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Autore: My Pride    22/07/2012    11 recensioni
Yo, ho, ho at the battle of bones, you sail the seven seas but you’re never getting home, well the sea answered back, “Old boy, where have you been?”
I’ve been waiting for a fight like this since time first began, so prepare yourself and get ready for your death ride, I’ll be taking you down to Davy Jones with your cargo and your pride.

«Temi tu la morte? Temi l'idea dell'oscuro abisso? Ogni tua azione scoperta, ogni tuo peccato punito? Io vi posso offrire una scelta: unitevi alla mia ciurma e proponete il giudizio finale. Cent'anni ancora sopra coperta. Vuoi arruolarti?»
Le leggende sono solo leggende. Leggenda o meno, però, ad attenderli fra le ombre c’era di sicuro qualcosa. Se lo sentiva sin dentro le viscere.
[ New World Arc ~ Spoiler dai capitoli 668 in poi ]
[ Terza classificata al contest «No words: multifandom contest» indetto da Audrey_24th ]
[ Prima classificata al contest «One Sentence» indetto da Reghina-chan e valutato da ZiaConnie ]
[ Prima classificata al contest «Don't be a drag, just be a Queen!» indetto da RoyMustungSeiUnoGnocco ]
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Mugiwara
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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SECOND SEASON › CROSSROADS
SEPARATE WAYS, #01
 
    La ciurma si era rimessa in viaggio da ormai svariate ore, ma non avevano ancora trovato nessuna traccia di Zoro, che sembrava essere letteralmente scomparso.
    Il vecchio che avevano incontrato in quella città abbandonata aveva indicato loro la direzione da seguire se avessero voluto arrivare nei pressi del villaggio attualmente abitato, e, secondo le sue informazioni, sarebbero dovuti giungere a destinazione in meno di mezza giornata, se avessero proseguito dritto senza lasciare il sentiero. Il problema, però, era che il sentiero era sparito non appena si erano addentrati maggiormente nel bosco, quasi fosse stato risucchiato dalla vegetazione. Dire che erano rimasti tutti perplessi sarebbe stato un eufemismo. E tuttora non riuscivano più a raccapezzarsi su quanto fosse successo, sebbene non avessero smesso di muoversi nemmeno per un attimo; avevano persino cominciato a chiamare Zoro a squarciagola, nella speranza che quest’ultimo li sentisse e seguisse poi le loro voci per trovarli, tornando almeno tutti uniti. Quel posto non sembrava una zona da valicare da soli, in particolar modo per la presenza di quelle strane creature che, per il momento e per fortuna, non erano ancora riusciti a vedere.
    Asciugandosi il sudore dalla fronte, Usopp si gettò un’occhiata intorno, stringendo furiosamente fra le dita il kabuto, come se fosse in attesa di vedersi comparire improvvisamente davanti qualche strano essere; la prudenza non era mai troppa, secondo lui, e in quel posto andava addirittura intensificata.
    I suoi occhi vagavano da una parte all’altra della vegetazione, tenendo conto anche del più piccolo dettaglio, come un ramo smosso dal vento o un lieve movimento fra l’erba alta, per quanto non avessero ancora visto neanche un segno di vita nel bosco in cui si erano ritrovati. Non un uccello, non un insetto - con grande sollievo di Sanji, c’era da dire -, né tanto meno qualche animale che sbucava curioso dalla propria tana per osservare quegli strani visitatori che vagavano senza meta. Era come se l’intera foresta fosse morta o ogni suo abitante fosse andato a nascondersi per non incontrare le creature che la popolavano, e Usopp, doveva ammetterlo, non dava torto a nessuno di loro. Si era allenato per ben due anni e aveva acquisito molto più coraggio di quanto non ne avesse avuto in passato, ma ai brutti presentimenti non si poteva mai dire di no. E se aveva cominciato a provare una strana sensazione, beh, allora voleva dire che non aveva tutti i torti.
    «Dobbiamo trovare Zoro», esalò d’un tratto e tutto d’un fiato, richiamando l’attenzione su di sé in un lampo. «Rischia di imbattersi nei mostri di cui ci ha parlato il vecchio».
