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Autore: ScratchThePage    30/06/2012    1 recensioni
Nel continente di Shara va Poul vige una legge che si attua ogni venti anni: una persona viene scelta come Osservatore, cioè colui che deve andare a controllare l'operato delle famiglie che governano i vari Stati. Il problema è che non è sempre facile tollerare le varie manie di questi potenti o di imporsi sulle loro abitudini, se sono da correggere; cose che Milos, il nuovo Osservatore, scoprirà ben presto.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Avviso ai lettori: questa storia è nata da un pessimo connubio tra lo studio assiduo di storia e la lettura forse un po’ troppo accanita del “Trono di Spade”. Quindi, molto probabilmente, non sarà una botta di originalità, ma avevo lo stesso voglia di pubblicarla qua.
P.S.: credo che sarà la palese dimostrazione che leggere certe cose fa male.
P.P.S.: mi sto riferendo ai libri di storia, ovviamente.                                            
 
 
                                             L’Osservatore
 
La mensa era gremita di sacerdoti, tutti intenti a consumare il loro pasto. Una lunghissima tavola li accoglieva e, in fondo alla stanza, una monumentale statua di Gleigos, il Dio della Sapienza e della Mente, li stava osservando. Era forgiata interamente in ferro e, nonostante fosse molto semplice rispetto a quella del tempio, aveva una sua solennità. L’unica parte che si differenziava erano gli occhi, due lucenti rubini accuratamente lavorati.
Durante i pasti era vietato parlare, ma quella sala era ugualmente invasa da un caos tremendo: cucchiai che sbattevano contro i piatti, bicchieri che venivano appoggiati con più o meno cura sul tavolo, sorseggi fastidiosi della minestra da parte dei sacerdoti più anziani e vari colpi di tosse riecheggiavano disarmonicamente nella stanza. A questi rumori, però, se ne aggiunse un altro poco consono al luogo:”Ehi Rehar”, sussurrò Leika, una giovane sacerdotessa, al ragazzo di fronte a lei.
Questo sembrò non sentirla: si spostò tranquillamente una ciocca ribelle di capelli neri che gli era ricaduta sul viso e continuò a mangiare, come se non fosse successo niente.
“Rehar!” continuò a chiamare la ragazza, ma non ottenne di nuovo una risposta. Fece una smorfia. Detestava tutta quella confusione: se almeno ci fosse stato più silenzio sarebbe riuscita a farsi sentire, anche se sussurrava; mentre così, se voleva attirare l’attenzione di Rehar, doveva urlare. In quel modo, però, avrebbe fatto capire a tutti che aveva rotto il divieto di parlare. Decise di non arrendersi e prese delle molliche di pane. Le lanciò contro il ragazzo che finalmente alzò gli occhi dal piatto.
“Chi mi ha tirato il pane?!”sbraitò scattando in piedi. Il movimento scosse bruscamente la sua tunica giallo chiaro e bordata di oro, assieme al drappo bianco tempestato di piccole pietre rosse. Tutti i sacerdoti si girarono a guardarlo, facendo sprofondare la sala in un cupo silenzio.
“S..scusatemi…” disse imbarazzato il ragazzo, prima di sedersi nuovamente al suo posto.
Il resto dei presenti riprese il pasto, allibito da questi giovani cadetti che non rispettavano le regole.
Intanto Rehar afferrò una brocca e, mentre si stava versando l’acqua, ancora pieno di vergogna, incrociò i due occhi azzurri e vivaci di Leika. Capì immediatamente tutto.
“Maledetta” sibilò tra i denti, consapevole che non l’avrebbe potuto sentire, dato che il baccano di prima era ricominciato. Stava per porgere nuovamente lo sguardo sul piatto, quando la ragazza cercò di attirare la sua attenzione agitando la mano.Allora non voleva solo farmi fare una brutta figura.
Leika, all’interno dell’ordine dei Sapienti di Altheira, era molto famosa per le sue bricconate, grazie alle quali finiva spesso in penitenza. Non aveva mai avuto cattive intenzioni, voleva semplicemente divertirsi. Infatti aveva passato tutta la sua vita per le strade di Heiress, una città poco distante dalla capitale, fino  al giorno in cui erano morti i suoi genitori. I parenti che l’avevano accolta avevano fin troppe bocche da sfamare e avevano deciso di mandarla dai Sapienti, perché diventasse una sacerdotessa. Avrebbe avuto vitto e alloggio sicuri per il resto della sua vita e non sarebbe mai vissuta in povertà. Certo, non avrebbe mai potuto sposarsi e generare dei figli e avrebbe dedicato tutta la sua esistenza al culto di Gleigos, ma almeno non sarebbe morta di fame. Così il suo mondo era crollato da un giorno all’altro e si era ritrovata a indossare la tunica dei sacerdoti e a tenere i suoi capelli biondo chiaro lunghi fin sotto i lobi delle orecchie. Quella era stata la regola che aveva detestato sin dal primo momento: Leika li aveva sempre tenuti molto lunghi e non l’era mai piaciuto tagliarli; ma a tutti i Sapienti veniva imposto di non tenerli  più lunghi di Gleigos, cioè fino all’inizio del collo.
