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Autore: Ranessa    19/01/2007    2 recensioni
Poiché un tempo vi erano cinque Black. Oggi due sono morti, e tre portano un altro nome. Ma un tempo vi erano cinque Black.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Black | Coppie: Sirius Black/Bellatrix Black
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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[ Bellatrix - Quello che sento ]


Potrei parlare, discutere, stringere i denti, sorridere
mentire infinitamente dire e ridire inutilità
mostrare falsa, ipocrita serenità
quando le parole si ribellano, favole fiumi, mari di
perplessità non c'è una ragione per non provare
quello che sento dentro

«Quello che sento», Carmen Consoli


Noia.
Se c'è una cosa che la gente proprio non sopporta è la noia.
Quella patina bianchiccia e traslucida che spesso avvolge le cose.
Quando non sai cosa dire, o cosa fare, e tutto quel che rimane sono sguardi pesanti, e sorrisi imbarazzati.
Eppure io non mi annoio, mai, e questo semplice fatto sembra sconvolgere chi mi sta intorno.
Sei sempre così indifferente, Bellatrix...
Evidentemente non riesco a cogliere la reale importanza di ciò che mi circonda.
Ma quale importanza poi?
Feste? O voci lontane forse? Voci che giungono dall'atrio...
«Scommettiamo, Regulus?»
«Piantala, Sirius».
«Non dirmi che hai paura di perdere fratellino...»
Sei sempre così apatica, Bellatrix...

+ + + + + + + + + +

La vedo riflessa nel vetro brillante delle finestre.
Si avvicina lentamente, quasi con cautela, come se non fosse sicura di voler realmente venire da me. È alle mie spalle, e sembra stia pensando che in fondo può ancora voltarsi e andarsene. Può ancora evitare di rovinarsi la serata. «Bellatrix».
Mi posa delicatamente una mano sulla spalla e si siede sulla poltrona di fronte alla mia, piegando prima accuratamente la stoffa del vestito dietro le gambe, perchè non si stropicci.
Mia sorella è sempre stata tremendamente ed insopportabilmente perfezionista.
«Narcissa».
«Resterai seduta lì per tutta la sera?»
«E se anche lo facessi?» Alzo un sopracciglio, stringendo maggiormente le dita intorno alla tazza di tè che ho in mano, porcellana bianca e fiori violetti.
Mi piace provocarla.
Mi è sempre piaciuto.
«Speravo che almeno per una volta foste intenzionate ad aiutarmi nel fare gli onori di casa» replica tranquillamente lei, distogliendo lo sguardo dal mio viso per andare a posarlo dall'altra parte della stanza, dove Andromeda conversa animatamente con nostro cugino.
«Non mi pare che tu abbia mai avuto bisogno dell'aiuto di qualcuno per queste cose» poso distrattamente la tazza quasi completamente vuota sul basso tavolino che separa le nostre gambe. Narcissa la prende con noncuranza e finisce il mio tè, riposandola poi sul piattino.
«Ti va di andare un po' sulla terrazza?»
Osservo le piccole foglie di tè tracciare il mio destino sul fondo della tazza.
Mi domando se ora, invece, non indichino in realtà quello di Narcissa.

