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Autore: Evelyn Inkheart    27/06/2012    2 recensioni
What if? Rieccoci: Hogwarts, Settimo Anno, dopo la ricostruzione in seguito alla sconfitta di Voldemort. Ma anche se ufficialmente la II guerra è finita, non è da dare per scontato che lo stesso valga per quella nell'animo di ognuno, segnata da tutto ciò che è successo. E se Hermione fosse più provata di quanto non lasci a vedere? E se Draco si trovasse a fare i conti con la propria coscienza? E se i due fossero più simili di quanto pensano?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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2. Hermione, the Malfoy Slayer [Part 1]

Com’era potuto succedere?

Nella sua personale storia di Hogwarts non era mai successo che lei, Hermione Jean Granger, rimanesse davvero indietro coi compiti assegnati.

Certo, si rendeva perfettamente conto che in passato si era fatta prendere dal panico abbastanza facilmente, ma questo succedeva solamente quando non era ancora arrivata al canonico settimo ripasso e quindi si sentiva del tutto impreparata. Era una sensazione infondata, che aveva constatato ogni volta che venivano riconsegnati i rotoli di pergamena e lei si trovava un Eccezionale in tutte le materie – escludendo Pozioni col compianto professor Piton, dove non si era mai potuta aspettare niente di più di un Accettabile.

Eppure ora era diverso. Non era più quel timore immotivato rassicurante, ma era un vero e proprio dato di fatto. Aveva rimandato e rimandato, trovando ogni apparente valido motivo: aiutare Harry e Ron nei loro compiti, andare ad assistere alle loro partite di Quidditch, svolgere i suoi doveri in quanto Caposcuola… tutto sembrava avere la priorità su ciò che fino a poco tempo prima – prima che la battaglia finale ad Hogwarts si svolgesse – lo era davvero per lei: il successo accademico.

Originariamente aveva già pensato a tutto, sin da quando aveva ricevuto la lettera di ammissione alla scuola di Magia e Stregoneria: avrebbe reso orgogliosa sé stessa e i suoi genitori, avrebbe colto l’occasione che le era stata offerta e che a loro costava tanto capire, poiché andava oltre la loro comprensione logica. Avrebbe preso sempre degli ottimi voti e avrebbe conseguito – da quello che aveva sin da subito appreso dal libro Storia di Hogwarts – i G.U.F.O e poi i M.A.G.O.. Sarebbe diventata Prefetto e Caposcuola, per essere d’esempio e di aiuto ai suoi compagni Grifondoro.

Aveva sempre avuto saldi ideali nella sua mente. Eppure a cos’era servito?

Voldemort – nonostante tutto un po’ di timore a pensare quel nome era rimasto, soprattutto da quando era caduto in disuso nella fuga sua, di Harry e Ronald, quando quest’ultimo aveva rivelato loro che era diventato un Tabù: chiunque lo pronunciasse veniva rintracciato dai Mangiamorte; per questo erano finiti a Malfoy Manor, quella volta.

Voldemort era stato sconfitto, tutti loro – eccezion fatta per i Serpeverde, ovvio, quei codardi – avevano combattuto per questo. E avevano vinto.

Ma a quale prezzo? Quante vite umane erano state spezzate nel frattempo?

Ne avevano contate cinquanta. Cinquanta solo tra le mura della scuola.

Moody, Lupin, Tonks… George ci aveva quasi rimesso, letteralmente, la faccia e il povero Fred… la vita.

Come poteva tutto questo lasciarla indifferente nella persecuzione dei suoi obiettivi?

Era proprio vero quello che si diceva: è incredibile e spaventoso come una guerra cambi per sempre tutte le tue prospettive di vita.

 

Stava dunque descrivendo – o, perlomeno, tentando di farlo – le proprietà magiche dell’asfodelo, quella sera. Fortunatamente il professor Lumacorno aveva assegnato solo un rotolo di pergamena, poiché le lezioni erano riprese da poco e, a suo dire, era ancora un momento delicato per cui non voleva sobbarcarli eccessivamente.