    Sanji, che si trovava a pochi passi da lui, si ritrovò ad abbozzare un sorriso sarcastico e a dargli una gomitata giocosa al fianco, quasi volesse tirarlo su di morale. «Tranquillo, Usopp, tanto è così stupido che si scorderebbe di morire anche se lo ammazzassero».
    «Non sei per niente divertente, Sanji», rimbrottò il cecchino, facendolo sorridere maggiormente.
    «Io infatti ero serissimo».
    «Non è il momento di discutere, ragazzi», sbottò Nami. «Voglio uscire da questa stupida foresta il prima possibile», aggiunse, e non ebbe nemmeno l’agio di poter aggiungere qualcosa che gli occhi di Sanji parvero diventare letteralmente a cuore, prima che, come un perfetto cavaliere d’altri tempi, si chinasse su un ginocchio e le prendesse amabilmente una mano fra le sue.
    «Come desideri, Nami-swan~♥!» cinguettò poi, pendendo praticamente dalle sue labbra. La ragazza sbuffò e roteò gli occhi, liberandosi dalla sua presa prima di dargli le spalle e agitare distrattamente una mano in aria, borbottando un «Diamoci una mossa» mentre si accostava a Rufy, che non aveva fatto altro che guardarsi intorno con fare estasiato. Sembrava che stesse controllando i dintorni con la speranza di vedere apparire chissà quale bestia portentosa, e la cosa non pareva far per niente piacere a Nami, che avrebbe difatti preferito che la situazione rimanesse tranquilla come lo era in quell’esatto momento. Forse avrebbe potuto essere noioso, certo, ma almeno nessuno di loro si sarebbe ritrovato a dover rischiare la vita o chissà cosa. Un po’ di tranquillità potevano averla anche loro per una volta, no?
    Non fece nemmeno in tempo a terminare quel pensiero che, con la coda dell’occhio, scorse una strana figura che si aggirava fra gli alberi, e un tic nervoso si impossessò del suo occhio sinistro nel momento stesso in cui si rese conto che non era una sua impressione. A quanto sembrava non potevano avere un attimo di pace, nossignore. Un qualunque Dio, lassù - probabilmente Ener per vendicarsi della sconfitta che gli avevano inferto a Skypiea, ironizzò mentalmente per sdrammatizzare -, non voleva concedere loro nemmeno un secondo, e ne fu assolutamente sicura non appena l’ombra che aveva adocchiato passò proprio dinanzi a loro, volteggiando a mezz’aria con un manto scuro che, contro lo sfondo del bosco fitto e nebbioso, appariva quasi consistente, per quanto si riuscissero ad intravedere attraverso di esso gli alberi che si innalzavano verso il cielo. «Quello che ci è appena passato davanti non era un fantasma, vero?» domandò con voce stranamente pacata, come se ormai si fosse del tutto arresa a situazioni assurde come quella.
    Nel sentire quelle parole, però, fu Brook ad agitarsi, portandosi entrambe le braccia scheletriche al petto prima di spalancare la bocca ossuta. «Un fantasma?!» esclamò, e avrebbe di sicuro sgranato gli occhi se solo al loro posto non vi fossero ormai le cavità oculari vuote nascoste dagli occhiali da sole. «Che paura!»
    «Tu sei uno scheletro parlante! Come diavolo fai ad aver paura di un fantasma?!» berciò Nami, tentando di ignorare la risata a cui si era lasciato andare Rufy. Perché diamine doveva trovare tutto divertente, quello scemo d’un Capitano? Ah, giusto. In fin dei conti era pur sempre di Rufy che si stava parlando, e lui riusciva a trovare strepitoso anche una bambola che portava il the. C’era da dire, però, che il più delle volte la sua esuberanza, nelle situazioni di pericolo, riusciva in qualche modo a rassicurare la ciurma, dando loro la certezza che, ammaccati o meno che fossero, sarebbero comunque riusciti a cavarsela e ad uscire fuori da qualunque situazione. Non era forse anche per quel motivo che l’avevano seguito? Insieme a Rufy, tutti, nessuno escluso, si sentivano più al sicuro. Sapeva anche essere un Capitano molto maturo, quando voleva.
