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Autore: Patta97    03/08/2012    1 recensioni
Salve!
I capitoli saranno alternati dai punti di vista delle due protagoniste, a distanza di tre anni. Una protagonista, Sabine, ha l'enigmatico potere di trasformarsi in tutti gli animali e di parlare con le piante, mentre l'altra, Celeste, racchiude dentro di sé il potere dell'aria. Due potenti e ricche aziende che si occupano di addestrare giovani con poteri sovrannaturali. Una continua lotta tra bene e male.
Ispirata ai fumetti sugli X-men, prima mia storia originale.
Spero leggerete e mi darete consigli tramite recensioni.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TRE ANNI PRIMA
 
Calma, Celeste. Calma.
Ma avevo le mani artigliate ai braccioli della poltrona.
- Su, Cely, datti una calmata – mi rimbrottò la mia migliora amica, Edith.
In realtà era la mia sorellastra di due anni più grande di me. In pratica mia madre era sposata con Jimmy, il padre di Edith, ma poi aveva avuto me con mio padre e si era rimessa con Jimmy, dato che mio padre era un completo idiota. Diciamo che è complicato e mia madre non si era mai beccata begli epiteti per quella storia.
- Ho paura – sussurrai, gli occhi serrati.
- Ti assicuro che ancora siamo con le ruote ben salde all’asfalto. Se vuoi scendere… - mi provocò lei.
- Sai che non mi perderei questo viaggio per nulla al mondo! – scattai.
Però non appena la voce del capitano disse qualcosa tipo “adesso le assistenti di volo vi mostreranno cosa fare in caso di emergenza”, il respiro mi si mozzò.
- …O forse l’aereo potrebbe farmi cambiare idea – dissi, aprendo gli occhi e non perdendomi neanche una mossa delle hostess, che spiegavano come indossare il giubbotto salvagente, gonfiarlo e gettarsi in acqua in caso l’aereo fosse…
Non voglio neanche pensarci.
Erano mesi che programmavamo quel viaggio. Solo noi due: senza nostra madre, il mio patrigno e tanto meno il mio disastrato padre genetico. Anche se avevo solo quindici anni e mia sorella diciassette, la mia ricca ed impegnata madre ereditiera non si era fatta molti problemi. Idem per il padre di Edith, avvocato divorzista da dieci casi alla volta, a sentire lui. Per quanto riguardava mio padre, un alcolizzato, disoccupato a cui non importa nulla di nessuno… per lui, se avessi fatto una passeggiata in giardino o una in Francia non faceva differenza, per cui non contava molto.
Ma per arrivare a Fontainebleau da New York ci sono ben pochi mezzi a parte l’aereo.
Il fatto che avevo da sempre avuto una paura matta delle altezze e di volare ed avevo sempre evitato accuratamente di farlo. Ma si trattava della Francia… ed Edith mi aveva convinta.
Il comandante raccomandò alle hostess di prepararsi al decollo e disse ai passeggeri di accertarsi che le cinture fossero ben allacciate. Io strinsi la mia più che potei, tanto da farmi male.
Strinsi forte la mano di Edith, che se ne stava tranquilla dal lato del finestrino, mentre l’aereo si lanciava in una corsa pazza. Quando le ruote del velivolo si staccarono da terra, io avevo già le orecchie tappate e le mani sudate.
Mi si presentava davanti un volo di più di sette ore.
Edith riuscì a sfilare la sua mano dalla mia prima che gliela sbriciolassi e mi guardò in viso coi suoi occhioni azzurri.
Anche nel panico più totale, notai per l’ennesima volta quanto fosse più bella di me, con i capelli biondi impeccabili, il viso regolare e il fisico esile. L’opposto di me: troppo alta, un po’ sovrappeso, gli occhi irrimediabilmente marroni e i capelli rossicci senza forma, troppo lunghi.
- Forse sarebbe meglio che tu provassi a dormire – mi suggerì, leggermente preoccupata.
In effetti il cuore mi batteva all’impazzata, avevo come dei crampi alle braccia ed alle gambe e non ne potevo più di tenere fissi gli occhi sulla pelata del tizio seduto di fronte a me.
Chiusi gli occhi e mi addormentai di botto.
Ma non fu una bella esperienza: non fu come si sogna di solito, perché anche nel sonno ero consapevole di ogni minuto che passava. Forse era a causa del mio cuore che pompava sangue all’impazzata o per via di quel pizzicore sempre più insistente in ogni millimetro del mio corpo.
Non ero sicura che cose del genere si provassero mentre si dormiva sull’aereo.
I miei sogni furono agitati e confusi: uccelli. Uccelli di tutti i tipi possibili ed immaginabili che volavano alla velocità della luce.