Peccato che lei seguisse, oltre le sette materie obbligatorie canoniche, anche tre facoltative. Tenendo conto che ogni professore aveva fatto questo ragionamento una volta ripristinato l’ordine a Hogwarts e ricominciate le lezioni, lei ben più di una volta si era trovata a dover svolgere i compiti di dieci materie diverse per anche più volte a settimana.

Fortuna che tempo prima aveva lasciato Babbanologia.

Bella consolazione! Le rispose una vocina maligna dentro di lei.

Presa com’era nella frenetica consultazione di Mille erbe e funghi magici, che conservava dal primo anno, quasi sobbalzò quando, nella quiete notturna che a quell’ora pervadeva la sala comune, alle sue spalle sentì un pop, come di qualcosa che scoppietta tra le ardenti fiamme di un fuoco acceso.

Con un sussulto, si voltò di scatto in quella direzione: dal basso di un angolo in ombra della stanza, due occhi grandi e acquosi la fissavano mesti, qualcosa in mano che fumava lentamente, creando ghirigori nell’aria.

Quando il profumo la raggiunse fin lì dove Hermione si trovava, accovacciata in una delle comode poltrone accanto al camino ancora acceso, esclamò subito, costernata:

«Oh! Grazie Winky! Me n’ero quasi dimenticata, ma non tu, per fortuna!» così dicendo stava per alzarsi e andarle incontro, ma la piccola elfa, tutta servile, la precedette dirigendosi a passo svelto verso di lei «No, la prego, Padrona, per me è un piacere servirla!»

«Grazie, Winky» disse in un sorriso, prendendo la tazza di caffè fumante, che in un attimo le scaldò piacevolmente le mani «Ma te l’ho detto tante volte: non devi chiamarmi così! Io sono una semplice studentessa, e tu sei un elfo libero, che autonomamente ha deciso di mettere a disposizione le sue abilità per questa scuola. Nessuno è tuo padrone qui dentro» concluse, bevendo poi un sorso della calda bevanda, che le tolse subito di dosso la sensazione di stanchezza. Uno degli innumerevoli effetti del Caffè Fast-Awake, il più noto tra i maghi.

Nel frattempo Winky stava scuotendo il capo con forza «Ma Padron Malfoy dice che…»

Il caffè le andò decisamente di traverso.

In un accesso di tosse, per un attimo le si annebbiò la vista, così intravide solamente l’elfa che le si avvicinò costernata, battendole gentilmente ma con vigore la schiena, in un susseguirsi velocissimo di scuse in cui comprese solo che era desolata e che era tutta colpa sua perché non aveva verificato che il caffè fosse di una temperatura accettabile, prima di servirglielo.

Una volta ripresasi, le fece cenno che era tutto a posto, schiarendosi poi la voce anche e soprattutto per rimettere ordine ai pensieri.

Cosa?!?

Padron Malfoy??

Ci mancava solo questa!

Ancora furente, cercò tuttavia di rivolgersi alla piccola elfa con la dovuta calma, perché sapeva quanto fosse facile toccare la sua sensibilità e farla sentire ingiustamente in colpa.

«Padron Malfoy?» cercò di dirlo in una maniera quanto più simile a un insulto «Cosa significa Winky? Cosa ti avrebbe detto quel borioso di un Serpeverde?»

Borioso era ancora un complimento, se ci si rivolgeva a Draco Malfoy.

Forse preoccupata che non il caffè, quanto le sue parole le procurassero attacchi di tosse, Winky rispose un po’ titubante «Be’, ecco… il fatto è… che il signor Malfoy – cambiò quella parola per ulteriore scrupolo – proprio stamattina, quando gli ho portato la colazione in camera,» decisamente, questo innervosiva Hermione più dell’appellativo di poco prima, infatti alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa, ma non aggiunse altro per non turbare ulteriormente l’elfa che proseguì «ha detto, giustamente, di non presentarmi più in camera sua in maniera così “sciatta e trasandata”, per usare le sue parole, e di doverlo chiamare come minimo “Padrone”, visto che ora vengo pagata dalla scuola per i miei servigi e…»

Fece cenno alla piccola elfa di interrompersi. Aveva sentito abbastanza.

