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Autore: Arrow    12/07/2012    5 recensioni
Steve Rogers era un giovane tutto d’un pezzo: preciso, ordinato, minuzioso, calcolato e ben educato. Non riusciva proprio a sopportare il sorrisino imbarazzato che spuntava sulla sua faccia quando le ragazze dell’ufficio parlavano con lui, evidentemente attratte da quel suo lato ingenuo e da cucciolo, ma soprattutto non digeriva il fatto che si facesse calpestare dai suoi superiori senza dire una parola.
Lui, invece, era il suo esatto contrario. Tony Stark non si faceva mettere i piedi in testa tanto facilmente. Era egoista, spaccone, esibizionista e profondamente convinto del suo sex-appeal. Riusciva a rispondere a tono a qualsiasi provocazione e non mancava mai di mandare a farsi fottere i suoi superiori; che – a dir la verità – erano ben pochi.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Man like me.

- chapter two -

 

 

Erano parecchie notti che non dormiva bene. Aveva il sonno tormentato da quando non era riuscito più a tenere la bocca chiusa di fronte al Signor Stark.

Le sue stesse parole gli rimbombavano in testa come un mantra che gli trapanava il cervello ogni notte e – sicuramente – la faccia sorpresa e interdetta del suo superiore non lo aiutava.

“Sei un idiota. Adesso penserà davvero che sei psicolabile!” si era insultato non appena aveva svoltato l’angolo che lo avrebbe portato al suo piano; tutte le sicurezze dimostrate poco prima crollate a picco.

Steve si era sempre sentito insignificante ed inadeguato per tutta la vita. Cercando di far capire al mondo, ma soprattutto a sé stesso, che anche lui valeva qualcosa, aveva dato il meglio di sé negli studi, non essendo un vero asso negli sport a causa del suo fisico gracile, ed era riuscito a diplomarsi col massimo dei voti.

Ciò non era andato a genio ai suoi compagni di scuola, che oltre ad avergli reso la vita impossibile durante il liceo, tentarono di “liberare il mondo da un rifiuto.”

Una sera mentre stava tornando a casa da solo, sette ragazzi lo picchiarono a sangue. Lo pestarono fino a quando essi stessi non ebbero più forze in corpo.

Quando lo abbandonarono lì, sul marciapiede, credevano di essere riusciti nel loro intento, ma non era così. Steve, pur non essendosi difeso, aveva lottato contro la morte a denti stretti, ripetendo dentro sé: “Tutti devono vedermi fare grandi cose. Non sono inutile e non mollerò proprio ora!”

Fu un miracolo che sopravvisse, ma ancor di più il fatto che – dati i danni subiti – non fosse caduto in un coma irreversibile. Contro ogni aspettativa, il ragazzo si risvegliò subito dopo le due operazioni consecutive e riprese a muoversi tramite la fisioterapia solo tre settimane dopo. Recuperò le sue normali funzioni vitali pochissimo tempo dopo e quando finalmente compì vent’anni, prese l’importante decisione di andare a vivere da solo.

I suoi genitori gli consigliarono caldamente di iscriversi all’università anche se ormai era fuori tempo. Steve rifiutò spiegando loro che prima di ogni altra cosa doveva rendersi in grado di affrontare la vita.

Prese lezioni di qualsiasi tipo di arte meditativa orientale ed una volta diplomatosi in un paio di quelle, si diede alla box che fu per lui la più grande salvezza. Frequentò per lunghi periodi anche una normale palestra per potenziare la sua massa muscolare e compiuti ventiquattro anni divenne ciò che tutt’ora è.

Quando finalmente decise di riprendere gli studi, ciò gli fu negato a causa dei problemi economici della sua famiglia e di nuovo sprofondato nella più totale depressione, decise di trovarsi un lavoro in un qualche giornale.

Un giorno inviò il suo curriculum scolastico’’ anche ad un giornale locale molto importante, soltanto per illudersi che lo avrebbero almeno letto, ma sorprendentemente una settimana dopo fu convocato e lo fecero iniziare il giorno successivo.

Purtroppo il povero Steve non aveva considerato l’impatto che le persone di un giornale importante avrebbe potuto avere su di lui. Il risultato fu che ricominciò a ritenersi inferiore – anche perché era semplicemente un apprendista – e tornò, suo malgrado a sentirsi piccolo e insignificante.

Una mattina di agosto, all’incirca verso l’ora d’inizio della pausa pranzo, aveva notato su di sé uno sguardo. Proveniva da una scrivania non molto distante dalla sua, ma di una zona dove si concentravano i critici o giornalisti importanti e di una certa fama.