Ci fu un interminabile minuto in cui vidi un colibrì da vicino e ogni suo battito corrispondeva al mio. Fu certamente una stranezza dovuta a quel sogno confuso, perché i colibrì avevano circa un battito al minuto superiore di almeno una cosa come… dieci volte quello umano. Non mi intendevo molto di animali, ma mi sembrava qualcosa del genere.
Dopo quella visione del colibrì dalle cangianti penne smeraldo, spalancai gli occhi.
Gettai un’occhiata allo schermo davanti al sedile, il quale diceva che saremmo atterrati tra poco meno di mezz’ora. Edith guardava estasiata fuori dal finestrino.
Appena notò il mio sguardo su di lei si girò ed inorridì.
- Celeste – sussurrò. – Ti senti bene? -
- Non molto – biascicai. La voce di Edith arrivava ovattata alle mie orecchie.
Mossi velocemente la mascella per poter sentire di nuovo bene, così come mi aveva spiegato la mia sorellastra prima di decollare. Ma non succedeva nulla.
Anzi, da quando avevo aperto gli occhi sentivo sempre peggio.
- Edith… - cominciai, ma mi bloccai subito, premendomi le orecchie.
La mia voce era molto più alta del normale, come se altre venti me urlassero le mie stesse lettere.
Le mani iniziarono a tremarmi e un dolore mi pervase tutta, come se il mio corpo fosse improvvisamente diventato il bersaglio di mille coltelli affilati.
L’udito tornò, ma avrei preferito restare sorda per non sentire quello che successe dopo.
- Celeste! – Edith aveva gli occhi spalancati e mi fissava come se fossi un alieno.
- Cosa c’è? – ancora la voce centuplicata.
Evidentemente anche gli altri passeggeri la udirono stavolta, perché si tapparono le orecchie con le mani.
Un bambino iniziò a piangere a dirotto, ma non sentii nessuno cercare di calmarlo.
Molti strillarono e si alzarono in piedi, nonostante il segnale luminoso di rimanere con le cinture allacciate: furono i primi a essere sbattuti contro il soffitto dell’aereo quando questo sbandò per la prima volta. Alcuni svennero, i più esili morirono.
Il bambino smise di piangere.
Il comandante non parlò all’altoparlante per rassicurare i passeggeri.
L’aereo era fuori controllo. Precipitavamo in caduta libera verso il terreno.
Fu Edith ad afferrarmi la mano, stavolta.
Le maschere per l’ossigeno penzolarono davanti a noi.
Tutti le indossarono in fretta, cercando di respirare regolarmente.
Ma io non lo feci: respiravo benissimo.
Edith me la portò al viso e la regolò, credo pensando che fossi troppo sotto shock per poterlo fare da sola. Ma non avevo nessun attacco di panico.
Mia sorella allontanò di botto le mani dalla mia testa, come se avesse preso la scossa.
Mi strappai la maschera di dosso e urlai, urlai di dolore e di paura.
Di dolore perché i coltelli si erano fatti sentire, più dolorosi che mai.
Di paura perché tutto attorno a me aveva iniziato a sfaldarsi.
Sentivo una pressione che mi pervadeva, come un campo di forza.
Sono io che faccio precipitare l’aereo. capii, in un lampo di pazza lucidità.
- Edith! – urlai. – Edith, afferra la mia mano! – e lei ubbidì, ad un passo dallo svenimento.
Non appena mia sorella mi prese la mano, quella specie di campo di forza luminoso avvolse anche lei. E l’aereo esplose.
Tutto si dissolse nell’aria. I corpi accanto a me erano ridotti a scheletri.
Io ed Edith eravamo a parecchi metri da terra, tutto il resto era svanito, dissolto, morto.
Precipitavamo anche noi due, adesso.
Il dolore era diventato insopportabile: più il terreno si avvicinava, più le fitte aumentavano.
Era strano e non me ne resi subito conto, ma potevo tenere gli occhi aperti anche a quella velocità e la pressione atmosferica non mi stava disintegrando.
Ci stavamo avvicinando a una velocità impressionante a una catena di montagne.
Poi, quasi accecata dal dolore, mi resi conto che qualcosa non andava: non sentivo più la presa della mano di Edith sulla mia.
Girai la testa da una parte all’altra, ma di mia sorella non c’era traccia, si era dissolta come tutti gli altri.
La pressione azzurrina attorno a me si dissolse, lavata via dalle lacrime che rigavano il mio viso, mentre mi abbandonavo alla velocità, alla compressione e al dolore.
Il mio corpo s’infuocò, trasformandomi in una meteora gigante.
Quando mi schiantai contro i Pirenei ero già svenuta.
Non potevo sapere che, dopo qualche minuto, un elegante gatta nera era arrivata e mi fissava con grandi occhi verdi, miagolando a gran voce.

________________________
Ed eccoci al mio ritardatario secondo capitolo!
Spero che qualche anima buona recensisca ancora, o magari che arrivino nuovi recensitori...
Ne dubito fortemente, ma non abbandono la speranza.
Ricordo che questa è la mia prima storia originale, quindi vi prego di essere clementi!
Patta97
  
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