annusò, sangue di sirena. Si rialzò lentamente, soddisfatto di essere sulla pista giusta e sollevato che la pioggia di quei giorni non avesse cancellato ogni traccia.
Continuò a camminare, lasciandosi guidare dal suo istinto, mentre gli alberi si aprivano fantomaticamente davanti a lui. Alastair sospirò, era sempre stato tutto un gioco per loro, un gioco quei sette anni trascorsi protetti da ogni altra realtà, un gioco sposarsi subito dopo con Clarissa, un gioco andare in missione.
Là la loro cielo di illusioni era stato frantumato dall’orrore e da un odio che non pensavano fosse proprio dell’essere umano, le schegge che erano precipitate sulle loro teste li aveva trovati attoniti e pietrificati.
Avevano ucciso e avevano visto uccidere, avevano perso per sempre ogni innocenza precipitando in una spirale di distruzione che li aveva logorati fino all’apatia.
Ogni singola parte di loro si era riempita di quella morte che tentavano ogni giorno invano di fermare, si sentivano come appestati, portatori sani di quella violenza inarrestabile, e così si erano chiusi nella loro diade, dove ognuno sapeva cosa provava e pensava l’altro. Nessun’altro a casa l’avrebbe capito mai come faceva Richard, per questo faceva fatica a tornare.
Anche in quel momento, mentre camminava, gli sembrava di essere come sospeso in un sogno lontano e sfumato, niente di quella foresta gli sembrava reale.
Improvvisamente quello che a prima vista poteva sembrare uno Snaso, sgusciò fuori da un enorme cespuglio carico di foglie secche, nella fretta però la creatura rimase impigliata e iniziò a emettere striduli lamenti che obbligarono Alastair a piegarsi per tentare di liberarla.
Con un colpo di bacchetta lo Snaso fu in grado di dileguarsi, lasciando l’uomo a fissare il cespuglio. Da lontano gli era sembrato che coprisse una delle solite grotte della foresta, ma da quella angolatura poteva benissimo vedere una radura sconosciuta.
Incuriosito, Alastair si fece largo tra i rami appuntiti e in breve fece il suo ingresso in quel luogo inesplorato : una pianura erbosa di discrete dimensioni, completamente vuota fatta eccezione per una grossa quercia sulla sinistra.
Alastair non ricordava di averla mai vista e iniziò a esaminarla con particolare attenzione alla ricerca di indizi rivelatori, finché non trovò numerose macchie di sangue cobalto, rappreso su alcuni fili d’erba. Si stava convincendo sempre di più di aver trovato il luogo del delitto.
“Signorina Evans?”
La ragazza spostò lentamente lo sguardo su di lui. “Mm?”
“Le ho chiesto dove si trovava il 31 Ottobre, mi è stato riferito che non si è recata ad Hogsmeade.”
Hermione annuì. “Ero con Riddle, siamo andati da Hagrid e poi al lago.”
“Intende il Guardiacaccia?”
“Precisamente. Chieda a lui, se vuole una conferma.”
“Se non sbaglio è stato accusato di omicidio, non è un granché come testimone.”
“Allora lo chieda a Riddle, quando si sveglierà.”
Lui si appoggiò allo schienale della sedia. “Mi sembra nervosa, signorina Evans.”
“Un mio compagno è stato colpito da un Bolide impazzito e  il cadavere di una sirena è stato appeso all’ingresso della scuola, certo che sono nervosa.”
Mentiva. Alastair ne era quasi certo.
Era inutile cercare un’arma del delitto, la creatura era stata uccisa da un Anatema Che Uccide e ognuna di quelle ferite proveniva da una bacchetta. Evidentemente l’assassino non aveva voluto sporcarsi le mani.
Alastair maledisse la pioggia che aveva cancellato ogni impronta del colpevole, obbligandolo a brancolare nel buio. Abbandonate quelle inutili prove, si spostò vicino al maestoso albero e il suo sguardo fu attirato dagli sfregi sul tronco nodoso. La sua mano ne accarezzò la superficie rugosa, indugiando su quelle che sembravano ferite ancora non perfettamente rimarginate. Alastair guardò con più attenzione e si accorse che quei profondi graffi erano stati provocati da incantesimi potenti. Si girò e scrutò la radura. Era praticamente impossibile che un incantesimo fosse sfuggito al colpevole e avesse colpito quella quercia, quel punto non era sulla traiettoria delle macchie di sangue.
In alcune ferite della sirena era stata trovata della terra quindi con doveva essere stata torturata da sdraiata, da dove venivano quegli sfregi sulla corteccia allora ?
“Signor Potter, si accomodi.”
Il ragazzo si sedette davanti a lui con fare svogliato.
“Di cosa vuole che parliamo ?”
“Sono un Auror non uno psicologo, siamo qui per parlare dell’omicidio.”
“Era solo per sciogliere la tensione.”
Alastair scrutò attentamente il ragazzo.
“Si sente teso, signor Potter?”
“Non particolarmente.” Rispose con un’alzata di spalle, mentre il suo sguardo iniziava a vagare sul lampadario appeso sopra di lui.
“E’ un brutto graffio quello che ha sul collo.” Commentò Alastair.
Il ragazzo immediatamente abbassò il capo imbarazzato e la ferita tornò a nascondersi sotto la sciarpa rossa-oro.
Un sorriso nervoso gli si dipinse sul volto. “Quidditch.”
Alastair annuì comprensivo.
“Sa signor Potter, mi sono arrivate strane voci in questi giorni.”
Il ragazzo assottigliò gli occhi chiari, in attesa.
“Si dice che esista una specie di società segreta a Hogwarts, la chiamano l’Ordine della Fenice’.” Alastair fece una pausa, per permettere all’altro di assimilare l’informazione. “Se esistesse, lei capisce che mi troverei nella spiacevole posizione di doverne trovare i capi. Sto parlando ipoteticamente, sia chiaro.”
“E in via ipotetica, che cosa succederebbe a questi…questi capi.”
“Chiaramente sarebbero espulsi, mi capisce, ma non sarebbe questa la cosa peggiore.”
“Ah no?”
“Stiamo parlando di omicidio signor Potter, per quanto ne so io potrebbe trattarsi di un’iniziazione o di qualcosa di simile. Non c’è mai da fidarsi di queste sette. Se esistesse effettivamente e se ne riuscissimo ad individuare i membri, rischierebbero di essere tutti quanti indagati”.