«D’accordo, Winky, ho capito bene l’idea che il caro signor Malfoy voleva trasmetterti» parlò stavolta in tono autorevole, visto che era l’unico modo in cui l’elfa pareva recepire i messaggi «ma permettimi di farti notare che i servigi di cui lui tanto va declamando, sono stati richiesti prima da Albus Silente, e ora dalla professoressa McGranitt, entrambi due presidi di Hogwarts, giusto?»

«Sì, ma…» cercò invano di replicare Winky.

«Bene. E mi vuoi per favore ricordare cosa ti disse allora Silente e ora ti ha riconfermato la McGranitt, dopo la triste parentesi dei Mangiamorte?» entrambe qui ebbero un brivido, al ricordo, ma Hermione voleva una risposta «Dunque, Winky?»

Hermione sapeva essere come un avvocato babbano in tribunale, quando voleva, infatti l’elfa prese a torcersi le manine nodose, proprio come un sospetto colpevole chiamato al banco dei testimoni.

«Entrambi mi hanno detto e ripetuto più volte che se mi hanno assunta» rispose «è perché mi considerano al pari di tutti gli esseri umani, magici e non, e quindi anche loro mi devono trattare come tale» concluse a occhi bassi.

«Appunto,» riprese, sempre sicura, sapendo di stare per arrivare al punto conclusivo e inoppugnabile del suo discorso «e vuoi anche ricordarmi, per favore, quale parola vale di più tra quella di ben due presidi e quella di uno studente al settimo anno dalle dubbie capacità, per quanto Caposcuola della sua Casa?»

«Quella dei due presidi…» sembrava più una domanda, perché, visto chi aveva avuto prima e chi ora aveva di fronte, cominciava a nutrire dei forti dubbi anche su questo.

«Esattamente, Winky. Quindi da ora in poi, quando gli altri studenti si rivolgeranno a te, se non lo faranno in maniera più che supplice e con la minima cortesia richiesta tra persone civili,» disse, tutta infervorata dalle sue stesse parole «ricordati che sei libera di ignorarli, perché ti hanno mancato di rispetto.»

Seppur dubbiosa, la piccola elfa assentì a quelle parole che capiva, sì, ma non sarebbe mai riuscita a condividere pienamente.

Entrambe consapevoli che, nonostante le belle parole, le cose non sarebbero mai veramente cambiate, si salutarono con una parvenza di sorriso, quasi ad assecondarsi.

Già intenta ad allontanarsi per tornare nelle cucine col suo solito pop, Winky si sentì chiamare nuovamente «Ah, a proposito! Winky?» l’elfa si voltò in sua direzione, servizievole.

«Sì, signorina Hermione?»

«Grazie infinite per il caffè»

Winky sorrise radiosa in risposta, in un espressione quanto mai strana su un volto come il suo, abituato a obbedire in silenzio, senza mai mostrare un’emozione e, improvvisamente com’era arrivata, in un attimo scomparve.

 

Di nuovo sola, riprese a sorseggiare il suo caffè, quasi temendo che col tanto parlare si fosse raffreddato, salvo poi ricordarsi che non era caffè babbano che stava bevendo.

Avvicinandosi all’alta finestra della torre di Grifondoro, nonostante il buio fuori, poteva notare che aveva iniziato nevicare.

Ciò non la stupì più di tanto. In fondo si era ormai ai primi di dicembre.

Larghi fiocchi soffici, delicati, che promettevano di non sciogliersi solo se a contatto col terreno, cadevano da nubi cariche in quelle che sapeva miriadi di forme diverse l’una dall’altra, trasportati da turbinii così lenti e disordinati che parevano rallentare il tempo, in quel momento della giornata che già di suo notoriamente dilatava ogni attimo.

Era tutt’altra stagione quando lei e Ronald si erano ritrovati dopo un breve periodo di lontananza, l’agosto precedente.

Lei era finalmente riuscita a ritrovare i suoi genitori in Australia e doveva assolutamente andare a prenderli, cercando – e poi riuscendo, per fortuna – di rimuovere loro l’incantesimo di Memoria che aveva lanciato per proteggerli.