    «Oh!» esclamò all’improvviso quest’ultimo, risvegliando la navigatrice dai propri pensieri; lo vide correre verso una quercia gigantesca e puntellarsi sui calcagni, mostrando loro, una volta preso con entrambe le mani, quello che aveva tutta l’aria di essere una specie di copricapo. «Guardate qui, ragazzi!» soggiunse poi con un sorriso, sollevando maggiormente quell’oggetto per mostrar loro di cosa si trattasse. «Non è grandioso? Sembra uno squalo!»
    Tutti si ritrovarono a sgranare gli occhi, increduli e forse un po’ intimoriti, nel rendersi conto che il Capitano reggeva fra i palmi delle mani un teschio con tanto di cappello pirata. La testa era quasi il triplo di quella di Rufy, e gli zigomi alti, la fronte sporgente e l’arcata dentale aguzza, esattamente come quella che avrebbe potuto possedere uno squalo, davano tutta l’impressione che quel cranio appartenesse a qualcosa di molto simile ad un Uomo Pesce.
    «Metti giù quel coso, Rufy!» ordinò Nami, schifata dal millepiedi che era appena strisciato fuori dell’orbita vuota del teschio. E rabbrividì maggiormente nel vedere un ragno calarsi dal naso e camminare indisturbato sulle poche zanne rimaste, sparendo nuovamente nel cranio fra uno spazio tra gli incisivi.
    A quel fare il ragazzo scrollò semplicemente le spalle, poggiando il teschio a terra solo per sollevare qualcos’altro qualche attimo dopo. «Beh, qui c’è anche questo», le disse poi, e gli occhi di Nami, alla vista del medaglione completamente d’oro e dei diamanti ivi incastonati, si illuminarono seduta stante, tanto che la ragazza corse immediatamente ad abbracciarlo, gettandogli le braccia al collo e schiacciandogli il viso fra i seni.
    «Oh, Rufy, sei stato fantastico!» lo elogiò tutta contenta, ignorando il vago pianto che le era sembrato di udire in sottofondo - causato da un Brook o da un Sanji particolarmente disperato per non l’aver ricevuto lo stesso trattamento, con molta probabilità - solo per concentrarsi sulle parole soffocate che a stento riuscivano ad uscire dalle labbra del Capitano, che non sembrava per niente dispiaciuto dalla piega che avevano preso le cose, a quanto sembrava.
    Quel loro attimo di contentezza, però, durò relativamente poco, giacché non fecero nemmeno in tempo ad accorgersi dei fruscii provenienti dalla cappa di fogliame sopra di loro che si ritrovarono catturati in una rete metallica, dando voce alla loro perplessità con un’esclamazione sorpresa alla quale fece eco quella della ciurma. «Li abbiamo presi!» si sentì gridare, prima che dalle cime degli alberi calassero quelli che avevano tutta l’aria di essere Uomini Pesce, per quanto fossero piuttosto piccoli e minuti. Le branchie sul collo fremevano ogni qual volta il naso schiacciato, molto più simile a quello di uno squalo che ad una parte anatomica umana, sembrava annusare l’aria nei dintorni, inspirando a fondo l’ossigeno come se fosse acqua; le mani palmate di uno di loro corsero rapide verso la fune della rete nel tentativo di chiuderla, ma non fece in tempo a farlo che Cappello di Paglia si alzò con uno scatto secco, gettandola lontano da sé prima di aiutare Nami ad alzarsi in piedi e rivolgere a quei due una rapida occhiata.
    «E voi chi diavolo siete?» domandò, e quello più vicino a Rufy, imprecando a denti stretti, non si prese nemmeno la briga di rispondere, facendo un rapido cenno al compare di allontanarsi il più possibile dal resto dell’equipaggio; prima di indietreggiare, però, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un fischietto, portandoselo svelto alle labbra per soffiarci dentro con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Il fischio cupo e prolungato che scaturì da esso costrinse la ciurma a coprirsi le orecchie, lasciandoli momentaneamente storditi a causa della velocità con cui quei due Uomini Pesce si erano poi lanciati contro di loro.
