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Autore: RainbowCar    26/07/2012    3 recensioni
FF iniziata quando DAI non era ancora stato rilasciato. In questa storia gli eventi di Inquisition non sono mai accaduti: ho scelto di immaginare i miei eroi e le loro storie; personaggi nuovi che inevitabilmente incontrano quelli di DA:O e DA2.
"Era tutto perfetto. Mio padre e mia madre si abbracciavano sorridenti mentre mi guardavano giocare col mio fratellino. Il sole splendeva alto nel cielo e il lago Celestine luccicava come uno zaffiro. C’erano uccelli e cerbiatti, e nug. E c‘era un drago. Un drago enorme, mostruoso. Era venuto per uccidere."
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Custode, Hawke, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Non avrei saputo dire quanti anni avesse. So solo che nel bel mezzo della notte era piombata nel mio accampamento mezza svenuta e con diverse ferite su mani e piedi. Io naturalmente avevo udito i rumori ed ero pronta a difendermi da qualunque creatura avesse varcato l’oscurità della mia solitudine. Ma non mi aspettavo di certo una creatura così fiera ed elegante, anche se martoriata dalla fatica. C’era in lei qualcosa... un qualcosa che mi aveva spinto immediatamente a fidarmi di lei e a cercare di aiutarla. Ormai giaceva a terra esamine accanto al fuoco che avevo acceso poche ore prima. Mi ero avvicinata cautamente e avevo visto che sanguinava in modo copioso. Se non avessi arrestato l’emorragia, l’elfa sarebbe sicuramente morta e non potevo permetterlo. Le avevo afferrato i polsi e li avevo avvicinati alle caviglie, rannicchiandola in posizione fetale, e poi avevo guarito i tagli.
Questo mia madre non sapeva farlo! Una volta tanto l’allievo supera il maestro! La guarigione è un dono che mia madre non possiede, mentre io l’ho sperimentato quasi subito. Da bambina amavo soccorrere gli animali feriti che trovavo nelle foreste, proprio un attimo prima che mia madre li catturasse per farne la nostra cena. Ma era la prima volta che curavo un’altra persona, oltre me stessa e mia madre.
C’è stata una volta, quasi 5 anni fa, in cui io e lei eravamo al mercato di Val Royeaux, e un ragazzino si era ferito piuttosto gravemente cadendo da cavallo sotto i nostri occhi. Io cercai di precipitarmi a curarlo, ma mia madre mi fermò, decisa. Eravamo in mezzo a decine di persone e con la guerra che imperversava nei liberi confini tra maghi e templari, tutti erano diventati un po’ troppo sospettosi anche a Orlais e non avrebbero esitato a consegnare due eretiche alla chiesa, magari alla Divina in persona. Era molto rischioso già il fatto di girare liberamente nella capitale, date le numerose forze dispiegate a protezione della cattedrale, e dunque non protestai troppo all’ordine di mia madre di lasciare quel ragazzo al suo destino e occuparci delle nostre provviste.
Sbrigati i nostri affari lasciammo in fretta il mercato e tornammo nel nostro rifugio, apparentemente come se non fosse successo nulla. Non ne ho mai parlato con mia madre, ma in realtà ancora oggi mi capita di chiedermi cosa ne sia stato di quel bambino, se sia sopravvissuto, se invece sia morto e abbia sacrificato la sua vita per la nostra. Mia madre lo chiamerebbe sciocco e insulso rimorso. E anche io lo chiamo così. Eppure, di notte ogni tanto mi capita di sognare quel ragazzino che mi ringrazia di avergli salvato la vita, oppure che mi maledice augurandomi tutte le pene dell’oblio, per averlo lasciato lì a morire.
 
Merrill mi aveva guardata e io ero stata tentata di afferrare quei topazi brillanti che aveva al posto degli occhi. Aveva un ascendente strano su di me, mi sentivo legata a lei quasi come se la conoscessi da anni, eppure era stata con me solo un paio di giorni, giusto il tempo di guarire al meglio le sue ferite e recuperare le forze.
