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Autore: ermete    30/06/2012    13 recensioni
"Le nuove matricole erano sedute davanti al palco allestito dal college universitario, alzandosi in piedi solo alla conclusione del discorso del Magnifico Rettore che annunciava l’inizio dei corsi auspicando ai nuovi e ai vecchi studenti un sincero augurio per la loro carriera accademica.
In piedi davanti al palco, i tutores didattici davano le spalle al spalle al Rettore, rivolti verso le matricole in primis, e agli studenti più grandi nelle file più indietro: c’era un vuoto tra le sedie dei nuovi iscritti, un nome spiccava sul foglietto di carta poggiato sullo schienale della seduta, ed era quello di Sherlock Holmes.
Mike Stamford, un giovane sorridente con piccoli occhiali poggiati sul naso a patata, sgomitò il collega tutor che aveva affianco a sè, indicandogli con un gesto secco del capo il posto vacante “E’ uno dei tuoi. Manca all’appello già dal primo giorno, non sei contento?”
“Cominciamo bene.” rispose il giovane a denti stretti, sbuffando un po’ dell’aria che aveva inspirato poco prima: sul badge appuntato alla camicia bianca era segnato il suo nome, John Hamish Watson."

Note: AU!School, con John!tutor e Sherlock!matricola all'Università
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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***Ecco il cap2! Ci tenevo apubblicarlo in fretta perchè il cap1 è pressochè introduttivo, mentre qua inizia a svolgersi la storia vera. Cose che mi sono dimenticata di dire nelle note dell'1? Più avanti i pg, soprattutto Sherlock, andranno un po' ooc, insomma, il bello delle AU, soprattutto in quelle dove loro sono giovani, è che il carattere è ancora plasmabile ed è giustificabile un cambiamento caratteriale! Comunque, in caso non vi piacesse l'idea, non me la prenderò se vorrete smettere di leggere (mi spiacerebbe ç_ç ma capirei u.u) e poi non lo so, forse il raiting cambierà più avanti, ma non ne sono sicurissima! Bonci, buona lettura *_* grazie e BACI!!!***

Shamrock
Dopo tre mesi dal giorno della cerimonia di inaugurazione, sia John che Sherlock poterono tirare le somme e concedersi giudizi più approfonditi riguardanti ciascuno il proprio coinquilino.

John registrò mentalmente le abitudini di Sherlock ritenendole quasi tutte nocive per la sua stessa salute: gli dispiaceva vederlo quasi sempre chiuso nella stanza, all’ombra, senza un amico con cui passare il tempo. Inoltre non mangiava quasi mai, dormiva pochissimo e proprio per questo, unito ad improvvisi eccessi d'euforia, iniziò a sospettare anche che facesse uso di droghe.
Lo vedeva uscire durante le lezioni di pratica in laboratorio, preferendo studiare il resto delle materie nella sua stanza, bazzicando di tanto in tanto la biblioteca alla ricerca di particolari volumi che John riteneva fin troppo difficili per il primo anno accademico, ma che Sherlock riusciva a comprendere senza alcuna difficoltà. Passava dal non uscire mai dalla stanza al non rientrare per un giorno intero, per poi scoprire che era rimasto abbagliato dall’amenità di qualche particolare posto sconosciuto ai più, isolato dal mondo, in cui potesse sentirsi libero di pensare anche ad alta voce. E John poteva saperlo solo perchè l’altro glielo aveva confessato, in un giorno in cui era particolarmente propenso a conversare.
A John era capitato di invitarlo ad uscire con lui, soprattutto quando andava a giocare a calcio, sperando che uno sport di squadra potesse aiutarlo a fare amicizia con qualcuno, ma Sherlock glissava sempre, chiudendosi nei suoi pensieri, suonando il suo violino. A John piaceva moltissimo ascoltarlo suonare, e spesso, grazie a quelle melodie, riusciva ad addormentarsi anche quando era particolarmente nervoso per via di un esame.