Il ragazzo raddrizzò le spalle e lo guardò con aria di sfida.
“Quello che le posso dire, Capitano Nott, è che se esistesse davvero questo Ordine della Fenice, lei non dovrebbe preoccuparsi che fosse coinvolto in tutta questa faccenda, non sarebbe nel suo stile.”
L’uomo gli fece segno di andarsene e il ragazzo si alzò.
Prima di chiudersi dietro la porta però Charlus si voltò. “Tuttavia signore, sempre in via ipotetica, potrebbe esistere un’altra società segreta in questa scuola, le cui idee potrebbero ricordare quelle di Grindelwald. Potrebbero, se esistessero ovviamente, essere i Mangiamorte quelli che cerca.”
Alastair alzò il capo e notò che alcuni dei rami erano stati completamente bruciati. Con giovanile agilità si arrampicò e strappo un ramoscello carbonizzato. L’odore era inconfondibile, qualcuno in quella radura doveva aver usato l’incantesimo Ardemonio, o qualcosa di simile.
Ridiscese pensieroso, era un incantesimo estremamente difficile e pericoloso, uno di quelli che non si imparano per divertimento o per fare colpo su una ragazza.
La ragazza dalla zazzera rossa gli si avvicinò e gli diede due affettuosi baci sulle guance.
“Da quanto tempo Violet!” la salutò lui.
“Praticamente epoche, Capitano Nott.” Gli sorrise, sedendosi davanti a lui.
“Un tempo mi chiamavi per nome se non sbaglio.”
Lei mise su un’aria cospiratoria. “Si, ma sai com’è…ora sei in servizio.”
Alastair rise divertito mentre si accomodava a sua volta.
“Allora Violet, hai visto o sentito qualcosa di strano in questi giorni?”
La sua faccia non tradì la minima espressione, ma i suoi capelli iniziarono a scurirsi sulle punte. “Era il simbolo di Grindelwalt, non è vero ? Quello inciso s-sulla…sulla…”
“Si, era il suo simbolo. L’avevi già visto prima ?”
Lei scosse la testa. “Ho letto di quella coppia di Gloucester.”
“Brutta storia. Non sono riusciti ancora ad individuare i colpevoli.”
“E se tutti questi omicidi e sparizioni fossero collegati?”
“C’ho pensato anche io Violet, ma per molti sono stati arrestati dei babbani.”
“Oh, andiamo Capitano Nott, non ci crederai veramente.”
Lo sguardo di Alastair si indurì. “Mi fido del lavoro degli Auror e tu dovresti fare altrettanto.” Ribattè secco.
Violet lo guardò scettica. “Non hai pensato che potrebbe essere tutto collegato? Che qualcuno stia cercando di riportare qui Grindelwald, avrebbe il terreno spia…”
“La tua fantasia galoppa troppo, mia piccola amica.” La interruppe veloce. “I confini sono altamente sicuri e se qualcuno stesse cercando di farlo arrivare in Inghilterra, il Ministero ne sarebbe al corrente.” Continuò, senza troppa convinzione.
“E se fosse qualcuno del Ministero?”


Il fuoco scoppiettava, la penna di Augusta scricchiolava, qualcuno stava scendendo le scale saltellando e Minerva McGrannit credeva di impazzire.
“Dannazione.” Sbottò, accartocciando la pergamena che aveva davanti e gettandola tra le fiamme poco lontano.
Augusta, seduta vicino a lei alzò la testa dai suoi compiti e la guardò, palesemente preoccupata.
“Tutto bene Minerva?”
L’altra strinse le labbra e annuì decisa, evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo. Prese un altro foglio e intinse la piuma nel calamaio, ma quando ricominciò a scrivere subito una macchia si distese veloce sulla pergamena.
“Dannazione.” Ripetè.
Minerva lasciò perdere il compito di Rune e appoggiò la fronte sui palmi delle mani, cercando di darsi una calmata. Chiuse gli occhi e immaginò di trovarsi sulle scogliere a nord del suo paese, con i gabbiani che volavano sopra la sua testa giocando con il vento, e le onde che si frangevano violente sulla costa.
Alzò la testa di scatto. “Per Godric, Charlus la vuoi piantare?”
Il ragazzo immediatamente smise di lanciare in aria la pallina e se la infilò in tasca, scrutandola con attenzione.
“Chi è lui?”
Il sopracciglio sinistro della ragazza scattò in alto, sulla difensiva. “Lui chi?”
Charlus si tirò su dalla poltrona in cui era sprofondato e le si avvicinò con un sospiro. “Mia dol… spostati un po’ Aug, su!” Si fece spazio fra le due. “Mia dolce Minerva, stavo dicendo, mi ritengo perfettamente ferrato nei problemi di cuore…”
“Più che altro sei bravo a causarli, Potter.” Commentò Augusta Paciock, senza alzare la testa dalla pergamena, lui la ignorò.
“…e tu hai scritto sulla fronte ‘Sto male per un ragazzo’, quindi non tentare di prendermi in giro.”
Lei non rispose ma iniziò a mordersi il labbro inferiore.
“Prendo il tuo silenzio come un si…”
“Io lo prenderei come un ‘levati di torno che stiamo strette’, però fai tu.”
“Sei più acida del solito oggi Aug, che ti è successo?”
“E’ il tuo gomito conficcato nelle mie costole che mi rende acida, Potter.”
Minerva cercò di ignorare il battibecco, concentrandosi sul groviglio di sensazioni che si era andato a depositare sul suo stomaco. Le sembrava di avere un buco al centro del petto in continua crescita, un abisso che risucchiava ogni altro pensiero o sensazione che non fosse quella di profonda tristezza e delusione. Lo amava, era certa di amarlo ma evidentemente lui non la pensava allo stesso modo: aveva voluto tenere segreta la loro relazione, aveva preferito quel branco di idioti dotati di cappuccio nero a lei.
“E’ un idiota.” Mormorò, più a se stessa che agli altri due.
Charlus sogghignò, felice di averci azzeccato, e le passò un braccio sulle spalle. Lei era troppo giù per scrollarselo di dosso.
“Non lo siamo tutti?”
“Parla per te Potter.”
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e tentò, per quanto fosse possibile di dare le spalle ad Augusta.
“Sotto il prezioso consiglio della signorina Paciock riformulo la frase, noi ragazzi lo siamo abbastanza spesso a quest’età, quindi trovami un altro motivo.”