“Ho un favore da chiederti” mi aveva detto.
Come potevo rifiutare? Era la prima persona con cui mi ritrovavo da sola, senza l’interferenza materna. Ed era così affascinante… il suono della sua voce era così intenso, così… diverso. Era molto piacevole conversare con lei. Mi aveva raccontato della sua vita, di certo non semplice, delle sue migliori intenzioni naturalmente andate in mille pezzi e della sua costante fuga da una vita che aveva costruito faticosamente solo per vedersela franare addosso.
In quel momento era in fuga dai templari che l’avevano quasi catturata, ma grazie alla magia del sangue, assolutamente proibita dalla chiesa, era riuscita a salvarsi sbarazzandosi di loro. Le sue ferite erano state dunque autoinflitte,  aveva rischiato quasi di ammazzarsi da sola, ma quando glielo avevo fatto notare mi aveva risposto che avrebbe di gran lunga preferito morire per sua stessa mano che per la spada dei templari.
 
Non avevo osato dirle di no. Nemmeno dopo che mi ebbe illustrato il suo folle piano.
C’era un mago nel circolo del Ferelden, un mago di origini nobili che Merrill aveva conosciuto durante uno dei suoi viaggi. Il mago era stato trasferito al circolo quando era ancora un ragazzino, tuttavia, avendo un nome altisonante, gli veniva spesso concesso di lasciare il circolo e far visita ai suoi cari. Suo padre era ormai morto da qualche anno ma era stato un grande uomo, che aveva degnamente servito la corona e i cittadini di Redcliffe, di cui era stato l’Arle. Qualche anno prima di morire aveva abdicato in favore di suo fratello, avendo riconosciuto impossibile considerare erede del titolo un figlio mago, e lo zio del ragazzo si era dimostrato un degno successore. Connor Guerrin, figlio di Eamon e nipote dell’Arle Teagan, era proprio in visita a Redcliffe quando conobbe Merrill. E fu proprio quando ritornò nella torre da uno dei suoi viaggi che noi potemmo nasconderci nella barca, con buona compiacenza del traghettatore, compiacenza costata sei sovrane, per poi sgattaiolare nella cripta col favore della notte.
 
Il comandante Cullen non si aspettava di certo un attacco. L’ora era tarda e i maghi avevano terminato le loro attività giornaliere, ritirandosi nei dormitori. Le guardie notturne erano al proprio posto e la ronda era iniziata. Come sempre, Cullen si assicurava che i suoi uomini seguissero le sue istruzioni prima di ritirarsi nel suo ufficio. Quella notte non era diversa dalle altre. Tranne che per quella strana sensazione, quell’istinto che gli suggeriva di ritornare sui suoi passi. Tornò indietro per controllare che la recluta Jankins fosse davvero dove avrebbe dovuto essere.
Cullen attraversò il salone vuoto con passo svelto e si ritrovò di fronte all’ingresso della cripta della torre: Jankins naturalmente non c’era e la porta era spalancata. Si addentrò cautamente nei sotterranei.  Fece pochi passi e inciampò nella malcapitata recluta. Era morta o svenuta? Un fioco gemito lo rassicurò sulle sue condizioni. Era stato senza dubbio un mago intenzionato a distruggere il suo filatterio. Magari un maleficar. Come aveva fatto a farsi sfuggire un maleficar nella sua torre? Eppure non era negligente né indulgente. Erano previste pene molto severe per i trasgressori, che lui non esitava a infliggere in presenza di prove certe. Non che ce ne fosse stato spesso bisogno. I casi di insubordinazione erano stati piuttosto rari e comunque più da parte dei templari stessi che dei maghi.
