Anime & Manga > Inazuma Eleven
Segui la storia  |       
Autore: Albicocca    05/07/2012    2 recensioni
Da anni gli abitanti di Inazuma-cho conducono la loro vita in pace e serenità.
Ma qualcosa trama nell'ombra, qualcosa di sconvolgente e orribile.
« Hai intenzione di iniziare ad allenarle? »
« E' per la loro sicurezza. »

-
Long-fic a quattro mani, scritta da me e Hanii.
Genere: Mistero, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo I



Una ragazza percorreva le strade di Inazuma-cho che non erano molto affollate.
Cosa assolutamente normale dato che era quasi mezzogiorno: gran parte dei ragazzi era ancora rinchiusa in quelle prigioni comunemente chiamate “scuole” e gli adulti, o erano rinchiusi in altre prigioni a lavorare, oppure stavano tranquillamente pranzando a casa.
Sistemò un ciuffo dei capelli blu cobalto dietro l’orecchio e proseguì, continuando a stringere tra le mani un bigliettino con delle annotazioni, al quale ogni tanto gettava un’occhiata.
Sembrava stesse cercando qualcosa o magari qualcuno. E ciò non sfuggì ad un’anziana signora che stava sistemando delle angurie nelle casse del suo negozio di ortaggi e frutta. 

“Ehi ragazzina, stai forse marinando la scuola?” le chiese, sospettosa.
La ragazza osservò un istante la vecchietta.
I capelli argentati erano raccolti in un alto chignon e gli occhi azzurri, quasi bianchi, la guardavano con aria di rimprovero.
La sua presenza mise in soggezione la giovane, che tuttavia le rispose: 

“No signora, in realtà sono appena arrivata da Osaka. Saprebbe indicarmi dove abita il signor Kudou?” 
Da Osaka? 
L’anziana signora squadrò bene la giovane, memorizzando ogni particolare di lei. 
Poteva avere sì e no diciassette anni, i capelli erano di una strana tonalità di blu e gli occhi erano di un colore simile all’indaco, ma non leggeva il luccichio che caratterizzava ogni ragazzo della sua età. Mentre un piccolo sorriso era disegnato sulle sottili labbra.
Doveva aver sofferto molto.

“Osaka. Bella città. Dove sono i tuoi genitori?” domandò dopo poco.
Lo sguardo della giovane si oscurò e il piccolo sorriso di poco prima si spense.
“Sono… morti.” sussurrò. 
Le venne da chiedersi perché avesse risposto a quella domanda. 

“Oh” esalò l’anziana.

Un attimo di silenzio seguì la risposta della ragazza, accompagnato dal vento.
La vecchietta sospirò e chiuse le casse con le angurie.

“Vedi lassù, quella grande villa?” la donna alzò con fatica un braccio e andò a indicare una collina poco distante, dove si poteva notare benissimo un’enorme villa color bianco panna.
La ragazza seguì con gli occhi dove la donna le stava indicando.
“Mmh, sì” sussurrò.
“Quella è Villa Kudou…”
“Oh, grazie signora… signora?!” 
Sulla porta del negozio era appeso in bella vista un cartello rosso con scritto “CHIUSO!” e la vecchietta era sparita.
Sentendo un brivido percorrerle la schiena, la ragazza iniziò a correre.
La strada che portava a Villa Kudou serpeggiava tra le colline di Inazuma-cho, che si estendeva sotto di esse, come una città di bambole.
I sassi scricchiolavano sotto le scarpe della ragazza che camminava già da mezz’ora per quelle stradine così strette e piene d’arbusti.
Teneva lo sguardo basso, mentre il vento giocava allegramente con i suoi capelli, e pensava a come poteva essere il signor Kudou. 
Le venne in mente da pensare un uomo anziano, gentile ed educato, che l’avrebbe tratta come una figlia. O seconda. 
Quando i suoi genitori erano morti in questo incidente aereo, Haruna pensava che i suoi zii l’avrebbero accolta in casa loro, come la figlia che mai avevano potuto avere. 
Certo, c’erano stati degli screzi in passato, ma alla morte di un parente non si dimenticavano forse i litigi? Non si faceva il possibile per i propri parenti?
Nei libri lo dicevano sempre.
Sì, solo nei libri.
Difatti Haruna si era vista sbattere la porta in faccia, un tonfo assordate che ogni notte le tornava alla mente, negli incubi frequenti. E si svegliava di soprassalto, sudata e con la voglia di piangere lacrime amare. E lo faceva. Piangeva per la morte dei suoi genitori, piangeva per l’ingiustizia che era stata la sua vita. 
Ricordava la freddezza con cui gli zii l’avevano trattata, l’avevano guardata non come una nipote da accogliere, piuttosto come un’estranea che viene a chiedere l’elemosina a casa propria.
E l’avevano sbattuta fuori, in mezzo ad una strada, senza un tetto. Senza qualcuno che la volesse davvero bene. Era dovuta andare ad abitare in un orfanotrofio, distante pochi chilometri dal centro di Osaka.
Poi, quel giorno, che ricordava perfettamente, ricevette quella telefonata.
Il signor Kudou era un vecchio amico dei suoi genitori che, saputo del rifiuto degli zii, aveva deciso di accoglierla con sé.
Diceva, inoltre di avere una figlia della sua stessa età e che avrebbero potuto giocare assieme. Giocare? 
Sorrise; gli adulti.
Si fermò un attimo, riallacciandosi una scarpa.
Chissà com’è questa ragazza. Forse gentile e carina, oppure antipatica e snob?

