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Autore: SilverKiria    19/07/2012    3 recensioni
Questa storia parte dallo spunto di J.K.Rowling stessa, la quale aveva affermato di aver scritto originariamente un epilogo con Dudley che accompagnava il figlio mago all'Espresso per Hogwarts.
Successivamente ha cancellato l'idea, poiché riteneva impossibile che il sangue di Vernon possedesse un qualcosa di magico. Questa è la mia storia degli eventi, se ciò fosse accaduto.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dudley Dursley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Arrivato davanti alla porta mi bloccai, pensando cosa potergli dire.
Sentii delle voci attraverso la buca delle lettere che, dopo che Thomas tentò di infilarci dentro la mano per vedere se riusciva ad aprire la porta pur restando fuori, era rotta.
-     Affascinante, questi babbani! Hanno anche trovato un modo per irrigare l’acqua senza un incantesimo AcquaLunga! –
Un’altra voce gli rispose: - Papà, stai buono. Non dobbiamo dare nell’occhio! –
-     Giusto, giusto Ron. Harry, sicuro che ci abbiano sentito? –
Qualcuno suonò il campanello.
-     Che interessante! Così il rumore avverte che qualcuno attende fuori, che ingegnosi! –
-     Papà!-
Tirai un lungo sospiro ed aprii la porta.
Davanti a me si stagliarono tre figure: un uomo sulla settantina, dai capelli arancioni sbiaditi dal bianco della vecchiaia, continuava a premere il pulsante del campanello, estasiato. Un uomo sulla trentina, probabilmente suo figlio, dati i capelli rossi brillanti lo intimava di tranquillizzarsi e poi lui.
Erano passati due anni, ma non era cambiato di una virgola.
Alto, capelli neri e sempre arruffati, occhi verde smeraldo, occhiali rotondi.
Sembrava una persona totalmente nel comune, nonostante avessi davanti un mago. Anche tra i maghi era riconosciuto, a causa di quella cicatrice a forma di saetta, ormai sbiadita dal tempo, ma comunque visibile.
Mi sorrise e disse: - Ciao, cugino.-
Ero in evidente stato catatonico, così entrò da solo, fece cenno ai due di seguirlo e chiuse la porta.
-     Ehm, loro mi hanno seguito, spero non ti dia fastidio. –
Scossi la testa.
-     Ti presento Ronald Weasley, il mio migliore amico nonché mio cognato –
-     Piacere –
Il rosso più giovane mi allungò la mano, che io strinsi con poca convinzione.
-     E lui è…-
-     E’ un vero piacere fare la sua conoscenza. Mi chiamo Arthur Weasley! Le porgo i miei più sentiti complimenti, avete una casa così perfettamente babbana! Wow! Interessante!-
Andò verso il televisore e si divertì a cambiare i canali, sempre più curioso e felice.
-     Scusa. E’ mio padre, adora voi B…gente comune –
Ci fu un momento di silenzio, nel quale l’unico rumore udibile fu il signor Weasley che osservava attentamente come un televenditore esponeva un servizio di pentole a pressione.
-     Ma lui ci può vedere? –
-     No signor Weasley.- rispose Harry, tra il divertito e il serio.
-     Ehm…sarà meglio che io lo controlli.-
E così facendo Ron entrò nel salotto e chiuse la porta.
-     Scusa, erano a casa mia e il signor Weasley ha insistito tanto per venire.-
-     Piacere, io sono Lily Luna Potter –
Mi ripresi dal mio stato di torpore e cercai la sorgente di questa voce.
Dietro ad Harry una bambina di circa dieci anni mi guardava seria.
-     Ehm… ciao. Io sono Dudley Dursley, sono il cugino di tuo papà.-
Aveva un vestito lilla con ballerine dello stesso colore. I capelli rosso fuoco erano legati in due codini che le arrivavano a circa metà schiena.
Sorrise.
-     Papà ha ragione. Tu non sei cattivo.-
Arrossii.