Non sapeva quanto sarebbe stata via, anche potendo accorciare le distanze con la Smaterializzazione, non poteva prevedere quanto sarebbe stata trattenuta lì, tra i vari incantesimi e contro incantesimi, così aveva lasciato a Ron il compito di fare i migliori auguri a Harry, nel caso non fosse tornata in tempo per il suo compleanno e sempre a lui aveva lasciato il regalo che lei aveva scelto a nome di entrambi.

In effetti, tra loro due, era sempre stata Hermione a pensare a tutto.

Lei a ricordargli i compleanni di parenti e amici, persino quelli del signore e della signora Weasley, lei a ricordargli con settimane di anticipo il loro mesiversario… Neville Paciock, in confronto a Ron, poteva togliersi tanto di Ricordella, e regalargliela, magari.

Ma quello in fondo, con tanta buona volontà, poteva anche perdonarglielo.

Era il fatto che qualsiasi cosa venisse sempre prima di loro due come coppia. Il tempo che passavano davvero assieme come tale e non come semplici amici e compagni di studio era limitato a rarissime occasioni.

Non fosse stato per quel bacio durante il corso della battaglia a Hogwarts – che ora lei pensava fosse stato non tanto sentito quanto più che altro liberatorio, risultato del momentaneo sollievo di aver distrutto un altro Horcrux – e i pochi altri che seguirono dopo l’inizio della loro relazione, avrebbe detto che tra loro era tutto come prima.

Per lui sembrava infatti più importante che lei la aiutasse nei compiti, che venisse a fare il tifo per Grifondoro, specialmente quando era contro Serpeverde, che gli consigliasse che regalo fare a sua madre per il suo compleanno, perché lei di sicuro lo sapeva, «tu che sei una femmina», come amava ricordarle pressoché ogni giorno.

Perché, sua sorella Ginny cos’era?

Già. Ginny…

Trovava addirittura il tempo di chiederle pareri sulla storia tra sua sorella e Harry, ma di parlare di loro due no, questo mai, non gli sfiorava neanche l’anticamera del cervello.

Esemplare di tutto fu proprio quella volta in agosto, una delle tante in cui la intercettò, dopo che era tornata dall’Australia, mentre erano tutti nel giardino di casa Weasley, a simulare qualche azione di Quidditch, non per chiederle qualcosa in più oltre il “come stanno?” di circostanza riguardo i suoi genitori, ma l’ennesima impressione sul suo migliore amico e Gin.

«Ehi, ‘Mione?»

«Mmmpf?» lei ovviamente se ne stava ai margini del giardino, a leggere vicino a un platano che le faceva ombra con le sue fronde.

«Secondo te» e qui Hermione sollevò un istante gli occhi dal libro, per mostrare che gli prestava la sua completa attenzione «Harry e Ginny – be’, da quando stanno insieme, è ovvio – sono… ecco… secondo te sono felici?»

Lei non aveva avuto la benché minima esitazione, e con durezza rispose «Sì, Ronald. Loro,sì» e riprese a dedicare tutta la sua attenzione al libro.

Non sapeva se lui avesse letto tra le righe della sua risposta concisa, forse per la prima volta da quando stavano insieme, sì, ma non diede segno di voler rispondere in uno dei pochi atti di conoscenza nei confronti di lei che mostrò: quando Hermione leggeva, a lui e Harry era concesso di interromperla una volta soltanto, dopodiché dovevano lasciarla in pace.

Però forse Ronald non aveva capito che almeno per il suo ragazzo, lei di eccezioni poteva farne.

Un giorno di un paio di settimane prima di quella notte nevosa, stufa di tutta quella situazione che non faceva che aumentare il suo malessere generale, aveva deciso di parlargli chiaramente, convinta che così, dicendo finalmente ciò che sentiva, si sarebbe alleggerita un po’ il peso che le gravava sul petto.

Stavolta fu lei a prenderlo in disparte, in un momento di relativa tranquillità della sala comune, l’aveva condotto al tavolo solitamente usato dagli studenti per i compiti o, con suo disappunto, soprattutto per giocare agli scacchi magici, dicendogli che voleva parlargli un momento.

«Cosa succede, Hermione? E’ per la partita che abbiamo domattina contro Corvonero? Stai tranquilla, non sono poi così bravi, non c’è da preoccuparsi» concluse ammiccando in sua direzione, in un gesto che solitamente usava per calmarla quand’era davvero preoccupata per l’incolumità sua e di Harry.