Minerva iniziò a torturare la manica della sua divisa. Non avrebbe dovuto parlarne con Charlus, non avrebbe dovuto parlarne con nessuno ma temeva che sarebbe presto esplosa se avesse continuato a rimanere zitta.
“L-lui non vuole che si sappia che stiamo insieme.” Sputò, senza essere molto sicura di quello che aveva appena detto, come se le parole si fossero fatte strada da sole tra le sue labbra, smaniose di vedere la luce.
Augusta alzò gli occhi al cielo, erano anni che la situazione non cambiava, non riusciva proprio a capire perché l’amica avesse iniziato proprio in quei giorni a dare di matto.
“E mi nasconde qualcosa.” Aggiunse, quando si accorse che l’altro non aveva ancora commentato.
“Tutti nascondiamo qualcosa, Minerva.” Fece dopo qualche istante, con fare saccente. “Alcuni segreti sono come dei rifugi, dove nascondiamo una parte di noi, dove mettiamo al sicuro la nostra felicità.”
Augusta posò la piuma. “Amen.” Sotto lo sguardo penetrante del ragazzo si stiracchiò. “ E sentiamo Potter, qual è il tuo di segreto?”
Il ragazzo fece un mezzo sorriso e il suo pensiero andò per un istante a quella ragazza strana che incontrava ogni tanto. “Se te lo dicessi non sarebbe più un segreto, no?”
Lasciando Augusta a borbottare contro di lui, tornò a concentrarsi su Minerva che osservava afflitta un punto imprecisato davanti a lei.
“Dici che ha un'altra?” chiese con poco tatto.
La ragazza subito si riscosse. “No. Assolutamente no.”
Charlus finse di riflettere per un attimo, poi sul suo volto si dipinse un’espressione trionfante. Si girò di scatto e sussurrò qualcosa nell’orecchio della spaventata Augusta, prese Minerva per un braccio e la trascinò fuori dalla Sala Comune.
“Ehi ! Si può sapere dove stiamo andando?”
L’altro iniziò a saltellare giù per le scale. “Sala Grande.”
“Ma manca mezz’ora buona per la cena, che ci andiamo a fare?” tentò di protestare lei.
“Vedi mia inesperta Minerva, ora vedrai all’opera qualcosa di più potente di tutti gli incantesimi che ti potrai mai sognare, la più distruttiva della forze.”
“Sarebbe?” chiese per niente convinta.
“La gelosia, mio delizioso Capitano, la gelosia.”
Con uno strattone si liberò dalla presa del compagno e si immobilizzò. “Non mi muovo finché non mi spieghi cosa ha intenzione di fare, lo so come vanno a finire di solito i tuoi piani.”
“Le probabilità di successo in questa situazione sono del novanta per cento dei casi.”
La ragazza incrociò le braccia. “ E il restante dieci per cento ?”
Charlus la prese per una manica e la tirò avanti. “Devi pensare positivo se vuoi riconquistare il tuo bello. A proposito, chi è?”
Minerva abbassò gli occhi.
“Giuro solennemente che mi porterò il segreto nella tomba eccetera eccetera.”
Due occhi felini lo fissarono intensamente. “Nott.” Bisbigliò infine.
Il ragazzo le tirò una pacca sulla spalla. “E brava la McGrannit, ti sei scelta un Capitano eh?”
Minerva lo fulminò. “Abbassa la voce per l’amor del cielo, vuoi che lo sappiano tutti?”
“Di questo ne parleremo dopo. Ora concentriamoci sul mio brillante piano.”
“Sentiamo.”
“E’ molto semplice, dobbiamo solo fare finta di stare insieme, il resto verrà da sé.”
Lei si blocco davanti all’ingresso della Sala Grande. “Sei completamente andato fuori di testa Charlus ? Io non ti bacio neanche morta.”
Lui si portò una mano sul cuore, mettendo su un’espressione contrariata. “Mi ritengo ufficialmente offeso. Non pensavo che avessi tali opinioni nei miei riguardi.”
Minerva alzò gli occhi al cielo. “Sai cosa intendo.”
“Bene, allora morirai zitella Minerva McGrannit.”
“Questo è un colpo basso Potter.”
Il ragazzo le fece un occhiolino e, prendendola per la vita, fecero il loro ingresso nella Sala Grande.
I minuti passarono agonizzanti finché finalmente gli studenti iniziarono a prendere posto nelle varie tavolate e Minerva capì che era arrivato il momento.
Charlus la tirò in piedi e le si avvicinò pericolosamente.
“Pensa,” le sussurrò divertito ad un orecchio “decine di ragazze ucciderebbero per essere al tuo posto.”
Lei strinse i denti. “Se dobbiamo faro, facciamolo Potter, ma evita le questi commenti.”
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. “Deve avere la pazienza di un santo Nott.”
“Molto divertente, Charlus dav…oddio è arrivato.”
Lui non si voltò per controllare ma le posò le mani sul collo. “Rilassati vecchia mia, mi è stato detto più volte che sono un ottimo baciatore.”
“Baciamoci e basta.” Commentò decisa.
E fu quello che fecero, mentre una mezza dozzina di cuori andava in pezzi nell’ammirare il giovane Cacciatore di Grifondoro e quello di Vàli Nott smise di battere nel vedere la sua Minnie, baciare un altro.
Minerva si intimò di tenere gli occhi chiusi e continuò a baciare Charlus con una rabbia che non credeva di essere in grado di provare, le loro labbra si toccano e si separavano in una danza violenta che obbligava chi era intorno a loro a distogliere lo sguardo imbarazzati.
Quando finalmente si separarono la ragazza non riuscì a guardarsi intorno, ma continuò a fissare gli occhi di Charlus così vicino ai suoi.
“Come dici che è andata?” sussurrò.
Lui le accarezzò una guancia. “Non ti facevo così focosa McGrannit.” Scherzò.
“Com’è che tu sai di torta di zucca.”
“Ho degli amici nelle cucine.” Disse prima di baciarla ancora.
Quando si sedette di fianco ad Augusta sentì di avere le guance in fiamme ma non si pentì di quello che aveva appena fatto.
L’amica le fece l’occhiolino. “Direi che è andata bene no? E’ fermo all’ingresso da dieci minuti buo… No! Non ti voltare, rovini tutto se no.” Le intimò.