Inizialmente pensò di essere paranoico, ma dopo aver ricontrollato diverse volte e aver sempre scoperto quegli occhi indagatori su di sé; capì che quell’uomo lo stava davvero osservando. Non ebbe il coraggio di informarsi su di lui poiché tutti lo trattavano non esattamente bene; mai un saluto, una gentilezza, una richiesta. Solo ordini, più o meno assurdi da eseguire all’istante.

Solo in seguito si rese conto che quello sguardo non era critico, ma semplicemente indagatore.

Il Signor Tony Stark era l’unico in tutto l’ufficio che, coi suoi occhi puntati addosso, non lo guardavano dall’alto in basso, ma con quella che Steve si arrischiò a definire come curiosità.

 

*

 

Erano sei mesi e mezzo che lavorava lì, ma non era ancora riuscito a capire la vera utilità del suo lavoro. Doveva semplicemente decidere l’impostazione degli articoli di coda sulle pagine e correggere eventuali errori di battitura. Steve credeva fosse la mansione più noiosa che avesse mai svolto in vita sua, ma almeno gli assicurava uno stipendio – anche se misero – e così non rischiava di commettere errori di cui si sarebbe poi pentito, data la facilità del suo compito.

Chiuse la telefonata e lo sguardo gli cadde sulla penna nera che aveva scelto tra quelle prestategli dal Signor Stark. Prima di quella ne aveva provate quattro e nessuna aveva funzionato, ma nonostante ciò non aveva avuto il coraggio di buttarle via, data la loro funzione di arredo per la scrivania del suo superiore.

Sentiva di dovergliele restituire prima o poi, ma era raro riuscire a trovare il momento giusto per parlare a Stark, e quando si presentava l’occasione lui si tirava sempre indietro, frenato da una qualche forza a lui sconosciuta.

« Ehi, Steve. »

Stentò a trattenersi dal tapparsi le orecchie tanto fu forte il rimbombo che sentì all’interno di queste. Fece ruotare la sedia e vide Tony lì, proprio rivolto a lui.

« Sì, Signor Stark?! » si alzò di scatto, agitato, preso alla sprovvista.

Sembra proprio un soldatino. Pensò Tony.

« Ti va di bere qualcosa insieme quando finiamo qui? Barton mi ha abbandonato e non mi va di passare il venerdì sera in casa. »

« Eh? » gli uscì senza che volesse.

« Mi hai sentito. » faccia scettica.

Sì, aveva sentito, ma « Cosa? » non ci credeva. Non poteva essere vero.

Sbuffo esasperato « Ok, come non detto. Se ti suona così assurdo, all- »

« Perché proprio io, Signore? » potette finalmente formulare una domanda decente.

Tony parve riflettere sulla risposta da dare « Semplicemente perché ho bevuto un bicchierino con tutti in questo piano e l’unico che rimane sei tu. » chiaro e diretto.

Si aspettava un qualcosa di diverso, - ma perché? – però non si lamentò e acconsentì.

Il tempo dal momento della gentile proposta sino all’orario di rincaso era passato decisamente troppo velocemente per Steve. Troppo velocemente per far sì che la sua preparazione psicologica potesse giungere al termine.

Una cosa – pensò nervosissimo – era trovarsi in un ufficio pieno di persone che lo mettevano in soggezione, un’altra era confrontarsi faccia a faccia con una persona con cui aveva iniziato a dialogare solo ultimamente e a cui aveva confessato suoi strani pensieri, con in corpo la fluidità di un legnetto.

Percorsero il tragitto dall’ufficio al locale a piedi e durante la breve passeggiata nessuno dei due proferì parola. Steve si riparò la bocca sotto l’enorme sciarpona di lana che lui stesso aveva provato a fabbricare, mentre Tony aveva le labbra occupate da una sigaretta. Il biondo si chiese come facesse a non avere freddo e aveva anche considerato l’idea di rompere il silenzio proprio con quella domanda, ma immaginandosi la scena sentì le guance avvampare e rinunciò dandosi del cretino.

Era convinto che avrebbe – prima o poi – scambiato di nuove due parole col Signor Stark, ma mai si sarebbe immaginato una situazione del genere.

Camminava quasi con difficoltà; sentiva i piedi pesanti e i muscoli dei polpacci tirarsi esageratamente ad ogni movimento. Per un attimo gli sfuggì dalle labbra un leggero ghigno di dolore che però venne attutito dal tessuto lanoso con cui erano coperte.

Quando finalmente si decise ad alzare lo sguardo, Tony s’era fermato pochi passi avanti a lui e lo osservava.

