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Autore: Jadis96    26/07/2012    1 recensioni
La mattina del 20 novembre, in un modesto appartamento di Londra, un uomo muore. Unico sospettato dell'omicidio: il suo migliore amico.
Sherlock e John si occupano del caso.
La mattina del 21 novembre, un misterioso scambio di corpi sconvolge le loro vite.
Come se la caveranno l'unico Consulente Investigativo al mondo e il suo inseparabile blogger l'uno nei panni dell'altro?
Genere: Avventura, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Lestrade , Sherlock Holmes , Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti! Questa è la mia prima long fic in questa sezione, quindi ancora non so bene cosa ne uscirà fuori xD Avevo già scritto una one-shot su Sherlock, passateci se vi piacciono i cagnolini e il genere fluff, si chiama “Bulldog inglese”.
Per quanto riguarda questa ff, lascerò decidere a voi se mettere insieme Sherlock e il fantasy sia una buona idea o un insulto alla serie. Spero nella prima :)
Buona lettura!
 
 
Sherlock aveva sempre preferito che io non raccontassi il caso della Casa Maledetta ai miei lettori.
“A chi interessano i casi irrisoli?”, diceva.
Ma stavolta era diverso: il caso era stato risolto, eccome.
Eppure Sherlock provava un grande senso di sconfitta per non essere riuscito a trovare una spiegazione razionale agli eventi a cui avevamo assistito.
Ma procediamo per ordine, perché fatti tanto straordinari meritano di essere narrati con accuratezza e precisione.
 
Era lunedì 20 novembre, quando Lestrade venne a Baker Street per offrirci quello che si sarebbe rivelato il caso più strano che ci sia capitato tra le mani.
In realtà inizialmente mi parve banale e fin troppo semplice, tanto che pensai di ipotizzare io stesso una soluzione.
Ero già pronto a sentire la voce annoiata di Sherlock che mormorava “noioso”, oppure “ovvio”, oppure (e questo era quello che più aveva il potere di irritarmi) “elementare”.
Ma, inaspettatamente, lui rimase in silenzio per qualche istante, per poi dire, con un sorriso compiaciuto, << Accetto il caso >>.
Mentre eravamo in auto, ebbi modo di farmi spiegare i particolari dell’omicidio di Samuel Welch.
Questi era stato trovato morto nel suo appartamento, apparentemente suicidatosi con un colpo di arma da fuoco alla testa. L’ipotesi che si trattava di omicidio era emersa dalla testimonianza di una passante, che giurava di aver visto dalla finestra due uomini immobili uno di fronte all’altro, e in seguito, dopo essersi ormai allontanata, il rumore di uno sparo.
La testimonianza era attendibile, in quanto coincideva perfettamente con l’ora del decesso.
Uno degli uomini era stato identificato come Samuel Welch, mentre il secondo era parso irriconoscibile alla testimone perché si trovava di spalle rispetto alla finestra.
L’edificio conteneva tre appartamenti in tre piani diversi.
In quello al pianterreno vivevano i coniugi Joanne e Thomas Carlton, quest’ultimo sospettato dell’omicidio.
Al primo piano viveva Samuel Welch e al secondo un’anziana signora, che al momento dell’omicidio era fuori casa.
Prima di entrare Sherlock si soffermò sulla strada che conduceva all’edificio, guardando la finestra del primo piano da diverse angolazioni.
Doveva essere una casa molto antica, constatai, ma era stata restaurata spesso e pertanto aveva un’aria sicura e dignitosa.
 
Una volta all’interno ci dissero che il corpo era già stato rimosso, cosa che fece innervosire Sherlock. << La sensibilità degli altri inquilini è più importante della soluzione del caso? >> sbottò irritato.
Ma in compenso la sagoma della vittima era stata accuratamente tracciata con un gessetto.
Sherlock gli diede una rapida occhiata, per poi passare ad esaminare con più interesse un vaso di fiori frantumato, probabilmente caduto dal tavolino accanto alla finestra.
<< Su uno di questi frammenti di porcellana abbiamo trovato tracce di sangue appartenenti a Thomas Carlton. L’avrà fatto cadere e poi si sarà tagliato… >> disse Lestrade.
<< Che rapporto intercorreva tra Welch e Carlton? >> chiese Sherlock.
<< Si conoscevano da molti anni. Era risaputo che fossero grandi amici… personalmente trovo improbabile che l’abbia ucciso lui >>.
Sherlock non parve ascoltare il resto della frase dalla parola “personalmente” in poi.
Andò a curiosare in tutte le stanze della casa, e dopo qualche minuto si ritenne soddisfatto e si apprestò ad uscire.
<< Dove sono i coniugi Carlton? >> chiese infine.
<< Li stiamo interrogando. Thomas non ha detto una parola, mentre Joanne sembra voler collaborare, pur sostenendo di non aver visto nulla >> rispose Lestrade.
<< Bene. Per ora è tutto >> sentenziò Sherlock.
 