Minerva sbuffò, lottando contro il suo desiderio e si intimò di continuare a fissare il bicchiere davanti a lei. Anche se non lo vedeva la sua mente impietosa le riproponeva un’immagine estremamente fedele alla realtà, e lei non poté fare a meno di sentirsi un mostro egoista per quello che aveva fatto. Sapeva dentro di sé che sarebbe bastato lasciare che Vàli le parlasse, come aveva tentato di fare nei giorni precedenti, per sistemare le cose. Ma non le sarebbe bastato, aveva voluto fargli male, ferirlo lì dove sapeva che avrebbe sofferto di più, nel punto più delicato della sua insicurezza. Perché voleva punirlo, punirlo per i segreti che non voleva condividere, punirlo per le sue bugie, punirlo per l’arrendevolezza a cui lei stessa si riduceva.
 “Com’è che sai già tutto?”
“Charlus me l’ha bisbigliato prima, ho fatto anche io la mia parte. Ora tutto il castello è convinto che stiate insieme.”
“Non sei contento zuccherino?” si intromise Charlus.
“Chiamami ancora così e ti infilzo con la forchetta.” Commentò facendo sorridere entrambi.
“Oh. Se n’è andato.” La informò Augusta. “Non ti azzardare a seguirlo.”
Mentre Minerva rimaneva seduta a rimuginare su quello appena fatto e i sensi di colpa cercavano di farsi strada in lei, Vàli era indietreggiato velocemente ignorando le chiamate di Violet.
In un attimo era sparito dalla Sala Grande e aveva iniziato a correre su per le scale. Non riusciva a capire, a mettere insieme i pezzi, a ricostruire la scena. Minerva aveva baciato un altro, qualcuno che non era lui. Minerva l’aveva baciato davanti a tutti, davanti ai suoi occhi, davanti ai professori.
Sentiva un mostro ruggire nel suo petto, avrebbe voluto picchiare qualcuno, urlare, saltare; ma non lo fece, perché sapeva che in fondo era solo colpa sua, era lui che aveva rovinato tutto fin dall’inizio, era un debole, un vigliacco, lo era sempre stato e ora aveva perso l’unica persona che lo sosteneva.
Tirò un calcio ad una statua e senti le ossa del suo piede scricchiolare, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. Cercò di concentrarsi sul piede che pulsava ritmicamente e di allontanare quell’immagine dolorosa. Aveva tentato di scusarsi, di parlarci per l’intera settimana ma lei aveva fatto finta di non sentire, aveva creduto fosse perché era arrabbiata, non perché ci fosse un altro.
“Vàli?”
Il ragazzo si voltò, sperando che fosse Minnie, venuta a dirgli che c’era stato uno sbaglio, che Charlus non le piaceva, ma era solo Hermione Evans.
“Tutto bene?”chiese preoccupata dalle lacrime che continuavano a scendergli lungo le guance, anche senza il suo permesso.
“Mmm.” Mugugnò, cercando di pulirsi la faccia con la manica del golf.
Lei gli si sedette di fianco e aspettò che lui dicesse qualcosa.
“Minnie.” Sputò fuori. “Stava baciando Potter.” Nel momento in cui lo disse la situazione gli apparve in tutta la sua cruda realta e si sentì ancora peggio.
Hermione rimase a bocca aperta e per un attimo non seppe cosa dire. “Ma sei sicuro?” commentò infine, rendendosi conto che era la cosa più stupida che le potesse venire in mente.
“Certo che sono sicuro, li ho visti. Anzi, tutta la scuola li ha visti.” Rispose acido.
“Oh.”
“Già.”
Vàli si prese la testa tra le mani ed Hermione cercò di confortarlo con qualche leggera pacca sulla spalla sinistra. Quando i tuoi migliori amici sono maschi si finisce per avere il tatto di un rinoceronte.
“Credo si sia stufata della nostra relazione, dei segreti…”
“Perché non provi a farle capire che sei disposto a cambiare le cose? Sempre se lo sei.”
Il ragazzo si interrogò per un secondo solo, era disposto a tutto per Minerva McGrannit. “Cosa posso fare?”
Hermione alzò le spalle. “Non sono molto brava in queste cose, ma credo che potresti...parlarle ?.”
“Parlarle?” chiese incredulo “E’ una settimana che tento di parlarci e comunque uno dovrebbe riuscire ad allontanarla da quella sanguisuga di Potter, dovevi vederli” commentò con foga “erano così…così avvinghiati.”
Lei sorrise, il pensiero che la professoressa McGrannit potesse avvinghiarsi a qualcuno  non l’aveva mai sfiorata.
“Allora scrivile una lettera o una cosa del genere.” Propose.
“Una cosa del genere…” ripetè lui poco convinto, poi alzò la testa e la guardò con aria stupita, come se si fosse accorto solo in quel momento che lei era veramente lì. “Com’è che non sei a cena tu?”
“Ho mangiato prima in Infermeria e ho un appuntamento con il professor Silente.”
“Come sta?” chiese preoccupato.
“Al solito.” Rispose atona lei, alzandosi. “Magari ci vediamo dopo.”
“Se non ho deciso di affogarmi nel Lago Nero, si.” Sussurrò Vàli, con aria depressa.
Dopo avergli rivolto un sorriso che sperava fosse pieno di ottimismo e fiducia, Hermione si avviò verso l’ufficio di Silente domandandosi il perché di quella convocazione. Mentre passava al vaglio le possibili motivazioni, per un attimo temette che potesse c’entrare con il suo terribile interrogatorio.
Aveva fatto di tutto per sembrare rilassata e all’oscuro di qualsiasi faccenda, ma non era mai stata brava a mentire e lo sguardo che le aveva rivolto il padre di Nott alla fine del loro colloquio era stato abbastanza eloquente. Tuttavia Hermione era convinta che, per quanto l’Auror potesse essere perspicace, mai avrebbe potuto collegare Riddle alla sirena.
La porta dello studio era socchiusa e dall’interno proveniva un rimestare di carte e un borbottio quasi impercettibile. Entrò, dopo aver bussato, e si ritrovò circondata da pezzi di pergamena che levitavano tranquillamente sopra la sua testa mentre vicino alla scrivania del vice preside fluttuavano formule matematiche che venivano sistematicamente cancellate da gesti decisi di Silente.
“Professore ?” chiese, abbassandosi per evitare di urtare quello che sembrava essere il disegno del sistema solare, che iniziava a perdere quota.