« Eccoci. » disse e a Steve la sua voce sembrò diversa. Annuì sorridendo lievemente e varcando l’uscio dopo il maggiore.

Entrando un calore quasi soffocante lo pervase all’improvviso tanto che dovette levarsi sciarpa e giaccone in fretta. Odiava gli sbalzi di temperatura; riuscivano sempre a fargli beccare il raffreddore e non poteva di certo permettersi di stare male.

« Che ti è preso? » chiese Tony, avendo assistito alla scena di Steve che correva ad un tavolo, si sedeva, quasi si strozzava con le sue stesse mani e poi si liberava del cappotto in un nanosecondo.

« Caldo. » rispose piegando alla ben’e meglio la sciarpa, mentre l’altro annuiva e chiamava un cameriere.

« Due vodke lisce, grazie. »

Steve strabuzzò gli occhi e si sporse leggermente in avanti, appoggiandosi al tavolino in legno scuro. « C-Come? » dire che era shockato sarebbe suonata come una riduzione del concetto.

« Non bevi? » suonava più come un “Che diavolo sei venuto a fare qui con me se non bevi?”

« No, non è questo » come riusciva ad intrattenere quella conversazione proprio non lo sapeva « Bevo, ma non reggo granchè. Specialmente se il cocktail è liscio. »

L’uomo davanti a lui assunse una postura strana, cercando di raggiungere qualcosa che evidentemente era finito in fondo ad una delle tasche dei suoi pantaloni e una volta trovato ciò che cercava, lo aprì spianandolo sul tavolo.

« Ora ti spiego dov’è casa mia. » disse puntando il dito sulla mappa.

Di stranezze ne aveva sentite e viste parecchie in vita sua, ma quella – diamine! – le batteva decisamente tutte.

« Perché, Signor Stark? » aveva quasi paura di sapere la risposta.

Tony alzò una mano di fronte al viso di Steve per non farlo continuare oltre.

« Steve, due cose. Uno: smettila di darmi del Lei, dato che io non l’ho mai utilizzato con te. »

« Non credo di poterci riusc- »

« Ah-ah! Fammi finire. » chiuse gli occhi per poi riaprirli subito dopo « Due: adesso ti spiegherò come arrivare a casa mia, perché è probabile – per non dire praticamente sicuro – che a fine serata non sarò più cosciente di me, quindi dovrai in un qualche modo riaccompagnarmi o guidarmi. »

Ora capiva perché a differenza degli altri giorni, il Signor Stark non aveva preso la macchina per arrivare a lavoro, ma ciò non giustificava la stranezza di tutta quella questione.

« Non credo sia necessario. Conosco già il suo indirizzo. »

Questa volta fu Tony a sorprendersi.

Steve sventolò le mani in aria, prima che l’uomo potesse formulare qualsiasi pensiero. « E’ che ogni mattina passo davanti alla bacheca del piano e sin da quando era piccolo ho sempre avuto una grande memoria per gli indirizzi e pur avendo letto il suo solo una volta di sfuggita, riesco a ricordarmi dove abita, Signore. »

Appena terminò la frase, arrivò al loro tavolo una giovane e avvenente cameriera che portò loro le due vodke.

« Mille grazie, dolcezza. » sorrise il maggiore, mentre Steve, da quando aveva intravisto la ragazza avvicinarsi, aveva abbassato gli occhi sulle sue ginocchia. Quando il suo superiore aveva parlato alla giovane, si era sentito dannatamente fuori posto.

Si chiedeva se il Signor Stark avesse una qualche relazione, ma a primo impatto sembrava decisamente il classico tipo “niente legami, tutto divertimento”.

Aveva notato dei flirt tra lui e la Signorina Pepper e la sua mente l’aveva portato ad immaginare i due in una situazione compromettente, ma ancora prima di riuscire a focalizzare bene quei pensieri, li aveva bloccati dandosi una botta in testa.

« Lo sai? Adesso che ci faccio caso sei davvero robusto, Steve. » sovvenne Tony, intento ad accendersi un sigaro.

« E’ che vado in palestra assiduamente. » il giovane iniziò, sotto il tavolo, a strofinarsi le mani con fare agitato. Ad ogni domanda dell’altro si pizzicava la pelle del polso per evitare che la sua voce uscisse col minimo tremolio.

« Davvero? Non sembri il tipo. »

« Sì, me lo dicono tutti. » Nonostante si fosse liberato di sciarpa e giaccone, stava morendo di caldo. Si allentò nervosamente il colletto della camicia, cercando di non sembrare sospetto.