Tutto sommato, a parte il disordine perenne della stanza, a John non dava fastidio avere Sherlock come coinquilino: sopportava le sue continue deduzioni, trovandole geniali e quasi mai fastidiose, a differenza di altre persone che erano arrivate anche ad accendere piccole risse che il tutor si ritrovò a sedare appena in tempo, evitando che la matricola si facesse del male.
John non sapeva se Sherlock lo considerasse un amico, ma era sicuro che apprezzasse la sua compagnia: quando tornava nell’appartamento, infatti, la giovane matricola gli raccontava la propria giornata, le proprie deduzioni e suonava il violino per fargli piacere, mentre si accigliava quando lo vedeva uscire in compagnia di altre persone, come se lo considerasse un torto a livello personale. Non riusciva ad inquadrare quel lato del suo carattere, ma promise a se stesso che un giorno gliene avrebbe parlato.
Sherlock invece, aveva dedotto praticamente tutta la giovane vita di John, comunicandogliela a piccole dosi, a volte per provare ad infastidirlo scherzosamente, molto più spesso per stupirlo e sentirsi dire quanto fosse geniale.
Lo vedeva uscire spesso, troppo spesso per i suoi gusti, a volte infatti avrebbe preferito che rimanesse nel loro appartamento semplicemente per poter parlare un po’ o per poterlo guardare, cosa che faceva mentre John si addormentava: gli si avvicinava sempre con un passo a dir poco felpato, mettendogli una coperta sulle spalle quando gli capitava di appisolarsi sopra i libri.
Gli piaceva quando si preoccupava per la sua salute, anche se gli dava a vedere il contrario: John era intelligente ma non aveva abbastanza intuito per capire quando gli mentiva sull’interesse che provava nei suoi confronti.
E poi c’era Sarah, la ragazza di John: Sherlock la trovava assolutamente banale,  ed era convinto che uscissero insieme solo perchè condividevano gli stessi studi. Entrambi medici, ma per motivi diversi. John interessante, Sarah noiosa.
Sherlock aveva ovviamente conosciuto altri studenti durante le lezioni, ma nessuno lo aveva affascinato quanto John: si era reso conto di provare una certa attrazione verso il proprio tutor, anche se non sapeva identificarne la natura. Era attratto da lui a livello mentale sebbene non avesse un’intelligenza sviluppata come la sua, anche se doveva ammettere di ammirarlo per come stesse portando avanti i suoi studi a pieni voti nonostante gli svariati impegni che si era preso. E poi era attratto da lui in un modo più istintivo, viscerale, fisico: da una parte temeva quella combinazione di interessi che nutriva nei confronti di John, preoccupandosi per l’esito, a lui sconosciuto, che avrebbe potuto comportare. D’altro canto ne era anche incuriosito: era qualcosa di nuovo, una sfida da affrontare, una diversa sfera personale da analizzare con cura e, se si fosse rivelata interessante, da approfondire.
John e Sherlock andarono avanti nella loro convivenza senza nessun particolare colpo di scena, finchè non arrivò il Natale.

“Non voglio venire a casa, non me ne frega niente del Natale.” ripetè Sherlock per l’ennesima volta, al telefono con suo fratello maggiore.
“Ma importa alla mamma, Sherly.” rispose Mycroft all’altro capo del telefono, mentre, a giudicare dal rumore, sembrava impegnato a digitare sulla tastiera del computer.
“Sherlock! E’ già un nome imbarazzante, figuriamoci il diminutivo.” sbuffò il giovane, buttandosi sul divano con ben poca grazia.
“Va bene, Sherlock. Dicevo, alla mamma farebbe piacere rivederti per Natale e soprattutto le dispiacerebbe molto se tu rimanessi da solo al Campus. Non si sa mai quello che potrebbe succedere.”
“Cosa mai potrebbe succedere, Mycroft?” Sherlock arricciò le sopracciglia, a dir poco incredulo.
“Sherlock, non fare storie...” ricominciò Mycroft che però venne interrotto dal fratello.
“E poi non sarò solo. Ci sarà il mio coinquilino. Lui non va molto d’accordo con la sua famiglia, quindi resta qui.” tossicchiò il giovane, incastrando le dita dei piedi sotto uno dei cuscini del divano.