«No, Ronald, non è per questo. Ho bisogno di parlare con te di noi due. Noi due, Ron, capisci?» si avvicinò per cercare di fargli capire più coi gesti che con le parole.

«Oh…» divenne subito serio. Anzi, constatò tristemente Hermione, sembrava che si fosse proprio rabbuiato.

«Sì, Ron. Io non capisco cosa ci sta succedendo… è da giugno che stiamo insieme, ormai, eppure… mi sembra che non ci sia mai tempo per noi due, come se ci fosse sempre qualcosa che viene prima, come se…» aveva ben pensato a cosa dirgli, ma come aveva previsto, ne venne fuori solo un discorso basato su frasi sconnesse. «…io lo so che ognuno ha i suoi impegni, e che il tempo è sempre poco, però…» lui la interruppe «Mi stai dicendo che dobbiamo lasciarci, Hermione?» lei fu presa in contropiede. «Io veramente…»

«Ho capito. Non c’è bisogno di aggiungere altro.»

Lei era ammutolita. Questo non se l’aspettava proprio. Tutta questa decisione da parte di Ron, tutto questo voler prendere decisioni per entrambi, tutto questo trarre conclusioni…

«Quindi è finita?» sarebbe stata la sua ultima parola al riguardo. Si era alzato improvvisamente e ora si era voltato solo parzialmente verso di lei, senza guardarla direttamente negli occhi, nello stesso gesto di chi va via da un posto e, solo per essere sicuro di non essersi dimenticato niente, si getta uno sguardo alle spalle, di sfuggita.

Hermione era impietrita. Avrebbe voluto urlare, gridargli di rimanere, che non aveva capito, ma come spesso accade quando è meno opportuno, tutto in lei – dalle gambe, alle braccia, fino alle corde vocali che parevano essersi dimenticate il loro compito – sembrava non funzionare, in una paralisi esteriore che non mostrava nemmeno minimamente quello che stava morendo dentro di lei, in quegli istanti.

«Bene.» e si voltò definitivamente, andandosene.

“...però io credo che dovremmo ritagliarci un po’ di tempo per noi” questo era quello che stava per dire prima che lui la facesse tacere dallo shock delle sue parole.

…sbagliate. Tutto questo trarre conclusioni sbagliate.

Cos’aveva capito?

Perché non l’aveva lasciata finire?

Perché era andato a cercare subito la soluzione che gli faceva più comodo?

“Bene”? Bene?!? Cosa c’era di buono in quello che era successo?

Da quel giorno erano trascorse solo due settimane, ma a lei, che le guardava con gli occhi di un’insonne, sembravano molte di più.

Ogni volta che provava a coricarsi, la sera, aveva una spossatezza addosso che pensava si sarebbe addormentata non appena avesse sfiorato il cuscino. Invece, come si sdraiava, cominciava a sentire un’oppressione al petto che le impediva di respirare.

Si sentiva soffocare e il battito accelerare follemente dal panico, facendola scattare a sedersi col fiato corto e la fronte imperlata di sudore, come chi si sveglia da un brutto sogno.

Avrebbe tanto desiderato che lo fosse.

Almeno dopo la paura e lo spavento, ci sarebbe stata la consapevolezza che tutto era tranquillo come sempre.

Il peso che pensava Ron l’avrebbe aiutata a sollevare, era invece gravato tutto esclusivamente su di lei e ora doveva cavarsela da sola, ma lei non ce la faceva, non era abbastanza forte.

La sua apparente freddezza l’aveva rovinata ancora una volta, rivoltandosi contro di lei come un cane che si rivelava essere un gramo, una belva selvaggia che lei aveva avuto la ferma – quanto falsa – convinzione di poter addomesticare.

 

Si accasciò per terra colta da un’improvvisa morsa di dolore allo stomaco, con le lacrime che iniziarono a bruciarle gli occhi, silenziose, prima che se ne rendesse conto.

La tazza le scivolò di mano subito dopo, quando un moto di stanchezza infinita la invase, e rotolò lentamente, spargendo tutto il liquido scuro sul tappeto, si scontrò contrò una parete e lì, infine, si infranse in tanti piccoli pezzi.