« Non sono ancora riuscito del tutto a capire il significato delle tue parole. »

Era ufficiale: Steve, pur essendo una persona particolarmente sensibile e conoscitore dell’animo umano, non riusciva a comprendere cosa passasse per la testa dell’uomo di fronte a lui.

Sentendo gli occhi di Stark, in evidente ricerca di risposte, su di sé, si costrinse ad alzarli lui stesso.

« Nessuno riesce ad afferrarmi davvero, ma mi è parso che lei ci riuscisse e così ho esternato tutto. Sono davvero spiacente. »

« Incredibile. »

« Che cosa? »

« Ponendoti le giuste domande, si riesce a farti parlare senza che tu ti senta in dovere di sprofondare sotto terra. »

Ciò gli fece capire che non si era sbagliato. Il Signor Stark aveva davvero compreso la sua personalità.

Gli scappò un sorriso che proprio non fu capace di trattenere.

« Comunque, bando alle ciance! » disse, sollevando la sua vodka. « Alla tua, Steve! »

« Alla sua, Signor Stark! » bevve appena un sorso, mentre subito dopo si ritrovò ad osservare sbalordito Tony che si scolava l’alcolico tutto d’un colpo.

 

*

 

« Se lo lasci dire, Signor Stark: lei è peggio di una spugna. » cercò di moderare il tono lamentoso, ma lanciando un’occhiatina di sbieco all’uomo che stava cercando di sorreggere, si disse che il cervello dell’altro non avrebbe fatto caso a quei dettagli; così pensò bene di lasciarsi un po’ andare.

Erano dieci buoni minuti che camminavano sulla stessa strada e non avevano mai svoltato nemmeno un angolo. Ogni quattro passi, infatti, Steve doveva fermarsi per evitare che il Signor Stark vomitasse anche l’anima.

Per essere venerdì sera, quel tratto di via era stranamente silenzioso, ma a compensare quell’insolito vuoto, c’era Tony che si esibiva, di quando in quando, in risatine più o meno rumorose che facevano sperare Steve di raggiungere casa sua il prima possibile.

Quando l’uomo sembrò essersi calmato, a circa quindici minuti dalla loro partenza dal locale, Steve si accorse dell’eccessiva vicinanza dei loro volti e non potette trattenersi dal trasalire lievemente.

Si voltò appena verso l’altro e si ritrovò il suo viso corrucciato e stravolto a due centimetri dalla faccia e non gli riuscì di non pensare che nonostante tutto Stark mantenesse quell’aria affascinante e sopra le righe che lo caratterizzava anche quando era sobrio. Solo in quel momento il suo corpo metabolizzò che i loro fianchi aderivano, che il braccio dell’uomo gli sfiorava delicatamente il collo e che il polso con cui lo tratteneva era dannatamente caldo e la sua pelle assurdamente liscia.

« Lo sai, Steve? » il biondo trattenne una risatina, che non seppe definire se nervosa o reale. « Sei davvero immenso! » constatò quasi con disappunto Tony. « Voglio dire… hai delle spalle enormi! Il mio braccio non arriva nemmeno a toccarti l’altra clavicola! » sembrava offeso, era quasi tenero; ma il giovane non notò quel dettaglio, troppo agitato al pensiero di dove quella discussione sarebbe potuta andare a parare.

Dopo quella sconcertante scoperta, Tony si rannicchiò un po’ sulle gambe e solo dopo aver grugnito qualcosa che Steve non comprese a bassa voce, si diede un piccolo slancio e riuscì ad afferrare la spalla sinistra del giovane. Contrariamente alle sue condizioni, trattenne con forza l’arto dell’altro al quale si smorzò il respiro. Dovette fermarsi, sia perché preso alla sprovvista per quel gesto, sia per il gesto in sé.

« S-Signor Stark, cosa fa? » chiese titubante, non riuscendo ancora a riprendere i suoi passi.

« Visto? Adesso ti ho in pugno! » rise infantilmente e cominciò a contemplare il cielo, lasciando ricadere la testa sulla sua spalla sinistra.

 

*

 

Quando Steve aveva avvistato quella che doveva essere la casa del Signor Stark, non si era soffermato ad osservare che era la villa più grande che avesse mai visto in vita sua, ma piuttosto cominciò a pensare ad un modo per raggiungere le chiavi, che si trovavano praticamente appiccicate al sedere dell’uomo che sorreggeva, senza che il suo cuore si fermasse per la troppa vergogna.

Il biondo ringraziò il cielo che almeno il cancelletto d’ingresso fosse aperto, e dopo aver attraversato il vialetto, fece sedere delicatamente Tony sui gradini dinnanzi la porta.