    Con un’imprecazione, Robin si affrettò a far fiorire sui corpi di entrambi gli avversari tre braccia con il Trois Fleur, nel tentativo di immobilizzarli e permettere ai suoi compagni di reagire; con una forza che l’archeologa non si aspettava, però, uno dei due riuscì a liberarsi e la colpì ad un fianco con un calcio ben assestato, facendola rotolare in terra e sbattere la schiena contro il tronco di uno degli alberi che popolavano la zona,; lei tossicchiò, stordita, e si rialzò in piedi a fatica a causa della botta ricevuta, tentando di rimettere a fuoco la situazione.
    «Robin!» esclamò Franky, andando in suo aiuto e afferrando con una delle grosse mani le caviglie di quell’Uomo Pesce per riservargli lo stesso trattamento, vedendolo spalancare la bocca per lo stupore quando, scontrandosi con il terreno umido e subito dopo contro una roccia, sentì il fiato mozzarglisi nel petto e il dolore percorrere tutto il suo corpo, quasi non riuscisse a credere che stesse accadendo davvero; Rufy si gettò a sua volta nella mischia, allungando una gamba per prendere di mira l’altro avversario, centrandolo in pieno stomaco. Il colpo lo lasciò paonazzo e senza fiato e perse subito i sensi, tanto che il Capitano si ritrovò ad aggrottare la fronte prima di ritirare la gamba, lo sguardo fisso sull’Uomo Pesce rivolto di schiena sul terreno umido.
    «Che delusione», bofonchiò poi, incrociando le braccia al petto con uno sbuffo. «Non erano per niente forti come ci aveva detto il vecchio, potevamo toglierli di mezzo anche ad occhi chiusi. Neh, Franky? Sanji?» soggiunse, voltando in direzione dei suoi amici. Franky aveva appena spiaccicato letteralmente al suolo il proprio avversario e aveva rivolto poi lui un rapido cenno affermativo, sollevando il pollice della grossa mano sinistra; il Capitano non poté fare a meno di accigliarsi, poco dopo, nel costatare che Sanji non si vedeva da nessuna parte. Dove poteva essere finito? Eppure era uno dei migliori, il suo guardaspalle insieme a Zoro, se proprio doveva metterla in quei termini. «Ohi, Sanji?» provò ancora, senza ottenere la benché minima risposta. Del cuoco sembrava essersi persa ogni traccia.
    «Sembra essere sparito nel nulla», costatò Robin in tono pacato una volta ripresasi, picchiettandosi le labbra con due dita e assumendo un’aria alquanto pensosa. Un attimo prima aveva visto il cuoco fermo accanto all’albero che aveva dinanzi, intento a tastare il terreno, e un attimo dopo era letteralmente svanito dal suo campo visivo, esattamente com’era successo contro Kuma due anni addietro. Solo che stavolta la cosa non si spiegava. Però, e lo ammetteva spudoratamente, era proprio per quel motivo che la incuriosiva e la affascinava, per quanto non si potesse dire che il resto della ciurma avesse avuto la stessa impressione, più preoccupata per il cuoco che desiderosa di sapere qualcosa di più su quel misterioso fenomeno.
    «Sanji!» gridò Chopper, arrampicandosi sulle spalle di Franky per poter avere una visuale migliore dei dintorni. «Dove sei, Sanji!»
    «Rispondi, Sanji!» cominciarono a dargli manforte Rufy e Usopp, per quanto ormai avessero capito fin troppo bene che era del tutto inutile continuare ad urlare in quel modo. Il cuoco non era lì e non avrebbe potuto sentirli, ma anche girare a vuoto senza sapere dove cercarlo era un’ipotesi da escludere. Per non parlare poi del fatto che avrebbero dovuto trovare anche Zoro. Le cose stavano cominciando a diventare decisamente complicate.