“Magari non le piacerò, e mi tratterà come Cenerentola!” pensò ad alta voce.
All’idea di essere l’ospite di una Genoveffa in carne ed ossa, la ragazzina ebbe l’impulso si tornare indietro.
Avrebbe preferito passare il resto dei suoi giorni con quella strana vecchietta.

“Ma cosa sto dicendo?!” scosse la testa e, senza pensieri ostili per la testa, riprese il suo cammino verso Villa Kudou.


Guardo quel benedetto arnese, detto “orologio”, appeso alla parete bianca, alla mia destra. A volte sembra che il tempo sia un gioco, prima passa così veloce, e poi così piano.
Ti prego, lancetta, va veloce!
Riabbasso lo sguardo sul foglio del compito, mentre l’insegnante mi passa davanti. I capelli corti e neri, e quegli occhietti di un normale castano che fissano ognuno di noi, come ad invitarci a fare una mossa falsa.
Percorre tutta la classe, aggiustandosi di tanto in tanto gli occhialetti, provocando un rumore fastidioso.
Quella donna dà i brividi, è un’arpia di prima categoria.
Getto uno sguardo alla mia classe, costituita da nove ragazze e dieci ragazzi. Tutti diversi.
Natsumi sta scrivendo ininterrottamente da un bel pezzo, Aki invece ha la penna appoggiata alle labbra e pare completamente assorta nei suoi pensieri.
La professoressa Fuji ritorna alla cattedra, sedendosi e prendendo il giornale, convinta che nessuno possa copiare. Si sbaglia, ovviamente.
In quel mentre partono palline di carta da un lato all’altro della stanza, un brusio fastidioso di sottofondo.
Una pallina mi colpisce in testa e, massaggiandomi, la raccolgo da terra, aprendola.

“Allora, signorina Io-non-parlo-perché-non-ho-la-lingua finito il compito?” ignoro il soprannome ridicolo.
Conosco la scrittura. Di bigliettini da parte sua me ne sono arrivati centinaia, infondo dopo quattro anni di superiori, conosco tutto di tutti. Mi volto verso la fila da dove è arrivata, e la percorro con lo sguardo, fino ad arrivare all’ultimo banco, dove noto due occhi grigio tempesta.
Ed eccolo lì, il prode lanciatore, Akio Fudou.
Mi sorride beffardo, i piedi appoggiati sulla sedia del compagno momentaneamente assente e con la schiena contro al muro.
Il solito classico bulletto della scuola. A volte mi chiedo perché lo faccia.
Ma bullo o non bullo a me non mi interessa, e così gli faccio segno di no con la testa.
Finito il compito? Magari, sono solo a metà.
Picchietto leggermente il dito sul banco, e mi rilasso. E un suono ritmico, ma dolce. Non troppo forte, ma neanche troppo noioso. Questo rumore continuo riesce a farmi rilassare quando sono nervosa. Oppure quando sono decisamente terrorizzata.
Apro gli occhi, che avevo chiuso per rilassarmi, e prendo in mano la penna e guardo il foglio. Devo assolutamente darmi una mossa, oppure non finirò mai. E chi se la sente poi, l’arpia?
Faccio per iniziare a scrivere quando un’altra pallina di carta mi colpisce alla spalla, e mi ricade sul banco. Spero solo che la professoressa non lo abbia notato, oppure ritirerà il mio compito. E addio sufficienza in coreano.
Sono i momenti che mi chiedo perché ho scelto il Liceo Linguistico, invece del Classico.
Comunque, apro il bigliettino, che di sicuro è di Fudou, quel ragazzo è fastidioso a volte.

“Muoviti, così copio.”
Sospiro scocciata e lo guardo, quel ragazzo non cambierà mai. Troppo beffardo e menefreghista.
Ha capacità, perché allora non le sfrutta? Semplice, è Fudou Akio.
Pazienza, forse un giorno capirà, ora è meglio finire questo benedetto compito.
Faccio scorrere velocemente la mia biro sul foglio e mi butto a capofitto nel mio lavoro, sperando di finirlo in tempo. Ogni mio pensiero viene tradotto in piccoli segni blu sulla carta bianca dalla penna. Ovviamente in coreano.
Dovevamo scrivere un tema. Un tema semplice, sulla nostra famiglia, i nostri affetti.
L’ultimo segno e poi sento il suono che aspettavo più di tutti. L’assordante “Drin” della campanella, che segna la fine di questa giornata scolastica.
Alzo lo sguardo all’orologio e sorrido.
Ottimo lavoro, lancetta.
Preparo in velocità la cartella e aspetto Natsumi e Aki, che stanno ancora consegnando i loro compiti alla Fuji, fuori alla porta. Avvolte essere al primo banco è la cosa migliore.
Mentre le attendo, Fudou, mi passa davanti per uscire. Non sembra assolutamente contento.