“Prego, prego signorina Granger si accomodi.” Le rispose l’altro distratto.
“Va tutto bene professore ?” si preoccupò.
Lui alzò la testa ed Hermione vi vide dipinta un’espressione sconfortata.
 “Temo proprio di no. E’ per questo che l’ho fatta venire qui.” Disse, spostando le carte che aveva davanti. “Mi stavo chiedendo se per caso non avrebbe potuto aiutarmi.”
Hermione annuì decisa. “Certamente, di cosa ha bisogno?”
“Mi domandavo se lei, venendo dal futuro, fosse già a conoscenza degli eventi appena accaduti.”
Non era quello che lei si aspettava, ma la domanda non la colse impreparata perché lei per prima aveva cercato nella sua memoria una traccia di quello che era accaduto, senza trovarne.
“No professore, forse sono io che ricordo male…ma non ho mai letto di tutto questo.”
Silente annuì, poi tirò fuori da un cassetto alcune grosse pergamene, fitte di formule e disegni. Gliele mise davanti e ne indicò una.
“Vede qui, signorina Granger?”
Lei osservò con attenzione, ma l’unica cosa che riusciva a scorgere erano delle rette, il resto non aveva un senso.
“Cosa dovrei vedere?”
“Queste pagine mi sono arrivate qualche giorno fa e riportano una strana scoperta.”
“Credo di non capire, professore.”
Silente si protese in avanti e indicò una delle due rette. “Questa qui è l’asse temporale che viene percorso in ogni istante dal nostro pianeta, non tutti si trovano d’accordo sulla sua rappresentazione grafica… ma non è questo che ci interessa!” Si interruppe brusco e si lisciò la barba.
Hermione osservò la carta che aveva davanti. “Professore?”
“Si?”
“Se questa è la linea temporale perché il nostro pianeta sembra spostato?”
Lui sospirò. “E’ proprio questo il punto, signorina Granger, il nostro pianeta non sembra spostato, il nostro pianeta si è spostato.”
La ragazza lo fissò, in attesa di un’ulteriore spiegazione.
“A quanto pare il nostro pianeta si è allontanato dalla linea spazio temporale che stava percorrendo.”
“E dov’è adesso?”
“Su un’altra linea immagino.”
Gli occhi di lei si abbassarono di nuovo, mentre nella sua mente si andava a costruire precisa e implacabile l’ovvia conclusione.
Fu Silente a dare voce ai suoi pensieri. “E’ successo qualcosa che ha come fatto deragliare il nostro mondo, qualcosa è stato modificato e…”
“Il futuro cambierà, non è vero?” concluse Hermione sottovoce. “La terra si è spostata perché è stato modificato il presente, di conseguenza anche il futuro cambierà.”
“Non abbiamo ancora delle prove certe, ma in linea puramente teorica dovrebbe essere così.”
Cose terribili accadono ai maghi che non rispettano le regole del tempo, si ricordò Hermione. Era tornata indietro e si era inserita nel passato, una delle sue azione doveva aver provocato quello slittamento, ma quale ?
“Se il futuro è cambiato, significa che non è più il mio, che non potrò…non potrò tornare indietro?” chiese spaventata.
Silente la guardò assordo per alcuni secondi, poi allungò una mano e strinse la sua, Hermione tentò di sorridere, ma non ci riuscì. Il pensiero di dover rimanere lì per sempre l’aveva pietrificata, come se il suo corpo si fosse rifiutato di apprendere quell’informazione.
“Voglio essere onesto con lei: non ne ho idea. Tuttavia immagino che ci debba essere una soluzione, se nel futuro ho deciso di rimandarla indietro devo aver calcolato questa probabilità.” Cercò di rassicurarla. “Ci deve essere una soluzione.” Ripetè, più a se stesso che a lei.
Con la mano libera dalla stretta di Silente estrasse il Giratempo da sotto la camicia e lo osservò, cercando di trattenere le lacrime che iniziavano a pizzicarle gli occhi. Voleva tornare indietro, riabbracciare Ron e Ginny, voleva salutare Harry un’ultima volta. Sentì una goccia salata farsi strada tra le sue ciglia e scivolare mesta lungo la guancia.
“Signorina Granger, m-mi permetterebbe di prendere in custodia quell’oggetto? Vorrei studiarlo, forse potrebbe aiutarci.”
Lei annuì e gli consegnò il Giratempo, freddo e immobile tra le sue dita.
Il professor Silente lo prese con delicatezza e lo guardò con un misto di interesse e reverenza, mentre si domandava se rimandare indietro quella ragazza fosse stato solo un altro dei suoi errori.


Dorea lasciò penzolare pigramente la gamba, mentre si stiracchiava contro la colonna di legno del letto a baldacchino, pronta per dormire.
“E la McGrannit e Potter stanno insieme.” Informò il fratello, stravaccato sul tappeto sotto di lei.
“Ti deve avere proprio sconvolta questa notizia, è la quarta volta che la ripeti.” Disse, tirandosi a sedere per osservarla con attenzione. “Non è che piace anche a te Charlus eh? Mi basta già Violet.”
La sorella sbuffò. “E’ solo che non mi sembrava ci fosse grande feeling tra loro, tutto qui.” Lo rassicurò.
“Per quel che so io lei passa il tempo a sbraitargli contro durante gli allenamenti, odi et amo evidentemente.” La informò con un’alzata di spalle.
“C’ho parlato qualche giorno fa, non è così male.” Buttò lì.
“Se la tira troppo.”
Dorea rise. “Ha parlato quello che ha passato una settimana a gloriarsi del sua fantastica presa.”
“Mi correggo, lui se la tira senza motivo.”
La ragazza si lasciò cadere sul morbido materasso con un sorriso, mentre il fratello si arrampicava sul letto e si stendeva vicino a lei, come ai vecchi tempi.
“Proprio sicura che non ti interessi?” si accertò, pregando in una risposta affermativa. “Perché è da tanto che non ti prendi una cotta, quand’è stata l’ultima?”
“Orion, possiamo evitare di rinvangare questo genere di ricordi? E’ imbarazzante.”
Lui continuò impietoso. “Ah si, ora me lo ricordo. Hai passato un anno intero a fare gli occhi dolci a quel capitano di Corvonero…” si strofinò la fronte, mentre la sorella si concentrava sulle punte dei suoi capelli, imbarazzata. “… Baston !” Esclamò infine, soddisfatto.