-     Ehm… Thomas è di qua.-
Li accompagnai in cucina,  dove Violetta era seduta su una sedia e li guardava in un modo tra il curioso  e lo spaventato.
-     Ehm… questa è mia moglie, Violetta. Lui è Harry e lei è Lily, sua figlia -.
Violetta si alzò e, arrivata davanti ad Harry, gli strinse la mano, sorridendo.
-     Lily? Gli uomini devono parlare di cose da adulti. Che ne dici se ti presento mio figlio? E’ qui in giardino.-
Lily guardò il padre, che annuì sorridendo.
Quando ebbero varcato la porta sul retro calò il silenzio.
-     Come stai? – mi chiese Harry.
Recuperai la voce e dissi: - Bene, suppongo. Non so cosa fare. –
Con gli occhi a terra, aggiunsi: - So che non sono mai stato troppo gentile con te, ti ho fatto passare un’infanzia orribile e credimi di questo mi dispiace! Ti prego, ti prego! Tommy è il mio unico figlio, io gli voglio troppo bene e, beh, ora che è successo quel che è successo, io dovrò abbandonarlo? Beh, se è così, ti prego, accoglilo nella tua famiglia, crescilo come tuo figlio e non vendicarti di tutto quello che ti abbiamo fatto passare su di lui. Sei un ottimo padre, ne sono sicuro. Solo, fammelo vedere quanto più spesso possibile! –
Ora che avevo sputato tutto ciò che mi era aleggiato insistentemente in testa per tutta mattinata, mi sentivo vuoto.
Mi aspettai un:- Scordatelo! – o anche un – Certo. Ma non potrai mai più vederlo. –
Improvvisamente mi vennero le lacrime agli occhi. Tutto quello che mi sarei perso, come avrei potuto guardare Violetta di nuovo in faccia, dopo averle tolto l’unico figlio?
Mi aspettavo di tutto, ma non quello.
Harry scoppiò a ridere.
Alzai lo sguardo, incapace di comprendere.
-     Dudley, Dudley, calmati! –
Si prese qualche minuto per smettere di ridere e sentii il signor Weasley urlare: - Harry, Harry! C’è un clown? Ho sempre voluto vederne uno! –
Ron rispose: - Papà non c’è nessun clown! –
Riuscii a balbettare: - Ma… che vuoi dire?-
-     Sediamoci .-
Ci sedemmo a tavola, uno di fronte all’altro.
-     Dudley, a volte capita che figli di Babbani, di non-magici, nascano con poteri magici. Ciò ormai è la normalità, nel mondo magico. Non dovrai fare nulla di ciò che mi hai detto, non dovrai abbandonare Thomas! –
Ero confuso.
-     Ma… allora cosa? ….-
-     Prima di venire qui sono passato ad Hogwarts e ho preso la lettera per Thomas. Sapendo cosa hai già sopportato per oggi, un gufo in cucina non mi sembrava il caso. –
Mi porse una lettera giallognola, con l’intestatura in inchiostro verde smeraldo:
 
Thomas Dursley
Salotto
114 Rolling Park Avenue
Surrey
Non ci potevo credere.
-     Vedi? Quella è la lettera che conferma l’appartenenza alla comunità magica e, di conseguenza, la sua ammissione alla scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts; quella dove sono andato io.-
-     Ma… io non so come si arriva, dove comprare le cose. Come faremo? –
-     Rilassati Dudley. E’ tutto scritto lì. D’ora in poi i poteri di Thomas cresceranno sempre più e lì imparerà come tenerli sotto controllo evitando così di farci scoprire ai Babbani. Il primo Settembre verremo qui a prendervi e andremo insieme all’Espresso per Hogwarts. Per quanto riguarda le cose da comprare, dovrete venire con noi a Diagon Alley o, se tu non vuoi venire, posso portarci io Thomas. –
-     E… fino ad allora? Che…succederà a Tommy? –
-     Assolutamente nulla. Non gli cresceranno le squame, tranquillo –
Notando che la battuta non sortì l’effetto sperato, cambiò argomento.