    «E se... fosse stato divorato da quei mostri o dal fantasma che abbiamo visto prima?» sussurrò Brook con un fil di voce, e avrebbe anche assunto un’espressione a dir poco spaventata se solo avesse avuto epidermide e muscoli per farlo.
    «Non cominciare anche tu a fare l’uccello del malaugurio, Brook!» sbottò immediatamente Nami, senza risparmiarsi dal rifilargli un pesante pugno in testa; il povero scheletro crollò in terra come un sacco di patate, con lo sguardo fisso verso le chiome degli alberi.
    La navigatrice non vi diede minimamente retta, gettando uno sguardo nella direzione in cui era sparito Sanji. Sperò solo che stesse bene.
 
 
    Guardandosi intorno, Sanji sbuffò, abbassando poi il capo per evitare che uno dei rami degli alberi che popolavano quella foresta gli staccassero di netto la testa dal collo. Come se non bastasse, poi, aveva cominciato a sentire nell’aria l’odore della pioggia, simbolo che, non appena si fosse diradata la nebbia, quella zona sarebbe diventata un ricettacolo d’acqua, melma e insetti, e ammetteva che sperava di non incontrare per niente proprio quest’ultimi, in particolar modo se si trattava di ragni. Avevano già i loro bei grattacapi senza che quei mostri a otto zampe lo mettessero fuori gioco.
    Mise un piede in fallo proprio nel perdersi fra quei pensieri, notando che la terra aveva cominciato a diventare meno compatta. «Fate attenzione a dove mettete i piedi, ragazzi», raccomandò dunque, tastando con la suola della scarpa il terreno dinanzi a sé, per niente stabile come avrebbe dovuto essere. «Potrebbero esserci delle...» La frase gli morì in gola nel voltarsi verso i suoi compagni, sgranando gli occhi nel rendersi conto di essere rimasto solo. Com’era possibile? Fino a pochissimi attimi prima si trovavano proprio dietro di lui, dannazione! Boccheggiò, come preso alla sprovvista, e tornò rapidamente sui suoi stessi passi, cominciando a cercare con lo sguardo i suoi amici. «Ohi, ragazzi!» chiamò, incespicando nelle radici nodose degli alberi. «Ohi! Dove siete finiti?»
    Ad ogni passo sentiva una bizzarra inquietudine farsi largo nelle sue membra, bruciandolo dall’interno come fuoco vivo. Più si guardava intorno, difatti, meno riusciva a distinguere i profili della vegetazione, che veniva a poco a poco inghiottita dalla nebbia.
    «Nami-swan! Robin-chwan!» gridò a squarciagola, e, mano a mano che tornava indietro, scansando i rami più bassi che gli intralciavano il cammino e rischiavano di ferirgli il viso, l’ansia cominciava a consumarlo sempre più dall’interno, lasciandogli ben poca lucidità per pensare come avrebbe dovuto. Prima Zoro, poi il resto dei suoi compagni... su che razza di strana isola erano sbarcati, dannazione?
    Cominciò a girovagare a vuoto mentre continuava a chiamarli a gran voce, senza ottenere la tanto agognata risposta che aveva sperato. Gli alberi e i rami di essi erano diventati più fitti e sembravano avvolgersi intorno a lui come se volessero chiuderlo in gabbia, dandogli una bizzarra sensazione di claustrofobia; era come se ad ogni passo facesse sempre più fatica a respirare, e più volte aveva resistito all’impulso di levarsi la cravatta, per quanto l’avesse allentata e l’avesse lasciata sulla camicia come un serpente che aveva appena cambiato pelle; il disagio che aveva cominciato a provare, però, non era per niente sparito, e il tutto veniva intensificato dalla nebbia che aveva ormai avvolto i dintorni e dal pensiero di come stessero i suoi compagni.