Continuò a piangere, piano, per non svegliare nessuno nel dormitorio, ma ininterrottamente.

Non le importava dei compiti, non le importava del caffè che aveva rovinato il tappeto perché non l’aveva fatto Evanescere in tempo, non le importava di niente, non voleva vedere niente, solo l’oscurità dei suoi occhi chiusi a darle un po’ di sollievo, a ricordare il sonno che da lei pareva non volesse più farsi vedere.

Così Hermione Granger non si accorse della sua piccola, nascosta, osservatrice: l’elfa domestica Winky in un angolo in ombra, come sempre, le orecchie tremanti e il profilo basso, a condividere la tristezza di quell’umana che era stata tanto gentile con lei. Una delle poche a non ricordarsi di lei solo quando in Sala Grande si trovava un banchetto davanti e in quel momento, infine, ricordava chi l’aveva preparato.

Era arrivata immediatamente, quando si era accorta che una tazza era andata in pezzi, per raccogliere i cocci e sistemarla con la magia.

E invece, oltre quei frantumi, si era trovata davanti una ragazza nelle stesse tragiche condizioni.

Avrebbe voluto essere allo stesso modo brava a sistemare le persone per non vederla più soffrire.

 

La luce del sole che filtrava dalle alte finestre della stanza le inondò gli occhi chiusi fino a svegliarla.

I drappi di pesante velluto cremisi del baldacchino erano rimasti aperti, e così fu costretta a seguire la sua regola di alzarsi presto anche l’unica volta che voleva contravvenirla e rintanarsi sotto le coperte a oltranza.

Una fitta improvvisa che dal collo le arrivava fino alla fronte, le ricordò il pianto della sera prima e la posizione scomoda in cui si era lasciata andare alle lacrime fino ad addormentarsi, in quella parvenza di sonno più simile all’oblio, rannicchiata sul tappeto.

Appunto.

Come ci era finita allora nel suo letto?

Qualche sua compagna l’aveva vista e portata di sopra?

Forse Ginny?

Comunque doveva per forza essere stata una ragazza perché ai maschi non era permesso salire: chiunque di loro tentasse di montare le scale, si ritrovava di fronte – o, per meglio dire, sotto i piedi – un incantesimo che le trasformava in un ripido scivolo, con ovvie conseguenze per i malcapitati che tentavano l’impresa.

Mentre rifletteva, Hermione Evocò una tazza di tisana alla corteccia di salice, per alleviare il suo incipiente mal di testa. Già dopo i primi sorsi, il dolore si alleggerì e questo parve risollevarle anche l’animo.

Vagamente rincuorata, senza sapere nemmeno lei esattamente il perché, si preparò velocemente, indossando i primi vestiti a portata di mano nel baule.

Tuttavia il principio di buon umore e la voglia di mettere qualcosa sotto i denti in Sala Grande svanirono com’erano arrivati quando, davanti allo specchio, scoprì di avere gli occhi ancora vagamente gonfi ma soprattutto cerchiati a causa del sonno agitato.

Optò per una puntata mattutina in biblioteca.

I libri chiusi da una parte e il capo chino sul liscio mogano del tavolo dall’altra, cercò di svuotare la mente e riposarsi per il tempo libero che rimaneva prima dell’inizio delle lezioni.

 

Quella mattina aveva quattro infinite ore di Trasfigurazione – per fortuna intervallate da una pausa dopo le prime due - con la professoressa McGranitt. Nonostante fosse diventata Preside continuava a occuparsi delle sue lezioni. Come facesse a trovarne il tempo tra i mille incarichi che le spettavano visto il suo titolo a Hogwarts, rimaneva un mistero.

Che avesse anche lei una Giratempo di cui Hermione non era a conoscenza che non era andata distrutta insieme alle altre al Ministero?

Molto probabile.

Completamente incantata dalle lettere del libro che si incrociavano e si sdoppiavano sotto i suoi occhi per il sonno, con estrema riluttanza della sua mente, riuscì finalmente a sentire le parole della McGranitt che la interrogavano nuovamente, nervose.