Durante il tragitto verso casa fu silenzioso e pensieroso, ed io ebbi il buonsenso di non dire nulla.
Sapevo come comportarmi in quei momenti: il segreto era non parlare, non pensare troppo, non fissarlo, non muovermi, non respirare troppo pesantemente, spegnere il cellulare, non incoraggiare nessun tipo di conversazione col tassista, e anche altro all’occorrenza.
Quando arrivammo a Baker Street mi ritirai nella mia stanza, lasciando Sherlock che pizzicava distrattamente le corde del violino, immerso nei suoi pensieri.
Nelle ore successive mi affacciai ogni tanto al soggiorno, ma la scena era sempre la stessa.
 
Mentre andavo a letto non immaginavo minimamente che il giorno successivo sarebbe stato il più strano della mia esistenza.
Ricordo che, poco prima di addormentarmi, mi chiesi cosa si provava ad essere Sherlock Holmes.
E nello stesso momento pensai ad una famosa frase di cui non avevo mai compreso appieno il significato: “attento a ciò che desideri, potresti ottenerlo”.
 
Martedì 21 novembre è stato ufficialmente il giorno più strano della mia vita.
Sì, so di averlo già detto, ma lo ripeto per ribadire il concetto.
Mi svegliai verso le sei, circa un’ora prima del solito, e dal momento stesso in cui aprii gli occhi capii che c’era qualcosa che non andava.
Primo: ero sul divano. Che ci facevo sul divano?!
Ricordavo perfettamente di essere andato nella mia stanza. Era Sherlock che era rimasto sul divano, in una meditazione che l’avrebbe tenuto certamente occupato fino al giorno dopo.
Secondo: avevo in mano un cellulare.
Era quello di Sherlock, potevo distinguerlo facilmente anche nella semioscurità.
Ma ciò che catturò immediatamente il mio sguardo fu la mia mano. In realtà non era esattamente la mia mano.
Era grande, magra, dita lunghe e pelle chiara.
Dov’eravamo rimasti? Ah sì, terzo: la mia mano non era la mia mano.
Suona strano, tuttavia in quel momento pensai proprio questo.
Mi alzai di scatto, spaventato, ma fui costretto ad aggrapparmi al bracciolo del divano.
Perchè sono così in alto?, pensai, mentre cercavo di ritrovare l’equilibrio.
Mossi qualche passo incerto, rischiando di inciampare nei miei stessi piedi (ma perché erano così grandi?!), fino a riacquistare un po’ di sicurezza, dopodiché mi precipitai in bagno.
Premetti l’interruttore e, esitante, mi voltai verso lo specchio.
Il mio primo impulso fu quello di guardarmi alle spalle.
Non c’era nessuno.
Ma era impossibile. Perché altrimenti avrei visto Sherlock Holmes nello specchio in cui io mi stavo specchiando?
Decisi che era un sogno.
Sì, doveva essere un sogno.
Mi avvicinai ancora di più allo specchio e alzai una mano, osservandola attentamente. Poi, determinato a mettere fine a quell’incubo, mi tirai uno schiaffo.
Attesi dieci secondi, poi trenta, poi un minuto intero.
No, non poteva essere un sogno, perché niente era cambiato. Però c’era il dolore alla guancia, il che poteva significare che ero effettivamente io quello allo specchio.
Scrutai ancora il mio viso, ma non ce n’era bisogno, perché lo conoscevo benissimo e non era il mio viso, era quello di Sherlock!
In quel momento mi posi una domanda spontanea: se, ammettendo per assurdo, quella era la realtà ed io ero lui… allora lui dov’era?
 