«Cos'è questo?» rido, mentre l'aria gelida della sera mi investe appena uscita. «Un tentativo di giocare a fare le brave sorelle, Narcissa?» mi siedo sulla balaustra, poggiando i palmi delle mani sul marmo bianco incurante del vuoto oltre la mia schiena. «Dobbiamo confessarci i nostri più intimi segreti e rifugiarci nella nostra riscoperta complicità?»
«Oppure potremmo semplicemente stare in silenzio, Bellatrix» commenta mia sorella, venendo ad appoggiare i gomiti accanto alle mie gambe in una posa che le si addice molto poco, lo sguardo perso in direzione del giardino, verso le fronde scure degli alberi mosse dal vento.
Non ne comprendo precisamente il motivo, ma mi sento in qualche modo a disagio, fuori posto, come se in realtà non dovessi trovarmi qui.
Come se in realtà non dovessi essere me stessa.
«Ho parlato con... Regulus, poco fa».
Mi volto ad osservare il profilo affilato di mia sorella. Sembra esitante, come se il fatto che abbia parlato con Regulus, in verità, non fosse ciò che intendeva dirmi.
Come se non fosse realmente Regulus la persona con la quale ha discusso.
Allungo una mano e le tolgo un capello biondo dalla spalla.
«Mi chiedo come tu faccia a sopportare il suo intramontabile vittimismo, Narcissa» sbuffo sincera. «Nostro cugino è una delle persone più patetiche che io abbia mai conosciuto».
«Non parlarne così, Bella!» sbotta immediatamente lei, sorprendendomi. «Perchè devi sempre dire malignità? Perchè devi sempre cercare di rendere gli altri infelici?» mi guarda stringendo le labbra con aria furiosa, vagamente colpevole, come fosse stata lei, e non io, a parlar male di lui.
«Non è il caso di scaldarsi tanto, Cissa» abbandono la balaustra con un piccolo saltello, sfregando tra loro le mani per pulirle. «Non per lui almeno».
Vedo il mio ghigno riflesso nei sui occhi cristallini.
E di nuovo mi prende quella spiacevole sensazione.

Intrattenere una conversazione con mia sorella è come partecipare ad una gara di resistenza: prima o poi una delle due comincia a cedere, a sgretolarsi lentamente, lei colpita dal mio feroce sarcasmo, dall'indifferenza forse.
Io dalla sua innaturale calma.
Dall'inquietudine che riesce a trasmettermi con un semplice battito delle ciglia.
O una mano ad arricciare una ciocca di capelli.
O un dito a creare complicati arabeschi sul ginocchio.
«Credi che durerà ancora a lungo?» è una domanda stupida, terribilmente tale, ma lei conosce ormai bene, nonostante siano rari, i miei goffi tentativi di chiederle scusa.
Narcissa si volta in direzione delle ampie vetrate.
I nostri ospiti ancora ridono, risate sonore e stonate, i calici stretti e portati alle labbra quasi con ferocia. Vedo nostra madre discutere animatamente con qualcuno che mi dà le spalle. Vedo Sirius e Regulus e Andromeda e per un momento, uno soltanto, mi trovo a pensare che forse sono un po' come lei.
Che nessuna delle due, in realtà, dovrebbe essere qui.
«Se provassi a divertirti forse non soffriresti così tanto, Bella».
Le sue parole aleggiano nel gelo della notte per qualche istante, palpabili tra noi, poi, come per merito di un incantesimo che si spezza, scoppiamo a ridere, imitando le facce rosse e paghe a pochi metri dalla terrazza. Ridiamo noi due, che sappiamo quanto questa sua affermazione sia deliziosamente ridicola.
«Dovresti ridere più spesso, Bellatrix» sospira mia sorella quando il riso sulle nostre labbra si spegne. Cancellato in fretta così com'è venuto.
«E tu dovresti renderti divertente più spesso, Narcissa» ribatto acida.
Lei annuisce. Concordando o più probabilmente assecondandomi.
«Sirius sta venendo in qua» osserva poi distrattamente, stringendosi nello scialle improvvisamente infreddolita. Io mi volto in tempo per osservare nostro cugino aprire la porta finestra e farsi investire dall'aria notturna. Getta una rapida occhiata alle sue spalle prima di avanzare deciso.
«Sei venuto per sapere se una delle due è disposta a concederti un ballo, Sirius?» domando divertita, posando lo sguardo sul suo vestito sgualcito di un orrendo color grigio topo.
«Qualcosa del genere» replica lui beffardo.
E poi succede.
Mi viene incontro rapidamente e mi stringe le spalle con mani forti e fredde.
Mi bacia, un bacio assurdo ed improvviso, con labbra dolci e denti affamati ed io non so cosa pensare.
Non so cosa provare.
È così.
Mi sono sempre sentita così.
Come se in realtà tutto, la mia vita, ogni cosa la stesse vivendo qualcun'altra.
Come se in realtà non fossi io.
Io non sono me stessa.

   
 
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