«Allora, signorina Granger, le spiacerebbe venire alla cattedra e mostrare ai suoi compagni Grifondoro e Serpeverde come si Trasfigura una persona in animale domestico?»

Stranamente, in quel momento le venne in mente solo l’episodio del Professor Moody – o probabilmente di Barty Crouch Jr. sotto Pozione Polisucco – che faceva Levitare da una parte all’altra un candido quanto agitato Furetto-Malfoy.

Fu quasi sopraffatta da una ridarella degna di un Incantesimo Rallegrante, salvo poi ricordarsi all’ultimo dove si trovava, così, sicura di riacquistare un po’ del suo vecchio contegno, si alzò decisamente.

Ma troppo in fretta.

Non riuscì a mettere un piede davanti all’altro senza che le sembrassero saldamente incollati al pavimento e, subito dopo, la stanza e ciò che conteneva, presero una strana angolazione, girando attorno a lei come quando si Smaterializzava.

Fece giusto in tempo a maledire il suo scarso buon senso, che le aveva saggiamente suggerito di saltare colazione e pranzo, e di udire l’eco lontana di qualcuno che alle sue spalle pronunciava fermamente «Aresto Momentum», poi tutto divenne una silenziosa coltre di buio.

 

Le urla raccapriccianti dei suoi genitori la svegliarono di colpo nel cuore della notte. In fretta e furia si infilò la vestaglia e corse nella loro camera.

«Mamma! Papà! Che succ» la domanda le morì in gola assieme a una parte di lei, quando scoprì i corpi di sua madre e suo padre riversi sul letto in un lago di sangue, immobili.

Lanciò un grido di orrore e disperazione.

«NO! No! Non può essere vero! Oh, ti supplico, no! Fa’ che non siano morti, fa’ che non siano morti, fa’ che non siano morti, per favore, no…» la voce le si affievolì nelle sue inutili preghiere e, contemporaneamente al groppo che le si formò dallo stomaco fin su, in gola, le lacrime iniziarono a rigarle il viso, copiose.

«Pensavi davvero di potertela cavare così facilmente? Pensavate davvero che bastasse così poco per togliermi di mezzo?»

Il suo cuore perse un altro colpo.

«Sei una Sangue Sporco, Hermione Granger, eppure mi era sembrato che fossi intelligente.

«Come hai fatto a pensare che non avessi un piano di riserva?

«Come hai potuto pensare che le azioni tue e dei tuoi cari amichetti rimanessero impunite?»

Si guardò intorno, alla inutile ricerca della fonte di quella voce.

Sapeva che non l’avrebbe trovata, ma in quel momento le sembrava l’unica cosa che potesse fare, inginocchiata in quella pozza densa di sangue e paura, paralizzata dal terrore com’era.

Così intercettò un lento movimento nell’angolo più buio della stanza.

Non fece in tempo a formularne il pensiero, che Nagini era già scattata verso di lei.

Scartò di lato, evitandola per un soffio.

«Io non morirò mai… MAI!» sputò tra i denti quella voce fredda come la morte «Perché ci sarà sempre qualcuno che terrà in vita me e ciò in cui ho creduto in tutti questi anni!»

Cominciò a sentirsi indolenzita, come se fosse stanca e ben presto si rese conto del bruciore che le aveva invaso il braccio sinistro, all’interno del gomito.

Aveva evitato Nagini, sì, ma non completamente: le sue zanne erano riuscite a colpirla comunque.

E fatalmente.

«Tu, sudicia Mezzosangue, con la tua mente brillante di cui vai tanto orgogliosa, hai avuto la presunzione che, contro più di mezzo secolo, bastasse un misero mese di studi e pianificazioni ben congegnate a ridurmi in polvere?!?»

Sentì una morsa d’acciaio circondarle le braccia: il serpente era tornato a completare l’opera.

Cercò di divincolarsi e contemporaneamente tentare di arrivare alla bacchetta che aveva riposto nella tasca della vestaglia quando si era svegliata.

Tutto inutile.

Ormai era troppo debole anche solo per tenere gli occhi aperti, infatti sentì solo l’eco di quel sibilo che era la voce di Voldemort.

O era lui che pronunciava le ultime parole prima di lasciarla alla sua fine, tra le possenti grinfie di Nagini?