“Oh, capisco.” disse Mycroft, non senza una punta di malizia.
“Capisci cosa?”
“Gentile da parte tua fargli compagnia.” ironizzò il maggiore degli Holmes.
“Sì. Esatto. Gentile.” ringhiò Sherlock, tormentando la vestaglia di un colore che s’avvicinava molto a quello dei suoi occhi. Identico sarebbe stato impossibile.
“Ho scelto bene, allora.” lo stuzzicò, smettendo di scrivere il documento a cui stava lavorando “Ti piace proprio, se ti spinge a fare l’altruistico gesto di fargli com...”
Sherlock chiuse la chiamata, lanciando il cellulare sul tavolo vicino, rialzandosi fino a portarsi in una seduta più composta quando sentì dei passi avvicinarsi alla stanza.
John infatti, entrò dopo pochi secondi nella stanza con in mano un pacchetto regalo che andò a poggiare sul ripiano subito vicino all’entrata “Oh? Ciao, Sherlock. Sei ancora qui?”
Era l’anti vigilia di Natale, era ormai sera ed il campus si era svuotato praticamente del tutto: Sherlock osservò con disappunto il pacchetto lasciato da John sul ripiano. Un regalo di Sarah, ovvio. Un orologio, altrettanto ovvio, nonchè scontato ed inutile: John non lo indossava per praticità, per non doverlo togliere e mettere in continuazione durante le ore di tirocinio, non perchè non ne avesse uno. Se Sarah lo conoscesse davvero lo saprebbe, fu il pensiero di Sherlock.
“Non torno a casa.” dichiarò placidamente, per poi alzarsi ed avvicinarsi al proprio violino: lo prese in mano ma attese prima di cominciare a suonare, intuendo il desiderio del coinquilino di approfondire la questione.
“Cosa? E perchè?” le domande di John, infatti, arrivarono subito dopo.
“Ti dò forse fastidio?” Sherlock sapeva che non era così, ma a volte voleva essere petulante, era più forte di lui.
“No, certo che no.”
“Tanto Sarah è tornata a casa, non disturberei le vostre imbarazzanti performance.”
“Sherlock!” sbottò John, sedendosi poi al tavolo sul quale aprì il computer portatile che scoprì acceso, ma l’ultima volta che l’aveva usato si ricordò di averlo spento “Hai usato di nuovo il mio computer?”
“Dovevo controllare urgentemente una cosa.” pizzicò le corde del violino, senza in realtà produrre della vera musica.
“Non potevi usare il tuo?”
“Il tuo era più vicino, e poi ormai mi diverto a scoprire le tue password. L’ultima alfanumerica era più complessa delle altre, ma devi lavorarci ancora un po’ sù.” Sherlock nascose una risatina dietro al proprio violino.
John abbassò le spalle, rassegnato, quindi decise di tornare alla domanda principale “Perchè non torni a casa per Natale? Hai una famiglia che ti aspetta.”
“Anche tu ce l’hai.” ribattè prontamente, come se s’aspettasse quell’affermazione.
“Si ma io non...”
“Neanche io.” dichiarò laconico, come per voler troncare lì quella questione. Quindi iniziò a suonare il violino e anche John decise di aver parlato abbastanza per il momento.

Mancava un’ora alla mezzanotte, un’ora e tutti avrebbero festeggiato il Natale.
John aveva passato tutto il giorno in un magazzino per racimolare qualche soldo in più che arrotondasse lo stipendio da tutor che, seppur raddoppiato, rimaneva misero: sotto Natale infatti, c’era sempre bisogno di qualche lavoratore in più e John ormai sapeva riconoscere quali locali avrebbero pagato, ovviamente in nero, qualche giovane che si sarebbe spaccato la schiena pur di guadagnare qualcosa.
I risultati apparenti di quella giornata furono il portafoglio leggermente più gonfio ed un accenno di mal di schiena: quando rientrò nell’appartamento infatti, si sedette subito sul divano, facendo scricchiolare il maggior numero di ossa possibili.