“Ti avevo chiesto di farmi copiare, Kudou.” sibila.
“Non avevo finito” rispondo semplicemente.
Mi guarda per qualche istante negli occhi e poi se ne va senza proferir parola, camminando per i corridoi, lentamente.
Il mio sguardo lo segue per qualche istante e poi mi volta verso le mie due amiche che mi stanno raggiungendo, sorridenti. Pare sia andata bene a tutte e tre. Meglio.

Usciamo di scuola e ci dividiamo. A differenza mia, loro abitano poco lontano dalla scuola.
Mi dirigo verso casa.
Sto camminando verso casa e sposto i sassi che intralciano il mio cammino con il piede. Anche se non sono ancora arrivata all’inizio della piccola via che porta verso casa mia, i sassi sono da per tutto.
Mi fermo un attimo, e saluto la signora Misaki Yamada che sta lavorando all’uncinetto, comodamente seduta su una sedia a dondolo, fuori al suo piccolo negozietto. E una donna davvero simpatica, anche se a volte e davvero strana.

“Buongiorno, signora Yamada!” la saluto, urlando per poi avvicinarmi a lei.
L’anziana donna alza lo sguardo e appoggia il suo lavoro sulle gambe, guardandomi con i suoi vispi occhi azzurri. Sono sempre stata dell’idea che da giovane, fosse stata una donna bellissima.
“Buongiorno a te, Fuyuka. Stai andando a casa?” mi chiede, sorridendomi.
”Sì, le serve qualcosa?” le domando curiosa.
Lei scuote la testa in segno di negazione, e mi sorride ancora.
“Devi essere affamata, non voglio rubarti altro tempo.”
Le sorrido, poggiando una mano sullo stomaco.
Eh, in effetti ho bisogno di mettere qualcosa nello stomaco, prima di svenire.

“Arrivederci, e buon pranzo, signora Yamada!” la saluto, incominciando a correre verso casa.
“Ciao Fuyuka! E buon pranzo a anche te, troverai una sorpresa a casa!” la sento urlare.
Una sorpresa?! Mi fermo e mi volto.
“Cosa intende dire…”
Si è volatilizzata. Lo fa sempre, quando le chiedi qualcosa.
Evidentemente le piace parlare con fare enigmatico. Non la capisco. Quella donna è stata sempre strana. Ma è questo che me la fa piacere.
Arrivo a casa.
Salgo lentamente le scale di casa mia, che procedono a chiocciola fino al piano dove si trovano la sala da pranzo, la cucina e il salottino da tè.
Sono curiosa di sapere qual è la sorpresa che mi aspetta!
Forse è tornato papà!
Mio padre è un imprenditore molto impegnato, è sempre lontano da casa, torna solo per Natale, Pasqua e le vacanze estive.
Di rado anche per il mio compleanno.
Però chissà, magari è tornato prima per farmi una sorpresa!
Mi è mancato tanto… certo, Celine, la mia tata di origini francesi, è dolcissima con me, sempre premurosa, come solo lei sa fare.
Ma non potrà mai sostituire mio padre.
O mia madre.
Scuoto la testa allontanando tristi pensieri e mi dirigo velocissima verso la sala da pranzo, sperando di trovare mio padre seduto a tavola, con un sorriso ad accogliermi.
Ecco la porta di mogano. Allungo la mano verso il pomello d’ottone e, decisa, la spalancò pronta a tutta.

“Sono a casa! Ciao…” l’urlo di gioia mi muore in gola, come la speranza.
Non c’è traccia di mio padre.
Ci sono solo Celine che sta leggendo il giornale appoggiata al marmo della cucina e una ragazza, sicuramente della mia stessa età, seduta a tavola, mangiando un panino. Si volta verso di me, sorpresa. Mi guarda e le restituisco lo sguardo.
La guardo un attimo, soffermandomi soprattutto sugli occhi indaco.

“E tu chi sei?” sussurro.





Angolo autrici molto ritardatarie inseguita da Angelica con una ascia molto affilata. 

Bella gente, Miriam e Marika sono qui presente

L'editor lo sto facendo io, cioè Miam, quindi lanciate insulti a Marika, cioè Hanii. 
Ok, non aggiornamo da tanto, proprio tanto. Ma sempre gli stessi problemi; scuola, internet, Miriam che si annoia. 
Ma ok, non voglio prolungare questo angolo perché non so che dire, sul serio. 
Spero che vi sia piaciuto, e lo spera anche Marika *passa Marika inseguita da Angelica con l'ascia menzionata prima* 
Un bacino, 
Miamina e Marikozza!


   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inazuma Eleven / Vai alla pagina dell'autore: Albicocca