«Sciocca, supponente Nata Babbana, chissà che forse non hai imparato qualcosa, almeno dalla feccia – lo pronunciò come un insulto, come se gli facesse ribrezzo il solo pensiero – da cui provieni.

«Una lezione da non dimenticare mai, per voi stolti: “Ad ogni azione…”»

“…corrisponde una reazione uguale e contraria.”, completò lei mentalmente.

Per una volta non poteva che trovarsi d’accordo.

E, con le poche energie rimaste, lanciò un urlo a pieni polmoni.

 

La morsa non si allentava, ma al tempo stesso non aumentava.

Non sentiva il respiro mancare per la stretta né i muscoli stritolarsi sotto la pressione di quelle grosse spire, come invece si sarebbe aspettata.

Solo i polsi erano saldamente immobilizzati e la debolezza che sentiva addosso non accennava a diminuire.

«Lasciami! Lasciami andare!» riuscì a biascicare, sorprendentemente.

Un sovrapporsi di parole incomprensibili e lontane giunsero in risposta.

Con immensa fatica, e quasi controvoglia, aprì lentamente gli occhi, le cui palpebre tuttavia parevano non volerne sapere, da quanto le sentiva pesanti.

Una sagoma longilinea le si delineò davanti, seppur sfocata.

«Ti ho detto di lasciarmi, dannato serpente!»

Quasi che l’avesse ascoltata, la presa si allentò leggermente, incoraggiandola ad agitarsi di più.

«Calmati! Adesso basta, maledizione

Da quando poteva capire il Serpentese?

E poi che razza di minaccia era da parte di un predatore letale come quello? Al massimo si sarebbe aspettata un “E’ inutile che ti agiti, tanto è finita!”

Tuttavia il briciolo di buon senso e lucidità rimasti le suggerirono di seguire il consiglio, facendola così rinunciare a lottare.

Si abbandonò alla superficie morbida che la sosteneva, e improvvisamente fu colta da un atroce dubbio.

Sbatté un paio di volte le palpebre e mise infine a fuoco la sagoma che la sovrastava. Trovandosi controluce, ci mise un momento di più per capire chi fosse, e così, in quell’attimo, si crogiolò inconsapevolmente nella finezza e sinuosità di quei lineamenti: dalle mani sottili ma forti che le trattenevano i polsi, al tratto muscoloso eppure snello del busto, lasciato intravedere attraverso la camicia bianca che lo fasciava perfettamente, per arrivare ai capelli fini e più chiari del biondo miele che gli incorniciavano il volto tagliente ma elegante, illuminato da quegli spettrali e profondi occhi grigi.

Mezzo secondo dopo trattenne il respiro, identificando in quei tratti Draco Malfoy.
 

***
 

Nota dell'"Autrice" (tra virgolette perché considerarmi tale è decisamente un uso improprio di ciò che implica il concetto di 'autrice' ahahah):
Okay, chiedo umilmente perdono a coloro che stanno seguendo la storia (a proposito, grazie infinite ♥ :D) per l'attesa per il capitolo seguente... il fatto è che l'avevo praticamente già pronto solo che non mi piaceva per nulla la conclusione, a leggerlo mi sembrava... incompleto. Quindi sono stata tipo tre giorni a pensare "Lo pubblico o non lo pubblico? Okay, lo pubblico... no, è orrendo, non lo pubblico" al che, quando stavo per avere un esaurimento nervoso - ahah -, ho deciso di raggiungere un compromesso e di dividere il capitolo in due parti, cosicché nel frattempo posso trovare una conclusione più adatta per la parte che mi piace meno... spero di poter aggiornare presto, ma non posso garantire perché purtroppo sono sommersa fino al collo dagli esami T.T
Ad ogni modo spero che quello che avete letto vi sia piaciuto! Se vi va, fatemi sapere con una recensione, mi farebbe piacere leggere cosa ne pensate, anche per avere un'idea se continuare su questa linea, se c'è qualcosa che può essere migliorato o se è talmente orribile da lasciar perdere tutto :P
Insomma, a presto! :D
P.s. scusate il font html orribile ma non sono riuscita a renderlo meglio di così... ^^"

  
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