La risposta alla mia domanda giunse subito dopo come un tonfo secco provenente dalla stanza accanto.
Tornai in soggiorno, misurando con attenzione ogni passo, ma non appena alzai lo sguardo, rischiai di perdere nuovamente l’equilibrio.
A terra, ai piedi della scalinata, c’ero io.
Ma non potevo essere io!
Stavo guardando dall’esterno, quindi a rigor di logica non potevo essere quella persona.
L’uomo che aveva le esatte sembianze di John Watson aveva tutta l’aria di essere appena caduto dalle scale, constatai, vedendo che si massaggiava con espressione sofferente la spalla.
All’improvviso ricordai che non avevo ancora provato a parlare.
<< S… stai … bene? >> chiesi. Le parole furono pronunciate con la voce profonda di Sherlock, ma velata di una paura che mai avevo visto in lui.
L’uomo uguale a me alzò lo sguardo e mi fissò atterrito.
<< John? >> chiese, con la mia voce, colma di preoccupazione, ma con un tono diverso, che somigliava vagamente a…. << Sherlock! >> esclamai.
Lui annuì. << Perché sto parlando con me stesso? >>
<< Ci sono io qui. Sono John >> cercai di fare chiarimento.
Sherlock, finalmente ero certo che fosse lui, era sconvolto.
Mi avvicinai lentamente e gli porsi una mano, aiutandolo ad alzarsi.
Constatai, con non poco divertimento, che per la prima volta ero io quello alto, e dovevo ammettere che quei centimetri in più mi davano un grande senso d’importanza.
Restammo a guardarci ancora a lungo, senza trovare niente da dire o fare.
Poi Sherlock indicò le scale. << Ho realizzato troppo tardi di non essere al piano terra… >> disse, con tono di accusa, << Ragioni troppo lentamente >>.
Ovvio. Riusciva ad insultare le mie facoltà mentali anche mentre si trovava nel mio corpo.
<< Io? Ci sei tu lì dentro. La colpa è tua >> ribattei, seccato.
<< Sì, ma il cervello è il tuo. Ed è troppo lento per i miei gusti >>.
Preferii non rispondere. Qualcosa mi diceva che nei giorni successivi avrei avuto molte altre opportunità di perdere la calma…
<< Scambio di corpi >> mormorai tra me e me.
Sherlock scosse la testa. << E’ impossibile >>.
<< Allora come ti spieghi il fatto che io stia parlando con qualcuno uguale a me in tutto ad esclusione del pessimo carattere? >>.
<< Non me lo spiego perché non è possibile >> ripeté. << Non è logico! >>.
<< Ma è successo. E ora dobbiamo capire come >>.
Sherlock andò a posizionarsi sul suo divano, con la stessa espressione che gli avevo visto la sera prima e tutte le volte che ci occupavamo di un caso… solo questa volta era sulla mia faccia.
Io mi sedetti sulla poltrona.
<< Accidenti, John! >> esclamò dopo appena qualche secondo, << E’ un’impresa formulare qualche deduzione coerente con questo cervello che ti ritrovi! >>.
Sbuffai, annoiato. Perché si lamentava?
Era così ovvio quello che dovevamo fare…
<< Dobbiamo riflettere su quello che abbiamo fatto nei giorni scorsi. Luoghi che entrambi abbiamo frequentato, persone con cui siamo entrati in contatto… qualsiasi avvenimento diverso dal solito, e che sia capitato ad entrambi. Proporrei di iniziare dagli eventi delle scorse ore, fino ad allargare il campo all’intera settimana >>.
Sherlock sgranò gli occhi.
Mi chiesi se era questa l’espressione che avevo ogni volta che mi stupivo delle sue deduzioni.
<< Sì, giusto. Non ci avevo pensato… >> ammise. << Ma non ti ci abituare >> aggiunse subito dopo.
Mi meravigliai della velocità con cui i pensieri si facevano largo nella mia mente. Era una sensazione esaltante e spaventosa allo stesso tempo.
<< E’ così che ti senti continuamente? >> domandai, curioso.
<< Ti stavo per fare la stessa domanda >> rispose Sherlock, sbuffando.
Restammo in silenzio per un po’, riflettendo.
Poi, ad un tratto, un’idea balenò nella testa di entrambi.
<< La casa di Samuel Welch! >> esclamammo all’unisono.
 
Spero che vi sia piaciuto questo primo capitolo e che sia stato divertente leggerlo come lo è stato per me scriverlo :)
Mi piacerebbe sapere la vostra opinione, quindi… recensiteee xD
   
 
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