    Merda. Come se non bastasse, stava cominciando anche a preoccuparsi per quell’idiota di un marimo. Scherzando aveva detto quella frase ad Usopp, certo, ma se gli fosse capitato realmente qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato. Era già accaduto a Thriller Bark, e lì non aveva potuto fare nulla per impedirgli di sacrificarsi per il bene della ciurma. Quello stupido aveva persino osato metterlo fuori gioco per evitare che fosse lui a dare la propria vita per salvarli, e la cosa, anche dopo due anni, lo mandava ancora in bestia. Lui e le sue stupide manie di protagonismo. A causa del suo orgoglio sarebbe morto, un giorno o l’altro. L’aveva capito la prima volta che l’aveva incontrato al Baratie e ne era stato convinto in seguito, ma, dannazione, non era per niente facile pensare che avrebbe potuto tirare le cuoia in qualche luogo sperduto e loro avrebbero potuto non saperne nulla fino a quando non sarebbe stato ritrovato il suo cadavere. «Vedi di non farti ammazzare, bastardo», sussurrò al vuoto, sollevando lo sguardo verso la cappa di fogliame sopra di lui.
    Un po’ il pensiero che la sua ambizione potesse tenerlo in vita anche con una ferita mortale lo faceva sorridere e lo rassicurava, però, per quanto Zoro possedesse una forza fuori dal comune, non era di certo immortale. Era un essere umano proprio come lui, maledizione. E le probabilità che uno dei due potesse morire non erano per niente pari allo zero, per quanto gli sarebbe piaciuto credere che, anche una volta morto, quello stupido avrebbe continuato a vivere perché dimentico di tirare le cuoia. A quei suoi stessi pensieri si sfregò nervosamente una mano fra i capelli e imprecò, dandosi immediatamente dello stupido. Stava cominciando a delirare, perfetto. Sarebbe stato meglio per lo spadaccino rimanere in vita, se non voleva che, una volta trovato - che fosse un cadavere o meno, rettificò nell’immediato la mente di Sanji -, lo ammazzasse con le sue stesse mani. E avrebbe anche dovuto ritenersi fortunato, dato che lo avrebbe strozzato chiudendogli le dita intorno al collo. Un onore che non aveva ancora riservato a nessuno, visto che le sue mani erano preziose.
    Grattandosi dietro al collo e continuando ad osservare attentamente i dintorni, Sanji svoltò a destra, superando un enorme albero secolare dai rami spogli e secchi, che si estendevano verso di lui come dita scheletriche pronte ad afferrarlo; l’erba aveva cominciato ad arrivargli alle caviglie e gli solleticava i pantaloni, lasciandogli una vaga sensazione di umido sulla stoffa, giacché gli steli erano talmente bagnati da dare l’impressione che avesse piovuto da poco; come se non bastasse, poi, le radici nodose degli alberi si estendevano a perdita d’occhio sul terreno e rischiavano quasi di farlo caracollare ad ogni passo, avvolgendosi in spire come se fossero dei serpenti ammassati gli uni sugli altri.
    Si fermò di botto quando sentì un fischio prolungato, guardandosi intorno come se stesse cercando di capire da dove provenisse; si accigliò, grattandosi il capo con fare distratto, e scrollò poi le spalle, decidendo di riprendere il cammino. Sollevò un sopracciglio, però, nel vedere una roccia che gli sbarrava la strada, rendendosi conto solo in un secondo momento che non si trattava per niente di quello. «E questa cosa diavolo è?» si domandò ad alta voce, picchiettando con il piede un fianco di quell’ammasso gelatinoso. A prima vista ricordava vagamente una medusa, ma non aveva mai visto meduse di quelle dimensioni, né tanto meno sulla terra ferma e nel bel mezzo di un bosco. Quel posto si stava rivelando più strano di quanto avesse creduto al principio, e lo dimostravano tutte le assurdità che stava incontrando sul suo cammino da quando era stato separato dal resto del gruppo.