Avrebbe voluto mettersi le mani tra i capelli e urlare fino a che la sua frustrazione non se ne fosse andata via, ma mantenne la calma e cercò di ragionare lucidamente. « Allora… » si guardò intorno, cercando conforto in qualcosa che non trovò.

Si avvicinò piano al Signor Stark, che ora stava appoggiato alla colonna del porticato, come addormentato. « Signor Stark… mi deve aiutare. » sussurrò.

Quella faccenda aveva dell’incredibile. Lui era davvero lì; sulla soglia di casa Stark, con il suo superiore ubriaco fradicio a pochissima distanza e non sapeva nemmeno vagamente a cosa pensare. Si sentiva strano, come se stesse vivendo tutto dall’esterno, ma – tralasciando l’ansia sempre presente – poteva affermare di stare bene. Percepiva una sottospecie di benessere nel profondo dell’animo; un benessere che non seppe spiegarsi in nessun modo. Dopo tanto tempo pensò che forse… quello era il suo post-

« A fare cosa? » rispose senza aprire gli occhi, scatenando un sospiro di sollievo in Steve.

« Mi servono le sue chiavi. » tentò.

« Oh sì. » annuì convinto, ma contrariamente alle aspettative del suo interlocutore, si sistemò meglio contro la colonna e riprese a riposare.

Per la miseria! Pensò Steve. E ora?

Non potevano di certo passare la notte lì all’aperto. Non era tanto per lui, ma per Tony. Doveva assolutamente riposare in un letto caldo altrimenti avrebbe risentito dei postumi della sbronza per almeno due giorni!

« Tieni. » la voce stanca dell’altro lo fece sussultare e quando vide il mazzo di chiavi penzolare davanti ai suoi occhi pensò solamente – Grazie! - e a come l’uomo fosse stato silenzioso nel tirarle fuori.

Gli servì un minuto per trovare la chiave giusta, ma una volta aperta la porta, il gioco fu fatto. Tornò dall’uomo e provò a farlo alzare, ma sfortunatamente questi s’era addormentato profondamente. Steve restò calmo e senza troppe esitazioni si caricò tra le braccia il Signor Stark e vagò un po’ per quell’immensa casa in cerca della sua stanza e quando si trovò di fronte ad un enorme cartello con scritto “Mr.Stark says –Keep out!-“ capì di essere giunto a destinazione e non riuscì a trattenere il pensiero che quel lato “infantile” del suo superiore fosse decisamente dolce.

Trovò non poche difficoltà ad aprire la porta, ma non appena vi riuscì cercò di essere il più delicato possibile e – oltrepassata gran parte della stanza – appoggiò lentamente Stark sulla superficie morbida del letto.

A contatto con questa l’uomo mugugnò soddisfatto e si sistemò meglio, rannicchiandosi come un gatto.

A Steve scappò un sorriso e nel profondo crebbe in lui un desiderio, che non esitò ad accontentare…

Non lo saprà nessuno. Si disse, anche se il cuore gli palpitava talmente tanto che temeva che gli avrebbe fracassato il petto e sarebbe fuggito.

Si sedette delicatamente sul bordo del letto e affondò placidamente le dita tra le ciocche – che scoprì essere morbidissime – del signor Stark, che inizialmente non se ne accorse, ma – quando l’altro aveva iniziato a muovere la mano – assecondò con piccoli movimenti il tocco di Steve, che perse un battito quando si accorse che Tony sorrideva nel sonno.

E fu un attimo… decise di abbandonare ogni insicurezza. Al diavolo i ripensamenti, al diavolo la paura!

Il più silenziosamente possibile fece il giro del letto e si accucciò parecchio distante dal moro, ma non così lontano da non sentire il suo caldo respiro.

Solo… solo per un momento, io… ne ho bisogno.

Era davvero pessimo, ma non poteva che arrendersi di fronte alla pura realtà: Tony Stark lo faceva sentire al sicuro, seppur non riuscisse minimamente a comprendere cosa gli passasse per la mente. Aveva bisogno di lui. Anche il solo osservarlo lo rendeva felice e non sapeva trovare una spiegazione.

« Buonanotte Tony. » sussurrò e le palpebre calarono contro la sua volontà sui suoi occhi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Sì, scusate la lunga attesa, non ho scusanti. Però, a mia discolpa - se può servire -, vi informo che sono abbastanza avanti col terzo capitolo e appena lo concluderò (questione di un paio di giorni, spero), passerò subito al quarto, così avrò di nuovo vantaggio e potrò pubblicare decisamente prima rispetto a stavolta. Comunque, ecco qua il punto di vista di Steve. Spero che il capitolo vi sia piaciuto. A presto col prossimo. See ya ~ ♥

   
 
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