“E chi vi ha detto che li aveva così lunghi? Vi basate solo su delle raffigurazioni e su delle statue!” aveva detto un giorno la ragazza per protestare l’ennesimo taglio dei capelli. Alla fine non aveva ottenuto niente, se non un’ulteriore penitenza.
Le altre regole iniziò ad odiarle con il tempo: pregare assieme tre volte al giorno e altre tre individualmente; il divieto assoluto di lasciare la Casa dei Sapienti ( un insieme di edifici, tempio compreso, circondati da un giardino) a meno che non si ricevesse un permesso dal maggior Sacerdote; il coprifuoco dalle prime due ore dopo il tramonto e, soprattutto, dover studiare tutta la mattina per potersi avvicinare sempre di più al livello di Sapienza Suprema, in modo da poter acquistare completamente tutto ciò che Gleigos aveva donato loro, e per sfruttarlo al meglio.
Non aveva mai sopportato quella vita monotona e piena di restrizioni e, così, aveva deciso di portare là dentro l’allegria che aveva accompagnato i suoi giorni a Heiress, prima di trasferirsi a Grav Gleigosireness, la capitale. I suoi sforzi erano stati abbastanza vani, ma almeno aveva imparato tutti gli inni del Dio della Sapienza e della Mente prima degli altri novizi, dato che era obbligata a ripeterli svariate volte durante la penitenza. Leika doveva ringraziare solo una persona se, in quei tre anni che aveva passato là dentro, si era quali abituata a quella vita. Qualche volta, però, continuava a fare scherzi o tentava una visita clandestina alla città.
“Che c’è?” comunicò Rehar con un gesto.
“E’ vero che Milos è stato scelto come Osservatore?” disse Leika, incurante dell’obbligo di silenzio.
L’altro tese un orecchio, per farle capire che non aveva sentito nulla.
“E’ vero che Milos è stato scelto come Osservatore?” Aveva alzato la voce e Rehar ora sapeva benissimo che qualcuno l’avrebbe seguito nella penitenza che lui avrebbe subito dopo. Si appoggiò la mano sulla fronte, in segno di disperazione, ma sotto sotto era contento di averle ritornato il favore.
“E allora? Tanto la punizione te la prendi lo stesso, anche se non mi rispondi!”
“Shhhh!” sibilo un vecchio al fianco di Leika. Il ragazzo lo indicò alla sua interlocutrice, come per farle ricordare la regola che vigeva in quel momento.
“Oh, ma andiamo! Non mi serve l’ammonimento del vecchio Pergos per ricordarmi che cosa devo fare. E poi sai che fa spesso tanto baccano per nulla.”
Il vecchio la guardò sconvolto.
Brava Leika, ora hai appena acquistato una seconda penitenza. Pensò Rehar. Stava per riprendere a mangiare la minestra, ormai fredda, ma la ragazza non volle cedere:” Rehar, sei sordo? Hai già infranto il divieto e la punizione l’hai ottenuta. Se parli ancora non ti lapidano.”
Avrebbe voluto spiegarle che era tutta una questione di rispetto delle regole e di dimostrare che quello di prima era stato solo un incidente, ma sapeva benissimo che avrebbe solo sprecato parole.
Il vecchi Pergos sibilò di nuovo, ma lui decise di risponderle, altrimenti quella storia sarebbe andata avanti ancora a lungo. Aprì la bocca ma non riuscì a dire niente: la piccola campana, posta sopra la statua di Gleigos, iniziò a suonare e tutti i monaci si alzarono in piedi e iniziarono a cantare un inno al loro Dio, per ringraziarlo di quel cibo. Intanto dei servi portarono vari piatti ripieni di arrosto di maiale, accompagnati da altri che presero i piatti di minestra più o meno vuoti. Accidenti, per colpa di Leika non ho finito la minestra. Pensò, mentre si rimise a sedere insieme agli altri sacerdoti. Prese con le posate un po’ di carne dal piatto posto in centro alla tavola e lo mise nel suo. Alzò lo sguardo ed incontrò nuovamente gli occhi di Leika, ansiosa di una risposta. Rehar sospirò e decise di dargliela: “Sì”
La ragazza non riuscì a trattenere un risolino.
“Shhh!” ripete il vecchio Pergos.
“Ed è per questo che non è qua? Si sta preparando?” Aveva nuovamente ignorato l’ammonimento dell’anziano al suo fianco.
Il ragazzo scosse la testa, mentre stava masticando un boccone di carne.
“E allora dov’è?”
Rehar si guardò attorno e si mise le mani a fianco alla bocca.
“Tempio. Pregare” disse velocemente, sperando che solo Leika lo avesse sentito. Riprese a mangiare, sperando di avere placato tutte le curiosità della ragazza, ma si dovette ben presto ricredere.
“Al tempio a pregare? Ma cosa può farci una persona, nominata Osservatore, in un tempio a pregare?! E’ assurdo!”
“Shhh!” sibilarono all’unisono tutti i sacerdoti nei paraggi.
Rehar fece cenno a Leika che ne avrebbero riparlato dopo e, finalmente, questa riprese a mangiare.
  
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