    Scuotendo il capo, decise di tornare sui propri passi, ma, prima ancora di poter dare le spalle a quella medusa o qualunque altra cosa fosse, si sentì afferrare per il collo da un braccio muscoloso, e il respiro gli morì in petto quando la presa divenne più ferrea; boccheggiando, tentò di divincolarsi, affondando le unghie nella carne e rendendosi conto solo secondariamente che quella che stava toccando era squamosa e viscida, simile a quella di un pesce. «Tu adesso vieni con noi senza fare storie», ordinò con voce possente quel misterioso interlocutore, ma Sanji sorrise, o almeno ci provò, tossicchiando.
    «Se invece decidessi di... rendervi le cose difficili?» rantolò sarcastico, facendo fatica a respirare. Aveva al contempo sollevato una gamba, quasi volesse tenersi pronto, e aveva tentato di voltarsi in direzione di quel nuovo arrivato, notandone un altro con la coda dell’occhio. Con un paio di calci ben assestati avrebbe potuto stenderli, probabilmente.
    «Allora useremo la forza», grugnì quel tipo, non dandogli nemmeno l’agio di capire che cosa stesse succedendo; se lo trascinò dietro senza allentare la presa intorno al suo collo, e il cuoco, pur avendo imprecato a denti stretti, sollevò maggiormente un angolo della bocca nella parvenza di un sorriso, per quanto ricordasse vagamente una smorfia sofferente.
    «Non... chiedevo di meglio», sussurrò, scrollandoselo di dosso con un colpo secco; lesse negli occhi di quell’Uomo Pesce un momentaneo smarrimento prima che, sollevando del tutto la gamba, esclamasse «Cruisse shot!», assestandogli un calcio all’altezza della coscia; continuò fino a che quest’ultimo non perse l’equilibrio e cadde finalmente in terra privo di sensi, e Sanji imprecò a denti stretti nel costatare che quel tipo aveva una resistenza decisamente fuori dal normale. Non perse tempo a rifletterci oltre e si gettò all’attacco del secondo Uomo Pesce che correva verso di lui a spada tratta, incurvando l’intero corpo all’indietro per distendere la gamba prima di colpirlo sul dorso della mano e disarmarlo; la spada schizzò in alto e andò a conficcarsi pochi metri più in là, ma l’attimo di smarrimento che corse sul viso del suo avversario sparì fin troppo in fretta, giacché quest’ultimo, con un grido disumano, gli di lanciò contro e gli afferrò entrambe le gambe con le grosse mani palmate, lasciando Sanji sbalordito.
    «Fa’ un buon volo, biondino!» berciò qualche istante dopo, stringendo convulsamente la presa intorno alle caviglie per sollevarlo da terra, sbattendolo violentemente con la schiena contro il tronco di un albero; il cuoco si sentì mancare il fiato nei polmoni e spalancò la bocca, lasciando cadere la sigaretta che aveva sorretto tranquillamente fra i denti fino a quel momento. Non riuscì nemmeno a prendere una boccata d’aria che venne nuovamente proiettato in alto, fino a fracassarsi letteralmente sul terriccio umido sotto di sé quando l’Uomo Pesce lo lasciò andare. Boccheggiò e si issò sui gomiti, tossendo pesantemente, sputando in terra un rivolo di sangue e saliva prima di stornare bruscamente lo sguardo su quel tipo, che aveva cominciato a scroccare le nocche come se fosse pronto a ritornare all’attacco. Beh, stavolta aveva fatto male i conti. Non si sarebbe più lasciato cogliere impreparato.
    Sanji stirò le labbra in una linea sottile e socchiuse gli occhi per focalizzare attentamente il suo avversario, poggiando una mano a terra nel momento stesso in cui lo vide gettarsi contro di lui come una furia; sollevò una gamba e gli sferrò un calcio alle costole, dandosi una spinta con il bacino per roteare l’altra gamba e colpirlo ai lombi con il collo del piede, vedendolo indietreggiare nel vano tentativo di non perdere l’equilibrio. A quel fare si inclinò subito in avanti, sferrando un calcio laterale dritto alla guancia dell’Uomo Pesce, che indietreggiò di qualche passo, preso alla sprovvista.
