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Autore: damnvogue    12/07/2012    3 recensioni
Per quanto le parole di Sofia cercavano di infonderle sicurezza, Charlotte iniziò a far tremare nervosamente la gamba destra senza rendersene conto. Sentiva di averlo perso ancora la sera precedente, lo sentiva dal vuoto che percepiva nel petto. Quel bacio della buonanotte, quel bacio dato troppo velocemente, aveva tutta l’impressione di essere stato l’ultimo bacio.
«X-Factor del cazzo.» Sofia sorrise, dandole una pacca sulla spalla. Charlotte riprese a mangiare, sbattendo la punta della forchetta sulla ceramica del piatto. Non era giusto, per niente. Charlotte aveva bisogno di lui, non quello stupido programma. Che cosa avrebbe concluso se fosse entrato? Sarebbe diventato un cantante di successo del calibro di Leona Lewis? Ma per favore, quelle cose succedevano una volta su un milione, e lui non era di certo quell’uno.
Genere: Erotico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 1



So this is the end, of you and me
we had a good run, and I'm setting you free
to do as you want, to do as you please

without me..
You Me At Six - Fireworks

 

«Porca puttana Sofia, cinque minuti e sono al bar. Solo cinque minuti!» Charlotte raccattò un cardigan grigio topo ai piedi del letto e lo indossò nervosamente, attenta a non far cadere il telefono bloccato fra la spalla e l’orecchio. Sapeva di essere in ritardo, ma l’amica non aveva nessuna intenzione di fargliela scampare liscia.
«Sai che faccio la prossima volta? Se dobbiamo trovarci alle cinque, ti dico che ci troviamo alle quattro e mezza così sono sicura che arrivi puntuale!» Charlotte ringhiò, afferrando un pacchetto di fazzoletti dalla mensola sopra il letto e infilandoli in borsa. La stava soltanto provocando per puro piacere personale, ne era sicura, ma non le avrebbe dato la soddisfazione di imbestialirsi al telefono.
Sofia era una di quelle ragazze che adoravano far innervosire le persone. E bisognava ammettere che ci riusciva davvero bene considerando la dose di pazienza di cui si erano armati negli ultimi anni Charlotte e Will, il suo ragazzo dal primo anno di liceo, che avevano a che fare con lei quasi tutti i giorni. In più per Sofia ogni occasione per alzare la voce contro gli amici andava sempre colta al volo. C’era un’usanza, proveniente dal suo paese d’origine che le avevano inculcato fin da piccola, la quale sosteneva che urlare contro le persone a cui si teneva particolarmente non era altro che una dimostrazione d’affetto. Questa consuetudine, a parere di Charlotte, era soltanto l’ennesima prova della pazzia dei colombiani, o forse una scusa inventata dalla madre per giustificare l’impazienza della figlia.
«Muoviti, merda.» Finalmente Kelly concluse la chiamata, lasciando all’amica il dubbio se l’ultima parola doveva prenderla come un’imprecazione o un appellativo. Infilò il telefono nella tasca dei jeans e corse in bagno, controllando per l’ultima volta il rimmel. Un paio di ombre scure si distendevano sotto gli occhi della ragazza, ma sapeva che se avesse aggiunto più correttore avrebbe soltanto peggiorato la situazione. Quelle orribili occhiaie erano il risultato di due notti passate insonni a fissare il soffitto, e guardarle attraverso lo specchio facevano soltanto riaffiorare i pensieri che le avevano impedito di dormire.
Charlotte sospirò, uscendo dalla camera da letto e scendendo le scale, pronta per uscire di casa.
Mentre nascondeva i lacci ai lati delle scarpe seduta nell’ultimo scalino della rampa, sentì il telefono vibrare dentro i pantaloni. Preparando già una sfuriata per l’amica, lo sfilò dai jeans, ma quando lesse il nome sullo schermo tutto quel bel discorso che comprendeva un sacco di parolacce piene d’amore andò in frantumi. Premette il tasto di risposta, impaziente.
«Pronto?»
«Ehi, sono io.»
Charlotte sorrise, sentendo il cuore rallentare. La sua voce la inebriava, stordendole ogni muscolo e dandole quel senso di tranquillità interiore che riusciva a calmarla in ogni situazione. Ormai erano quattro anni che quel suono era diventato un toccasana per l’agitazione prima dei test e delle interrogazioni, le sarebbe bastato anche solo una semplice risata e sarebbe potuta andare contro la regina d’Inghilterra. Fece per rispondergli, ma come sottofondo avvertì il finimondo. Sentiva gente urlare, piangere, ridere. Si morse il labbro, percependo che qualcosa non andava.
«Non sei già partito?» Il ragazzo provò a parlare, ma Charlotte non riuscì a sentire la risposta «C’è casino, non ti sento!».