Il circolo del Ferelden, a parte la grave parentesi in cui la pazzia di Uldred aveva ucciso quasi tutti,  era sempre stato tranquillo e i maghi non tentavano di far fuori i templari alla prima occasione, né viceversa. A Kirkwall, dove aveva militato anni  con la carica di capitano, era invece l’esatto opposto. La guerra tra maghi e templari era sempre stata latente, per poi scoppiare definitivamente in conseguenza alla pazzia della comandante Meredith. Nessuno aveva avuto il coraggio di prendere il suo posto, quindi ora Kirkwall si trovava sprovvista del circolo e addirittura di abbastanza templari che tenessero a bada i maleficarum. Cullen, come molti altri, non aveva potuto fare altro che allontanarsi da una situazione impossibile da gestire e tornare nel suo Paese.
D’altra parte era inutile negare l’evidenza. Ora qualcuno si era fatto beffe di lui. C’era solo da sperare che non fosse ancora riuscito nel suo intento e che fosse fermato in tempo, prima di distruggere la fiala. Doveva fare in fretta, non c’era tempo per dare l’allarme. Dunque si addentrò silenziosamente nel buio delle cripta, da solo.
Connor ! lo sapeva! Era stato troppo buono con lui! Gli aveva dato il permesso di uscire a suo piacimento, si era fidato e aveva sbagliato! Ormai era tardi, il filatterio era stato distrutto e doveva chiamare rinforzi.
“Gli errori si pagano” pensò Cullen prima di perdere i sensi.
Il raggio gelante colpì il comandante prima che questi avesse il tempo di avvisare gli altri templari. Ci aveva scoperti mentre Connor distruggeva il suo filatterio e aveva cercato di chiamare rinforzi, ma era stato paralizzato dalla magia prima che la voce uscisse dalle sue labbra spalancate. Di li a poco si sarebbe ripreso, quindi non avevamo un attimo da perdere. Fui tentata per un momento di distruggere tutti i filatteri che mi circondavano, ma poi rinsavii. Non ne avrei avuto il tempo e soprattutto sarebbe stato troppo comodo per quei maghi vincere senza nemmeno combattere. Inoltre in molti avevano scelto volontariamente di sottomettersi alla chiesa. Se qualcuno di loro intendeva fuggire, che prendesse il coraggio a due mani e combattesse per la propria libertà, proprio come stava facendo Connor.
Cercammo di lasciare la torre, ma quando raggiungemmo l’ingresso dei sotterranei, notammo che a terra non c’era più il giovane templare stordito: era corso a dare l’allarme. In pochi secondi ci ritrovammo nel salone circondati da una decina di templari armati fino ai denti e mezza dozzina di maghi altrettanto agguerriti.
Il primo affondo fu sferrato dalla recluta che avevamo colto di sorpresa poco prima. Gli effetti magici dell’intorpidimento erano completamente svaniti e ora si muoveva con una discreta abilità. La sua spada per poco non affondò nel petto di Merrill, che riuscì a schivare il colpo solo grazie alla sua agilità elfica. Connor intanto con un incantesimo sbalzò a terra tre dei nostri nemici. Un mago anziano lo attaccò colpendolo a una spalla con una scossa elettrica. Connor per un attimo barcollò e fu alla mercé del mago ma Merrill aveva già fatto ricorso al suo potere proibito, lanciando un maleficio che immobilizzò all’istante il vecchio mago. Io mi occupai dei templari. Serviva forza e resistenza, e soprattutto non potevo farmi guardare bene in faccia, così mutai la mia forma in quella di un ragno velenoso per sfuggire ai nemici semplicemente paralizzandoli e resistere meglio agli attacchi. La mossa funzionò. In pochi minuti riuscii a colpire quasi tutti i templari e Merrill pietrificò i restanti. Connor sferrò un attacco ad area facendo piovere lapilli infuocati che portarono i maghi ancora in piedi a disperdersi per evitare di ferirsi. Approfittando del panico generale ci avviammo verso l’uscita, convinti di averla scampata, quando una voce ci fermò.
“Aspettate!” intimò il primo incantatore. “In nome del Creatore, Connor! Sai vero che le tue azioni ti si ritorceranno contro prima o poi? Non smetteranno mai di cercarti”
“Lo so. Ma ne vale la pena” rispose il fuggiasco stringendo Merrill a sé.