Dorea gli tirò una potente gomitata nelle costole. “E’ stata una settimana, non un anno, e mi piaceva perché era bravo a Quidditch.” Cercò di scusarsi.
“Guarda che mica è una cosa brutta innamorarsi.” Cercò di convincerla, mentre la sua mente tornava alla prima volta in cui si era accorto dell’esistenza di Oliver. Successivamente si era chiesto come avesse potuto passare sedici anni senza di lui.
Lei si girò, dandogli la schiena. “La fai facile tu, Oliver ama persino la terra su cui cammini, io non voglio finire come Violet.” Bofonchiò.
Orion la tirò affettuosamente per la treccia. “Non puoi considerare tutto come se fosse una partita a Quidditch, Dorea. A volte anche quando si perde si impara qualcosa.”
“Non mi piace perdere.” Ribattè, poco convinta. “In amore va a finire sempre che si soffre.”
“Io sono felice con Oliver.”
“Certo, ma voglio vedere come starai quando ti ritroverai spos…” si interruppe improvvisamente, consapevole che avrebbe fatto meglio a non tirare in ballo il matrimonio.
Orion si rabbuiò.
“Scusa.” Mormorò lei, voltandosi.
Il fratello alzò le spalle, mentre i suoi occhi erano rivolti al futuro. “Non fa niente, in fondo hai ragione.” Assentì con voce sommessa.
Dorea gli accarezzò una guancia con la punta di un dito. “Non sei obbligato a farlo.” Provò, per l’ennesima volta.
“Certo.” Commentò amaro. “Posso rifiutarmi. Ovviamente la nostra casa e tutti i terreni verrebbero confiscati, noi ci ritroveremmo in strada, papà finirebbe ad Azkaban per tutti i suoi debiti e probabilmente la mamma si ucciderebbe per evitare di sopportare le chiacchere dei vicini. Ma almeno io avrei evitato uno stupido matrimonio.”
“Avresti evitato di essere infelice.”
Si tirò a sedere. “Credi davvero che potrei essere egoista come lo sei tu? Non credi che passerei tutta la mia vita a sentirmi in colpa?”
La ragazza ammutolì. “I-io…io non sono egoista.” Tentò di difendersi, boccheggiando per le pesanti parole del fratello.
“No certo che no, però chissà come mai sono io che mi sposo.” Rispose con crudele ironia, alzandosi.
Dorea cercò di prenderlo per la manica, di obbligarlo a fermarsi ad ascoltarla. Lo amava con tutta se stessa e non poteva sopportare che lui pensasse quelle cose di lei. Anche se aveva ragione su tutta la linea.
Lei avrebbe dovuto sposarsi per salvare la famiglia, lei avrebbe dovuto sacrificarsi, perché era lei quella forte. Quella che avrebbe potuto resistere a una cosa del genere.
Ma Dorea si era rifiutato, aveva urlato, aveva smesso di parlare, di mangiare e aveva vinto. Ora era libera di diventare tutto quello che avrebbe voluto, di sposare chiunque o di non sposarsi affatto. Ma qual’era il prezzo della sua libertà ?
La felicità del suo adorato fratello aveva preso il suo posto sull’altare sacrificale.
Si ritrovò a singhiozzare, mentre l’altro usciva sbattendo la porta.
Orion si buttò sul divano della Sala Comune con un sospiro e affondò il viso in uno dei cuscini. Non avrebbe dovuto dire quelle cose, ma era come se le parole si fossero messe in fila da sole per formare quelle frasi, per poi strisciare subdolamente fuori dalla sua bocca.
Si infilò una mano in tasca per assicurarsi che il rospo di Vàli stesse bene e, quando la trovò vuota, saltò in piedi.
“Dannato Freddie.” Sibilò, cercando di pensare dove potesse essere finito l’animale.
L’amico gliel’aveva dato dopo cena e quando aveva incontrato Oliver in Sala Grande era ancora con lui, gli avevano costruito una pista ad ostacoli e poi c’era stato quel bacio…
“Vàli mi ammazza.” Si disse, lanciandosi verso la Sala Grande veloce come non lo era mai stato.
Silenzioso evitò la maggior parte delle pattuglie di controllo ma si tolse la soddisfazione di confondere un Prefetto che aveva guardato Oliver con troppa insistenza.
La sala era deserta e immersa in un ingombrante silenzio, Orion represse un brivido al pensiero che l’assassino di quella sirena potesse trovarsi nei paraggi.
Iniziò la sua ricerca, illuminando con la bacchetta ogni centimetro di quel pavimento. Finalmente dopo interminabili minuti trovò Freddie acquattato sotto la tavolata dei Grifondoro e la visione di Vàli con il pugno alzato su di lui si dissolse felicemente. Orion si infilò sotto il tavolo e prese tra le mani il rospo che lo guardava con aria perfettamente rilassata, come se fosse stato sicuro che lui sarebbe tornato a prenderlo.
Il ragazzo  gli diede un affettuoso buffetto sul capo ma quando sentì un rumore alle sue spalle si immobilizzò.
“Avete controllato che nessuno vi seguisse?” disse una voce che Orion era convinto di conoscere.
“Non siamo mica idioti, sappiamo disilluderci.”
Orion si posò un dito sulle labbra, pregando che il rospo fosse in grado di comprendere il significato del gesto, e rimase fermo in attesa.
“Non sono sicuro che sia una buona idea questa riunione.”
“Se hai paura di essere scoperto, puoi tornartene a letto.”
“Non sto dicendo questo, è solo che avremmo fatto meglio ad aspettare che Riddle si riprendesse.”
“Riddle non è più necessario.” Ribattè secca quella voce e Orion cercò di capire dove l’avesse già sentita.
“Cosa intendi?” fece un’altra.
“Che oramai ha dato il suo contributo, ora possiamo sbrigarcela da soli.”
“Lo sai anche tu che è lui che mantiene i contatti.”
“Non più, ci sono nuove direttive ora.”
Orion trattenne il respiro, mentre il suo cervello elaborava le informazioni alla velocità della luce. A giudicare dalle voci e dai borbottii dovevano esserci almeno dieci persone. Ma cosa ci facevano a quell’ora nella Sala Grande?
Il silenzio era tornato a distendersi piatto sulle tavolate quando una nuova voce risuonò tra le pareti.
“Cosa intendi per nuove direttive ?”
“Non li leggi i giornali?”