«Aspetta, ora mi sposto.» Charlotte capì a mala pena le sue parole, ma pochi secondi dopo tutta la confusione sparì, lasciando spazio al respiro affannato del ragazzo e allo scatto di una serratura.
«Dicevi?»
«Dicevo che non sono partito.» Il ragazzo rispose di getto, prendendo Charlotte in contropiede. Una marea di domande iniziarono a frullare nella testa della ragazza, mandandola in completo caos.
«E.. Quando parti?»
«Charlie, non parto.» Charlotte cominciò a tremare senza rendersene conto. Avrebbe voluto sommergerlo di domande, a partire dal perché non era ancora partito per tornare da lei al perché stava usando quel tono così spento quando fra un ora si sarebbero di nuovo riabbracciati. Un dubbio atroce le balenò in testa facendole aumentare il battito cardiaco, ma mentalmente si ripeté che doveva stare calma e tranquilla. E per lei questo era sinonimo di starsene in silenzio, di respirare senza aprire bocca. Il ragazzo dall’altro capo della cornetta capì la situazione e riprese a parlare, regolando la tonalità della voce.
«Stavo aspettando i taxi con gli altri partecipanti che avevano eliminato, ma hanno preso me e altri quattro ragazzi e ci hanno richiamato dentro.. In poche parole i giudici hanno deciso di metterci insieme, come band, e farci rientrare. Quindi sono di nuovo dentro, sono ancora in gara.»
«C-Cosa? Davvero? Ma è fantastico!» Charlotte formulò le frasi con il maggior entusiasmo possibile, ma il fiato le morì in gola, lasciandola senza scampo. Non era felice per lui, per niente. Aveva temuto quel momento da quando era venuta a conoscenza del desiderio del ragazzo di partecipare ad X-Factor, ed ora che era accaduto il peggio non aveva idea di come comportarsi a riguardo, e tanto mento cosa dire. Serrò i denti, scacciando la tentazione di immaginare il viso del ragazzo dall’altra parte del telefono. Nel cercare di calmarsi si lasciò sfuggire due lacrime salate che le rigarono le guance, lasciando una scia più chiara sopra il leggero strato di trucco. Charlotte rimase in silenzio, finché un sospiro proveniente dal ragazzo non spezzò quella rete di pensieri che si era creata. Non voleva che fosse ancora lui a riprendere in mano il discorso, quindi si fece coraggio e ricominciò a parlare.
«Che cosa facciamo?» La domanda lo spiazzò, facendolo rimanere per un paio di secondi in silenzio.
«Non lo so.» Charlotte avvertì la voce del ragazzo affievolirsi. Era stanco e demoralizzato, anche se i giudici gli avevano appena riferito che avrebbe potuto realizzare il sogno di una vita. La ragazza si portò una mano fra i capelli, lasciandosi scivolare con la spalla addosso alla parete e chiudendo gli occhi.
«Quindi.. Quindi finisce qui?» Il ragazzo fece schioccare la lingua sul palato, sospirando.
«Non volevo finisse così.» Charlotte sorrise. Era sincero, lo sapeva, ed era proprio per questo motivo che lo amava alla follia.
«Neanche io.» La voce le si ruppe neanche alla seconda sillaba, obbligandola a portarsi una mano alla bocca per evitare che qualche singhiozzo le sfuggisse.
«Charlie io..»
«Buona fortuna, Harry.» Charlotte sputò quella frase consapevole che sarebbe stata l’ultima. Sapeva che ormai la situazione era del tutto irreparabile, ed in quel momento l’unica cosa che sentiva il bisogno di fare era concludere la conversazione e piangere, da sola. Dall’altra parte del telefono si sentì un ennesimo sospiro di sconforto, seguito da un tonfo. Charlotte non seppe mai che quel suono coincideva con quello di uno stereo scaraventato a terra.
«Anche a te, Charlotte.» La ragazza premette il bottone rosso per concludere la chiamata e soffocò un grido fra le ginocchia, scoppiando a piangere. Strinse il cellulare con una mano, sperando di farlo diventare cenere e di eliminare quell’orribile chiamata. Se non avesse risposto a quella maledetta telefonata lui non l’avrebbe lasciata. Sbatté un piede sullo scalino, soffocando un altro urlo di rabbia e disperazione tra i singhiozzi. Il telefono squillò un'altra volta, vibrandole in mezzo le dita. Schiuse leggermente la stretta per poter intravedere lo schermo che lampeggiava. Sofia.
«Ma sei caduta dentro il cesso, cazzo?!» L’amica sbraitò, spazientita. Charlotte rimase a fissare il telefono fra le mani, non riuscendo nemmeno a piegare il braccio per avvicinarlo all’orecchio.
«Sofia.. Lo hanno fatto rientrare, mi ha appena chiamato. Mi ha lasciato.» Sussurrò la frase tenendo il telefono a distanza. Non riuscì ben a capire come Sofia riuscì a sentirla vista la lontananza del cellulare dalla sua bocca ma, cambiando subito tono, le rispose.