    Senza perderlo di vista nemmeno per un attimo, Sanji gli si gettò contro per calciargli un ginocchio, facendolo cadere del tutto riverso di schiena; fu a quel punto che, concentrando tutta la propria potenza nella gamba sinistra, spiccò un balzo e la distese completamente, colpendolo con forza al collo. Sentì il distinto scricchiolio delle ossa e la consistenza del tronco, vedendo il suo avversario sgranare gli occhi prima di reclinare del tutto il capo all’indietro, ansimando. Sanji poggiò infine stabilmente entrambi i piedi in terra, infilando una mano nella tasca dei pantaloni per tirar fuori l’accendino e il suo pacchetto di sigarette, portandosene una alle labbra prima di aprire il coperchietto con uno scatto secco e accenderla, inalando fino in fondo ai polmoni.
    «Tsk». Sbuffò del fumo dal naso, sorridendo sarcastico nel gettare un ultimo sguardo in direzione dei due Uomini Pesce riversi a terra, i cui respiri diventavano pian piano sempre più flebili. «Vi ci vorranno altri mille anni prima di riuscire a battermi».
    Si riportò la sigaretta fra le labbra e, ficcandosi le mani nelle tasche, si incamminò fra gli alberi, lasciando alle sue spalle i suoi avversari; si inoltrò nella foresta prima di allungare il passo, forse per non rischiare che, riprendendosi, quei cosi decidessero di mettersi sulle sue tracce e vendicarsi del trattamento ricevuto. Non che avesse paura di quegli idioti, nossignore, ma andava di fretta e non aveva tempo da perdere, se voleva trovare i suoi compagni senza ulteriori intoppi.
    Finì appena di fare quel pensiero che sentì un rumore sospetto alle proprie spalle, stornando bruscamente lo sguardo per osservare attentamente i dintorni. Non si muoveva una foglia e tutto sembrava tranquillo, ma aveva come la netta sensazione che qualcosa lo stesse squadrando da capo a piedi, e la cosa lo metteva stranamente in agitazione, esattamente come quando, a Kamabakka, doveva guardarsi le spalle per evitare che quei travestiti del cazzo lo cogliessero di sorpresa e lo costringessero ad indossare ancora una volta uno di quei loro orribili vestitini rosa. 
    A distrarlo, fu nuovamente un fruscio fra la vegetazione che lo circondava, e si ritrovò ad alzare la gamba destra nel momento stesso in cui vide lo scintillio sinistro di una lama, bloccandola appena in tempo; spalancò la bocca e sgranò gli occhi, però, nel rendersi conto di chi fosse l’avversario che aveva dinanzi, e non gli sfuggì l’espressione sconcertata che si dipinse sul volto di quest’ultimo.
    «Marimo?»
    «Cuoco?»
    Si guardarono per un lungo attimo senza abbassare la guardia né abbandonare la posizione in cui si trovavano, sbottando all’unisono: «E tu che diavolo ci fai qui?» nel continuare a fissarsi con tanto d’occhi, Sanji incredulo a dir poco.
    Se era riuscito a trovare Zoro, significava una cosa sola: si era perso anche lui come quell’idiota
.









_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Siamo entrati nella seconda stagione della storia e le cose, per i nostri amici, sembrano cominciare a farsi abbastanza complicate
Dopo la scomparsa di Zoro è scomparso anche Sanji, che ha a sua volta trovato qualche Uomo Pesce e ha quasi rischiato di venir catturato da loro, però, guarda caso, il caro cuoco è riuscito a ricongiungersi allo spadaccino... anche in canon quei due si trovano sempre, non c'è nulla di strano, quindi come potevo farmi saltare una scena del genere, ora che potevo farlo senza tanti problemi? u_u XD
Come si è potuto vedere, inoltre, le scene RuNami e FRobin non potevano mancare. Ormai anche Oda si è votato a loro, non venitemi a dire che le scene FRobin non ci sono, negli ultimi capitoli... le ho viste XD
Sclero mio a parte, spero di poter aggiornare con il quarto capitolo il prima possibile
Alla prossima. ♥




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