“Vuoi dire che…”
“Esatto, ora tocca a noi.”
“Non credo…”
“Non farci sprecare tempo, se hai dei dubbi puoi andartene.”
Passarono alcuni secondi, ma nessuno si mosse.
“Come ci mettiamo d’accordo?”
“Vi farò sapere il luogo e l’ora del prossimo incontro, ora andiamocene prima che qualcuno passi a controllare.”
Orion aspettò accucciato sotto la lunga tavolata finché lo scalpiccio dei loro passi non si fu allontanato definitivamente, solo allora uscì fuori, infilandosi Freddie in tasca.
Si passò una mano tra i capelli che gli si erano appiccicati sulla fronte imperlata di sudore, cercando di rimettere insieme i pezzi di quella conversazione, ma non gli sembrava che quelle frasi avessero molto senso. Cosa c’era sui giornali? Ma soprattutto quali erano le nuove indicazioni che sembravano aver ricevuto?
L’unica cosa certa era che Riddle ci fosse dentro fino al collo, di qualunque cosa si trattasse. Pensò che avrebbe fatto meglio a parlarne con Violet la mattina dopo, forse lei avrebbe capito qualcosa di più.
Era così intento nei suoi pensieri che non si accorse minimamente di Vàli, che gli era appena passato a pochi centimetri. Il ragazzo scendeva le scale furtivo, con una boccetta in mano e con un’espressione decisa dipinta sul viso.
Arrivato al pian terreno senza troppi problemi svoltò a destra e si diresse verso la larga vetrata sulla destra. Dopo aver borbottato un incantesimo e averla aperta, si calò giù e si ritrovò fuori dal castello.
Il cielo quella notte era coperto da grosse nubi nere e non si vedeva neppure una stella. Mentre il freddo pungente iniziava a farsi strada tra gli strati dei suoi vestiti, lui si tolse il golf e con un gesto sbrigativo si slacciò la cravatta, un attimo dopo anche la camicia si trovava a terra di fianco agli altri indumenti. Con delicatezza si versò il liquido nella boccetta sulla schiena e nell’attesa iniziò a saltellare da un piede all’altro, per evitare l’ibernazione.
Finalmente sentì un piacevole formicolio lungo le scapole e sorrise, ma ben presto il sorriso si tramutò in una smorfia di dolore, quando le scapole iniziarono a bruciargli in modo insopportabile.
Si accasciò a terra, trattenendo i gemiti e artigliando l’erba, poi sentì uno strappo secco e credette di non poter provare quella sensazione anche solo per un secondo in più.  Lentamente però la testa smise di girargli e il dolore diminuì fino quasi a sparire, sentiva ancora solo delle ritmiche pulsazioni al livello delle scapole.
Girò di scatto la testa e gioì alla vista fugace di qualcosa di bianco alle sue spalle, c’era riuscito. Mordendosi un labbro si concentrò come non aveva mai fatto prima e dopo molti minuti iniziò a sentire di avere il controllo di quei nuovi arti.
Indietreggiò di qualche passo, prese la rincorsa e si staccò da terra, saltando in direzione della torre est. Un istante dopo si ritrovò la bocca piena di terra, ma non si fece abbattere e riprovò più volte, finché finalmente si librò in aria, sostenuto da due splendide ed enormi ali bianche.


Al principio c’era stato il buio e il vuoto, ma ben presto delle grida lontane  si erano fatte strada fino a diventare un unico e prolungato urlo che aveva sbranato il silenzio.
Una donna gridava vicino a lui, dentro di lui, urlava di un urlo privo di paura, come se gridare fosse l’unica soluzione per sopravvivere. E c’era dolore in quella voce, un dolore che gli lacerava le orecchie e le carni e che si diffuse in lui, mentre perdeva la percezione del proprio corpo e diventava solo quello, solo dolore.
Indistintamente sentì delle mani fredde che lo toccavano, ma anche se avesse voluto non avrebbe potuto aprire gli occhi, perché non era più nient’altro che quell’urlo disperato.
Il tempo aveva smesso di esistere in quel limbo non conoscibile e i minuti diventavano come secoli. Poi accadde all’improvviso, come ogni cosa importante, la donna  smise di gridare e lui percepì il suo corpo pietra pesante e ogni muscolo che pulsava, come fosse divorato da fiamme invisibili.
C’erano persone intorno a lui, le avvertiva, e parole minacciose che vagavano intorno in un sussurro, ma lui rimaneva immobile mentre a ondate alterne la sua mente perdeva il contatto con la realtà.
Non sapeva dove fosse e non ricordava il suo nome, come se la sua vita fosse appartenuta ad un epoca troppo lontana, una storia raccontata troppe volte,  almeno non finché la donna parlò di nuovo e lo chiamò per nome. Tom.
Nella sua mente rimbombò più volte quella piccola parola, un sasso che rimbalza sulla superficie cristallina del mare, un sapore strano di un sogno dimenticato. E lui seppe di chiamarsi Tom e provò sollievo per quel brandello di identità strappato alle tenebre della memoria, ma allo stesso tempo sentì un dolore acuto, una fitta all’altezza del petto, uno strascico di malinconia. Perché sapeva che quella voce non stava chiamando lui, e Tom avrebbe tanto voluto che non fosse così. Avrebbe voluto essere lui quel Tom, porre fine a quell’angosciosa ricerca, a quel dolore stridente, chiudere gli occhi e dormire.
Poi davanti a lui, nella sua mente naufraga, apparve la donna e Tom la trovò bella, anche se vestita di stracci. Aveva capelli neri come l’ala di un corvo, lunghi e arruffati, e occhi di lama tagliente. La donna allungò un braccio verso di lui e gli accarezzò una guancia. La sua mano era fredda, come di chi è stato troppo a giocare con la neve.
Dei rumori esterni si intromisero, forse una porta sbattuta, e lui fece per voltarsi, ma la donna lo trattenne.
“Non andare.” Disse semplicemente e lui non si mosse.
“Chi sei?” Pensò, e nel pensare parlò.
La donna fece un sorriso timido, velato di una triste dolcezza, e continuò a tenergli la mano, mentre con l’altra gli disegnava dei cerchi sul dorso.
Finalmente alzò gli occhi e li fissò nei suoi, come a leggervi ogni pensiero. “Cosa hai fatto, Tom?” Ma la sua domanda non voleva una risposta e dentro vi era solo una profonda tristezza.