«Sto arrivando.»

 
 

I don't want to hear your voice,
I don't want to see your face,
I don't want to have no choice,
In my mind, I want no haze.
Parliament - Let me be


Charlotte inclinò la testa da un lato, socchiudendo le palpebre. Non le erano mai piaciute le anatre, con quel loro dannato becco piatto sempre pronte a morderti non appena tentavi di rifilargli qualcosa da mangiare al parco, e non le piacevano tantomeno in quel momento, quando ne aveva una sopra il tavolo della cucina. Morta, sventrata e cotta al forno dalla madre di Sofia, con un paio di fresche fette d'arancia disposte dove un tempo avrebbe dovuto esserci stata la testa, o magari la coda.
Charlotte aggrottò la fronte, iniziando a grattarsi una tempia perplessa.
«Sai che cosa voglio?» Sofia alzò la gamba sopra il bracciolo del divano e la tese a fatica, stiracchiandosi. Aveva passato l'intero pomeriggio spaparanzata davanti ad Mtv e, anche se era quasi ora di cena, non aveva la benché minima voglia di alzarsi. L'amica, stazionata in cucina, non staccò lo sguardo dalla loro potenziale cena, fissando con sfida la teglia argentata che conteneva il cadavere dell'animale.
«No, ma io voglio sapere come accidenti scaldare questo uccello. In microonde non ci entra.»
«Mettilo nel forno.»
«Non lo so usare, sinceramente.» Sofia sbuffò, dondolando la gamba a penzoloni fuori dal divano. Quell'ignoranza era plausibile, da quando si erano trasferite insieme in quell'appartamento ad Holmes Chapel nessuna di loro due aveva ancora avuto occasione di utilizzare il forno.
«Voglio le tette di Katy Perry, mi spettano di diritto.» Charlotte lasciò perdere i vaneggi della coinquilina e si concentrò sul forno, posizionato sotto i fornelli. Tirò e spinse a vuoto un paio di volte prima di riuscire a capire come aprirlo, ma dopo aver spalancato lo sportello infilò l'anatra nello scomparto centrale, togliendo la carta stagnola che era rimasta sui manici della teglia.
«Quella taglia dovrebbe essere mia non sua. Non riesco proprio a capire come posso essere nata senza il gene delle tette grosse in una famiglia di tettone. Noi colombiane dobbiamo avere curve, è nel nostro DNA!» Charlotte premette il pulsante che le sembrava il più grande sulla cornice sopra il display, supponendo fosse quello d'accensione.
«Ti ricordo che sei nata in questa città, non in Colombia. E questo fa di te un'inglese.» L'interno del forno si illuminò, facendo scintillare la polpa dell'anatra nel tegame, così come il display che attirò l'attenzione della ragazza.
«Io inglese? Tesoro, questo colore di pelle non è di certo made in England.» Sofia drizzò il busto e si sbatté il palmo della mano contro il petto fieramente. Accorgendosi che Charlie le stava dando le spalle si allungò verso la cucina, e scorse l'amica sbattere i polpastrelli nervosamente contro lo schermo a cristalli liquidi del forno.
«Cosa fai?»
«Secondo te? Sto cercando di far funzionare quest'affare.» Sofia si alzò finalmente dal suo adorato divano e andò in soccorso all'amica, impostando la temperatura di cottura con un paio di click.
«Duecento gradi? Come fai a saperlo?»
«Boh, di solito le torte si cucinano a duecento se non ricordo male.» Sofia scrollò le spalle, ritornandosene di fronte alla tv.