“In quanto aspirante dottore dovresti sapere anche meglio di me che non è una cosa salutare per le tue ossa.” esordì Sherlock, spuntando dalla sua stanza da letto.
“Uh?” domandò uno stanchissimo John che si piegò in avanti, nascondendo il volto tra le ginocchia, provando ad allungare i muscoli dorsali più che poteva “Scusa se sono arrivato così tardi, mi ero ripromesso di farti un po’ di compagnia.” sembrava sinceramente dispiaciuto e questo fece sorridere il suo coinquilino che gli si sedette accanto, sul divano.
“Non sei la mia balia.” rispose, per poi muovere la mano verso la schiena di John, ma ancora non lo toccò. Esitante ed imbarazzato approfittò dello sguardo del coinquilino rivolto altrove per mantenere la mano in quella posizione, a metà strada, pronta a confortarlo o a nascondersi dietro un cuscino.
John sorrise: ormai il suo cervello aveva un filtro che sapeva riconoscere e poi depurare le parole di Sherlock rendendole meno arcigne di quanto potessero sembrare “Fare compagnia ad un amico non vuole dire fargli da balia.”
Grazie a quelle parole, la mano di Sherlock si mosse istintivamente sulla schiena di John, sulla quale si poggiò delicatamente, massaggiando in senso circolare i muscoli indolenziti del coinquilino che vide voltarsi rapidamente, donandogli un’espressione stupita che lo intimorì, facendolo retrocedere col braccio “Non... non andava bene? Fare un massaggio ad un amico quando ha dolore?”
John sciolse il proprio viso in un sorriso, quindi girò nuovamente il capo, evitando l’imbarazzo che uno sguardo diretto può causare “No, no. Va bene. Mi hai solo colto di sorpresa.” alzò poi il capo all’improvviso, ripensando alle parole appena pronunciate dal coinquilino “Un amico? Davvero io sarei tuo amico?”
Sherlock posò nuovamente la mano sulla schiena di John, massaggiandogliela con movimenti tanto studiati quanto delicati “Sì. Perchè? Ti dispiace?” ammise, nascondendo con molto impegno l’imbarazzo che derivava da quella confessione.
John fece spallucce “No. E’ che non sono abituato a vederti con degli amici, quindi ho pensato che...”
“Che non ne avessi?” domandò Sherlock mentre aggiungeva anche l’altra mano al massaggio che sembrò rilassare i muscoli della schiena dell’altro “Non ne avevo. Ora ne ho uno.” semplici conti, numeri bassi e facilmente calcolabili anche per una mente non geniale come la sua.
“Beh, per tua scelta.” s’azzardò John che corresse la propria postura, sfuggendo a quel massaggio per poggiarsi allo schienale e guardare Sherlock negli occhi “Perchè lo fai?”
Sherlock rimase con le mani sospese per aria, riportandole con lentezza nel proprio grembo, spaziando con lo sguardo per tutta la stanza “Non lo so. Mi piace stare solo. E poi le altre persone sono noiose.” rimase in silenzio qualche secondo “Tu sei diverso.”
John scosse il capo “Anche io spesso preferisco stare solo, ma tu esageri, Sherlock.” disse in tono bonario, alzando la mancina verso la spalla dell’altro, stringendola appena “Non stai male a stare tutto il giorno qui, chiuso in questa stanza?”
Sherlock inarcò le sopracciglia, scrollandosi per sfuggire a quella presa “Mi stai compatendo?”
“No!” negò John, scuotendo vigorosamente il capo: doveva stare attento, era la prima volta che Sherlock sembrava aprirsi sul piano personale e non voleva rovinare tutto “Mi preoccupo per te.”
“E’ questo che fanno gli amici? Perchè allora sono inutili, so badare a me stesso.”
“Sherlock.” lo richiamò John, posandogli la mano sul mento per farlo girare verso di sè “Gli amici servono a condividere delle esperienze, a divertirsi insieme e ad aiutarsi l’un l’altro.”