Lui tolse la mano e si guardò in giro per trovare un’uscita, ma intorno a lui c’era solo il nulla. Sentiva un’irrazionale desiderio di scappare il più lontano possibile da quella donna, di non voler sapere cosa fosse nascosto dietro la sua domanda. Allo stesso tempo però era attratto da tutto quel non detto, sapeva che avrebbe dato un senso alle immagine confuse che gli vorticavano sotto le palpebre.
La donna si avvicinò ancora di più e Tom notò i lividi e le escoriazioni sulla pelle bianca, occhiaie sotto gli occhi limpidi. Le sue dita sottili gli circondarono il volto e una morsa mai provata chiuse la gola al ragazzo.
“Cosa sai di me?”
Lei non rispose ma continuò ad indagare il suo volto, come se le vedesse per la prima volta.
“Quello che hai fatto,” rispose infine, asciugandogli una lacrima che non c’era “e quello che farai.”
Tom non capiva, come poteva sapere ciò che lui non riusciva a ricordare?
Le labbra della donna si avvicinarono alla sua guancia sinistra e la sfiorarono con un bacio che aveva il profumo degli asfodeli, lui non si tirò indietro.
“Conosco il tuo cuore, bambino mio.”
Le parole lo colpirono come macigni e allo stesso tempo si sentì salvato. Una parola mai pronunciata, allontanata persino da ogni pensiero, si fece strada tra le sue labbra screpolate, dolce nella sua estraneità. “Mamma?”
La donna annuì, i suoi occhi sorrisero e questa volta le sue dita asciugarono una lacrima che era reale.
“Dove sei stata?” chiese nella sua virginale ingenuità.
“Sono sempre stata qui.” Rispose la donna, spostando la mano destra sul cuore del ragazzo.
Lui non capì. “Perché non ti ho mai vista?”
“Perché non mi hai mai cercata, Tom.”
Lui scosse la testa, non potevano essere vere quelle parole, ricordava come il peso della mancanza fosse capace di mozzare il respiro, non poteva essere sempre stata lì.
Con delicatezza le circondò i polsi sottili e si tolse quelle mani dal viso, i suoi occhi si spostarono verso quelli della donna e dentro vi vide il suo passato, reale e impietoso come era stato vissuto, ricordò e torno ad essere Tom Riddle.
Girò veloce le spalle a ciò che era, mentre sentiva la donna implorare. “Ti prego, non andare.”
Cercò con gli occhi un’uscita che non trovò, rimase immobile finché non sentì un tonfo alle sue spalle, solo allora guardò indietro.
La donna era a terra davanti a lui, ma la sua pelle aveva assunto una sfumatura verdognola. I capelli neri iniziarono a crescere e si tinsero di un biondo pallido, le gambe diventarono un’unica inscindibile monade mentre il viso si trasfigurava.
Nell’attimo di un respiro davanti a lui giaceva quella sirena, non più morta, e la sua coda fendeva l’aria. Avvertì una morsa tagliente stringersi intorno alla sua caviglia e unghie appuntite penetrare nella pelle. Con l’altra viscida mano lo obbligò ad abbassarsi e avvicinò il suo viso serpentino a quello di Tom.
“Non fidarti di lei, Tom Riddle, non fidarti.” Sibilò ad un suo orecchio. “E’ qui per ucciderti, è qui per questo.”
La testa iniziò a girargli sempre di più, la sirena sparì e con lei il vuoto che la circondava. Le sue orecchie si riempirono di suoni e registrò il ritmico pulsare della caviglia dolorante, lì dove l’aveva afferrato la sirena.
Con riluttanza e diffidenza aprì gli occhi e lasciò che si colmassero del bianco del soffitto dell’Infermeria, poi il suo sguardo si abbassò e, appoggiata alla sua gamba, con la testa nascosta dai capelli crespi, stava Hermione Evans.
Tom la guardò infastidito e al tempo stesso stupito, sembrava che dormisse. Per un inspiegabile motivo la trovò bella.



Note:
1. Eugenio Montale

Eccomi, sopravvissuta a un tema, a una versione e addirittura a una terza prova ( abbastanza penosa ) !
Lo so, lo so avete tutte le ragioni per odiarmi visto il ritardo con cui aggiorno, ma purtroppo non ho potuto fare altrimenti...
Spero che il capitolo ripaghi almeno un po' la vostra attesa, anche se è più una parte di transizione, diciamo.
Nella parte finale ho delirato parecchio, me ne rendo conto, ma è perchè mi immaginavo un (picco e tenero) Tom in preda a una febbre, o qualcosa del genere. Ora rileggendola ho paura di aver corso troppo, di essermi allontanata in modo esagerato dall' IC ma vi giuro che l'ultima frase si è scritta da sola.
Vi prego ditemi se secondo voi va bene e salvatemi da questo tormento, oppure ditemi che fa schifo che così provo a cambiare qualcosa!!

Vorrei ringraziare con tutto il cuore le persone che hanno fatto la mia felicità commentando : Gabrielle Pigwidgeon, Sara Luna 555, Perry 1000, pluffa,  Elpis, Rosmary, tantoloveforyou, Konny_  e Blur ! 
Un grazie va ovviamente anche ai miei meravigliosi 48, 9, 88 !!!!!

Per chi fosse interessato ho pubblicato una raccolta di drabble su Tom ( eccola ), mentre cancellerò la raccolta di missing moments, non so perchè ma non mi convince molto...magari la rielaboro un po' e la pubblico in futuro ( grazie comunque alla magnifica pluffa e a Sara Luna 555 che hanno commentato e alle persone che l'hanno seguita!!)

Se avete voglia di leggere qualcosa di nuvo sul nostro Tom, oltre alla storia di Elpis vi consiglio davvero anche quella di Santa Vio da Petralcina, su su andate a leggere !

Notizia importante. ho creato un account su fb, fate la mia felicità e aggiungetemi in tante(i), tra l'altro entro breve posterò sulla mia pagina due sorprese, ovvero due video bellissimi su "I fiori del male" fatti da una mia amica, dovete assolutamente andare a vederli qui !!!
In ogni caso lo potete trovare direttamente qui

Credo di aver detto tutto, vado a studiare per l'orale!!

Tanti baci a tutti

p.s. un grazie in anticipo a nalla, che forse creerà una fanart su questa storia !



   
 
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