«Quella è un'anatra, non una torta.»
«Senti, al massimo esplode. Tu tieni d'occhio l'orologio e conta dieci minuti da adesso, dopo mi arrangio io.» Charlotte fece una smorfia, dubbiosa su quell'improvviso talento culinario dell'amica, e si sedette sopra il tavolo iniziando a fissare l'ora sul cellulare. Intanto in soggiorno, senza che Sofia se ne rendesse conto, il video della canzone di Katy Perry finì e si ritrovò un viso fin troppo famigliare sullo schermo. Si rizzò in piedi come una molla, sbarrò gli occhi e iniziò a cercare il telecomando sul divano. Prese a far volare i cuscini per tutta la stanza, mentre Charlotte appena sentì la voce di uno dei solisti iniziare a cantare si irrigidì, voltando lentamente la testa verso lo schermo della televisione.
Girl I see it in your eyes you're disappointed, cause I'm the foolish one that you anointed with your heart, I tore it apart.
Sofia masticò una parolaccia fra i denti, gettando con una manata un cumulo di riviste di moda a terra, sgombrando il tavolino da tè posizionato fra il sofà e il televisore.
.. And girl what a mess I made upon you innocence, and no woman in the world deserves this, but here I am, asking you..
Si voltò di nuovo verso il divano e, spostando la coperta in pail, vide il telecomando a terra.
.. For one more chan..
Lo schermo si spense, facendo calare il silenzio nell'appartamento. Sofia si girò verso Charlotte, e si accorse delle labbra serrate in una linea dura, con lo sguardo fisso ancora sulla televisione.
«Charlie?»
«Si, sto bene.» Charlotte si diede una scrollata di spalle e si rigirò a guardare lo sportello illuminato del forno, concentrandosi sulla pelle dorata dell'anatra.
«Senti..»
«La polpa sta diventando più scura, vieni a controllare.» Sofia annuì senza ribattere e la raggiunse alla sua destra. Quello era il loro metodo per mettere un limite al discorso, sviarlo e rimandare la discussione ad un altro momento, o anche a mai più. L'amica conosceva fin troppo bene Charlotte, il suo modo di pensare e agire, e in particolare sapeva quali erano le sue reazioni ad ogni azione. E se quell'azione si chiamava Harry Styles, la reazione era soltanto pura indifferenza.








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Ecco il primo capitolo! Un bel po' in ritardo, lo ammetto, ma ho le mie ragioni. La sottoscritta, furba come una volpe, si è beccata un bel virus sul fisso scaricando qualche album da Torrent e.. Puff, si rifiuta di accendersi. Ora riesco a connettermi grazie al MacBook di mia madre, ma devo ammettere che è scomodissimo postare con questo computer. Adesso devo solo aspettare di avere notizie del pc malato, e intanto vi lascio questo capitolo scritto in fretta e furia. Fa schifo, ma amen, dovevo per forza postare. Ringrazio tutti quelli che hanno inserito la storia nelle ricordate/preferite/seguite. Davvero, grazie. E in particolare coloro che hanno avuto il fegato di recensire! Giuro che appena ho tempo lascio la risposta ad ognuna di quelle che hanno recensito, ma per adesso.. Vi ringrazio infinitamente. Siete adorabili.


Geo.
  
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