-     Se vuoi, puoi andare avanti con la tua vita. Però credo che, per il bene di Thomas, sia importante che interagisca anche con la comunità magica. Per questo, potreste venirci a trovare, in modo che possa giocare coi miei figli e vedere come funziona il mondo magico. Con questo non intendo certo toglierlo dal Mondo dei Babbani, lui è parte di questo mondo, perché è parte di voi.-
Mi scesero delle lacrime che, nonostante i miei sforzi, non riuscii a ricacciare dentro.
-     Andrà tutto bene Dudley, te lo prometto.-
In quell’istante entrò Thomas tutto trafelato e esultò:- Papà, papà! Lily ha dei petardi che quando scoppiano formano dei leoni… e si muovono! –
Detto ciò, tornò in giardino.
-     Lily! Ti avevo detto di non portarli! Lo sai che Zio George non l’ha ancora sistemato! Stai att…-
Harry non poté continuare, poiché venne interrotto da un’esplosione proveniente dal giardino.
Corremmo fuori, dove trovammo una scena alquanto inusuale.
Lily e Thomas erano coperti da capo a piedi di polvere rossa e oro, Violetta invece teneva in mano uno di quei petardi esploso, che l’aveva ricoperta di polvere viola e verde.
Credevo sarebbe esplosa, invece mi sorprese: rise.
La risata doveva essere contagiosa, poiché ci mettemmo tutti a ridere.
Dal salotto ci raggiunsero anche Ron e Arthur che, non esclusi dalla malattia, scoppiarono a ridere.
La primavera e l’estate trascorse tranquillamente, facendo su e giù dal mondo magico a quello babbano.
Ormai eravamo tre giorni su sette a casa Potter, dove Thomas giocava felice con i suoi cugini su delle scope volanti a uno sport popolarissimo, il Quddatch… o Qhattich… ora non mi ricordo.
Comunque sia, Harry disse che aveva un talento come battitore e George gli insegnò tutti i trucchetti che lui e il defunto fratello avevano escogitato.
Violetta si inserì perfettamente in questa nuova realtà, diventando molto amica di Ginny ed Hermione, la moglie di Ron.
Più difficile fu inserire mia mamma e mio papà, che per giunta non mi parlarono per un mese, dopo che li dissi che stavo frequentando assiduamente Casa Potter.
Un mese fu però troppo per mamma, che irruppe un pomeriggio in casa mia, disperata, chiedendomi perdono.
Solo verso Agosto riuscirono a parlare con Harry, ma ancora nulla di più.
Ora dove sono?
Sto guardando un treno enorme e fiero, rosso vermiglio, in mezzo ad una crescente folla di adulti, sporti per salutare e abbracciare flotte di ragazzi e ragazze, fuori dai finestrini.
Violetta è accanto a me, in lacrime.
Harry, Ginny,  Ron ed Hermione stanno salutando poco più in là Albus e Rosie.
Quando ebbero finito, ci raggiunsero.
Scorsi il treno, attendendo.
Ed eccolo. Thomas era arrivato ad una finestra libera e mi porgeva la mano.
La strinsi con forza, con le lacrime agli occhi.
-     Papà! Papà! – doveva urlare per farsi udire nel frastuono.
-     Ti voglio bene! – gli urlai io in rimando.
Il treno fischiò. Erano le 11.01.
L’Espresso partì, aumentando gradualmente la velocità.
Tenni stretta quella mano finché potei, poi, col cuore che faceva male, la lasciai.
La mano di Thomas si vedeva ancora, poi meno, poi ancora meno, finché si perse nell’oscurità del tunnel.
Tornai indietro, abbracciai stretta Violetta, che era scossa da raffiche di pianto.
Mi guardai la mano, quella che fino a un minuto fa stringeva quella di Tommy.
Seppur non ci fosse altro che aria, sentii chiara la certezza che non se ne fosse andata.
 
 
  
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