Sherlock riportò lo sguardo su John, fremendo appena a quel contatto “Io riesco a divertirmi anche da solo. Ho il mio Palazzo Mentale, lo sai.” bisbigliò, un po’ più incerto.
“Tu sei un essere umano, Sherlock, fa parte della nostra natura cercare la compagnia. Perchè qualsiasi esperienza tu possa fare, sarà comunque più intensa se condivisa assieme a qualcun’altro.” John mantenne il tono di voce basso, cercando di rassicurare il giovane che aveva di fronte “Felicità, tristezza, gioia o dolore... nel bene o nel male, insieme a qualcun’altro è tutto più intenso. E vale la pena di viverlo.”
“Io ho te. Tu mi ascolti, non mi giudichi e mi sopporti.” Sherlock alzò la mano sul polso dell’altro, allungando le dita che si diramavano sulla mano che John teneva ancora sul suo mento.
“Non posso esserci sempre, Sherlock. Quest’anno mi laureo.” sospirò John, colpito nel leggere il dispiacere sul volto della giovane matricola “Non voglio che tu stia da solo quando...”
Non fece in tempo a concludere la frase che si sentì abbracciare dall’altro in una presa goffa ed inesperta, ma soprattutto infantile: Sherlock lo aveva circondato in vita con entrambe le braccia  e aveva schiacciato il volto, di profilo, sull’addome di John. E aveva stretto molto forte, quasi tremava.
John rimase esterrefatto, non immaginandosi in alcun modo che l’altro potesse avere quella reazione, non in quel momento: aveva da subito riconosciuto un accenno di paura e una gran dose di solitudine nello sguardo di Sherlock, i modi esagerati e il comportamento schivo facevano parte di una maschera che serviva per proteggersi dal mondo esterno: alzò entrambe le mani, posandogliene una sulla schiena ed una dietro la nuca e strinse a sua volta “Vedi? Staresti male da solo.”
“Starei male senza di te.” ammise in quello slancio di sincerità.
John non seppe come rispondere a quella dichiarazione, anzi, si ritrovò in vera e propria difficoltà: probabilmente Sherlock colse quell’attimo di titubanza, poichè intervenne nuovamente, provando a dissimulare quanto detto in precedenza “Prenditi un dottorato.”
John rise a quel punto, strofinando con la mano la testa di Sherlock, divertito da quell’ultimo appello “E studiare altri tre anni? Sto già per prendere la specialistica. E nel frattempo sto anche affrontando il tirocinio. E il praticantato.”
“Ma se prendi anche il Dottorato, finiremo lo stesso anno.” insistette Sherlock, aggrappandosi al maglione di John.
“Esagerato che sei. Ti aiuterò a trovare altri amici.” scosse il capo poi, osservando l’orologio appeso sulla parete “Ehi, è Natale. Lo mangi un pezzo di pudding con me?”
“Non ne voglio altri.” Sherlock lasciò la presa su John, che, dopo aver sbuffato divertito, andò a recuperare una busta dei grandi magazzini dalla quale estrasse un pudding natalizio ed una bottiglia di spumante: tornò sul divano poi, porgendo alla matricola un tovagliolo con una fetta di dolce ed un bicchiere.
“Ah! Ti ho preso una cosa.” John tirò fuori dalla tasca dei jeans una piccola busta e la porse a Sherlock “Scusa. Si è stropicciato tantissimo.”
Sherlock spalancò la bocca: non si aspettava di certo un regalo da John. Appoggiò il bicchiere e il tovagliolo sul tavolo, quindi prese in mano quel pacchetto con la stessa curiosità con cui avrebbe osservato un raro spartito musicale scritto da Paganini in persona “Io non ti ho preso nulla però.”
“Non fa niente.” John fece spallucce “Non l’ho fatto per avere qualcosa in cambio. E’ questo il bello dell’amicizia.”
Sherlock scartò con una cura maniacale il piccolo sacchetto, per poi guardare all’interno: lo inclinò e fece scivolare nella propria mano un portachiavi molto semplice, di colore argentato, a forma di trifoglio. Reclinò il capo di lato ed iniziò ad elaborare diversi pensieri di tipo laterare ma non sembrò trovare un collegamento: lo aiutò John.