“Non ti fermerò, ma mi devi una spiegazione. Perché? Cosa ti spinge verso il punto di non ritorno?”
Connor rivolse al suo maestro uno sguardo deciso ma malinconico: “E’ semplice. L’amore.”
E si voltò, lasciando per sempre la torre con la sua amata tra le braccia e un’eretica che aveva rischiato la vita per difendere ciò che non capiva.
 
L’amore. Un sentimento strano. Mi è quasi sconosciuto. Tutto quello che so proviene da miti, libri, canti, ma non ho mai capito fino in fondo cosa spinga due persone a vivere l’una per l’altra. Nemmeno mia madre è stata in grado di spiegarmelo, reputando l’amore come una convenzione sociale, che giustifica in genere matrimoni sfarzosi  e che comunque assicura la prosecuzione della specie.
“Quando due persone dicono di amarsi, lo fanno per sfogare i propri istinti e si ripuliscono la coscienza con un sentimento che li convince di essere di versi dalle bestie” aveva detto. Ma nella sua voce non c’era troppa convinzione. Chissà se davvero non è mai stata innamorata. E mi chiedo: come può un sentimento che non esiste dar voce alle più belle canzoni, dar vita a meravigliosi romanzi e essere in grado di cambiare il mondo? Le persone, che bizzarre creature! Sono così curiosa di sperimentare questo strano stato d’animo.
Possibile che fosse ciò che ho provato per Merrill? Un misto di ammirazione, attrazione, simpatia, fiducia, rispetto… possibile che fosse questo l’amore? Confesso di averci pensato quando ci siamo dette addio e lei mi ha baciata. Un piccolo bacio. Le sue labbra morbide e infuocate si sono posate sulla mia bocca, leggere come un alito di vento. Un tocco breve, sfuggente, che mi ha lasciata inerme, senza parole, con la testa svuotata.
“Grazie” mi aveva sussurrato subito dopo, “spero di rivederti un giorno”.
E mi aveva lasciata di nuovo alla mia solitudine, dopo quasi un mese passato insieme, non prima di avermi fatto un ultimo regalo: il suo prezioso anello di legnosilvano.
“Questo me l’ha regalato una mia cara amica. Lo dono a te ora, perché in te ho trovato una sorella”.
Amicizia. Ecco cos’era. Ero stata in grado di dare un nome a tutte le emozioni che mi suscitava stare in sua compagnia, e mancava qualcosa, lo sapevo. Mancava ciò che i poeti chiamano scintilla o passione o follia. Non era amore, ma amicizia. Di quella mia madre me ne aveva parlato, avendola provata sulla sua stessa pelle, e ora l’avevo sperimentata anch’io.
Avevo aiutato la mia amica a coronare il suo sogno d’amore sconfiggendo parecchi templari e anche diversi maghi contenti, quasi grati, di stare al guinzaglio della chiesa. E ora finalmente Merrill era insieme al suo Connor.
Li avevo osservati mentre lasciavano il mio rifugio. Mano nella mano avrebbero affrontato uniti un cammino disseminato di ostacoli che non sembrava spaventarli, anzi, li rendeva felici.
È questo l’amore? Avrei voluto chiederglielo. Avrei voluto chiedere loro se fossero sicuri, avrei voluto chiedere loro di raccontarmi esattamente cosa si prova a stare nelle braccia l’uno dell’altra, ma mentre stavo aprendo la bocca per articolare i suoni, la voce mi è morta in gola e sono rimasta immobile e silenziosa a vederli svanire nel buio e nella nebbia.
Stare qui mi fa pensare a lei, a loro, a quello che io non ho. Non che da sola non stia bene, anzi, la solitudine è a dir poco affascinante, ma ho bisogno di cambiare aria, di muovermi, di apprendere quante più cose del mondo e soprattutto di ritrovare mio padre. Domani mattina lascerò questo luogo. I templari mi stanno cercando, ma qualche ora di sonno mi farà bene. Questa notte senza Luna è mia complice.
  
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