“Appena l’ho visto mi sei venuto in mente.” il tutor si scolò un altro bicchiere di spumante e mentre lo riempiva nuovamente, procedette con la spiegazione “Da quando ho letto il tuo nome sull’elenco delle matricole, non ho fatto altro che ripetermi che mi ricordava qualcosa. Poi l’ho visto: Sherlock-Shamrock(1), più o meno...” fece spallucce “Te l’ho detto, è una sciocchezza.”
“Sarà il mio porta fortuna.” Sherlock guardò quel portachiavi come si guardava un tesoro: non aveva valore economico, ma l’avrebbe caricato di ricordi importanti fino a farlo diventare prezioso come un autentico gioiello “Grazie, John.”
“Sono contento che ti piaccia, Shamrock.” lo apostrofò, porgendogli nuovamente il bicchiere “Bevilo, bevilo, beeevilooo...” intonò goliardicamente, inebriato dall’alcool e divertito dalla situazione.
Sherlock strinse il portachiavi nella destra per poi acconsentire alla richiesta di John: prese nuovamente il bicchiere in mano, lo studiò scettico e alla fine fece spallucce, bevendo lo spumante tutto d’un fiato, contagiato dall’allegria di John. Il calore dell’alcool gli salì subito sulle guance, il viso si scaldò in un leggero rossore e gli occhi divennero languidi: si voltò verso John, aprendo e chiudendo la bocca impastata “Ma è amaro.”
“E’ brut!(2)” confermò John, annuendo col capo.
“No, è cattiv’.” lo corresse Sherlock, vergognandosi subito per quel che aveva detto, ovvero una battuta scontata e scadente, sicuramente non da lui.
John d’altro canto sembrò apprezzare quel particolare motto di spirito, magari aiutato dall’alcool, probabilmente divertito dalla situazione in generale “Sherlock! Hai fatto una battuta stupida! Non era tagliente, non era intelligente... era stupida!”
“Non succederà mai più!” si giustificò Sherlock che spinse John colpendolo alla spalla destra: ma il tutor rideva così tanto che non sembrò accorgersene “John! Smettila!”
John si allungò verso Sherlock, lo prese con il braccio sotto il collo e gli sfregò il pugno chiuso sulla fronte “Matricola! Fai il bravo!” e scoppiò nuovamente a ridere.
Sherlock provò a divincolarsi sotto la presa di John, ma era decisamente troppo forte per lui, quindi si arrese, divertito anche lui dalla situazione, incuriosito dal contatto fisico, rallegrato dalle stesse risate del tutor. Smise di opporre resistenza e, sentendo diminuire la stretta sotto il collo, approfittò della situazione per lasciarsi andare e poggiarsi col capo sulle gambe di John, abbracciandone una all’altezza del ginocchio in una presa morbida ma salda.
John lasciò scemare la risata senza opporsi al fare di Sherlock: le difese abbassate dall’alcool contribuirono ad alleggerire qualsiasi tensione facendo sì che non interpretò male il gesto della matricola, anzi, andò a posargli la mano libera sulla testa, giocherellando coi capelli neri e riccioluti.
John finì di scolarsi la bottiglia di spumante e si addormentò pochi minuti dopo, complice la stanchezza accumulata in giornata; Sherlock invece rimase sveglio tutta la notte: quandò sentì il respiro dell’altro farsi più pesante si girò, potendolo osservare nuovamente pur rimanendo appoggiato su di lui. Abbracciò la grande e calda mano che John aveva in grembo, classificando tutti gli odori proveniente da essa: cartone, scotch adesivo, the, pudding, spumante. Era il più bel Natale che Sherlock avesse mai vissuto.
______
(1)Shamrock in inglese è "trifoglio" per l'appunto, e non so perchè ma ci sento l'assonanza col nome "Sherlock" quindi, per forza, ce la sente anche il "mio" John XD
(2)Lo spumante Brut è quello amaro, aspro... insomma, meglio il Moscato che va giù così beeene XD
   
 
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